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Autore: junone    31/03/2012    1 recensioni
Si chiamava Ocèane, veniva da lontano, ed una storia non ce l'aveva. Si chiamava Ocèane ma quello, forse, non era il suo vero nome.
Questa storia si è classificata 2° al contest "Profumo...storia di un originale"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ODORE DEL MARE

A Londra c'era un piccolo negozio d'orologi, stipato tra una pasticceria in fallimento ed una casupola in disuso. Orologi di ogni tipo. Orologi grandi, orologi piccoli, orologi da taschino, orologi da polso. Ogni tipo di orologio lo potevi trovare lì, da Turner e signora.
Il negozio si chiamava così, perchè il signor Turner, e la sua signora, l'aprirono un giorno d'estate, e se ne presero gran cura.
A Joseph Turner, ventitré anni appena, suo padre ripeteva spesso, e con una certa nota di esasperante petulanza nella voce: "Tutto questo, un giorno, sarà tuo".
Per il momento, però, a Joseph veniva chiesto, semplicemente, di riconsegnare, ai rispettabili componenti della comunità che si affidavano all'ingegno e la maestria del signor Turner, i loro orologi rotti, e poi prontamente riparati.
Questo e nulla più.

Il profumo invitante dei dolciumi appena sfornati s'insinuava, sempre, tra le mura del negozio. Strisciava per qualche metro, sull'asfalto, sulle pietre, sull'erba, ed infine, stancamente, arrivava a trovar pace tra gli orologi che ticchettavano senza sosta sulle pareti scolorite.
Quel giorno, Joseph s'era limitato ad osservare suo padre, piegato sugli ingranaggi d'un orologio dall'aria antica, intento nel suo lavoro, alternando borbottii di soddisfazione a rudi imprecazioni, perchè le lancette proprio non ne volevano sapere di riprendere a muoversi. Se ne stavano immobili, di quell'immobilità che è la comprensibile conseguenza di chi non ha più le forze per sostenere il peso del tempo sulle spalle. Se ne stavano immobili, insomma, a segnare le cinque e venti, sebbene, le cinque e venti, fossero passate da un pezzo ormai.
La porta del negozio si aprì con un cigolio lieve. Lei entrò, la sera a vorticarle intorno, ed una bellezza lieve dipinta sul viso. Il mondo in quel momento, per Joseph Turner, sarebbe anche potuto esplodere, disintegrarsi, appassire. Lei entrò, tra le piccole mani una scatola nera, e tra i capelli lucidi un fiore bianco.
Un istante più tardi aveva alzato lo sguardo e l'aveva guardato, l'aveva guardato ed aveva sorriso. Un movimento minuscolo, palpebre che s'alzano, occhi verdi come boschi lucidi di rugiada, e tutto il resto immobile. L'aveva guardato, ed era stato un movimento minuscolo, bellissimo.
Erano occhi tristi i suoi, occhi piccoli, con una storia incredibile nascosta tra le ciglia ricurve che si muovevano lievi nell'aria immobile della stanza.
- Vorrei far riparare questo orologio-, disse. - è piuttosto vecchio, ma mi piacerebbe rivederlo in funzione-, aveva una voce lineare, un poco acuta, a tratti persino stridula, ma a Joseph Turner, questo, non importava davvero.
- Siete venuta nel posto giusto allora, qui li ripariamo gli orologi-, rispose il signor Turner, ancora chino sugli ingranaggi rotti, sparsi sul tavolo come i pezzi d'un puzzle particolarmente complicato.
Quando lei si avvicinò il profumo invitante dei dolciumi appena sfornati svanì.
Odore di sale, e di acqua e di sole. Odore di mare.

