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Autore: ermete    30/03/2012    8 recensioni
Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***Ciao a tutti! Questa è la mia prima ff in assoluto :D tra l'altro non leggo le ff straniere (a parte "Alone in the water" , "The progress of Sherlock Holmes" e "The road less traveled" che ho letto interamente in inglese ma solo grazie a voi che me le avete fatte conoscere ^_^) quindi se per caso questa idea di John che torna in Afghanistan fosse già stata usata scusatemi eheheh XD se leggerete questa storia, che non so ancora dirvi quanto durerà, vi prego di lasciare delle critiche, anche sul linguaggio usato, please! E spero di aver messo tutte le tendine giuste XD Baci bacilli!
Ah, beh, ovviamente i pg non sono miei ma appartengono a quel genio di sir ACDoyle e a Moffat+Gatiss <3***

Goodbye Sherlock

E' ormai passato un anno da quando John Watson vide il suo migliore amico buttarsi giù dal tetto del Bart's Hospital.
John ha passato i primi giorni in solitudine, le prime settimane in disparte, e solo nei primi mesi si era reinserito come parte attiva della società, seppur in modo piuttosto reticente.  John infatti, si teneva lontano dal mondo esterno  -tranne che per il lavoro-  e dai suoi conoscenti, nonchè dalle poche persone che potevano ancora rientrare nella cerchia degli affetti.  Era distrutto, dilaniato, oltremodo arrabbiato, ma non voleva sentirselo dire, e tantomeno voleva attorno gente che lo compatisse.
Aveva incontrato Greg Lestrade qualche volta, ma era impossibile parlare di Sherlock, di nuovi casi, di Scotland Yard: nella mente di John era ancora vivido il ricordo di quella sera, di quando gli agenti lo arrestavano, di Sally Donovan che sputava le sue solite, sbagliate, sentenze, di tutte le volte che l'avevano chiamato "freak", o gli davano dello strano.
Di Mycroft Holmes non voleva neanche sentire parlare, non ne poteva concepire l'esistenza. Colpevole quanto gli altri, più degli altri. Si era offerto di aiutarlo, Mycroft, seppur non in prima persona, sempre mandando qualcuno, e questa cosa faceva alterare John maggiormente. Non che avesse voglia di vederlo, anzi, ma reputava quel suo comportamento come una sorta di vigliaccheria, un ulteriore oltraggio nei confronti della memoria di Sherlock e di quello che rappresentavano l'uno per l'altro.

Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".

Più tardi, di sera, John uscì con Lestrade che aveva insistito per incontrarlo in quel particolare giorno. Stavano bevendo una birra al bancone di un pub quando l'ispettore di Scotland Yard quasi si strozzò con l'ultima sorsata che stava bevendo.
"Che cosa? In Afghanistan? No... non puoi..."
"E perchè no, di grazia?" John sorrise dietro al proprio boccale.
 "Beh perchè..." la risposta morì sulle labbra dell'Ispettore: non c'era un motivo reale, in fondo, non un motivo che non fosse dettato solo da preoccupazione e apprensione "L'hai deciso proprio oggi? Sai bene che giorno è oggi, è un giorno tremendo, un giorno in cui non dovresti prendere decisioni riguardanti la tua incolumità e..."
"E cosa?" fu interrotto da John "Qui non ho più..." si fermò a sua volta, cercando le parole giuste, dosandole a modo, quindi riprese a parlare "Qui non ho più un'utilità. Non voglio finire come quelle persone che vivono le loro giornate odiando la loro vita, il loro lavoro, la loro monotonia. Sono stufo di curare le vene varicose, i raffreddori, le allergie e qualunque altra stupida malattia -virgolettò quell'ultima parola con indice e medio di entrambe le mani- abbiano le persone che non sanno neanche cosa voglia dire veramente essere feriti, sanguinare, affrontare un reale pericolo... Quindi andrò a fare quello per cui sono nato, sono un soldato, sono un medico soldato, e quindi tornerò a combattere e a curare i commilitoni feriti sul campo"
 L'aveva detto con una freddezza ed una noncuranza tali che Lestrade non riuscì a riconoscere il buon John Watson che era abituato a frequentare.  Il John Watson paziente, rigoroso ma gentile, quel John Watson la cui bontà era riuscita a cambiare l'essere umano più scontroso del mondo, Sherlock Holmes.
 "Sei cambiato, John." constatò Lestrade con un'amarezza tinta con una punta di tristezza.
 "Trovi?" chiese l'altro con malcelata ironia.
"Sì. Stai diventando come..." si interruppe, raggelato dallo sguardo di John, ma lui lo invitò a continuare.
"Sto diventando come?"
"Lo sai."
 "Ma tu dillo."
Greg Lestrade si prese qualche istante, ma poi lo disse "Stai diventando come Sherlock."
 Era la prima volta che l'Ispettore pronunciava quel nome davanti a John da un anno a quella parte. John deglutì, prendendosi qualche istante prima di rispondere: bevve l'ultimo sorso di birra e si alzò, lasciando sul bancone abbastanza sterline per coprire la spesa di entrambe le birre.
"Magari fossi come Sherlock Holmes, Greg, magari." gli posò la mano sulla spalla a mo' di saluto e poi si avviò verso l'uscita del locale.

