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Autore: Eliessa    27/03/2012    1 recensioni
Questa è la storia di una giovane ragazza che si troverà in uno dei periodi più delicati della sua vita ad affrontare delle perdite che le causeranno molto dolore.
Ma riuscirà Giada a salvarsi dalla vita che aveva deciso di vivere?
P.S. STORIA SCRITTA PER PARTECIPARE AL CONTEST "SPIRITI AFFINI"
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Un cuore che cerca sente che gli manca qualcosa, ma solo il cuore che ha perduto sente cosa gli manca”




Ed è questa la storia di Giada Serbidei, una ragazza 19enne di Città della Pieve.
Giada era una ragazza benestante che usciva pazza per la legge ed il rispetto di questa. Voleva diventare un magistrato e stare dalla parte della giustizia.
Decise allora a 14 anni d’iscriversi all’Istituto Tecnico Commerciale della sua città, pur non amando tutte le materie che vi erano, però pensò che fosse una scuola completa in tutto, si studiava dalle scienze, lingue, matematica, economia aziendale ed il suo amato diritto accompagnato dall’economia polizia che nel 5° anno diventa scienze delle finanze.
Giada, come già detto, aveva una buona condizione economica, poteva levarsi tutti gli sfizi che voleva, ma non per questo si sentiva altolocata o discriminava le amiche che non avevano una borsa firmata, anzi era lei che molte volte le comparava per loro e se vedevano in una vetrina qualcosa che non potevano permettersi, ci pensava lei con la sua carta di credito.
Era fatta così, per le amiche care che aveva, dava anche l’anima, e loro per lei.
Di amici maschi invece, ne aveva pochi, tanto che si potevano contare sulle dita della mano.
Il più importante era Michele Matteosi, suo vicino di casa, amico da 19 anni, più grande di lei di 2 e molte volte, nei suoi momenti di tristezza e malinconia, riesce a capirla più di qualsiasi sua amica, con il classico sms “Come stai?” e la risposa falsa “Potrebbe andare meglio, ma sto bene”.
Tra Giada e Michele non c’è mai stato nulla di più di una semplice amicizia, quella con la “A” maiuscola, anche se entrambi provavano qualcosa.
Però Giada da quattro anni era fidanzata con un ragazzo, Giuseppe, suo compagno di classe dalla prima media. Lui è il classico ragazzo che si sente essere il sex symbol del paese e si atteggia davanti alle persone, poiché era riuscito a conquistare una delle ragazze più belle di Città della Pieve.
In effetti, era vero, Giada era magra, alta 1.80 m, occhi verdi e capelli castani chiaro mossi fin sotto le spalle. Era davvero una bella ragazza.
Ma Giuseppe nel paese aveva la “nominata” del tutto muscoli e niente cervello, un figlio di papà con la vita facile, ma a lei non importava, con lui ci stava bene in fin dei conti e le andava bene così.
Giada riteneva di avere una vita meravigliosa, non per i soldi, ma perché era circondata da persone che adorava.
A 19 anni ed una settimana però la vita di questa ragazza cambiò drasticamente.
Una sera d’inverno, mentre i genitori rientravano a casa da una cena di beneficenza, furono investiti da una macchina che invase la loro corsia facendoli precipitare in una scarpata.
Inutili furono i tentativi immediati dei soccorritori, poiché i due morirono sul colpo per aver sbattuto violentemente la testa.
Da quel giorno la vita di Giada fu segnata profondamente.
Uno dei suoi punti di riferimento non c’era più. Giada iniziò a non volere uscire di casa, a non voler vedere nessuno, Michele  e Giuseppe esclusi.
La sofferenza che provava era troppa ed entrò nella fase denominata “depressione”, stava sempre nel letto, non guardava la tv, non ascoltava musica e non leggeva libri. La cameriera le serviva in camera colazione, pranzo e cena, ma finiva sempre per riportare indietro più della metà del cibo che le serviva.
Per due settimane la situazione andò avanti così. Giada diventò apatica, non era capace di gioire o d’essere triste, aveva solo bisogno di fare una cosa, piangere.
