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Autore: phoenix_esmeralda    27/03/2012    5 recensioni
Tutto ciò che leggerete è rigorosamente vero! Le memorie dei miei tempi del liceo... e gli ostacoli che si frapponevano fra me e la puntualità nell'arrivare a scuola verranno dettagliati in questo breve racconto che riassume perfettamente lo spirito entusiastico con cui mi approcciavo allo studio!
Quarta classificata al contest "Amore? No grazie!" di SNeptune84!
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA LUNGA STRADA VERSO SCUOLA





  
L’obiettivo di stamattina è arrivare a scuola ed entrare in classe alla prima ora. Obiettivo apparentemente banale per chi frequenta la quarta superiore e da quasi 12 anni si reca a scuola ogni mattina. Nella stessa classe dello stesso liceo che si trova, forse è superfluo precisarlo, sempre nello stesso luogo.
Comunque tant’è: l’obiettivo è questo.
In effetti può essere utile sapere che nella mia scuola, ogni volta che arrivate in ritardo, l’addetto alla portineria segna una crocetta di fianco al vostro nome. Arrivati a tre crocette, la direzione scolastica si premura di inviare a casa una lettera di avviso alla famiglia, indicando i vostri frequenti ritardi. E giunti all’ottava lettera nel giro di tre mesi, mio padre inizia a manifestare segni di perplessità. Capite bene che insomma... stamattina mi devo impegnare.
La sveglia suona, come da istruzioni, alle 6.40. La spengo nel sonno e mi giro dall’altra parte.
La seconda sveglia suona invece alle 6.50. La spengo mugugnando e ritorno a dormire. A questo punto cominciate a comprendere perché una sola sveglia non mi è mai sufficiente.
Alle sette suona il Pokemon. Il Pokemon mi è stato regalato da un amico che, quando ha visto in spiaggia un vu cumprà che vendeva Pikachu strillanti, ha pensato a me. (Non me ne ha mai spiegato il motivo.)
La sveglia Pikachu, coniata al solo scopo di richiamare dal sonno gli studenti reticenti, intona ogni mattina la “Cavalcata delle Valchirie”, emessa fra l’altro a un volume così alto che sicuramente anche la Rosaria delle Scarpe che abita due piani più sotto e dal lato opposto del pianerottolo rispetto a me, apre il negozio in orario grazie al Pokemon. Pigio il tasto con rapidità fulminea e Pikachu cinguetta “Good Morning!”, causandomi il consueto pensiero mattutino che per buon gusto vi  censurerò.
Arrivo in bagno alle sette e zero due, il pullman per la città passa alle sette e zero sette. Potrebbe sembrarvi che io abbia poco tempo, ma ho sviluppato negli anni una capacità di sintesi estremamente raffinata, che mi consente di affidarmi alla routine mattutina senza spreco di energie inutili. Inoltre, la fermata del pullman si trova esattamente a venti metri da casa mia e questo mi facilita enormemente le cose, regalandomi chanches aggiuntive. Infatti, quando esco dal palazzo puntualmente alle sette e zero nove, vedo il pullman che dopo aver caricato gli studenti, sta già ripartendo verso la città. Mi cimento nel mio celeberrimo Scatto dello Studente che Perde il Pullman e raggiungo l’incrocio dove il mezzo si dovrà necessariamente fermare allo STOP e dove, per misericordiosa pietà dell’autista (che naturalmente mi conosce...dopo 4 anni mi conoscono tutti), vengo raccolta.
La questione è sostanzialmente questa: gli ultimi posti liberi sul pullman vengono invariabilmente riempiti dai ragazzi che salgono alla fermata prima della mia. Che io rimanga cinque minuti al freddo ad attendere diligentemente il pullman alla fermata, o che lo rincorra con scatto atletico all’ultimo secondo, comunque finirò per restare in piedi, spiaccicata come una mosca contro al vetro anteriore del pullman, a fianco dell’autista. In effetti non è un caso il fatto che io li conosca tutti... E a questo proposito, mi sovviene la volta in cui l’autista Eugenio lasciò che io e un’amica schiacciassimo i pulsanti di apertura e chiusura delle porte. Il pullman era così pieno che non riuscivamo bene a capire quando la gente smettesse di scendere e salire, per cui andavamo allegramente a caso. E lascerò alla vostra fantasia l’onere di immaginare come si concluse la faccenda.
Tornando a noi: capite ora che arrivare in orario alla piazzola di sosta non mi darebbe alcun vantaggio concreto; l’unica soluzione sarebbe alzarmi un po’ prima per raggiungere la fermata precedente e poter così occupare un posto libero sul pullman. Per carità, un paio d’anni fa l’ho fatto per un certo periodo, soprattutto perché la fermata dava sui campi a est e mi permetteva di vedere i colori dell’alba aprirsi nel cielo. Poi però sono cresciuta e ho perso tutto questo spirito romantico...  la vita ci indurisce. Adesso mi accontento di starmene qua in piedi tranquilla a fianco dell’autista Giuseppe, contenta di essere riuscita a prendere il pullman giusto. Praticamente sono a metà dell’impresa, se avessi perso il pullman delle sette e zero sette arrivare in orario in classe sarebbe diventato estremamente difficoltoso.
