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Autore: yuki013    31/03/2012    4 recensioni
«Io voglio salvare tutti, nessuno escluso».
«Perché è questo il credo ninja di Uzumaki Naruto, dico bene?».
«Sbagliato. Perché è questo il mio sogno».
[…]
«Bentornato, Sasuke».
«Sono a casa».
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più contesti
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Toh, il fandom di Naruto LOL ammettetelo che qualcuno di voi vuole linciarmi, lo so, me lo sento. Il problema è che tutti i temi, i kink, gli spunti e così via mi sanno di letti e riletti tanto da farmi passare la voglia di scrivere: ovviamente questo non significa che non completerò le mie storie già iniziate, sia chiaro.
Dunque, mentre mi affannavo per scrivere una ShIzaya con un minimo di limone decente, ho trovato questa piccola cosuccia della quale mi ero pressoché dimenticata, presa com'ero da altri fandom. La storia ha partecipato come sempre ad un contest del forum, "a Colorful Collage Contest - through seven categories" di Silvar tales: 5° classificata e Premio Yaoi - e gongolo particolarmente per questo =w=
Piccole precisazioni: spoiler perché Tobi è Tobi e Kishimoto trolla troppo, dunque per me un'identità al momento non ce l'ha. Anzi mi astengo dal dargli un nome che non sia quello scritto pocanzi. Il titolo, invece, si può tradurre con "cicatrici" e "cuciture", due parole che non ho scelto a caso, trattandosi di Sasuke (che per una volta la pianta di starnazzare e rinsavisce). Le frasi sparse in giro sono un pò mie, un pò del sensei; le ultime sono i versi finali di "Diver", quell'opening che ha ispirato il tutto.
Dannate, benedette canzoni ♥
Per il resto, non disperate nel mio ritorno disse Jesus.  Anzi, ne approfitto per fare un pò di sano spam che non guasta mai: io ed un'amica/socia/yaoista-in-incognito abbiamo aperto un forum in cui ci occupiamo di tradurre manga e doujinshi, per il momento esclusivamente yaoi (ma va?). Se vi va di passare cliccate sull'amorevole banner in basso, leggete il regolamento e amateci, perché noi ameremo voi *___* se mi cercate, ovviamente sono Yuki_.Su, ho pure realizzato tanti bannerini pucciosi >3>
Konbanwa, una LaviYuu mi aspetta - o una YuuVi? Chi vivrà vedrà.
-Yu
Akuma no Kotoba translations
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Perché il mondo ha bisogno di più yaoi ♥


Seams

 


Freddo.
Il mondo somigliava ad una massa enorme, densa, profondamente gelida.
Il cielo stesso sembrava piangere ghiaccio. L’aria usciva pesante dai polmoni per tornarvi ancora più rarefatta.
Da quanto tempo era lì? Non lo sapeva. Non riusciva nemmeno a vedere, figurarsi il pensare.
Una distesa d’acqua macchiata di rosso sangue, disseminata di numerose katana abbandonate come caduti su un campo di battaglia.

 

Un taglio netto.

 

Non l’aveva forse fatto? Famiglia, amici, affetti. Aveva tagliato qualunque legame.

 

Perché “i legami ti rendono più debole, ti fanno perdere di vista le cose veramente importanti”. 

 
 

Per ogni legame tagliato con la lama avvelenata dell’odio e della vendetta il suo potere si accresceva, i suoi occhi vedevano sempre più il mondo con disprezzo, la sua spada spazzava via quel poco di umanità che ancora perdurava in lui.
Man mano che tagliava i ponti con la sua vita del prima, la luce brillava sempre meno.

 

Non è il buio della notte che devi temere, bensì le ombre del giorno.

 

Era avanzato arrampicandosi su una montagna di falsi racconti, inganni e cadaveri che si accumulavano come inutili detriti ai suoi piedi, sempre di più, mentre continuava a fare a pezzi il suo mondo – il suo vecchio villaggio raso al suolo da quell’uomo, la sua vecchia casa, il suo vecchio cuore ridotto ad un misero organo.
I suoi occhi, prosciugati del loro color onice e vermiglio, ormai più simile ad uno spento grigio blu.