Piangere per sfogare tutto il dolore che teneva chiuso dentro per la perdita che aveva subito.
Michele, che a differenza di Giuseppe, rimaneva a dormire con lei la notte glielo ripeteva sempre -Sfogati, piangi, picchiami, distruggi la tua stanza, butta a terra i libri, ma fai qualcosa. Reagisci o morirai. Io non ci sto a vederti rovinare la vita con le tue stesse mani. Io ti aiuto, ma se non cerchi anche tu di darti una mano ci penserò io con le cattive maniere.- e la sua risposta puntualmente era –Che senso ha reagire? La mia vita è finita nel momento in cui sono morti i miei genitori. Sono viva perché il mio cuore batte ancora, ma dentro sono morta Non ho voglia più voglia di vivere La vita per me in questo momento non ha senso.-
Dopo 15 di agonia, Giada si sentì male. A casa con lei c’era il suo migliore amico.
Stava preparando la colazione, ma un improvviso giramento di testa la fece cadere nelle braccia dell’uomo.
Michele la portò subito al Pronto Soccorso. Il medico che si occupò di lei le diagnosticò una gravidanza al secondo mese; ma era una di quelle un po’ difficili, in quanto il non magiare e il dolore che aveva dentro non contribuivano a far stare meglio il bambino e lei stessa.
Il medico, dopo aver finito di visitare la ragazza, chiamò Michele per farlo entrare nella stanza dove c’era l’amica, e lei subito disse –Non voglio questo bambino, non dire niente a Giuseppe.-
-Cazzo, ma ti sei rincoglionita? Dentro di te hai un bambino che vuole essere amato e tu vuoi ucciderlo? Ma come diavolo ragioni?-
-Non sono in grado di tenerlo psicologicamente, non te ne rendi conto? Sto male!-
-Ed io chi sono? Io ti aiuterò a crescere questo bambino!-
-Michè, giurami che tu ci sarai sempre e comunque. Ho solo te su cui contare. Giuseppe…-
disse la ragazza debole e con il volto rigato dalle lacrime.-
-Scc…Te lo giuro. Io non ti lascerò per nulla al mondo. Proteggerò te ed il tuo piccolo. Ora andiamo a casa?- La ragazza fece di si con la testa, insieme ad un sorriso, il primo da 2 settimane. –Dai, ti aiuto a vestirti.-
-Grazie.- disse abbracciandolo con quelle poche forze che aveva.
Tornati a casa Giada sembrava diversa, cercava di stare bene per il suo bambino perché in fondo di se stessa continuava a non importarle nulla.
Se non si lasciava andare era per il piccolo che portava dentro. Michele aveva ragione, dentro aveva un bambino e non doveva pagare lui la sua sofferenza.
Dopo mezz’ora a casa arrivò Giuseppe. Tutti e tre iniziarono a parlare della gravidanza e sul fatto che il bambino sarebbe nato, qualsiasi cosa sarebbe successa; ma nel volto di Giuseppe era evidente notare qualcosa di strano, anche se nessuno lì per lì ci diede molta importanza.
-Senti Già- disse Michele –stasera torno a casa, tanto c’è lui a fari da guardia.- Giuseppe annuì. –Ci vediamo domani bella.- disse dandole un bacio sulla fronte ed accarezzandole il ventre. –Ciao Giù.-
-Ciao Michè.- rispose il ragazzo.
Dopo cena, la prima per la ragazza dopo quei benedetti 15 giorni di digiuno; i due ragazzi andarono a dormire.
Giuseppe però fece solo finta perché iniziò a pensare alla sua vita da padre e non poteva accettarlo. Si considerava ancora un bambino e non uomo e assumersi una responsabilità come quella della famiglia non rientrava neanche nei suoi pensieri più lontani; così, senza pensarci su due volte si alzò dal letto, prestando attenzione a non svegliare Giada dove per la prima notte, dopo la morte dei genitori, gli incubi non s’impossessavano di lei, e scrisse su un foglio:“Perdonami, ma io mi sento ancora figlio e non padre. Ho paura. Non cercarmi, sparirò per sempre dalla tua vita. Perdonami per questo gesto, non sai quanto mi cosa farlo ma non ci sono altre soluzioni. Addio”.