Si chiamava Ocèane, veniva da lontano, ed una storia non ce l'aveva. Si chiamava Ocèane ma quello, forse, non era il suo vero nome. Aveva da poco acquistato la piccola villa alla fine della strada, viveva da sola, con un paio di serve dall'aria stanca ed i sorrisi tirati.
La gente ne parlava con sospetto, le donne la guardavano con invidia, e gli uomini con malcelato desiderio. Era giovane, giovanissima, ed i suoi occhi raccontavano una tristezza immensa.
Joseph la guardava da lontano, chiedendosi perchè, sulla pelle, avesse l'odore del mare. Se lo chiese anche mentre aspettava nell'ingresso della piccola villa di sua proprietà, una settimana dopo averla vista entrare in negozio. La scatola nera, in cui l'orologio riparato era stato riposto, stretta sotto il braccio.
Una delle serve l'aveva invitato ad attendere in salotto, e lui, annuendo appena, l'aveva seguita verso l'ampia stanza dai colori chiari e l'arredamento elegante, con un crescente formicolio a stuzzicargli la bocca dello stomaco.
Apparì all'improvviso, Ocèane, con indosso una veste blu a svolazzarle intorno come una nube di fumo trasparente, i capelli biondi raccolti in una capigliatura morbida, le mani bianche giunte in grembo ed un espressione di gentile malinconia dipinta sui lineamenti da bambina.
Joseph le porse la scatola senza dire una parola, e si sorprese nel sentire le sue dita minuscole posarsi piano sulle sue, più grandi e ruvide.
Rimasero, così, immobili, a guardarsi, studiarsi, toccarsi finchè, tutt'a un tratto:
- Avete l'odore del mare cucito addosso-, constatò piegando la testa d'un lato ed osservando le labbra sottili di lei incurvarsi un poco.
- Lo so -, disse prendendo la scatola per aprirla, dare un occhiata all'orologio, e riporla, infine, su di un tavolino di legno lucido poco più in là. - Accomodatevi vi prego-.
E Joseph lo fece. Si sedette sul divano elegante e stette ad ascoltarla.
Ocèane iniziò, all'improvviso, a raccontargli della sua casa, che si affacciava sul mare e si trovava in un punto non ben precisato di quel mondo immenso e strano. Iniziò a raccontargli di come la luce pallida del giorno si posasse gentile sulle onde trasparenti, sulla sabbia dorata, tiepida, di come le navi lo attraversassero senza fatica. Gli raccontò del mare, solo del mare. Di come, portasse a riva segreti sepolti da anni tra i suoi fondali immobili, di come, talvolta, fosse crudele. Perchè qualcuno ci moriva lì.
- L'ho visto una sola volta, il mare, da lontano-, commentò quando Ocèane smise di parlare - ed è stato bellissimo-, aggiunse sorridendole con garbo.
Quella non era esattamente la verità. Il signore e la signora Turner, anni prima, avevano deciso che si sarebbero diretti verso la costa per far visita a certi parenti, ed il finestrino rettangolare della carrozza gliel'aveva lasciato scorrere davanti come un fotogramma catturato per sbaglio, mentre l'odore aspro della salsedine scivolava nel piccolo abitacolo fino a riempirlo.
Ocèane gli chiese di tornare, un giorno, quando ne avesse avuto voglia.
Tutto ciò che fecero poi, fu guardarsi e scoprire che, infondo, il silenzio tra loro era quanto di più meraviglioso ci si potesse aspettare da due persone che si sono appena scoperte.

Joseph Turner non era particolarmente bello o brillante, ma aveva una sensibilità d'animo tale da renderlo un ottima compagnia per chi, come lei, aveva il cuore a pezzi e ferite nelle ossa, nelle vene, ovunque. Quando camminavano insieme per strada, con quello che poteva sembrare un nulla a dividerli, la gente sussurrava piano, ma senza mancare d'esser sentita: "Non è abbastanza bello per lei", con un poco di cattiveria, perchè non potevano vedere le loro dita sfiorarsi, di tanto in tanto, e qualche volta, con un pò più di audacia, intrecciarsi dolcemente.
Un giorno Ocèane gli regalò una rosa bianca. Una piccola rosa bianca senza spine, gliela porse, sorrise, poi avvicinò le mani piccole e candide al suo viso, lasciò le dita ad affondare nelle guance calde e trovò le sue labbra con un sospiro lieve.
Joseph non si stupì nel scoprirle morbide e sottili, nè si stupì quando assaporando il suo respiro caldo percepì l'odore della salsedine che impregna l'aria quando il mare è quieto. La strinse a sè e non la lasciò andare per quella che gli parve un eternità troppo breve.
- Hai l'odore del mare cucito addosso-, glielo disse anche quel giorno, ma lo fece a bassa voce, con dolcezza, e con la bocca ben premuta sulla sua.