Ora, la tappa successiva è che anche Monica abbia preso il suo pullman, e che si trovi ad aspettarmi al nostro solito posto in città. In realtà non è che la presenza di Monica sia particolarmente funzionale al mio arrivare in classe in orario (anzi...), però la sua assenza mi intristisce molto. Siamo compagne di banco dal primo giorno della prima superiore e l’assenza di una rende incompleta l’altra.
Purtroppo a Monica capita spesso di perdere il pullman, e non interamente per colpa sua. Fra i vari autisti che lavorano sulla sua linea, ce n’è uno che abbiamo denominato “Il Bastardone” e che senza mezzi termini la odia, perché a causa sua deve alzarsi mezzora prima (Monica è l’unica che sale alla fermata più lontana della linea e il pullman deve essere alle sei e quaranta al suo paese esclusivamente per lei). Così capita spesso che se Monica e sua madre arrivano alla fermata all’ultimo minuto, Il Bastardone appena vede la loro macchina avvicinarsi, parte in volata e le lascia lì. A quel punto comincia l’inseguimento in auto per riuscire a prendere il pullman alla fermata successiva, ma Il Bastardone è talmente abile che a volte riesce a percorrere più della metà del tragitto prima di arrendersi e far salire Monica sul pullman. A questo bisogna aggiungere il fatto che Monica non sia una persona propriamente organizzata e che, come lei, anche la sua famiglia risulti un po’ caotica... Per cui, indipendentemente dal Bastardone, possono capitare mille inconvenienti che ritardano o impediscono l’arrivo in classe della mia amica (che naturalmente ha ricevuto a casa tante lettere quanto me). Ricordo ancora la mattina in cui Monica arrivò in classe con un’ora e mezzo di ritardo e senza zaino, perché essendosi alzata troppo tardi per il pullman e convinta che l’avrebbe portata a scuola la madre, aveva caricato la borsa sulla sua auto. Invece la madre era partita per altre mete (con lo zaino in macchina) e Monica era arrivata a scuola con lo zio senza neppure una biro in tasca. Cosa che ci fece ridere, ma che non ci scompose particolarmente: a Monica ne succedono sempre talmente tali e tante, che se un giorno vedessi arrivare a scuola il suo zaino senza di lei non batterei ciglio. Monica è una di quelle persone capaci di farti pensare che la sfiga esista sul serio.
Ma stamattina c’è! La vedo già da subito, mentre il pullman accosta, appoggiata al nostro solito palo, intontita e con l’aria semiaddormentata. La sfiga e il Bastardone non hanno avuto la meglio su di lei.
Infilo lo zaino in spalla e salto giù dal pullman appena si aprono le porte. Mi avvicino al palo stringendomi intirizzita nel piumino.
Nel corso degli anni io e Monica abbiamo potuto rilevare come esistano persone fra le nostre compagne che, pur vedendosi quotidianamente nove mesi all’anno, riescono a salutarsi ogni mattina come se non si incontrassero dalla notte dei tempi. Si corrono incontro festose, si schioccano tre baci vicendevoli sulle guance e si domandano reciprocamente come stanno.
Naturalmente anche io e Monica ogni santa mattina alle sette e trenta, appena scese da un pullman nella nebbia padana, brilliamo di spontanea espansività.
- Oh! – mi apostrofa lei, quando le arrivo vicina.
- Mmh – mugugno io senza guardarla e senza fermarmi, mentre lei automaticamente mi si accoda.
Non ho mai capito come si possa avere una conversazione decente al mattino, senza aver bevuto prima un caffè. Ma probabilmente le nostre compagne fanno tutte quante colazione a casa. Sarà per questo che arrivano in orario in classe.
Noi invece onoriamo con la nostra quotidiana presenza il bar “San Fermo”, il cui nome, abbiamo dedotto fin dal primo anno, doveva essere stato studiato con astuta lungimiranza.
Afferriamo un paio di brioches e ci sediamo al nostro tavolino. Quando decidiamo di entrare alla seconda ora ci concediamo un cappuccino, ma stamattina l’obiettivo è arrivare puntuali, quindi ci accontentiamo dei caffè.
Mangiamo rilassate mentre Monica mi racconta le ultime peripezie della sorella. Stamattina le cose stanno veramente procedendo a gonfie vele, sono solamente le sette e quaranta ed entrambe siamo già sedute al bar mangiando brioches. Anni di allenamento ci hanno portato a coprire in sette minuti il chilometro e mezzo che ci separa da scuola; ogni cosa è sotto controllo.
Alle sette e cinquanta mi sporgo per afferrare nello zaino il portafoglio e proprio in quel momento Michela e Nicoletta, vedendoci dal vetro, entrano nel bar.
- Ragazze su, muovetevi, è tardi! – ansima Michela, la Donna Ansia del gruppo, saltellando sui due piedi come su braci accese – Forza, sbrigatevi! Arriveremo in ritardo! Dai, dai!
