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Autore: chi_lamed    28/03/2012    1 recensioni
Un singolare regalo ed un antico incantesimo coloreranno di magia la vigilia di Natale di Severus Piton e di qualcuno di molto speciale. Il racconto ha partecipato alla sfida ff n.12 "Il segreto di Babbo Natale!" del Magie Sinister Forum.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota:  Il racconto partecipa alla sfida ff n.12 "Il segreto di Babbo Natale!" del Magie Sinister Forum.

 
 
 
 

Stella di Natale

 
Strano a dirsi, ma l’abbondante nevicata che si era protratta per tutto il giorno aveva lasciato il posto ad una notte gelidamente serena e limpida. I tetti e le strade di Spinner’s End, coperti di candida coltre, rilucevano illuminati dall’astro argentato, l’aria immobile profumava di ghiaccio ed ovunque era silenzio ovattato.

Per quella vigilia di Natale il grigiore del quartiere s’era ammantato di soffice bianco.
Qua e là, da qualche finestra illuminata, si intravedevano scene di festa che avevano sapore di gioia e calore famigliare. Non fu in esse che la luna indugiò, ma decise di passare oltre per posare il suo sguardo sulla nera figura di Severus che si confondeva con il buio in cui era immersa la sua casa. Nessuna luce accesa, nessuna fiamma crepitante nel camino, nessun calore. In piedi, presso la finestra, guardava la strada ed i bagliori argentei della neve si riflettevano nei suoi occhi d’ebano.
Il candore in terra ed in cielo sembrava voler stringere in un abbraccio l’oscurità in cui si sentiva immerso, mettendovi tutta la dolcezza e la poesia possibili per contrastare le spire di tenebra che provenivano dall’orrido Marchio Nero sul suo braccio.

L’unica nota di colore era lo strano oggetto che teneva tra le mani.
 
Il pacchetto rosso ed oro spiccava sul legno del piccolo tavolo accanto alla poltrona. Pochi istanti prima, Albus Silente aveva finto di non prestare ascolto alle sue proteste per quell’inutile consuetudine ed aveva lasciato lì il suo dono, sparendo subito dopo nel camino avvolto da fiamme azzurrine alla volta di Grimmauld Place.
Dannata testardaggine Grifondoro!
Era ben deciso a non aprirlo, ma l’insolita forma quadrata era diventata un richiamo cui non sapeva resistere. Non ricordava per nulla la bottiglia di vino elfico che Albus era solito regalargli. Così aveva steso la mano con riluttanza, sciolto il fiocco dorato ed aperto il purpureo involucro.
L’inarcarsi di un sopracciglio aveva tradito il suo moto di stupore.
Lentamente aveva estratto l’oggetto e si era portato vicino alla finestra per osservarlo più adeguatamente, stringendolo tra le mani affusolate.
Una sfera di cristallo racchiudeva la piccola statua di un Babbo Natale poggiata su soffice neve: alla luce lunare il rosso sgargiante dei suoi abiti si era fatto ancora più vivido.
 
***

 
 

Strano a dirsi, ma nonostante le temperature rigide e le previsioni quel 24 dicembre non aveva visto nemmeno la parvenza d’un fiocco di neve. Anzi, la luna bianca nel sereno cielo notturno sembrava farsi beffe di tutte le aspettative e gareggiare con le mille luci della città eterna ai suoi piedi.
L’ora era tarda, le strade deserte e dalle abitazioni ricche di luminarie ed addobbi provenivano d’in tanto in tanto echi di risate e voci di festa. La luna non vi si soffermò ma rivolse la sua attenzione ad un alto edificio dall’aspetto severo. I suoi raggi lambirono le molte e buie finestre e si fermarono all’ultimo piano, illuminando i grandi occhi azzurri di un bambino.
A piedi nudi su una piccola sedia, poggiava il naso sull’ampia vetrata della sua stanza creando ad ogni respiro una piccola nuvola di condensa.
L’espressione corrucciata del viso tradiva il suo profondo scontento e muoveva alla luna un tacito rimprovero: dov’era la neve?
Sollevò davanti agli occhi l’oggetto che stringeva tra le piccole mani.
 