Giù, la terra era secca, secca e sporca. Aveva lasciato una traccia indelebile Ocèane. S'era svegliata, un giorno, ed aveva deciso che la vita le andava stretta, aveva deciso che non aveva più voglia di svegliarsi con nel cuore un dolore troppo intenso, una ferita troppo profonda.
Allora s'era arrampicata sul tetto della sua villa, piccola ma elegante, s'era spezzata le unghie, scorticata le mani, sbucciata le ginocchia, aveva sorriso al nulla, ed aveva pensato al caro, dolce, amabile Joseph profondamente addormento nel suo letto dalle coltri bianche.
Il suo amore le aveva permesso di trasciarsi dietro la vita qualche anno ancora, era stato abbastanza forte da farle dimenticare tutto il male che si portava dentro, così forte da farla tornare indietro. Quando ancora la sua casa affacciava sul mare ed era felice, di quella felicità vera, piena, appagata. Il suo amore le aveva regalato i più dolci respiri e le più belle illusioni che una donna, che chiunque, possa desiderare. I baci, gli sguardi, i respiri sciolti nel tempo immobile.
Joseph Turner ed il suo amore portato a riva dalle onde di quel mare che siamo soliti chiamare destino.
Eppure, nonostante tutto, guardando l'alba tingere d'oro e rosa il mondo intero si buttò.
Si sentì solo uno sgradevole rumore d'ossa rotte. Quando si ritrovò con la guancia schiacciata sul terreno scuro le si mozzò il respiro in gola. Non vide più nulla, il dolore durò a lungo, schiacciò le ossa, sgretolò le membra stanche. Il sangue si mischiò alla polvere, le insudiciò la pelle candida, le impiastricciò i capelli, le riempì la bocca.
Il cuore di Ocèane corse all'impazzata senza sapere dove andare, le martellò nel petto sino a far male, malissimo. Nessuno lo vide quello scempio.
Gli uomini in uniforme pulirono tutto, cancellarono i segni lasciati dal corpo.
Ocèane morì con negli occhi dipinta l'immagine di Joseph sul mare. Ocèane morì, un sorriso lieve sulle labbra sporche.

Non gliela lasciarono vedere, dicevano che ne sarebbe morto, che non avrebbe retto lo schoc. In lui, però, c'era l'assoluta ed indissolubile certezza che, anche così, l'avrebbe trovata bella, bellissima. Con il sangue e tutto il resto. L'avrebbe vista e si sarebbe detto che era la donna più bella del mondo. La donna più dolce, timida, meravigliosa del mondo. Era sicuro che, nonostante l'odore pungente del sangue il suo profumo, profumo di mare, lo avrebbe cullato ancora un po'. Non era pronto per tutto quello, tutto quel dolore. Uno squarcio nel cuore, una ferita lunga e profonda.
Ocèane è morta, continuava a ripetersi, a sussurrare, Ocèane è morta, si è uccisa, continuava a ripetersi, a sussurrare, Ocèane è morta, si è uccisa, non la vedrò più, non la bacerò più, non la stringerò più. Se lo ripeteva con lentezza, nessuna incrinazione nella voce. Come se dirla all'infinito avesse potuto rendere quell'assurda verità un po' meno cruda, un po' più lieve.
Qualcuno, nei giorni a seguire, gli fece anche le condoglianze perchè, infondo, tutti sapevano quel che c'era tra loro, lo sapevano da anni, ma nessuno aveva detto nulla, avevano smesso persino di mormorare, con un poco di cattiveria -Non è abbastanza bello per lei-.
L'idea di seguirla nell'impresa che doveva esser stato il suicidio lo stuzzicò per qualche tempo, ma poi si disse che da morto non avrebbe più potuto chiudere gli occhi con forza e rivedere il suo viso, o sentire la sua voce nella mente come un ricordo fresco e tremendo. Togliersi la vita, inoltre, richiedeva un coraggio ed una forza che lui non possedeva.

Ricordi ovunque, promesse sussurrate, baci rubati, sguardi dolcissimi. Tutto rinchiuso tra le mura chiare della piccola dimora di Ocèane.
Sfiorando le pareti con la punta delle dita, annusando l'aria ancora impregnata del suo profumo, guardando le scale da cui era solita scendere con docile lentezza, il cuore di Joseph finì, inevitabilmente, per spezzarsi ancora. Quel dolore, però, era disposto a sopportarlo. Preferiva aggrapparsi a ricordi perduti che a lacrime amare versate su guance stanche.
Rimase immobile sul divano per qualche ora, le mani intrecciate in grembo, la schiena dritta, gli occhi socchiusi. C'era uno strano silenzio, un immobilità assurda, le tende bianche, ferme, nonostante la finestra che ornavano fosse spalancata sulla strada macchiata d'oscurità. Il piccolo universo che quella casa era diventata per loro, per lui ed Ocèane, sembrava particolarmente deciso ad arrendersi al lutto.
La straziante furia di chi non è solito patire certe sofferenze, lo colse solo quando mise piede nella camera da letto ch'eran soliti condividere, talvolta, nelle notti d'inverno.
La perfezione con cui era stata rassettata, il letto rifatto, le lenzuola cambiate, i cuscini sprimacciati, scatenarono in lui ira e disperazione. Ogni traccia di Ocèane era stata cancellata.
Un urlo animalesco gli grattò la gola, si sparse per la stanza con una violenza di cui non si credeva capace.
Ruppe quadri, gettò al suolo oggetti fragili, strappò le pagine rilegate di libri ordinati su scaffali lucidi, si liberò l'anima, insomma, del groviglio di rabbia che provava per colei che tanto aveva amato, e che per un certo verso si ritrovava, ora, ad odiare. Di quell'odio che ti corrode dentro, quell'odio che solo un amante può infliggerti.
Perchè se n'era andata, Ocèane, senza una spiegazione, senza un addio. Se n'era andata lasciandolo indifeso e smarrito davanti alla sua perdita, privo di armi da sguainare, o scudi dietro cui nascondersi.
Era un soldato disarmato in un campo di battaglia troppo vasto.