Uscito dal pub, John infilò le mani in tasca, si strinse nelle spalle e si diresse a piedi fino all'appartamento in cui si era trasferito dopo la morte di Sherlock: era un appartamento spartano, semplice, senza colore, che serviva unicamente a dormirci e a mangiarci.
John si distese sul letto in posizione supina, intrecciò le braccia sul cuscino e vi poggiò sopra la testa: pensava a ciò che gli aveva detto Lestrade. Da quando Sherlock era morto, John aveva innalzato delle barriere attorno a sè, non gli interessava avere relazioni sentimentali, teneva la mente impegnata tutto il giorno -pur di non pensare a Sherlock- e da qualche tempo sentiva bisbigliare le infermiere le quali sostenevano che era diventato di gran lunga più antipatico e indisponente. John non potè fare a meno di sorridere di fronte a quell'elenco che la gente comune avrebbe etichettato come difetti, caratteristiche che non gli appartenevano fino a quando Sherlock non morì e che non si rese conto di possedere fino a che Lestrade non glielo fece notare. Ma il sorriso scemò presto sulle sue labbra, poichè pensò inevitabilmente a come si fosse sentito solo Sherlock in quel suo stesso stato, circondato da estranei che non lo capivano: John sapeva di averlo aiutato in quel senso, sapeva di averlo compreso più degli altri, ma non abbastanza per evitargli la morte.  John sapeva che se Sherlock era arrivato a suicidarsi era per un motivo serio, irreparabile, ma che andava oltre la sua comprensione. John sapeva che Sherlock era nel giusto, e sapeva anche che si fidava di lui, ma non abbastanza da renderlo partecipe di quel folle piano attuato in quello stesso giorno, un anno fa'.
John scrollò la testa e si passò le mani sul volto, strofinandolo pesantemente: lo rincuorò il fatto che entro pochi giorni sarebbe partito, sarebbe tornato in guerra e a quel punto avrebbe avuto davvero ben poco tempo per pensare, perchè pensare voleva dire soffrire e John era stanco di stare male.