Quando dopocena si era svegliato ed aveva trovato quel pacco regalo sul proprio comodino, inizialmente aveva pensato ad un errore. Non c’era infatti nessun biglietto su quella carta rossa o tra il nastro dorato, li aveva bene ispezionati anche in punta di dita e ne aveva perfino chiesto conferma all’infermiera del turno serale, che si era trovata sorpresa quanto lui: medici e volontari avrebbero portato i doni soltanto l’indomani mattina e nessun estraneo era entrato in reparto.
Così, dopo aver atteso con trepidazione d’esser lasciato solo, lo aveva aperto impaziente, ma, allungata la mano per prenderne il contenuto, era stato costretto ad allontanarla immediatamente: troppo inaspettata era stata la sensazione del lucido cristallo sotto le sue dita.
Era sceso dal letto il più velocemente possibile, aveva portato la sedia sotto la finestra, spento la luce, raccolto con grande attenzione la sua sfera – tenendola tra le mani a coppa – e si era issato per ammirare alla luce lunare quel tesoro prezioso.
Aveva fatto non poca fatica, ma poi, strizzati gli occhi più volte, era riuscito a riconoscere un bel Babbo Natale racchiuso dal limpido cristallo.
 

 

***
 

D’un tratto i lenti rintocchi di una campana nelle vicinanze interruppero la fredda quiete notturna.
Severus reclinò adagio la sfera ed una miriade di bianchi puntini scintillanti si librò con leggerezza nel liquido trasparente.
Il bambino agitò la sua palla di vetro. Candidi fiocchi di neve presero a vorticare attorniando Babbo Natale in una festosa danza.
 
 

Prima che il bronzo finisca il suo canto
Complice il solitario astro d’argento
Quel candor in chiaro cristal lucente
Che abbraccia il dator di doni errante
Per chi ha speme saprà generare
Un’antica magia secolare.

 
La luna immobile nel cielo diede il suo consenso ed un arcano incantesimo prese vita.

 
***
 
Severus ebbe solo il tempo d’un batter di ciglia.
Aveva ancora impresso negli occhi l’allegro scintillio dei fiocchi di neve e nelle orecchie l’eco profondo di vicini rintocchi.
La nuova e inaspettata realtà delle cose lo immobilizzò, costringendolo a trattenere il respiro per un istante. Provò a chiudere e riaprire gli occhi, sperando di trovarsi così tra le famigliari mura domestiche e non in quello che classificò come un incubo di pessimo gusto. Invano.
Si guardò attorno, si osservò, cercò la bacchetta.
Fu scosso da un brivido, cominciò ad agitarsi ed infine si ritrovò contrariato non poco.
L’immagine del suo prezioso legno sul piccolo tavolo, accanto al regalo di Albus, gli si palesò in modo così brutale nella mente da esser grottescamente beffarda.
Era dannatamente nei guai.
Per uno strano scherzo del destino riuscì perfino a figurarsi la prima pagina della Gazzetta del Profeta che l’indomani avrebbe sancito la sua fine definitiva:
Severus Piton, noto professore di Hogwarts ed ex Mangiamorte, avvistato in un ospedale Babbano travestito da Babbo Natale.
Rilasciò un profondo respiro che sapeva di acuta disperazione.

Uno strano gemito alle sue spalle lo fece sussultare.
«Chi c’è?» chiese con voce tremante.


Il cuore mancò un battito. Nell’ansia per la propria sorte non aveva prestato attenzione all’altro occupante della stanza, presso la finestra.
Quando fu accesa la luce, ciò che scorse lo colse completamente impreparato.

La strana figura nell’ombra non si mosse né parlò. Decise di scendere con cautela ed accendere la luce.
Come minimo si aspettava l’infermiera di turno, non... quello.


Piccolo. Indifeso. Fragile come leggero cristallo.
Il mago non riusciva a formulare nessun altro pensiero per la dilagante amarezza. L’agitazione si allontanò rapidamente mentre un senso d’immensa tristezza si insinuò in lui, crescendo pian piano in subdole ondate.
Non riusciva a staccare i suoi occhi d’ebano da quei due laghi azzurri che, spalancati, lo fissavano intensamente.

Alto. Vestito di rosso. Bello!
Incredulità e gioia presero a braccetto l’animo del bambino che non ne voleva sapere di chiudere gli occhi nemmeno per un minimo istante per non veder sparire quella realtà da sogno.