Scritto il bigliettino, lo posò sul comodino della ragazza; e con ancora le tenebre fuori, si volatilizzò.
Scritto il bigliettino, lo ripose sul comodino della ragazza; e con ancora le tenebre fuori, Giuseppe si volatilizzò.
Il mattino seguente, Giada trovò il bigliettino. Appena finì di leggerlo iniziò a gridare. Michele, che
era appena entrato nella villa con la copia delle chiavi che l’amica gli aveva dato qualche giorno prima, corse da lei.
-Stronzo, bastardo!- disse Giulia prendendo una piccola statua che aveva sulla scrivania e gettandola per terra.
-Ehi, che succede?- chiese Michele preoccupato.
-Leggi! Lo stronzo mi ha lasciato da sola.- Giada di sedette sul letto ed iniziò a piangere.
-Sfogati piccola mia. Ne hai bisogno. Piangi.-
-Che ti devo dire?- disse la ragazza singhiozzando. –Che la vita mi ha deluso e forse solo ora mi sono resa conto che non vivo in una favola? Che il lieto fine non esiste? Ho perso i miei genitori, ora come non mai li vorrei con qui con me e non ci sono. Michè tu non sai quante volte in questi giorni ho pensato di togliermi la vita. Sai stavo anche per farlo la sera prima di scoprire di aspettare il mio bambino. Ero in bagno, ho preso una lametta e stavo per tagliarmi le vene dei polsi, poi, però sei arrivato in camera mia ed ho lasciato perdere, pensando di farlo la sera successiva, ma ho scoperto di esser incita ed ho resistito per lui. È per il bambino se ho abbandonato l’idea del suicidio.- Giada continuò a piangere ed il ragazzo che la teneva tra le braccia non disse una parola. Continuò solo a stringere Giada.
-Sai, non voglio più rimanere a casa da sola.- disse Giada. –Mi sento sola ed ho paura.-
-E se mi trasferissi da te? Potrei dormire nella stanza degli ospiti.-
-No, io ti voglio qui con me come. Ho bisogno di sentirti vicino.-
-Va bene, però oggi si fa come dico io; tra poco vengono un paio di amiche. Vogliono vederti e vedrai che ti farà bene, ne sono sicuro.- la ragazza annuì. –Vado a prendere qualcosa per pulire questo casino.-
-D’accordo, io vado a lavarmi.-
L’incontro con le sue amiche dopo un periodo nero sembrava dare buoni frutti. Sembrava perché Giada aveva ancora dentro di se quel vuoto che non riusciva a colmare.
Quel vuoto che veniva dalla mancanza di affetti delle persone che amava, prima i genitori e poi Giuseppe, soprannominato lo stronzo. Quando lo nominava, lo chiamava così!
Intanto i sette mesi che seguirono tra visite in ospedale, divertimento ed amici sembravano aver dato una vita nuova a Giada.
Il giorno che aveva rotto le acque con lei c’era sempre il suo angelo custode, Michele. Le era stato accanto durante il travaglio ed il parto. Proprio lui che odia la vista del sangue, si era fatto coraggio solo ed esclusivamente per lei.
Il 20/07 era nata una bambina. Giada decise di chiamarla Gioia, perché in tanti mesi di oscurità lei era la sua gioia, la sua luce, la parte più bella di lei.
Due giorni di ospedale e la ragazza, o meglio madre tornò a casa con sua figlia. […]
Cinque mesi dopo.
Giada si dedicava a tempo pieno di sua figlia, anche a costo di trascurarsi. Occupandosi della figlia non aveva tempo per pensare al dolore che aveva ancora dentro e che non era svanito.
Michele, che la vedeva sempre occupata a fare la super-mamma, decise di farle un regalo: poiché erano mesi che lei non si prendeva una sera tutta per sé, decise di guardare la bambina, in modo tale fa far passare una serata diversa a Giada.
