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Autore: HermLOL    27/03/2012    1 recensioni
Alzò lo sguardo, rivelando ai due uomini la sua espressione stravolta, e provò a sorridere: le risultò difficile. Non lo faceva da troppo tempo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Camminando, si trovarono davanti al parco dietro casa di Protea. Appena dietro il parco c’era un palazzo, dove lei e i suoi amici di un tempo passavano intere giornate. Sospirò: non voleva tornare lì, il loro ricordo era ancora troppo vivido. Ma doveva, era l’unico posto sicuro, e stava facendo buio.  Accelerò, puntando dritta verso il palazzo.

 

 

“E’ troppo tardi per andare a caccia. Ci fermeremo lì, per stanotte.”  Disse con voce ferma e con tono piatto. “Ma almeno hai controllato..” esordì Ger, ma lei lo interruppe bruscamente, con voce tagliente:  “Non c’è nessuno. Né morto, né vivo, né entrambi.  E’ il posto più sicuro nel raggio di chilometri, quindi o entrate con me o dormite qui fuori, e vi fate mangiare da quei fottuti bastardi.”.  Ger e Steve si scambiarono uno sguardo allibito: Protea era una roccia, sì, e a volte era davvero scorbutica. Ma non li aveva mai trattati così. Fecero spallucce, pensando che forse l’incontro con il generale e la vista dei cadaveri dei genitori l’avevano turbata un po’ troppo, e la seguirono.  L’edificio era spoglio,  e il primo piano era un lungo corridoio con tutte stanze, chiuse.  Protea si diresse automaticamente verso il fondo del corridoio, dove c’era la stanza più grande, ma Ger e Steve si erano fermati davanti alla prima porta a destra, vicino alle scale che portavano al piano di sopra.

Steve si avvicinò cauto alla porta, tendendo in avanti la mano per posarla sulla maniglia, ma Protea si bloccò e, in un gesto fulmineo, si voltò, esclamando con voce stridula: “Non aprirla!”. Steve la squadrò da capo a piedi, scettico, e le chiese, alzando le sopracciglia: “E perché? Non hai detto che è tutto libero?”.

“Fai come ti pare. “ rispose secca la ragazza, rimanendo impalata dov’era, rigida. Steve annuì piano, con un’espressione soddisfatta, e aprì la porta, entrando nella piccola stanza, seguito a ruota da Ger.  Protea li fissò mentre entravano, poi voltò le spalle e chiuse gli occhi. Avrebbe voluto che i suoi compagni di viaggio sparissero, insieme ai suoi ricordi legati a quel posto. Insieme al perché quella porta non doveva essere aperta. Insieme a tutto.  Cercò di tenere a bada i ricordi, ma questo le costava una fatica immane, così si appoggiò al muro con una mano, sudata e tremante.  I commenti dei due uomini sullo spettacolo macabro che si erano trovati davanti non tardarono ad arrivare.

“Dio mio..erano solo dei ragazzi…” disse con un filo di voce Steve, osservando la dozzina di corpi stesi a terra, in decomposizione, tutti con lo stesso foro al centro della fronte.  “Chi può aver fatto questo?” chiese Ger, con gli occhi sgranati, appoggiato mollemente allo stipite della porta. “. “Non l’hai ancora capito? Li ha uccisi lei.” Rispose l’altro con tono piatto.

Fuori in corridoio, Protea era accasciata contro il muro, i pugni serrati, il volto contratto in una smorfia disperata: stava ricordando. Fino a quel momento, era riuscita a tenere a bada i ricordi di quell’orrore, ma ora stavano prendendo il sopravvento e le scorrevano davanti agli occhi, nitidi, come un film, senza controllo. Vedeva una per una le facce terrorizzate dei suoi amici, quando lei aveva alzato la pistola e aveva preso la mira, per poi fare fuoco e piantargli ad uno ad uno un proiettile lì, tra gli occhi. Loro erano solo stati morsi, ancora non erano “cambiati”, ma lei aveva solo voluto evitargli dolore, angoscia.. non era colpa sua se erano morti, lei aveva agito per il meglio, aveva agito solo per evitargli l’inferno.. 