Il silenzio in quella stanza s’era fatto incredibilmente palpabile, ma nessuno dei due osava interromperlo per non spezzare quell’equilibrio così precario che si era appena instaurato.
Alla fine, con suo grande sollievo, fu il bambino a fare il primo passo.
Non pianse impaurito, non proruppe in esclamazioni gioiose, non fece strepito alcuno. Non fece nulla di quello che si sarebbe aspettato. Lo vide mettere invece sul comodino un oggetto che era certo di aver tenuto tra le mani fino ad un attimo prima e salire in piedi sul letto, senza mai staccargli gli occhi di dosso.
Il lieve sussurro fu accompagnato dal gesto d’una mano tesa:
«Qui vicino, qui vicino. Per favore!»
Il mago, che nel frattempo aveva assunto la rigidità degna d’un Petrificus, non si seppe mai spiegare in seguito il motivo che lo spinse ad acconsentire. Colmò con lentezza la distanza che lo separava dal letto ed attese diffidente, preparandosi al peggio, ma senza la minima forza di tirarsi indietro.
Le ondate di tristezza nel suo cuore si fecero mareggiata quando due piccole mani presero ad accarezzare con delicatezza la bianca pelliccia del suo cappello. E mentre una si accingeva a toccare dolcemente la morbida stoffa del vestito rosso, un ditino dell’altra si mise a tracciare adagio il contorno del suo viso, dalla tempia alla liscia guancia senza barba.
Non resistette e chiuse gli occhi a quel tocco, l’animo colmo di sincero sgomento. L’ingenuo trasporto del piccolo intraprese una dura battaglia con il perenne senso di colpa che albergava in lui. La dolcezza d’un gesto così banale fu una delicata scintilla di pace che non gli fece male alcuno, ma che si posò come piuma leggera nel fragile scrigno del suo cuore e lì si depose, prezioso barlume d’una speranza inconfessata ed inconfessabile.
Quando li riaprì il sorriso del bimbo sarebbe stato in grado di illuminare a giorno l’angolo più remoto della Foresta Proibita.
Una lacrima solitaria si azzardò a valicare il confine che le era stato imposto, scivolò lenta sulla guancia del mago e fu raccolta dalla lieve carezza della piccola mano.

Certo che era un Babbo Natale davvero strano.
Non parlava né rideva. Però piangeva.
Oh no, era forse colpa sua? Era stato così tanto cattivo da far piangere anche Babbo Natale? Eppure marachelle non ne aveva fatte. Beh, esclusa quella volta in cui aveva messo un finto topo nella tasca della caposala: avevano riso proprio tutti, anche i dottori. L’infermiera ovviamente no.
Poi però non aveva combinato più nulla, anche perché le medicine gli facevano venire troppo sonno per avventurarsi per i corridoi.
Si stropicciò gli occhi troppo provati nell’intento di imprimersi nella memoria le fattezze dell’ospite. Era una cosa a cui non voleva rinunciare nemmeno per tutti gli ovetti di cioccolata del mondo, anche se poi gli veniva il mal di testa a furia di cercare di distinguere quei particolari che più non percepiva.
Il nero intenso degli occhi del suo Babbo, poi, lo aveva conquistato all’istante: era così il buio di quando non ci si vede più? Era quello che lo aspettava dopo esser guarito? Sperò proprio che fosse così, perché allora non gli faceva proprio paura, anzi, era talmente bello e confortante che avrebbe voluto tuffarvisi
.

Severus riconobbe nel piccolo l’improvvisa spossatezza della malattia.
Sorprendendo innanzitutto se stesso, lo sorresse e lo aiutò a sedersi sul letto, il pigiama blu notte che spiccava tra le candide lenzuola.
Osservò accigliato lo sguardo interrogativo che gli venne rivolto: lo sapeva, stava per essere sommerso da una tempesta di domande cui non sapeva né voleva dare risposta.

Facendosi coraggio, cercò di trovare una giustificazione adeguata.
«Sono stato buono, davvero! Non mi sono mai lamentato con i dottori, non ho pianto davanti alla mamma ed ho sempre mangiato tutte le verdure» disse tutto d’un fiato.
«Il topo nel camice della caposala» proseguì, mentre l’uomo inarcò un sopracciglio «era solo per far ridere i bambini più piccoli.»
Il silenzio attonito del suo interlocutore fu scambiato per un serio atto di disapprovazione.
«Non dirmi che piangi perché sono stato cattivo…»  esclamò infine, terminando la frase con un singulto.