Arrivò il giorno della partenza: John era passato a salutare Mrs Hudson, ma si era ben guardato dallo specificare il motivo della sua partenza o non gli avrebbe dato pace. Con Harry si limito ad una chiamata. Era un giorno di pioggia, così John decise di prendere un taxi per arrivare al centro di reclutamento che poi l'avrebbe smistato su uno degli aerei militari in partenza per l'Afghanistan.
 Il taxi non si era ancora fermato che John potè già notare l'inconfondibile auto nera che soleva sequestrarlo di tanto in tanto fino a poco più di un anno fa'. John pagò il tassista, prese il borsone e scese dall'auto senza salutare, quindi iniziò a camminare verso l'ingresso della caserma, ma nel momento stesso in cui chiuse la portiera del taxi, l'autista dell'auto nera fece scendere il suo datore di lavoro, seguendolo ad ogni passo, coprendolo con l'ombrello.
John provò a tirare dritto, ma ben presto l'uomo gli si palesò davanti, seppur solo dopo essersi fatto lasciare l'inseparabile ombrello.
 "Parte in un giorno di pioggia, Dottor Watson? Vuole che il cielo di Londra pianga la sua partenza?" Mycroft pronunciò quelle parole con la spocchia che l'ha sempre contraddistinto, ma un orecchio più attento si sarebbe accorto di un leggero imbarazzo che alterava appena la voce del signor Holmes.
"Ora ti metti anche a fare le battute, Mycroft?" John non aveva smesso di camminare mentre rispondeva a Mycroft, dribblando i suoi tentativi d'arresto, finchè l'uomo non gli mise la mano libera sulla spalla, premendo affinchè si fermasse e gli prestasse attenzione.
"John. Tutto questo non è necessario." l'Holmes Senior si lasciò andare ad una maggiore confidenza, abbassando il tono di voce, abbassando le difese per un istante. A John quel tocco ricordò quello di Sherlock, quando a Dartmoor gli confessò di aver provato per la prima volta paura e dubbio: lo sguardo di Mycroft era sconcertato quanto quello di Sherlock dopo la sua confessione. Ma John non si fece addolcire da quel ricordo, anzi, scrollò la spalla liberandosi della presa di Mycroft che fece cadere l'ombrello unendosi a lui sotto la pioggia battente: uno dei collaboratori di Mycroft fece per avvicinarsi ma bastò un suo cenno per fermarlo.
"John." il tono di Mycroft aveva un che di lamentoso, come quando suo fratello, annoiato, cercava in John uno stimolo interessante con cui passare il tempo. Ma questo non fece altro che farlo alterare.
"Non lo fare."
 "Cosa, John?"
 "Sai benissimo a cosa mi riferisco!" a quel punto John aveva alzato la voce, tanto che gli uomini di Mycroft furono nuovamente tentati di avvicinarsi al loro capo: uno di loro si limitò a raccogliere l'ombrello.
"Cosa non devo fare, John?" Mycroft ripetè il suo nome come un mantra, sempre in quel modo un po' lamentoso, il timbro basso, quasi seducente se non fosse per l'evidente gravità della situazione. Il borsone cadde a terra nel momento in cui John alzò il braccio per afferrare Mycroft all'altezza del nodo della cravatta e nuovamente Holmes fu costretto a fermare i suoi uomini con un cenno.
"Smettila, Mycroft" questa volta fu John a dare al nome di Holmes la stessa inclinazione sprezzante che gli riservava Sherlock, premendo in particolare sulla prima sillaba.
"John, te lo ripeto, non è necessario."
"E io ti ripeto, come ti dissi la prima volta che ci siamo incontrati, che non sono affari tuoi." John ringhiò quelle parole a denti stretti, mentre le mani stringevano abbastanza da lasciare un segno sul collo pallido di Mycroft: lo fissò negli occhi qualche istante prima di lasciarlo andare, quindi raccolse il borsone che ormai era pregno d'acqua "E ti dirò di più, Mycroft. Farò in modo che tu non sappia per nessun motivo dove mi trovo." John alzò la mano destra, indicando l'uomo che aveva di fronte "Non mi troverai, Mycroft, hai smesso di perseguitarmi, non saprai se sarò vivo, se sarò morto, dimenticati che esisto!" alterò nuovamente il tono di voce, esprimendo la rabbia e l'esasperazione che aveva represso nei riguardi di quell'uomo che assecondò la follia di Moriarty a discapito del proprio fratello.
Mycroft non riuscì a replicare, sovrastato dalla rabbia del soldato, ferito dalla disperazione che emanava: strinse i pugni ai lati del proprio corpo e pronunciò un'ultima frase prima di vedere John voltarsi ed entrare in caserma.
"Stai attento, John. Sopravvivi."

La sera di quello stesso giorno John atterrò in uno dei campi base vicino a Kandahar.

   
 
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