Ger e Steve stavano ancora osservando l’orribile scena, quando sentirono dei tonfi. Impugnarono le loro pistole e, tenendole dritte davanti a loro, si precipitarono nel corridoio. “Protea! Che succede?” urlò Steve, agitato. Protea si riscosse, si asciugò con un gesto di stizza le lacrime che erano scivolate giù, rigandole le guance e facendole bruciare gli occhi. Si ricompose, assumendo l’espressione più indifferente che riuscì a fare, e si voltò a guardare i due, che ancora tenevano la pistola alzata. “Ragazzi? Che succede lo chiedo io a voi. Mettete giù quelle pistole, che vi prende?”. “Ci prende che abbiamo sentito dei tonfi. Cos’erano?” disse Steve abbassando la pistola, un po’ più tranquillo. “Saranno.. saranno le tubature.” Rispose Protea, balbettando. Era sbiancata visibilmente: sapeva cos’erano quei tonfi.  “Sì, le tubature. Hanno sempre fatto questi rumori, noi che venivamo qui ci scherzavamo su, dicevamo che c’erano i fantas..” Ger la interruppe bruscamente, ancora con la pistola alzata “Protea, l’acqua non passa in queste tubature da mesi. “. “Beh.. allora.. sarà stato il vento..” mormorò Protea con un filo di voce, abbassando le spalle, sempre più pallida. Steve guardò fuori da una piccola finestra sul muro alla sua sinistra, poi tornò a fissarla negli occhi col suo sguardo penetrante “Non c’è un alito di vento, fuori.”. 

Protea sospirò, accasciandosi di nuovo contro la parete. Si passò una mano sul viso, fissando un punto indefinito di fronte a sé, poi lasciò che le proprie dita le lambissero il collo, fino a fermarsi sulla catenina dorata che aveva come collana, con la chiave grande e scheggiata come ciondolo. Strinse la chiave nella mano sinistra, trattenendo il respiro, poi tirò: la chiusura della catenina si ruppe, e lei prese la chiave. La consegnò a Steve, senza guardarlo, e mormorò: “Apri la porta accanto a quella di prima. Ma non sparare. Entra, guarda, commenta, fai tutto ciò che vuoi, ma non sparare. “. Steve la guardò interrogativo. Si scambiò uno sguardo d’intesa con Ger, prese la chiave dalla mano della ragazza e, dopo averla inserita nella toppa,  aprì la porta.

Steve e Ger fecero un passo indietro, spaventati. Entrambi puntarono la pistola davanti a loro, ma non fecero fuoco: Protea aveva quindici anni, loro non sapevano nulla di lei, ma li aveva salvati un sacco di volte, quindi era comunque il loro capo, non potevano disubbidirle.

La ragazza avanzò lentamente verso la porta, superò i due e si piantò davanti alla creatura legata da catene di ferro al pavimento, che ringhiava e si dibatteva, guardandola con occhi colmi di desiderio.  Era un ragazzo. Un ragazzo che sembrava più o meno dell’età di Protea. Ger  spostò lo sguardo dal ragazzo a terra a Protea, e disse con voce stridula: “Maledizione, ma non avevi detto che non ce n’erano?!”. Steve gli diede una gomitata nel fianco e gli rivolse uno sguardo di fuoco, abbassando la pistola e facendola abbassare anche all’altro.

Protea ignorò Ger, e continuò a guardare quella creatura negli occhi. Come tutti i contagiati aveva gli occhi appannati, come coperti da un velo, che davano alla sua espressione un qualcosa di diabolico. La ragazza continuò a fissarlo con espressione grave, mentre lacrime silenziose le rigavano il viso. Non le importava che Ger e Steve la vedessero piangere, le importava solo di lei e di quel ragazzo moro, che non poteva ricordarsi nemmeno dell’esistenza di Protea, perché ormai era morto da tempo.

Ma allora, se era morto da tempo, perché lei continuava a non trovare la forza di prendere la pistola e sparargli, come aveva fatto con i suoi amici? Perché era lì, immobile davanti a lui, senza sapere che fare?

