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Autore: The Corpse Bride    25/10/2006    1 recensioni
Davide vuole partire per una missione di aiuto umanitario in Iraq, nonostante la sua ragazza sia fortemente contraria. Nel periodo che vi trascorre, impara a capire meglio le dinamiche della volontà e del perdono.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Nda: ci sono delle frasi in inglese, ma basta passarci sopra col mouse per trovare le traduzione ^^.)

Sapevo che Vittoria non avrebbe preso molto bene la notizia. Immaginavo che avrebbe pianto molto e sarebbe stata triste, ma certo non immaginavo il putiferio che avrebbe scatenato poi.
-In Iraq! Ma ti rendi conto di dove ti stai andando a cacciare?
-Sì, me ne rendo conto. E' una decisione che ho ponderato bene.
-Beh, cerca di ponderarla ancora un po', allora! Ma ti rendi conto. In Iraq! Lì ci va la gente a fare la guerra!
-Ehi, piano. Io non voglio andare a bombardare nessuno. Voglio andare come aiuto umanitario.
-Peggio ancora!! Il che significa che vai per fare del bene e ti ammazzano lo stesso!
-Vittoria, adesso non esagerare. Molta gente è ancora lì, e non le è successo nulla. Io non credo che sia così pericoloso.
-Non crede, lui! Ma senti che discorsi. E da dove ti è venuta l'ispirazione di andare fino in Iraq, di grazia?!..
Sospirai, perché con delle simili premesse, avevo seri dubbi che mi avrebbe ascoltato veramente - figurarsi cercare di capire le mie ragioni.
-Ma perché sono preoccupato, Vittoria... è vero che noi viviamo nel pericolo di un attentato, ma quella gente praticamente ha un attentato tutti i giorni.
-Ma bravo!! E tu cerca di finire in mezzo a uno di quelli, mi raccomando!!
Sospirai ancora. Sapevo che non avrebbe capito, ma non immaginavo che sarebbe stata tanto velenosa.
Non fui scortese con lei, perché non sono abituato a rispondere male o ad alzare la voce. Ma quel che è certo è che la presi molto male, e che questo le tolse diversi punti ai miei occhi.
Avevamo vent'anni, e stavamo assieme da circa nove mesi. Abbastanza da essere assuefatti alla reciproca presenza, e abbastanza poco da far sì che l'assuefazione non fosse abitudine, ma vero desiderio di stare assieme.
Ai tempi, però, non ci pensavo. Ai tempi l'ho vista come una sua ottusità; certo, la giustificavo, ma comunque il modo in cui si era posta mi faceva pensare più alla chiusura mentale, che alla paura o alla tristezza.
Beh, mi vergogno a dirlo, ma credo che se lei fosse scoppiata in lacrime, o se ne fosse andata in silenzio, le avrei prestato più attenzione; e forse, se lo avesse fatto abbastanza a lungo, chissà, magari avrei potuto cedere.
Ma lei, che era una ragazza dal carattere forte, impulsiva e spesso aggressiva, scelse ovviamente l'atteggiamento che le era più consono. Si arrabbiò, e davanti alla rabbia, qualsiasi voglia di conciliazione uno abbia sparisce.
Non mi è mai venuto in mente che anch'io avrei dovuto cercare di capirla. Capire che le sue grida ottuse non erano altro che paura di perdermi.
Come ho potuto essere tanto cieco da non accorgermene? Come ho potuto essere tanto stupido da non pensarci.
-Guarda che hai proprio poco da sbuffare - mi apostrofò, non ancora soddisfatta - Perché se tu vai lì... io ti lascio.
Dunque, alla fine aveva sganciato la bomba.
-Vittoria, non puoi fare così. Ti stai comportando in modo irragionevole. - replicai, irragionevole quanto lei.
-Io?! Ma se sei tu che te ne vai in mezzo ai terroristi! E io sarei irragionevole! Ma vaffanculo, va'! - sbottò, con gli occhi lucidi di rabbia. Pestò i piedi sul pavimento e poi si gettò sul divano, cercando di fare più rumore possibile. Io, indispettito, non le andai vicino.
-Beh, io ci vado comunque. Santo cielo, per una volta che prendo una decisione importante in vita mia. Non puoi cercare di capire?
-Oh, deve fare l'eroe, lui! Complimenti!
Quella frase, che probabilmente lei nemmeno pensava, mi fece davvero saltare i nervi. Stanco di discussioni, e cosciente di star parlando al muro, come si suol dire, tagliai corto.
-Va bene, allora lasciami quando ti pare. Non mi va di stare con una ragazza che vuole impormi i suoi desideri.
Lei tacque, ma mi fissò con quegli occhi lucidi, rossi, pieni di quella rabbia che stava cercando di reprimere. E' orribile quando piangi per rabbia, gli occhi e la gola ti bruciano tremendamente.
-Io non ti impongo i miei desideri - borbottò, inghiottendo i singhiozzi.
-Come no? Mi stai imponendo di rimanere qui, Vittoria.
A parole, avevo ragione io, quindi lei tacque e volse altrove il suo sguardo triste e imbronciato.
Però qualcosa nei miei discorsi non quadrava, e ce ne rendevamo conto tutti e due.
A non quadrare, ho realizzato molto più tardi, era che non si parlava di 'desideri', in quel discorso. Un desiderio è una cosa in più, un 'se si potesse mi piacerebbe'.
Non avevamo ben chiaro che, in quel caso, si parlava dei suoi bisogni.
E se anche me ne ero reso conto, mi sono guardato bene dal fare luce su quell'argomento, perché non avevo ben chiaro se il mio fosse un 'desiderio' o un 'bisogno' - e probabilmente propendevo più per il primo.

