Vista
vìsta
['vista]
s.f.
il
vedere; il senso che permette di vedere; l'organo di tale senso
*
John non sapeva nemmeno come mai avesse sentito l’improvvisa voglia di mettersi a rovistare fra la sua vecchia roba dell’Esercito. Riusciva solo a ricordare di essere entrato nella sua stanza per fare tutt’altro, cercare una camicia forse, e si era ritrovato a rispolverare il vecchio baule dal fondo del letto, mettendosi a rivangare vecchi ricordi, belli e brutti, senza poterlo evitare.
Teneva fra
le mani delle vecchie fotografie, di lui da solo, o con il resto
della truppa, con i volontari Afghani d’istanza presso gli
Inglesi,
a mensa, nei dormitori con amici cari, alcuni dei quali non avrebbe
più rivisto. Rivide mille volti, mille sospiri sospesi nel
timore di
un agguato, di un imboscata. Rivide vividamente mille abbracci di
conforto e lacrime, ma anche mille sorrisi e risate strappate nei
pochi momenti in cui si fingeva di non essere nel mezzo di una
guerra.
Era circondato da un mare di ricordi che erano vividi e
chiari nella sua mente come se non fosse passato tanto tempo, ma
solamente pochi giorni. Si sorprese di ritrovarsi a pensare anche a
piccoli eventi singolari e piacevoli, quando invece ogni volta che si
immergeva in quei pensieri i sentimenti predominanti erano sempre
d’
angoscia e frustrazione. Tornò con la mente a quel giorno
d’ottobre
quando aveva salvato un bambino dalla sua casa distrutta, sorrise al
ricordo di una bellissima bambina dai capelli neri e espressivi occhi
scuri che si era presa una cotta infantile per lui dopo che
l’aveva
curata per giorni interi. Era la prima volta che pensando a quei
giorni, gli si scaldava il cuore. Forse perché adesso che
era fuori,
in una realtà completamente diversa si sentiva protetto, al
sicuro
(per quanto con Sherlock si potesse essere sicuri) e certo di essersi
lasciato alle spalle quei momenti bui e dolorosi. O forse
perché
aveva ricominciato ad amare la vita in maniera tale da non lasciarsi
più sommergere dai quelle vecchie e tristi reminescenze.
Si sporse fino a guardare nel fondo del baule e tirò fuori la sua vecchia divisa, un po’ spiegazzata ma ancora perfettamente integra e linda. Lisciò, non senza un certo brivido, la vecchia cintura con i colori della RAMC* ancora nitidi e chiari. Soppesò tra le mani il berretto blu scuro e sfiorò il vecchio stemma, ricordando il momento in cui lo indossava, ogni mattina, assieme agli altri compagni di camerata.
Si domandò se gli sarebbe ancora stata bene, dopo tanto tempo. Temeva di essersi leggermente ammorbidito rispetto ai tempi in cui la indossava ma era sicuro che non avrebbe fatto una figura tanto misera se se la fosse provata anche adesso. Sorridendo, stirò come meglio poteva l’intera uniforme con il palmo di una mano, e cominciò a spogliarsi, fissando lo specchio. Senza perdere tempo infilò i calzoni e la casacca mimetica, attento a non rovinarla e sperando di riuscire almeno a infilarci le maniche. Ogni suo dubbio crollò quando l’uniforme gli scivolò perfettamente indosso, come se non fossero passati quasi due anni dall’ultima volta. Infilò gli stivali sopra i pantaloni, e si sistemò la fascia bianca con la croce rossa sul braccio sinistro. Poi giocherellò con il berretto tra le mani prima di indossarlo e spingerlo sulla fronte, attento che fosse esattamente nella posizione corretta. Si sistemò al meglio, e si osservò allo specchio ridacchiando fra sé. Si era sempre considerato un uomo medio, in tutto (anche se tendeva a sottovalutarsi troppo, secondo chiunque lo conoscesse) ma con indosso quella divisa si sentiva quasi invincibile. Quella sorta di autorità intrinseca che quegli abiti portavano con loro, lo avevano sempre fatto sentire sicuro, importante, utile.
Stava per
domandarsi se sarebbe stato il caso di scendere da Sherlock, nel caso
avesse mai avuto la curiosità di fare un salto nel suo
passato,
quando vide il detective fermo davanti alla sua porta, con i piedi
immobili come se fossero inchiodati alle assi del pavimento in una
sorta di estatica adorazione.
John si sentì decisamente
lusingato, ben consapevole che l’attenzione del coinquilino
era
totalmente focalizzata su di lui.
“Sherlock,
ti senti bene?” domandò, da un lato sinceramente
preoccupato
dell’improvvisa paralisi del povero Sherlock.
L’altro, di tutta
risposta boccheggiò in cerca delle parole adatte.
“Dove la
tenevi, quella?” chiese, senza staccare gli occhi per un
secondo
dalla sua attenta osservazione.
John rise.
“Nel baule sotto
il letto. Strano che tu non ci abbia mai messo mano, come in tutto il
resto delle mie cose” lo punzecchiò il dottore,
con un
sorriso.
“Se l’avessi trovata prima, ti avrei spinto ad
indossarla molto più spesso” fu la sua risposta,
buttata li come
se stesse parlando del brutto tempo.
Il cuore di John gli volò
direttamente in gola, e il dottore sbarrò gli occhi,
incredulo.
Arrossì furiosamente, mandando al diavolo
l’apparenza autoritaria
e mascolina che si era creato attorno indossando quella divisa, ma
poco gli importava, in quel momento.
“Ti… piace?” John
voleva sincerarsene.
Sherlock annuì, rapito.
“Molto. Ti da
un’aria diversa, ma affascinante”
sentenziò. “E tu
sei veramente affascinante. Una gran bella vista”.
John
deglutì, la bocca improvvisamente asciutta e riarsa, come se
non
bevesse da qualche secolo. Cercò di regolarizzare il respiro
e
chiuse gli occhi, cercando di mantenere la calma, come se il suo
coinquilino non gli avesse appena fatto un complimento meraviglioso,
spiazzandolo completamente.
“O-oh beh, ne sono felice Sherlock”
replicò, a voce bassa, cercando di contenere
l’euforia.
Sherlock
gli sorrise, staccando finalmente gli occhi dalla sua figura e
puntandoli dritti in quelli azzurro-ambrati di John.
“Non
toglierla Capitano,
ti prego. Ho in mente cinque o sei cosette per stasera che
contemplano l’utilizzo di una qualche superficie orizzontale
e
quella meravigliosa uniforme”.
John avvampò, credendo quasi di
prendere fuoco all’improvviso, acceso da quello sguardo
terribilmente eccitante che lo fissava, come se fosse un bellissimo
gioiello raro in una teca di qualche museo. John scoppiò poi
a
ridere, seguito da Sherlock.
“Signorsì Signore” disse, con voce solenne ma con una nota allegra, avanzando verso Sherlock.
*