 

Finché la lama è ben affilata, finché non hai più nulla da tagliare, continua a brandire la tua arma.

 

Tentava di alzarsi, ma le sue membra erano intorpidite dal gelo. E anche trovando la forza, mani e piedi erano trapassati da molteplici lame traslucide che lo tenevano immobilizzato al terreno.
Da qualunque lato voltasse la testa, vedeva soltanto morti – i suoi genitori, Itachi, i ninja di Konoha e Suna, i Kage, l’uomo con la maschera, persino i membri di Akatsuki.
Alla sua destra, una massa di capelli rosa galleggiava placidamente, la proprietaria riversa con il volto oltre la superficie dell’acqua. Poco più avanti, un ragazzo stringeva un piccolo diario aperto tra le dita pallide, mentre l’inchiostro dei disegni veniva pian piano portato via dalla corrente. Guardando bene, fra di essi intravvedeva anche una mascherina a brandelli stretta nella mano del ninja-copia.
Non si voltò a sinistra, sapeva perfettamente cosa vi avrebbe trovato – chi, da morto, lo avrebbe osservato con quegli occhi blu oceano smorti, come un topolino terrorizzato guarda il falco stringerlo fra gli artigli. 

 
 

Il tuo team, il team con il quale avresti vissuto tutta la tua vita.
Il tuo migliore amico.

 

Avrebbe voluto trapassarsi con la sua Kusanagi, per quanto era stato ingenuo. Lui, il promettente erede degli Uchiha, che si lasciava ingannare dal primo individuo che si presentava come il suo antenato.

 

Sono stato avventato.

 

+ + + + +

 

Il tempo sembrava essersi fermato, all’interno della cella.
«Ne sei sicuro?».
«Sì». Niente esclamazioni, niente “dattebayo” per allentare l’atmosfera.
Soltanto la voce ferma di un ventenne un po’ bambino, gli occhi azzurro cielo diventati scuri come il mare in tempesta, la capigliatura assurdamente bionda spiovente sugli occhi. 

 
 

“Un sogno che sacrifica gli amici è spazzatura”.

 

«Non ti importa quel che deciderà il Consiglio? Il daimyō non è onnipotente, e per quanto quei due vecchi non siano più in vita, la vedo comunque difficile per te».
«Accetterò la loro decisione, qualunque essa sia».

Tsunade terminò i preparativi, sciogliendo l’ultimo sigillo sul corpo steso a terra. Naruto la osservava attento ad ogni suo movimento, quasi trepidante.
«E il tuo sogno, Naruto? Che ne è del tuo sogno?».
Guardò il ragazzo sul futon di fronte a sé, i capelli pece screziati di blu più lunghi di quanto ricordasse, la pelle lattea, il corpo e la mente tenuti in vita dai macchinari e dalle flebo.

 

“Dovresti spendere il tuo tempo allenandoti, invece di perderlo correndo in giro inseguendomi.
Vero, Naruto?”

 
La donna sospirò, prima di appoggiarsi alla parete fredda della stanza: un’oscura prigione situata nelle profondità delle montagne di Konoha, sovrastata dai volti di pietra e protetta da numerosi sigilli e tranelli per evitare che chiunque all’infuori dell’Hokage vi possa accedere.
E, custodito in essa, il famigerato nukenin di rango S della Foglia: Uchiha Sasuke.
 

“Uno che non riesce nemmeno a salvare un suo amico non è adatto a diventare Hokage.
Vero, Sasuke?”