Quel giorno, più tardi, intervenne mia madre.
Provò a parlare con Vittoria e a spiegarle che anche lei era preoccupata e ci stava molto male, ma era giusto rispettare la mia scelta - la mia prima scelta da uomo, disse.
La mia testarda ragazza rimase ad ascoltare fino alla fine, con gli occhi che le bruciavano e le braccia conserte; potevo quasi sentire la sua sensazione di andare a sbattere contro un muro che non poteva abbattere. Perché, come ho imparato con il tempo, la volontà degli altri non è qualcosa che puoi manovrare, né con i capricci né con niente. Anche se tu piangi e supplichi, niente fermerà il tuo nemico dal fare a pezzi il tuo compagno.
Non è qualcosa su cui hai controllo.
-Io capisco il suo discorso, signora - disse lei, lentamente - il fatto è che anche lui non rispetta un mio desiderio. E non è giusto.
-Beh.. - fece mia madre, spiazzata - in effetti, la piena ragione non ce l'avrebbe nessuno... però...
-Però - azzardai io - si tratta della mia vita. E credo di avere io il diritto di scegliere per la mia vita.
Questo chiudeva la questione. Ok, nessun desiderio veniva rispettato, ma sulla mia vita ero indiscutibilmente il primo ad avere voce in capitolo.
Vittoria non disse nulla, sconfitta, ma il suo silenzio, il suo sguardo, il suo rifiuto di aggiungere qualsiasi cosa, ne fecero un po' la vincitrice.
Forse perché aveva mostrato il suo totale sprezzo verso una vittoria a parole, ben consapevole che queste non sono questioni di parole.
Se ne andò, perché era lei ad essere in casa mia, e per un po' non la risentii più.