“Protea..” sussurrò Steve, facendosi avanti e posandole una mano sulla spalla. Lei si voltò, con gli occhi pieni di lacrime, e scosse piano la testa. Avevo lo sguardo vacuo. Deglutì e disse, con voce ferma: “No, Steve. Devo farlo io.”, poi tornò a guardare il ragazzo che seguitava a dimenarsi, legato da quelle pesanti catene. A quelle parole, Steve tornò ad affiancare Ger, e rimase in silenzio a guardare la scena.

Protea si chinò sul ragazzo e gli posò un bacio sulla fronte accarezzandogli i capelli che, nonostante fossero sporchi, luridi e non venissero tagliati da tempo, erano ancora neri, e dannatamente belli. Come lui. Il ragazzo parve impazzire a quel contatto ravvicinato: iniziò a dibattersi con più foga, ringhiando ed emettendo suoni animaleschi, protendendosi verso Protea, che continuava a guardarlo, immobile. 

La ragazza si raddrizzò, prese la pistola e tolse la sicura. Deglutì e si chinò nuovamente sul copro del ragazzo, ricominciando ad accarezzargli i capelli. Altre lacrime le rigarono il volto, ma la sua espressione era più di determinazione che di dolore. Puntò la pistola sulla fronte del ragazzo e lo guardò negli occhi. Tolse la mano dai suoi capelli e sussurrò, quasi canticchiando tra sé, poche parole: “..and please remember that: I never lie”. La parola “lie” fu sottolineata da un leggero click. Un movimento, e il proiettile si conficcò tra gli occhi del ragazzo, che si immobilizzò all’istante. I suoi occhi si liberarono per una frazione di secondo del velo, e si spalancarono, incontrando quelli pieni di lacrime di Protea. Poi niente più: il corpo del ragazzo si afflosciò a terra, i suoi occhi si chiusero, per sempre.


Protea si alzò, guardò un’ultima volta il corpo a terra, in una pozza di sangue fresco, poi si voltò, ripose la pistola ed uscì dalla stanza, senza uno sguardo né una parola a Steve e Ger.

 

Più tardi, tutti e tre erano seduti a gambe incrociate sul pavimento della grande sala alla fine del corridoio del primo piano, a mangiare quel poco che avevano trafugato in caserma.  Un silenzio di tomba regnava nella stanza, come tutt’intorno. Ad un tratto Protea sbatté la scodella a terra e si alzò, guardandosi i piedi. “Era il mio ragazzo.” Spiegò, suscitando negli altri due una reazione di stupore tale che lasciarono la loro porzione di pane e insalata e la guardarono allibiti. “Quando è scoppiata l’epidemia, sono stati tra i primi ad essere contagiati, lui e i miei.. amici.” Li guardò per un attimo, poi tornò a fissarsi i piedi. “Loro li ho freddati subito, senza troppa difficoltà. Mi hanno implorato di non farlo, ma sono stata irremovibile. Non volevo che patissero l’inferno. Anche se non frequentavo più questo posto, non voleva dire che li avessi dimenticati..” fece una pausa, respirando a fondo e continuando a guardare il pavimento, poi riprese “Ma non ho avuto il coraggio di fare lo stesso con lui. Non volevo vederlo morire tra le mie braccia, non  volevo essere io a porre fine alla sua vita, non volevo vedere la luce che abbandonava i suoi occhi.. ma non volevo nemmeno vedere la sua.. trasformazione. Non avrei retto nessuna delle due cose. Così ho aspettato che si addormentasse, l’ho legato in modo che non potesse liberarsi né.. nuocere a qualcuno.. e me ne sono andata.  Ho chiuso a chiave perché sapevo che dovevo essere io a ucciderlo. Speravo di tornare qui, un giorno, con la forza necessaria per farlo. E.. così è stato.” Tornò a sedere, distrutta da quel racconto, e sconvolta per il fatto che era stato tanto facile aprirsi con loro due, come non aveva fatto con nessun altro.  Alzò lo sguardo, rivelando ai due uomini la sua espressione stravolta, e provò a sorridere: le risultò difficile. Non lo faceva da troppo tempo.

Alors, questo è il penultimo capitolo di un qualcosa che ho scritto e che non so come definire. Ho deciso di mettere solo questa parte per ora, forse in seguito metterò anche il resto.
Per ora, accontentatevi ;)
HermLOL.

 

   
 
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