Il mago non osò aprir bocca. Qualsiasi sua risposta avrebbe causato l’irreparabile, ne era certo. Distolse lo sguardo in cerca di una soluzione efficace, ma ai piedi del letto qualcosa che prima non aveva notato catturò la sua attenzione.
Si avvicinò per esaminarlo e si rimproverò mentalmente, alzando gli occhi al cielo.
Ovvio, no? Babbo Natale girovaga con l’immancabile sacco dei regali: gli sembrava proprio che mancasse qualcosa al suo improbabile abbigliamento!
Emise un sospiro e si chinò sulla tela marrone, estraendone un grande pacco verde brillante.

Quando l’aveva visto allontanarsi aveva trattenuto il respiro, credendo che si fosse proprio arrabbiato.
Oh, lo sapeva! Era stato veramente maleducato e adesso il suo Babbo se ne sarebbe andato e lui non avrebbe fatto in tempo a chiedergli scusa…
Una macchia verde brillante comparve davanti ai suoi occhi. Sbatté più volte le palpebre e si lasciò andare ad un’esclamazione di puro stupore, tendendo le mani felice ed incredulo mentre il cuore gli martellava nel petto.


L’espressione meravigliata fu così intensa che riuscì a strappargli un sorriso, aggiunto prontamente alla lunga lista di stranezze. Cos’altro di inenarrabile avrebbe fatto quella notte?
Guardò con interesse il bambino aprire il regalo e contemporaneamente maneggiarlo ben attento a non danneggiare la carta che lo ricopriva.

Un morbido arcobaleno di colori.
Rosa, azzurro, giallo e poi rosso, viola e verde! Si alternavano sul grande animale di stoffa, conferendogli un aspetto straordinariamente allegro. Il dorso era azzurrino, con soffici scaglie gialle e terminava in una coda violetta.
Accarezzò le zampe variopinte e diede un buffetto sul muso verde. Lo avvicinò al viso per vederne bene gli occhi: due nere perle lucenti che assomigliavano tanto a quelle del suo Babbo e che gli trasmettevano tanta dolcezza e simpatia.


Il drago multicolore era grande quasi quanto il piccolo malato. Severus non si perdeva nemmeno un suo movimento: ora stringeva a sé il suo prezioso e nuovo compagno di giochi, ora intratteneva con lui un fitto e muto discorso.
Si mise a riflettere sulla folle situazione in cui si trovava, cercando di comprendere quali circostanze l’avessero causata. Un vago sospetto si fece strada nella mente del mago ma – stranamente – non generò alcun moto di irata contrarietà.
Di una sola cosa era certo: c’era lo zampino di Albus!
Una delicata stretta attorno al collo interruppe bruscamente il flusso dei pensieri, facendogli assumere per la prima volta – e sperò anche l’ultima – una indescrivibile espressione di puro sbigottimento.

Era il regalo più bello e più strano che avesse mai visto nei suoi sette anni di vita!
Ora gli stringeva la zampa destra per fare le dovute presentazioni, ora gli faceva il solletico sulla pancia divertendosi un mondo, ora tornava ad immergersi nel nero splendente dei suoi occhi.
Ma i colori, i colori! Non voleva più smettere di ammirarli estasiato, fissarli per bene per metterli al sicuro nel cassettino dei ricordi. E quando sarebbe arrivato il buio li avrebbe lasciati liberi di rincorrersi, mescolarsi e giocare nella sua memoria.
Una felicità simile non poteva certo tenerla tutta per sé.
Saltò lesto in piedi e gettò le braccia al collo del suo Babbo così strano, col cuore che gli scoppiava di gioia.


Non respirò. Non pensò. Non emise suono alcuno.
Boccheggiò.
Stava ricevendo l’abbraccio di un bambino che voleva condividere con lui la sua gioia. Con lui!
Chi aveva dato e chi ricevuto, quella notte?
Lo aiutò nuovamente a sedersi e notando la propria mano sulla sua schiena si chiese quando avesse cominciato ad accarezzarla.
D’un tratto, senza preavviso, il piccolo sfuggì bruscamente al suo tocco e si ritrasse vicino al comodino. Severus gustò mestamente, ancora una volta, il sapore amaro del rifiuto.