Quello era un giorno di maggio, e io dovevo partire in agosto. Per un paio di mesi, non si fece mai viva, e non lo feci nemmeno io. Abitavamo in due zone opposte di Vicenza, e, benché ogni tanto ci vedessimo in centro, non ci salutavamo nemmeno.
Avevamo sempre avuto due compagnie separate, e nonostante uscissimo a turno con quella dell'altro, non ci fu difficile riprendere a uscire ciascuno con la propria: io con i miei amici punk, lei con le sue amiche fighette. Guarda te, pensavo ogni tanto, un mix culturale così ben riuscito, e buttato al vento. E per cosa? Per un anno che passerò ad aiutare la gente.
I miei amici, inizialmente, non avevano ben capito che volevo andar lì per dare una mano, e quindi le prime battute che mi rivolsero furono sulla falsariga di "sporco capitalista guerrafondaio", o qualcosa del genere.
Poi esplicai loro che io volevo semplicemente andare a riparare ai danni degli sporchi capitalisti guerrafondai, e furono tutti d'accordo che si trattava di un ottimo modo per combatterne le gesta.
Continuammo a ritrovarci vicino al parco, davanti alla fermata del 13, e le amiche di Vittoria continuarono a portarla su e giù per il piccolissimo centro, cercando spasmodicamente di evitare la nostra zona. Io non abbandonai la tinta rossa, le borchie e gli anfibi fino all'ultimissimo giorno; quel giorno i miei capelli tornarono neri e i miei polsi divennero liberi. Rimasero solo gli anfibi, che, beh, più adatti di quelli. Mi sentii confortato, al riguardo, perché qualcosa che io usavo a casa mia andava bene anche laggiù.
Venne la fine di luglio, e io e Vittoria ci trovammo dal gelataio. Eravamo entrambi con qualche amico o amica, quindi non fu così imbarazzante, ma il fatto che ci fossimo evitati di proposito rendeva comunque pesante l'atmosfera. Non mi disse nulla, ma il giorno dopo, in una radiosa domenica mattina, mi arrivò una sua telefonata.
-Pronto?
-Davide?
-... sì?
-Sono Vittoria.
-Sì.
-Volevo sapere come stai.
-Beh, sto bene. - non volevo dire nulla che si riferisse alla partenza, per evitare di litigare. Me la cavai con un banale "e tu come stai?"
-Abbastanza bene, grazie. Mi sono presa la febbre, però, non so come.
-In estate?
-Sì. E' strano.
-Sì, infatti, strano. Dovresti farti vedere da un dottore.
-Infatti domani ci vado.
-Bene.
Pensavo che a quel punto si sarebbe creato un silenzio terribilmente imbarazzante, ma Vittoria subito infilò La Domanda.
-Posso sapere se hai ancora intenzione di partire?
-Beh, dipende. Hai intenzione di rimanere civile, o mi griderai dietro?
-Ho già capito.
-Mh.
-Credi ancora che sia giusto?
-Beh, mi hai lasciato. Verso chi è che ho obblighi morali, adesso? Nessuno.
-Obblighi morali?
-Sì..
-Allora non hai mai capito niente dei miei discorsi, scusami se te lo dico.
-Mi dispiace - dissi, senza alcun sarcasmo. Non avevo voglia di scatenare un putiferio rispondendo.
-No, non ti dispiace per niente - sibilò lei - Dubito che a te dispiaccia sul serio per qualcun altro.
-Mi hai chiamato per farmi sentire in colpa? Perché se è così, chiudiamo subito, d'accordo?
-No. Non ti ho chiamato per farti sentire in colpa.
-Sembrava.
-E' vero. Scusa. E' meglio se vado. Ci vediamo.
-Sì, ci vediamo. Ciao.
In realtà, non ci vedemmo più. Non venne a salutarmi all'aeroporto, anche se disse a sua madre di dire a mia madre di augurarmi buon viaggio. Vennero però i miei amici, e anche qualcuna delle sue.
Il giorno in cui partii, tutta la mia compagnia si shockò a vedermi così, con un paio di jeans e un maglione, perfettamente normale, via tutta la ferramenta dalla faccia (lì rischi che te la strappino giusto per il gusto di fartelo, se capiti nelle mani sbagliate). Non avevano mai ben capito il mio spirito, temo. Io mi consideravo punk perché mi piaceva la musica, loro si consideravano punk perché volevano fare tutto ciò che volevano. A me non importava molto. Tempo un anno e sarei tornato indietro, e avrei potuto tornare quello di prima. C'è posto e posto per fare certe cose.
-Secondo me alla Vitto dispiace tanto - mi disse una sua amica, Silvia, con aria rammaricata - Guarda che lei ti vuole bene. Non arrabbiarti se non è venuta.
Sorrisi a Silvia, che era più comprensiva della mia ragazza - ex ragazza.
In realtà, ero arrabbiato eccome.
Quei due mesi, li avevo passati piuttosto male. Avrei dovuto lasciare la mia famiglia e i miei amici e rischiare ogni giorno la vita, e poco prima che accadesse... la mia ragazza se ne andava.
Da una parte capivo che se mi fosse rimasta vicino sarebbe stata male, e infatti tutti quanti stavano male. Ma dall'altra ero molto arrabbiato, perché io perdevo, almeno per un po', molte più persone di lei.
E poi mi mancava.
Non starò a descrivere com'è sentire la mancanza della persona che ami. Però qualche volta piangevo, e iniziavo a rendermi conto, anche se molto vagamente, di come fosse non aver controllo sulla volontà di qualcun altro. Ma cieco com'ero, e orgoglioso com'ero dell'essere riuscito a imporre la mia, non volli mai pensarci.
Partii semplicemente con un certo rancore attaccato alla gola, abbracciai tutti quanti, promisi che mi sarei fatto sentire più o meno ogni giorno e presi il dannato aereo, da solo.
Realizzai che sarei stato molto, molto meglio se ci fosse stato qualcuno con me, in quell'aereo. Se fossimo stati almeno in due.
Attraversando il corridoio per cercare il mio posto, sempre da solo, realizzai anche che Vittoria mi sarebbe mancata. E che potevo morire lasciando Vittoria lì - dove stavo andando non c'erano il centro e il divano e il parco e i le creste blu.
Guardai fuori dal finestrino, cercando i loro visi, ma il vetro rifletteva i raggi del sole e non vidi niente.
L'aereo partì, ma mi rifiutai di guardare dal finestrino per tutta la durata del viaggio.