- Stai calma Miki – risponde Monica serafica – Tanto alla prima ora c’è Ghezzi e quando deve spiegare arriva sempre in ritardo.
- Ma stamattina non spiega – interviene Nicoletta, perplessa – Ricomincia il giro delle interrogazioni!
- Va là, smettila di scherzare! – ride Monica.
Michela e Nicoletta ci fissano mute e nei loro occhi leggiamo un leggera apprensione, mista al rassegnato compatimento che ormai nutrono nei nostri confronti in maniera più o meno standard.
- Interroga davvero..? – indago io. Mi volto verso Monica – Tu lo sapevi?
- Certo che no, non l’ha mai detto!
Il cipiglio rassegnato di Michela e Nicoletta diventa flebilmente più accentuato.
- Beh, io non ho sentito! – ribatto, sebbene non abbiano commentato nulla.
Il fatto è che io in filosofia ho cinque più, mentre Monica ha cinque.
Vi spiego brevemente com’è accaduto l’increscioso fatto. L’ultima volta che Ghezzi ha iniziato un giro di interrogazioni, all’incirca due mesi fa, né io né lei ne eravamo al corrente (magari potrete avere l’impressione che in classe prestiamo poca attenzione alle parole dei professori, ma il punto, secondo me, è che si impegnano poco per attirare la nostra attenzione. In fondo siamo in prima fila, non dovrebbe essere così complesso farsi ascoltare...). Comunque, avevamo lasciato il bar “San Fermo” totalmente inconsapevoli della cosa e lungo il tragitto avevamo incrociato un paio di compagne (magari Michela e Nicoletta...) che ci avevano dato l’emozionante notizia.
A quel punto, di comune e silenzioso accordo, io e Monica avevamo iniziato a rallentare il passo sempre di più... sempre di più....ancora di più...fino a sembrare due imbecilli tartarughe.
Questo perché, nel nostro liceo, la seconda campana suona alle otto e zero cinque, così se arrivi alle otto e dieci c’è un cinquanta per cento di possibilità che non ti facciano entrare in classe fino alla seconda ora, ma ti chiedano di aspettare in una stanza a lato della portineria. Se arrivi alle otto e quindici, sicuramente finirai nella suddetta stanza.
Noi, per esagerare in sicurezza, arrivammo alle otto e venti. La portinaia che stava lavando l’ingresso ci lanciò un’occhiata distratta domandandoci: “Voi da dove arrivate?”
E Monica non le disse il nome del mio paese, che si trova a un tiro di schioppo dalla città e per il quale non esistono giustificazioni di ritardo... no! Le disse il nome del suo paese, quello che si trova dall’altra parte del mondo!
Così la portinaia commutò la sua espressione distratta in una compassionevole, aggiungendo: “Oh poverine, da così lontano! Va bene dai, passate comunque!”
Naturalmente imprecai contro Monica mentre salivamo le scale verso la nostra aula, ma lei ebbe le prontezza di spiegarmi: “Ormai sono le otto e venti, Ghezzi avrà già chiamato le persone da interrogare!”
Invece, entrando in aula, avevamo visto Ghezzi seduto alla scrivania a compilare il registro. Ci aveva lanciato un’occhiata rapida e significativa mentre ci sedevamo ai nostri posti e nel frattempo Nicoletta, dal banco alle nostre spalle, aveva sibilato: “È arrivato in ritardo, deve ancora iniziare a interrogare...”
Quando dicevo che con Monica inizi a credere alla sfiga, intendevo dire che chiunque abbia a che fare strettamente con lei, può sperimentare sulla propria pelle questa sensazione. Inutile dire che Ghezzi interrogò entrambe e fu così che prendemmo cinque e cinque più.
Sebbene a Michela e Nicoletta non possa sembrar vero che io e Monica ricadiamo sistematicamente negli stessi errori, vi posso assicurare che invece è proprio così. E il punto è che io non posso prendere un altro cinque. Un cinque a ottobre e un cinque a dicembre possono trasformarsi in un sei in pagella a gennaio? Ci penso seriamente per dieci secondi, ma devo proprio arrendermi al fatto che un sei sarebbe un atto di generosità in cui Ghezzi non riuscirebbe a prodursi.
Guardo Monica e lei guarda me. Non abbiamo bisogno di parlarci noi, ci esprimiamo col pensiero. In classe comunichiamo scrivendo sul banco solo le iniziali appuntate delle parole.
Sospiriamo entrambe, sgonfiandoci come palloncini flosci. Io mi chino per rinfilare il portafoglio nello zaino, mentre lei si alza a ordinare due cappuccini.
Michela e Nicoletta scuotono la testa e alzano gli occhi al cielo.
- Ci vediamo alla seconda ora! - dicono, mentre corrono fuori verso scuola.
Obiettivo fallito dunque. Niente prima ora neanche stamattina... mio padre avrà il piacere di approcciarsi a un’altra lettera della direzione.
Ragazzi, io ce l’ho messa davvero tutta... ma la strada verso scuola è veramente lunga!

  
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