 

«Il mio sogno è proteggere il villaggio. Che io lo faccia da genin, da jonin o da Hokage non fa alcuna differenza».
Tsunade incrociò le braccia al petto prosperoso. «Stai mentendo».
Il ragazzo sorrise, accarezzando la guancia del più grande steso a terra. La scelta l’aveva già presa, dunque perché esitare?
«Forse hai ragione. Però, sai… non voglio essere un ninja che sacrifica un singolo per il bene di tanti». Sfiorò i capelli corvini con le dita, inginocchiandosi sul pavimento. «Io voglio salvare tutti, nessuno escluso».
«Perché è questo il credo ninja di Uzumaki Naruto, dico bene?».
Il biondino sorrise ancora, richiamando lo spirito di Kyuubi.
«Sbagliato. Perché è questo il mio sogno». 

 
 

+ + + + + 

 
 

In quel luogo non cambiava mai nulla. Sempre buio, pioggia e sangue.
E quel freddo, quella gelida morsa che lo attanagliava senza dargli tregua. Era sicuro che sarebbe rimasto lì in eterno, in una sorta di Inferi che non bruciavano di fiamme rosse, ma di quelle nere di Amaterasu.
Poi, qualcosa cambiò improvvisamente.
Fu come se venisse risucchiato verso il fondo e sottratto alla costrizione delle lame conficcate nella carne: l’acqua vorticò, il cielo perse il suo colore anonimo e si illuminò di un blu che aveva dimenticato, attraversato a tratti da candide nuvole bianche. I raggi del sole sembrarono trapassargli la pelle come se essa volesse assorbirne il calore, e persino gli occhi che ormai non avrebbero dovuto vedere altro che buio tornarono vivi, attenti, di nuovo capaci di utilizzare lo Sharingan.
Sasuke si ritrovò catapultato in un mondo a colori, un luogo che aveva sognato spesso e poi dimenticato, rassegnato ormai all’idea di essere finito all’inferno e di non poter più rivedere nessun colore se non quello tetro del sangue e dei cadaveri sparsi lungo il suo cammino.
Gli venne in mente un’altra vita, una vita lontana nella quale lui era il promettente superstite del clan Uchiha. Il ragazzo che insieme al suo team aveva sconfitto Zabuza e fronteggiato coraggiosamente Orochimaru.
Osservò il cielo. Nel punto più alto comparve un punto scuro, un gabbiano forse. Lo guardò scivolare verso il basso, immaginando che fosse in cerca di pesci.
Forse la sua prigione non era stata che un Purgatorio, e una volta scontata la pena per i suoi crimini aveva raggiunto la pace. Era una convinzione effimera, ma meglio del nulla assoluto.
Continuò a guardare quel punto con attenzione, trovandolo troppo rapido e grande perché fosse un volatile, persino da quell’altezza. Scivolava tra le correnti come un fulmine, fendendo l’aria con una rapidità stupefacente.
A Sasuke furono sufficienti un paio di secondi per capire cosa – chi stava stravolgendo il suo mondo.

 

“Sei rumoroso, dobe”.
“E tu sei un mortorio, teme”.

 

Avrebbe dovuto prevederlo. Sopportarlo per l’eternità? Decisamente, si trovava ancora nel suo inferno personale.
Lo vide cadere in piedi, le braccia sopra la testa ed i capelli al vento. Il simbolo del villaggio riluceva sulla sua fronte e tra le dita, dove teneva un secondo copri fronte. Persino da lontano riusciva a vedere il suo sorriso, quel sorriso che lo costringeva ad essere sempre serio quando avevano dodici anni – perché mai e poi mai Sasuke Uchiha avrebbe riso o mostrato un minimo segno di allegria in pubblico.

 

 «Sasuke!».

 

La voce gli ferì le orecchie come un coltello, un attimo prima che l’impatto lo colpisse.
Sprofondò senza che potesse opporsi, spinto verso il basso dal peso che aveva addosso. Chiuse gli occhi e trattenne il respiro, sentendosi trascinare sempre più in profondità.
Si azzardò ad aprire gli occhi.
Sorrideva, quell’usuratonkachi. Lo stringeva talmente forte da stritolarlo, e non sembrava minimamente intenzionato a lasciarlo andare. Si sentì leggero, nonostante la pressione sul suo corpo. Ebbe la sensazione che tutto fosse finalmente al suo posto, dalla mano stretta in quella caldissima dell’idiota ai suoi occhi scuri che si specchiavano il quelli felici dell’altro.