*

Furono mesi molto duri. Ringraziai il cielo del mio sangue freddo, e della mia capacità di non farmi impressionare. Ciò che vedevo spesso era terribile. E' vero che io mi occupavo della redistribuzione di generi alimentari, e che quindi gli addetti al primo soccorso probabilmente vedevano ben di peggio, ma bastava girare per le città per vedere cose che a Vicenza non ci si sognava nemmeno d'immaginare.
Se in aereo avevo avuto paura che Vittoria mi sarebbe mancata, beh, ero ottimista: spessissimo non c'era materialmente il tempo di preoccuparsi di queste cose. In realtà, non mi facevo sentire una volta al giorno. Succedeva una o due volte alla settimana, se andava bene.
Spesso la connessione del mio portatile saltava, o veniva distrutta una base Vodafone (e già erano poche), oppure qualche imprevisto rendeva inservibili le linee telefoniche... non erano problemi quotidiani, ma succedevano abbastanza spesso da rendere difficoltosa una comunicazione con l'estero - non parliamo poi dei costi. Le mie e-mails erano sempre estremamente sbrigative, erano più sms che missive. Ma un sms costava.
"Ciao mamma qui tutto bene", "Salvati 30 feriti dal primo soccorso, rifocillati e messi in salvo", "Augura buon compleanno al papà e digli che appena posso spedisco regalo", "Mi mancate tutti, scusate ma non ho mai tempo".
Non menzionai mai la mia ex ragazza, né qualche amico nello specifico, salvo rari casi come i compleanni - che comunque spesso dimenticavo. Per le ricorrenze mi prendevo un po' di tempo in più per scrivere le mails, ma mi riferivo a chiunque non fossero i parenti stretti con un "tutti". Tutti chi, poi. Chissà a chi hanno riferito i miei saluti o i miei auguri.
Ma non era quella la mia principale preoccupazione. Sebbene noi degli aiuti umanitari fossimo trattati diversamente dalle truppe militari vere e proprie, eravamo comunque visti come intrusi da chi teneva le redini del potere. Eravamo pur sempre degli occidentali impiccioni, e chissà se le nostre intenzioni erano sincere. Potevo capire quel punto di vista. Comunque, cercai sempre di tenermi lontano dai guai.
Alle volte, erano diffidenti. Anche gli stessi civili ci guardavano con circospezione, chissà quali trappole mortali potevamo celare. Ma la disperazione di quando non hai nulla ti fa passare sopra la diffidenza - perché tanto, se devi morire comunque? Tanto vale.
Vedevo gente denutrita o gente sfregiata dai colpi di chissà che cosa. Ho visto passare davanti a me diverse donne prive di lineamenti. Per quelle non potevo fare nulla. I nostri soccorsi non avevano i mezzi per effettuare operazioni chirurgiche adeguate, non essendo adeguatamente finanziati, e in ogni caso quelle donne non avevano il permesso di sottoporsi agli interventi. Loro avevano disubbidito - loro dovevano pagarne le conseguenze, fino alla morte.
Ero triste, ma non potevo dire nulla.
Ero circondato dalla tristezza, ma andai avanti convinto che bisogna farcela. Non puoi non farcela se vivi a Vicenza e puoi fare il figo coi tuoi capelli mezzi rossi, e dormire fino a mezzogiorno nella tua casa con giardino. Se non ce la fai, vuol dire che sei un coglione. Così pensavo.