Gli era sempre stato insegnato che ricambiare un dono era segno di buona educazione. Ora aveva un’occasione unica che non voleva assolutamente sprecare.
L’idea gli venne improvvisa, così velocemente – ma molto malvolentieri – si staccò dalla rassicurante carezza dell’ospite e si diresse verso il comodino: era sicurissimo di averla lasciata lì, la bella carta rossa che aveva avvolto la sua magica palla di vetro.
Si mise a gambe incrociate – la sua posizione di lavoro preferita – e diede inizio alla paziente attività in cui sapeva d’essere praticamente imbattibile. Profondamente concentrato, obbligò il foglio purpureo a piegarsi nelle angolazioni più strane; prese poi quello verde, lo arrotolò su se stesso più volte, lo impegnò in mille e più pieghe e lo unì a quello rosso. La docile carta assunse pian piano la forma desiderata.


Le piccole mani lavoravano veloci senza esitazione alcuna, ripetendo gesti compiuti in chissà quante occasioni.
Superata l’amarezza, il mago si scoprì curioso ed attese quietamente che il bambino finisse, mentre sotto i suoi occhi due banali fogli di carta prendevano vita tramutandosi in una nota pianta natalizia tanto amata nel mondo Babbano.
Una Stella di Natale.
Un sorriso smagliante accompagnò il gesto del piccolo, che offrì il suo capolavoro come dono di sincera amicizia.
Rifiutarlo? Non ci pensò nemmeno. Tese la mano ed accolse quel segno di fiducia gratuita, inestimabile più del tesoro dei folletti, portatore d’una pienezza inspiegabile e inattesa. Era una preziosa goccia d’amore[1]nel deserto che si era creato durante i lunghissimi anni scanditi da angoscianti incubi e lancinanti rimorsi.

Aveva regalato un suo origami a Babbo Natale! Oh, che orgoglio, che soddisfazione! Era traboccante di contentezza, ma questa arrivò fin oltre le stelle quando sentì per la prima ed unica volta la sua voce.
«Ti ringrazio.»
Era calda e avvolgente, ferma e pacata, splendidamente dolce e armoniosa. Era la voce più bella che avesse mai sentito.
La campana della Cappella Universitaria
[2]batté lentamente dodici rintocchi.

Teneva il fiore tra le mani, stringendolo appena per non sciuparne la delicata fragilità così troppo simile a quella del suo creatore. Pronunciò infine il suo ringraziamento con sincerità, mentre un lieve calore gli si spandeva nel petto.
Nel silenzio della notte una campana vicina si destò per scandire l’inesorabile tempo.
 
***
 
Nella città eterna la notte c’è sempre vita e movimento. Chi torna a casa dopo una serata con gli amici, chi s’accinge a festeggiare, chi esce per ammirare mille luci che sfavillano per le strade e nelle piazze.
A qualcuno non interessano, né interessa la neve che ha cominciato a scendere in piccoli e leggiadri fiocchi. Tra poche ore la città si sveglierà adornata di candidi batuffoli.
In una piccola stanza d’ospedale un bambino riposa. Abbraccia stretto stretto nel sonno il pupazzo d’un grande drago variopinto e sorride. Sogna di volare in un mondo fatto di puro colore, dove due luminosi occhi d’ebano lo fanno sentire al sicuro.


Il ticchettio del pendolo risuona forte nel silenzio delle mura domestiche.
Seduto in poltrona, Severus si rigira tra le mani il grazioso fiore di carta, con fare lento ed ipnotico. Il vivido rosso spicca deciso sul casto e nero abito.
Il crepitio nel camino che annuncia l’arrivo di un ospite non lo coglie alla sprovvista.
«Ah, Severus» esclama Albus con gli occhi che ammiccano furbi dietro le lenti a mezzaluna in direzione del purpureo fiore «Già di ritorno?».



[1]Espressione presa in prestito e gentilmente concessa dall’autrice Ellephedre, in “Verso l’alba”, qui su EFP.
[2]L’Università La Sapienza di Roma si trova giusto accanto al Policlinico Umberto I, dove si svolge gran parte di questa vicenda.



FINE



Se siete riusciti ad arrivare fino in fondo senza annoiarvi, mi lascereste una piccola recensione? Sono gradite soprattutto le critiche costruttive su questioni stilistiche e di trama.
 
  
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