Mesi dopo lo sfortunato evento, quando l'autunno inizò a colorare di tonalità calde il suolo e a far crollare le foglie secche dai loro rami sottili, un signore dall'aria elegante ed una colonia particolarmente odorosa entrò in negozio chidendo di Joseph Lionel Turner.
- Mi è stato chiesto di consegnarvi questo-, aveva una voce ruvida, notò Joseph, e stanca, come se consegnare messaggi di persona alla gente fosse la sua unica occupazione.
L'uomo, che non si presentò nè sorrise mai, gli porse un bauletto polveroso e malandato, per poi andarsene di tutta fretta senza aggiungere altro che non fosse un garbato congedo. Rifiutò persino una fumante fetta della torta di mele della signora Turner. Nessuno, dacchè se ne ha memoria, aveva mai rifiutato la torta di mele della signora Turner. Non fino a quel giorno almeno.
Tutto ciò che Joseph trovò nel bauletto fu un pezzo di carta stropicciato ed un libricino che poi scoprì essere un diario.


Ti amo. Perdonami.


Tre parole, sul pezzo di carta. Solo tre parole. Tre parole.
Il diario, invece, era un insieme di pagine bianche e piccole frasi sparse qua e là. Calligrafia elegante, ordinata, leggermente obliqua, come le  onde del mare quieto all'alba. Sfogliando le pagine del diario, rannicchiato nell'angolo più in ombra della stanza da lui stesso semidistrutta tempo addietro, assaporò l'odore della carta consumata e dell'inchiostro ormai secco. Solo più tardi, quando per distinguere le parole scritte da Ocèane ebbe bisogno di un lume, iniziò a leggere:

"L'ho tenuto tra le braccia fino alla fine."

Inchiostro sbavato a macchiare il foglio come pioggia nera.
Spazi bianchi.

"Dicono che scrivere di ciò che mi è accaduto sia terapeutico. Dicono che scrivere mi possa aiutare a far passare il dolore. Dicono, dicono, dicono. Mentono.
È passato un anno e fa ancora male."

Spazi bianchi.

"Se l'è preso il mare. Poi l'ha risputato, perchè?"


Altra pioggia d'inchiostro e pagine vuote.


"La notte non riesco a dormire. I suoi occhi scrutano i miei sogni.
Sono occhi bellissimi, sono occhi tremendi.

Pagine vuote.

"Non riesco più ad andare in spiaggia. Devo fuggire da qui."

Pagine vuote.

"Londra è grigia, umida, non c'è il mare, e le persone sono cordiali.
I ricordi sembrano sbiadire con questa nebbia, mi sento più libera."


Spazi bianchi.

"Sono andata al negozio di orologi oggi. Quello di cui mi ha parlato Alaine, la nuova serva, per far riparare il vecchio orologio del nonno. C'era un giovane, al negozio.
Ha un sorriso dolcissimo."

Le spine di una rosa rinchiuse in un fazzoletto di tessuto perfettamente ripiegato tra due pagine.

"C'è qualcosa in lui, una luce, un calore. C'è qualcosa di meraviglioso in Joseph. Guardarlo, parlargli, sfiorarlo, mi fa tornare a respirare. Il dolore svanisce, le ferite aperte diventano cicatrici sotto il suo tocco, il sangue che cola dal mio cuore palpitante rinsecchisce tra le sue labbra, tra i suoi baci lievi, le lacrime vengono asciugate dai suoi sussurri caldi. Credo di amarlo, dirlo ad alta voce mi sembra assurdo, ma mi alleggerisce l'anima. Credo di amarlo."

