La guardai, una sottile busta bianca con il bordo a strisce rosse e nere.
Posta aerea.
Il mio indirizzo era scritto in un corsivo dolce e preciso.
La aprii con mani tremanti e il respiro leggermente affannato e il cuore che batteva forte.
Ne scivolò fuori un sottile foglio ripiegato, lo aprii lasciando la busta sul tavolo e cominciai a leggere, quella lettera scritta con la stessa minuziosa e precisa calligrafia dell'indirizzo.

Cara Joshy,
Ti sto scrivendo da una tenda verde, sotto l'acqua che scorre a fiumi, su un tavolo di fortuna seduto su un vecchio secchio di ferro.
Il terreno è fangoso e maleodorante, mentre l'aria è resa irrespirabile dal fumo dell'accampamento.
I miei compagni fumano, urlano, molti di loro stanno perdendo la conoscenza della vita, altri sono già impazziti del tutto.
E sai, Joshy, quelli come loro dove finiscono?
Non lo so nemmeno io, ma scompaiono.
La lampada ad olio si consuma lentamente ed è difficile vedere ciò che scrivo, ma lo scrivo, per te.
Per me.
Per ogni persona del mio accampamento, devo parlare, liberarmi, e ti chiedo scusa se mi sfogo con te, non te lo meriti, i tuoi occhi non devono leggere una simile atrocità, così come la tua anima non merita di conoscere crudeltà.
Eppure ti scrivo, forse con la convinzione che quando leggerai questa lettera sarà perché non avrò la possibilità di dirti nulla di persona.
Mai più.
Sono mesi ormai che leggo le tue lettere e ti mento sulla mia giornata, ti chiamo amore, ti dico che tutti stanno bene, che giochiamo a carte e che nessuno della mia divisione è rimasto ferito in modo troppo grave.
Qualche sparatoria e cattura, ma tutto procede senza pericoli.
Si.
Stavo mentendo, per proteggerti.
Invece non va tutto bene, siamo rimasti 30 dei 150 di partenza, io sono uno di quelli, per poco.
Lo sento.
Non giochiamo a carte, c'è a malapena il tempo per una sigaretta.
Scusa Joshy.
Ti avevo promesso che non avrei mai iniziato ma non ce l'ho fatta.
Sparatorie e catture ogni giorno, la notte non riusciamo a dormire per più di due ore di fila, svegliati o dal rumore o dagli ufficiali, che ci spediscono sul campo.
Voglio essere con te ora.
Vorrei non aver visto nulla, compagni uccisi, torturati, sotterrati vivi.
Nulla se non il tuo viso.
L'unica cosa che mi ha accompagnato per questi lunghi mesi, 15 credo, forse più, il tempo ormai, è interminabile e indifferente.
Non ho più voglia di combattere.
Sono stanco, debole, malato, triste e demotivato.
Ma la cosa che mi impedisce di continuare è la stessa che prima mi dava la forza per farcela.
Tu.
Il tuo viso.
I tuoi occhi brillanti.
La convinzione che ti avrei potuto abbracciare ancora.
Ma ormai.
Questa convinzione è scomparsa, sfumata.
So che non sarà così e preferisco lasciare tutto al destino piuttosto che illudermi fino alla fine.
Tu stessa lo dicevi: sogna finché i sogni non trasformeranno la realtà in illusione.
Quindi si, mi sono fermato.
Ho smesso.
Chissà che diresti se fossi qui, cosa faresti.
Mi baceresti con tutta la forza che possiedi?
Come feci quella notte, l'unica.
Come vorrei non aver fatto nulla, nessuna scelta sbagliata.
Eppure pensa.
Sono qui, o almeno c'ero.
Ma lo faccio per noi, per me, per te, per quel nostro figlio che sono sicuro diventerà migliore.
Joshy...
Non piangere, so che lo stai facendo.
Anche io.
Ma tu non farlo, non ne hai motivo.
Avrai un'altro come me, se non un uomo, un figlio.
Io.
Amore.
Piango perché non avrò mai un'altra come te.
Non che la volessi, poiché voglio te sola.
Ma in questi giorni, ore, minuti, chissà quanto manca, non avrò mai, nemmeno l'illusione di averti di nuovo.

Ti amo,
Liam.