Mi diede molta forza per dimenticare Vittoria e tutta la gente che mi mancava. Perché io, se andava tutto bene, li avrei rivisti dopo poco. Un anno che cavolo è? Non è niente, un anno. C'è chi ha davanti una vita e non può viverla decentemente, ma combatte per ogni ora di quelle. C'è chi preferirebbe non viverla per niente, perché non può viverla decentemente neanche lui, ma sopporta ora dopo ora di tutti i decenni che seguiranno.
Io non posso sopravvivere a dodici mesi che si accorciano a una velocità supersonica?
Se non posso, allora sono un coglione.
Sono andato avanti pensando che sei un coglione per molto tempo, almeno finché non hanno preso Marco. Chissà cosa si è lasciato sfuggire. C'erano le milizie locali nei dintorni del nostro insediamento, e non sembravano bendisposte. Forse avevano ricevuto voci sbagliate, o forse non si fidavano e basta. Probabilmente Marco, stufo di quel trattamento verso chi era lì per aiutare, si era lasciato scappare una parola in più.
Era abbastanza mio amico; o perlomeno, ci aiutavamo e spesso parlavamo del più e del meno. Quando sei lì è già molto. Se trovavamo il tempo per farlo, significava che ci tenevamo, a quelle due chiacchiere. Diciamo pure che ci eravamo affezionati.
Era giugno, ricordo, mancava pochissimo per tornare a casa. Ci dicevamo "dai, tieni duro, che sono gli ultimi" ed eravamo tutti contenti. Così contenti che la sera prima ci eravamo concessi il lusso di trascorrere la notte con qualche ragazza del posto. Boh, sembravano così sicure di sé, non portavano nemmeno il burqa, così abbiamo pensato che potessero farlo e che non sarebbe successo niente, né a loro né a noi.
Io, comunque, mi ubriacai pesantemente, e non riuscii a concludere niente di serio con la ragazza che mi ero scelto. Qualche lingua e poi in bagno a vomitare, e dopo, bestemmiando in ogni lingua (sì, avevo imparato a fare anche quello) andai a stendermi sul letto, consapevole che non sarei riuscito nemmeno a sollevare la mano quel tanto che basta da toccarle il seno.
Ma Marco si divertì molto, come mi riferì il giorno dopo. Non scese nei dettagli, ma si rammaricò per me, perché mi ero perso davvero una bella festa. Io brontolai qualcosa, immusonito, e tornai al lavoro.
E quel pomeriggio mi ripresentarono la stessa tipa, che riconobbi solo perché me ne dissero il nome, assieme a un gruppo piuttosto cospicuo di soldati iracheni, con tutta l'aria di non aver gradito.
Will, che era lì da più tempo di noi e capiva piuttosto bene la loro lingua, ci spiegò che lei era la moglie di uno di quei soldati, e che la notte prima era stata punita. Ora, riferì impallidendo, toccava a Marco.
Quindi niente parola di troppo, niente diffidenza. Era stato commesso adulterio, e Allah non perdonava l'adulterio. Potevano forse perdonarlo i suoi discepoli?
-They want him to go with them. - fece Will, mantenendosi calmo. - You'ld better go away.
-Where can I go? - riuscì a balbettare Marco, con quel suo accento inconfondibilmente bolognese.
-How can he?! - sbottai io - They're thirty, at least, and we're three. They're gonna catch him.
Nel dirlo rabbrividii.
Ce ne rendevamo conto.
Capivamo che eravamo solo in tre, ma non pensavamo che fossero cose che ti capitano davvero. E non a due mesi dalla partenza.
Avremmo voluto almeno poterlo combattere, in qualche modo.