In fondo a 20 anni ci si deve divertire e non fare la ragazza-madre, soprattutto se non si è pronti.
Giada accettò la proposta di Michele. Sebbene lei amasse la figlia più di chiunque altre, aveva proprio voglia di dedicarsi una serata.
Così corse in camera sua, buttò giù quasi tutti i vestiti che aveva nell’armadio, fino a quando non trovò quello che cercava: un vestitino nero, semplice, tutto scollato, senza maniche e corto fino a sotto il sedere, come scarpe ne abbinò un paio dello stesso colore, con un tacco da 10 cm, i capelli li lasciò sciolti, solo un fermaglio si era messa, per far reggere meglio il ciuffo dal lato sinistro; una porchette scura, ed era pronta.
Una volta fuori; decise di tornare in una discoteca che frequentava fino a qualche tempo prima
Arrivata lì, ovviamente da sola, si avvicinò al bancone ed iniziò ad ordinare da bere.
Un coktail dopo l’altro e diventò sbronza, tanto sbronza da cadere per quanto di possa chiamare così, alla corte di un 40 enne anche lui ubriaco e l’unica cosa che ne venne fuori fu fu una notte di sesso, fortunatamente con precauzioni.
Erano le 4 di mattina, quando la ragazza tornò a casa con addosso ancora l’odore dell’alcool e la sbronza che non era passata. Arrivata in camera della figlia, si limitò a guardarla dal ciglio della porta e le lasciò in aria, poi si recò in camera, cercò di levarsi i vestiti, si buttò sul letto e si addormentò quasi subito.
Alle 12 quando si alzò, non trovò nessuno in casa, se non un post-it lasciatole da Michele sul frigo in cucina: “Spero almeno che tu non abbia fatto qualcosa di cui pentiti. Torno verso pranzo con Gioia”.
Con un mal di testa assurdo, la ragazza cercò di capire cosa fosse successo la notte e pian piano riuscì a ricordare, la discoteca, i cocktail e quell’uomo.
Di mangiare non se ne parlava, così optò per una doccia fredda in modo che l’acqua ghiacciata la facesse risvegliare. Lì però continuava a pensare alla nottata appena trascorsa, di solito criticava le persone che andavano in discoteca per fare sesso con il primo che capitava, ora invece era diventata una di loro e quello che non si perdonava e che le piaceva stare in quella situazione. Per una sera, dopo tanti mesi era riuscita a provare tutte quelle sensazioni che voleva provare, ed aver avuto il corpo di un perfetto estraneo dentro di lei la fece stare dannatamente bene, tanto che voleva rifarlo.
Non le importava nulla di quello che sarebbe potuto accadere, aveva deciso di vivere la sua vita di notte nelle discoteche e con uomini diversi.
Tornata a casa Michele con la bambina, Giada le diede un bacio e chiese all’amico di poter ripetere la serata. Lui acconsentì, in fondo non sapeva nulla di quello che aveva in mente.
Giada andava in discoteca solo per provare quelle emozioni che le aveva dato qualche mese prima Giuseppe: piacere e felicità. Cercava di riempire così il vuoto che sentiva, e la sua vita finì per trasformarsi in uomini disposti a stare con lei, bevendo insieme qualche bevanda alcolica che cancellavano momentaneamente dalla sua mente tutta la vita vissuta. Ma stare con tanti uomini non significava che lei era una puttana. Era solo un suo modo di vivere “felice”.
Michele che aveva scoperto tutto, e non ne poteva più di vedere l’amica rovinarsi la vita, decise di parlarle per mettere fine a tutto questo. Vari furono i tentativi, ma Giada voleva parlarne.
Una sera però, mentre lei era in discoteca, Gioia ebbe una crisi respiratoria. Michele la portò in ospedale e mentre faceva la sua corsa folle verso quel luogo, tentò di chiamare l’amica, ma non trovandola le lasciò un sms. Giada si accorse del messaggio“Sono in ospedale con Gioia” solo qualche ora più tardi.