Solo pagine bianche, e pieghe ovunque. Sull'ultima pagina, invece, un paragrafo disordinato d'inchiostro, meno sbiadito, più recente.

Caro Jospeh,
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Sto per lasciarti, e questa è l'unica cosa che mi fa fremere al pensiero di ciò che sto per fare. Ti amo, e spero che questa consapevolezza possa portare le tue labbra a sussurrare il mio nome senza alcun rancore. Ti amo, ma il dolore è tornato a galla. Ha ripreso a corrodermi l'anima.
Il tuo amore, il tuo prezioso, meraviglioso, amore ha illuso il mio cuore. Pensavo di aver dimenticato, ma la verità è che tutto ciò da cui stavo fuggendo non mi ha mai abbandonata.
Aveva due anni appena quando il mare lo trascinò tra le sue onde. Due anni appena, puoi immaginarlo? Un corpo così piccolo in una tale immensità. Io l'ho visto sai? Il mio bambino cadere sulla sabbia e sparire nell'acqua torbida. L'ho sentito, il mio bambino, il mio dolce bambino urlare il mio nome, chiamare sua madre, cercare i suoi occhi, trovarli e perderli, trovarli e perderli.
Il mare è bestia e splendore al contempo, Joseph. Quel giorno fu bestia, mio figlio il suo pasto.
Quando tornò a riva, il suo respiro si udiva appena, tremava come un uccellino, lo strinsi al petto, gli giurai che sarebbe andato tutto bene. Mentivo.
Aveva due anni. Come puoi dire ad un bambino di due anni che sta per morire? Come?
Si spense non appena le mie labbra sfiorarono la sua fronte fredda. Ed io rimasi sola col mio dolore. Sola con il cuore a pezzi.
La casa in cui vivevo affacciava sul mare, piccola e bella. Viverci divenne insopportabile, così scappai.
Tu sei stato il più inaspettato e gradito imprevisto. Mi hai amata e di questo ti sono grata, perchè colei che hai conosciuto non è altro che un fantasma, una copia sbiadita della donna che fui un tempo.
Sono fragile, Joseph, e questa vita, ormai, non fa per me.
Ti chiedo un' unica cosa, vivi, sorridi, respira, ama.
Ama qualcuno che possa renderti felice come tu hai fatto con me. Ama una donna che sia degna di custodire il tuo cuore tra le mani e farlo palpitare fino a far male. Bacia labbra gentili e colme di gioia da regalarti. Carezza capelli di seta e pelle tiepida, la notte, quando sentirai la mia mancanza.
Ti amo Joseph Turner.

Tua per sempre,
Ocèane.


Chiuse il diario, spense la fiamma flebile della candela che riluceva nelle tenebre dense della sera, e pianse finchè il sonno non lo ghermì con dolcezza.

Per anni, Joseph, rimase a galleggiare in una confortante bolla di quiete che nessuno osava far scoppiare. Viveva ai margini, osservava ma non interveniva, sedeva da solo, talvolta, nell'angolo buio d'un vecchio pub polveroso, tra le mani la rosa bianca, ormai appassita e non più così bianca, ed un bicchiere vuoto sul tavolo. Assolutamente vuoto, immacolato. Non ordinava mai da bere, e quando gli chiedevano se volesse farlo lui rispondeva con garbo: "Solo un bicchiere, vorrei solo un bicchiere".
Poi giunse il giorno in cui il signore e la signora Turner ritennero d'aver lavorato abbastanza per permettersi una vecchiaia quieta, senza sorprese, e decisero anche che del negozio di orologi non ne volevano più sapere niente.
- Tutto questo è tuo figliolo-, si sentì dire un giorno freddo d'inverno, mentre la neve cadeva giù in silenzio. - Tutto questo è tuo, fanne ciò che vuoi-.

A Londra non c'era più un negozio di orologi. Qualche chilometro più in là, invece, verso la costa, si diceva che un giovane uomo ne avesse appena aperto uno. Orologi ovunque, ma sul bancone una rosa appassita in una teca trasparente. Aveva una moglie graziosa, il giovane uomo, con lunghi capelli castani, occhi neri ed un sorriso gentile. Diceva di amarla perchè, amarla, era la cosa giusta.
Diceva di amarla ma non ci credeva davvero.

Il negozio di orologi si chiamava Ocèane, affacciava sul mare, e del mare aveva persino l'odore.

   
 
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