Fu allora che capii a fondo com'è non poter influenzare la volontà altrui, anche se supplichi e scoppi in lacrime, o provi a contrattare.
Allo stesso tempo, capii la questione degli obblighi morali. Non devi nulla a chi ami, e chi ami non te lo chiederà. Ma la paura della morte, quando la vedi vicina a chi ami, ti porta a tutto.
Allora sì, allora pensai a Vittoria.

-I didn't know she's your wife. I'm so sorry.
L'altro, ci riferì Will, non sembrava curarsene. Avrebbe dovuto informarsi. Non si va con le donne così a caso, affermò.
Al che Marco non seppe trattenersi.
Io sono ancora convinto che se non avesse voluto farsi capire, l'avrebbe detto in italiano. Se davvero non fosse stato cosciente di quanto diceva, non l'avrebbe detto in quel chiarissimo inglese.
-How dare you talking about respect? How many of them have you raped since you got it was your right? You fuckin' bloody muslims.
Will spalancò gli occhi e si mise una mano sulla fronte. Io, sudando, rimasi a guardare.
Forse non avevano capito bene la prima parte, ma chissà quante volte avevano sentito ripetere l'ultima.
Vittoria era già scomparsa dalla mia testa, comunque. Di fronte a quel mondo, l'occidente sembrava un frutto dell'immaginazione. Sembrava impossibile che da qualche parte esistessero davvero le case e i punk e le ragazze che sfilano nelle vie di Vicenza. Volevo quasi mettermi a piangere.
-He didn't mean it. - affermò Will, con un tono determinato, sperando di potersi imporre ostentando sicurezza. -He was angry. Just... well, try to achieve an agreement, it wasn't his fault, dammit. Your wife betrayed you and lied to him.
Invano. Sua moglie era già stata punita, e non stava a noi impicciarsi del suo matrimonio.

Will e io ci fermammo in un bar. Prendemmo un caffé, ma un nodo allo stomaco mi impedì di ingerirlo. Per qualche tempo mi fu impossibile mangiare; poi l'istinto di sopravvivenza mi vinse, e mi rassegnai a mangiare pagandone lo scotto con una nausea perenne. Dimagrii molto.
Non ci dicemmo granché. Non ci affrettammo nemmeno a tornare alle rispettive basi; avremmo potuto avvertire tutti con calma.
-If there was something to do, I'ld run as fast as I can. I'm sorry, Davide. He was your friend, wasn't he.
-Yea. Well. Can I have a coffe? We could go downtown.
-Downtown..?
- disse, sollevando ironicamente un sopracciglio.
Tentai di non pensarci e di fingere che non fosse successo nulla. Se te lo ripeti abbastanza volte, se ti convinci che tornerà tra qualche mese, puoi sopportarlo. Si tratta di attendere qualche mese, e poi di posticipare, e poi posticipare ancora. In qualche modo riesci a scenderci a patti.
-You didn't see many executions, right..?
-Mh.
-I did. I can't say I've got used, but... you know.
No, non sapevo. Che cazzo potevo saperne? Venivo da una famiglia normale, io. Ero lì da dieci mesi. Cosa sono dieci mesi per abituarsi al tuo amico che viene decapitato? Lì in piazza, con la gente che applaude. E la milizia? La polizia? La polizia là, col coltello in mano.
-I should have watched.
-I dunno.
-Maybe he needed someone to watch. To... sort of... look after him, or something.
-Probably he didn't even notice you.
-Yea.
Ma avrei dovuto lo stesso.
Ho pensato, bando agli eroismi, che cosa c'è da guardare? Il tuo amico che viene - no, che cosa c'è da guardare? Posso fermarli?
Fu lo stesso Will a condurmi lontano. Ma io non lo fermai di certo. Non avevo nessuna intenzione di guardare.
In momenti simili non ti viene in mente che forse il tuo amico ha bisogno di qualcuno vicino. E forse ti ha visto andar via. Ma come fai a pensarci? Come puoi badare ai desideri di uno che è già morto, quando si tratta di non impazzire? Come fai.

-Mamma?
-Davide? Ossignore, sei riuscito a telefonare?
-Sì. Ma ho poco tempo, e non ho tanti soldi.
-Ti servono soldi, tesoro? Guarda che se hai bisogno, non devi mica farti riguardi.
-Tranquilla.
-Tutto a posto?
-Non proprio. E' morto Marco.
-Oh, Madonna. Ma il tuo compagno di stanza?
-Sì. Quello che ti dicevo. Quattro giorni fa..
-Com'è successo?!
-Guarda, lasciamo stare. Perché è andato con una ragazzetta che era sposata, ma che non gli ha detto niente.
-Oddio. Quelli là sono delle vipere se gli tocchi le donne. Eh, ma se le toccano loro va sempre bene.
-Gliel'ha detto anche lui, ma non è stata una buona idea. Guarda, mamma, se ti dico cosa ho visto, ma cosa ho visto...
-Davide, guarda che puoi sempre tornare a casa. Se capita a te, io non so mica cosa fare.
-Ma no, mamma, è che gli aveva risposto male... ma se tu avessi idea di cosa vedi qua, mamma, guarda, prega di non avere mai idea...
-Tesoro, non so cosa dirti. Ricordati che se vuoi puoi tornare qui.
Volevo chiederle se qui esisteva davvero, o se me l'ero inventato io. Ma mi avrebbe preso per pazzo. E non volevo dire altro, non avevo mai detto a mia madre cosa avevo visto, esattamente. La salutai e chiusi la conversazione.