Alla lettura di quel messaggio si precipitò da lui, ed appena lo vide nel reparto di pediatria le chiese della figlia.
-Come sta Gioia?- chiese piangendo.
-Cazzo, solo ora ti ricordi di avere una figlia? Dopo esserti fatta l’ennesima scopata in quella discoteca?-
-Michè zitto! Non sai neanche perché lo faccio.-
-È vero, non lo so, ma non dovresti. Sei una madre; dovresti stare accanto a tua figlia. Gioia ha rischiato la morte, non respirava più, è stata rianimata in tempo. Sarebbero bastati pochi minuti in più e sarebbe…-
-Basta, basta, basta!-
disse Giada continuando a piangere e buttando dei pugni sul petto del ragazzo che neanche sentiva. –Perdonami.-
-Sei tu che ti devi perdonare, a me non hai fatto nulla.- Un medico uscì dalla stanza dove c’era la piccola.
-Come sta?- chiese Giada con un nodo in gola.
-È salva. La teniamo un paio di giorni sotto osservazione, ma è fuori pericolo. Se vuole può vederla oltre il vetro, tra un’ora la portiamo nella stanza dove potrà stare con lei.-
-Grazie dottore.-
-Arrivederci.-
-Vieni, andiamo a fare due passi prima.-
disse Michele, mettendo il suo braccio destro dietro il collo della ragazza invitandola a seguirlo nell’atrio del reparto di pediatria.
-Michele, ti rendi conto che sto male? Stare con quegli uomini mi fa dimenticare il mio passato; capisci? Cazzo Michè, quello stronzo mi ha lasciato, i miei genitori sono morti…-
-Ed io?-
-Non potevo dirti che ti ho sempre amato in silenzio. Mi sono messa con Giuseppe perché tu andavi dietro a quella Carina, Catrina, Caterina o come cavolo si chiama lei.-
Michele preso dalla passione che teneva dentro di se da molto tempo, la cinse tra le sue braccia, la spinse con la schiena al muro e la baciò.
-Sono anni che ti aspetto. Ci voleva la disgrazia di Gioia per farci ritrovare?- disse l’uomo guardando Giada negli occhi. -Sentì, con quest’abito e queste scarpe non puoi stare qui. Vai a casa, fatti una doccia ed una bella dormita, stanotte rimango io con la nostra Gioia.-
-Ti amo.- disse Giada.
-Anche io.- rispose l’uomo.
Giada tornò velocemente a casa, fece una doccia ed una volta uscita prese tutti i suoi vestiti, quelli che aveva comparato per la discoteca e che la facevano sembrare una poco di buono, e li gettò.
Se voleva riprendersi la vita che aveva lasciato a 19 anni, la sera dell’incidente dei genitori doveva chiudere con il passato, ed il suo era la discoteca. Finalmente, dopo tanto dolore, aveva trovato la sua dolce metà che riempiva quel vuoto che aveva dentro. Aveva chiuso con le discoteche e gli uomini di passaggio. Giada finalmente aveva iniziato a vivere.
Il giorno dopo si recò in ospedale, senza mai allontanarsi dalla figlia.
Due giorni dopo fu dimessa e quando insieme tornarono a casa, non erano più madre e figlia con un amico convivente, ma una famiglia.
Gioia che fino ad all’ora aveva il cognome della madre, avrebbe potato quello di Michele, poiché decise di riconoscerla, in fondo era anche un po’ sua figlia, l’aveva vista nascere e crescere in quei mesi.
Giada e Michele, invece iniziarono una nuova vita, partendo da quello che entrambi sentivano: l’amore; ed a distanza di tre mesi ci sarebbe stato il loro matrimonio,
La vita di Giada che a 19 anni aveva rischiato di finire per sempre, era cambiata.
Aveva capito che i problemi non si risolvono con l’alcool, gli uomini e la discoteca; aveva finalmente ritrovato la sua vita ed ora sapeva come andare avanti senza commettere errori, ed uno dei primi passi verso la nuova vita fu l’iscrizione all’università alla facoltà di legge.

Fine.

   
 
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