 

Torniamo a casa, Sasuke. Torniamo insieme. 

 
 

Non lo vide parlare, ma riuscì a sentirlo. Scomparve lo Sharingan, scomparve il sangue ed il dolore, e persino il mondo intorno a loro. C’era luce, tantissima luce.
Ed era calda.

 

«Bentornato, Sasuke».

 

 

 

«Sono a casa».

 

 

 
 

+ + + + +

 
 

Sasuke aveva tagliato tutti i suoi legami. Li aveva tagliati con la lama della vendetta, desiderando un potere che i suoi compagni non potevano concedergli.
Quando aveva capito, quando era tornato dal genjutsu nel quale Tobi – perché tale rimaneva per lui – l’aveva imprigionato, aveva preso quei legami e li aveva ricuciti. Con pazienza, fatica e tantissimo impegno. Mentre i vecchi amici erano stati più accomodanti, per riguadagnarsi la fiducia del villaggio c’erano voluti tre anni di duro lavoro.
«Davvero ti va bene?».
«Te l’ho detto, sono a posto così, ‘ttebayo».
E chi aveva pagato il prezzo delle sue azioni sconsiderate era stato Naruto.
«Un tempo parlavi tanto sulla questione del diventare Hokage».
Naruto incrociò le braccia dietro la nuca, lasciandosi andare sul letto. Si leccò le labbra e guardò oltre la finestra del suo appartamento.
«Ero un marmocchio. E poi, sembra che il Rokudaime sia parecchio amato dal villaggio».
«Certo, i bambini dell’accademia adorano la sua capigliatura a forma d’ananas».
«Detto da uno che ha un culo d’anatra in testa». Scoppiò a ridere, rotolandosi sul letto. Si fermò solo per osservare lo sguardo omicida che il suo coinquilino gli stava riservando.
«A volte mi domando perché non ti ho ancora fatto fuori, usuratonkachi».
Naruto saltò giù dal letto, raggiungendolo sul pavimento. Scostò le pile di rotoli ed il calamaio che lo occupavano e posò la fronte su quella dell’altro, scostandogli la frangia con una mano.
«Te lo dico io: perché così saresti rimasto l’unico non ancora chunin; perché nessuno ti avrebbe ospitato in casa propria, più per le tue nevrosi e le manie da casalinga che per i tuoi precedenti; perché mi vuoi bene, ma sei talmente orgoglioso che non lo ammetteresti nemmeno sotto tortura».
Sasuke sollevò un sopracciglio, un gesto che ormai era consueto rivolgere alla testa quadra. Odiava essere un libro aperto ai suoi occhi, lo odiava.
Ma il suo sapore, il sapore di miso sulle sue labbra e sulla lingua, non lo odiava affatto.
«Dacci un taglio o ti uccido sul serio».
«Sasuke». Lo soffiò appena dietro il suo orecchio, a bassa voce, come a pregarlo. «Che ne dici se, per placare i tuoi istinti sanguinari, “ammazzassimo” un po’ il tempo insieme?».
«Idiota. È un altro il genere di istinto del quale dovresti preoccuparti».

 

Sasuke aveva tagliato tutti i suoi legami. O almeno, così credeva.
Ma ci sono unioni che non possono essere divise, fili che nemmeno la più affilata delle lame può recidere. Persone che né il gelo, né il buio, né le tempeste possono separare.
Perché, in fondo, qualunque cosa venga divisa rimane pur sempre formata da due metà. Passeranno anni, secoli ed intere epoche.
Ma irrimediabilmente, ciò che è stato diviso finisce – in un modo o nell’altro – per ricongiungersi.

  

“Iki wo shitemite
Tada no shiawase ni kizuitara mou nido to oborenai yo”

 

“Prova a respirare
Se mi sentirò felice, allora, non annegherò una seconda volta”

   
 
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