-Finito? - chiese Giovanni, che aveva trent'anni più di me e dirigeva l'operazione umanitaria. Era un tipo sbrigativo, molto schietto; non burbero, ma diretto. Era un brav'uomo, mai invadente. Con me era sempre cortese, forse perché era veneto anche lui. Di Treviso.
-Sì. Grazie.
-Stai bene Davide?
-Eh.
-Sei un po' troppo giovane per vedere queste cose. Non fai neanche in tempo ad abituarti, Dio Madonna, che torni a casa.
-E' vero.
-Ti sconvolgi e basta, secondo me - disse, scuotendo la testa. Io annuii, perché aveva ragione.
Ma cos'avrei dovuto fare? Rimanere? Non mi andava certamente di vederne, altre cose così.
-Per oggi stai pure qua. Ma solo perché sei uno di quelli che poi vanno.
-Grazie, Giovanni.
-Stammi bene, mi raccomando. Ascoltami. Posso chiederti cos'è successo di preciso?
-Non ho visto tanto. Quando si sono avvicinati con un coltello, sono andato via. Will, forse, ha guardato.
-L'americano?
-Sì. Ho sentito tutto, però.
Mi diede una pacca sulla spalla, perché gli occhi mi si stavano inumidendo. Doveva andare via, ma si limitò a sedersi su una sedia, rimanendo nella mia stessa stanza. Gliene fui grato.
Non riuscivo bene a realizzare. Per quante cose avessi visto, non mi avevano mai toccato direttamente. Mi bastava non impressionarmi, impegnarmi, e cercare di fare qualcosa. Non schifarti è qualcosa che puoi fare. Ma quando succede a te... non so come dirlo. Non puoi guardare dall'esterno e dire bleah e poi non pensarci più. In un modo o nell'altro, ti tocca farci i conti.
Piano piano, iniziai a piangere, anche se non volevo, perché più piangevo e più mi sentivo disperato. Mi incazzavo, perché non potevo proprio far nulla, e anche se piangevo nessuno avrebbe pensato 'povero cristo, alla fine ci sta male. Soffre un po' troppo. Ridiamogli il suo amico.' Più lo pensavo, e più piangevo, finché i singhiozzi non mi fecero girare la testa. A un certo punto non mi serviva nemmeno più pensarci, per continuare; ai singhiozzi bastava rincorrersi. Alla fine appoggiai la testa sul tavolo, stremato, e mi addormentai lì.

Mi svegliai tre ore dopo, con la paura che se avessi ripreso a piangere, sarebbe successo ancora. Piangere iniziò a spaventarmi a morte, perché iniziare a farlo voleva dire pensare a cose orribili e non riuscire più a fermarsi.
Evitai il funerale e per i due mesi successivi non piansi davanti a nulla. Non ne ebbi nemmeno l'occasione, fortunatamente. Tornai in Italia dopo aver offerto una cena a Will e Giovanni, e ancora, per tutto il viaggio in aereo, non guardai giù.

*

-Davide! Ah, Signore benedetto! Ah, Gesù - esclamò mia madre quando mi vide. Fu la prima ad acciuffarmi e ad abbracciarmi, scoppiando subito in lacrime - Madonna, Maria vergine - aggiunse asciugandosi gli occhi.
-Non chiamare giù tutti i santi per me, dai... - tentai di sorridere. Dietro c'era mio padre; avevo detto la data del mio ritorno solo ai parenti più stretti, perché i miei amici proprio non volevo vederli. Mi ci voleva un po', per capire dov'ero e come funzionava.
-Guardalo qua - disse mio padre, abbracciandomi anche lui - Possiamo stare tranquilli. Hai visto, Antonella, che è andato tutto bene.
Mia madre annuì, e io sorrisi - almeno in quello avevo avuto ragione.
-Ascolta - aggiunse - Ti abbiamo portato anche la Vittoria. Ci teneva a venirti a salutare.
-Va bene - dissi. Non era certo una preoccupazione. - Dov'è?
-Là, seduta. - mi indicò un posto nella sala d'aspetto - Vai a salutarla, dai.
-Va bene.
Mi diressi verso la figurina in rosa e azzurro che mi avevano indicato, con un mezzo sorriso un po' forzato. Non riuscivo a fare di meglio, francamente.
-Ehi, Vittoria. Buongiorno.
Lei alzò lo sguardo verso di me, spalancando gli occhi. Poi si alzò di scatto.
-Oddio, Davide! Scusa, non ti avevo visto!
-Tranquilla.
-Oddio...
Non sapeva bene cosa fare, si vedeva.
-Non mi abbracci neanche? - l'aiutai.
-Ma sì! Ovvio!..
Mi abbracciò, sempre confusa. L'abbraccio fu fraterno.
-Scusami ancora che non ti ho visto... mi ero proprio incantata... mamma mia, è stranissimo vederti..
-Eh, immagino. E' strano anche per me. Adesso infatti vado diretto a casa, perché sono un po' scombussolato...
-Credo... i tuoi mi accompagnano fino da me, ma poi ti lascio stare.
-Ma no, figurati. Tu vieni. Mi basta che non ce ne siano altri.
-Ma va', non c'è nessuno... ho tenuto il segreto, come volevi tu.
-Brava - le sorrisi; poi la condussi verso i miei, tenendole una mano sulla schiena.

Per fortuna, i miei genitori avevano capito che non ero in vena di racconti. Mi lasciarono in cucina, davanti a un bicchiere di the freddo, assieme a Vittoria. Nemmeno lei diceva nulla.
-Sei diventata timida durante quest'anno, Vitto? - le dissi, con benevolenza.
-No.. è solo che non saprei bene cosa dirti o cosa chiederti. Dev'essere strano.
-Lo è molto.
-Ho sentito che è successa una disgrazia...
-Sì.
-Mi dispiace. Spero ti abbiano riferito le mie condoglianze.
-Sì, mi sono arrivate. Ma non essere così formale, dai.
-Scusa... non so bene come rivolgermi.
-Ehi, ma che avete tutti? Sto bene, sono tornato, sono tutto intero. Come avevo detto, giusto?
-Sì. Ogni giorno pregavo che non ti succedesse niente.
-Che sia per questo che sono qui?
-No di certo. Ma sono contenta che tu avessi ragione.
Annuii e sorseggiai il mio the.
-Non ti ho pensato spesso - le dissi, schiettamente.
-Lo immaginavo.
-Non c'era tempo.
-Lo credo bene.
-Ed erano cose molto più grandi che qui. Per loro è l'abitudine, ma per me... era incomprensibile. Non riuscivo ad abituarmi, e non ne ho avuto il tempo.
-Mi spiace.
-Giovanni diceva che questo viaggio mi ha fatto più male che bene.
Lei non disse nulla.
-In un certo senso - continuai - tu avevi ragione, ma non nel modo che credevi tu.
-Ah, non m'importa chi ha ragione.
-No, almeno un po' importa. Dovevo pensare a come ti sentivi. Non dovevo irritarmi e basta.
-Tranquillo.
-No, non posso star tranquillo, Vitto... l'ho capito lì, come mi sono comportato. E' orribile che non ti abbia dato ascolto.
-Ti ho detto che va tutto bene.
-Allora mi hai perdonato?...
Lei prese un bel respiro, poi si passò una mano sui capelli. Appoggiò la mano sulla fronte, con le dita tra i riccioli biondi.
-Veramente, no. Ma questo non importa, perché va bene così.
-Hai ragione.
-Mh.
-Ma non pensi che potremmo almeno riprovarci?..
-Noi due? Guarda, Davide, mi dispiace, ma non credo. Mi spiace, perché sei tornato da una brutta esperienza, ma... no. Scusami.
-Ma perché, Vitto? Sono tornato, sto bene, è andato tutto come speravamo!
-E questo che significa? Non cancella ciò che hai fatto, anche se è andato tutto bene.
Ripensai al giorno con Marco.
Chissà, se anche lui fosse riuscito a scappare e salvarsi, se avrei perdonato i loro coltelli e la loro piazza, e le grida che li incitavano.
-Ho capito.
-Davide...
-No, non è la frase di circostanza. Nel senso che ho capito.
-Ok. Scusami ancora.
Mi accarezzò la mano, e no, no vidi in quel gesto una speranza. Sapevo che non ce n'era.
Chi ha mai detto che il lieto fine presuppone il perdono?
Buttai giù un altro sorso di the e accesi la televisione.

(Nda: Bah... ;_; mi spaventa toccare temi tanto difficili... specie perché io volevo parlare del loro rapporto e basta. Come al solito mi è sfuggito tutto di mano _ _''. Spero almeno che il mio inglese sia corretto XD.)

  
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