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Autore: Shnusschen    01/04/2012    1 recensioni
Sesta classificata al contest "A white rabbit with pink eyes ran close by Alice".
Come Silente ha avuto Fanny.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Eterni. Come la fenice.

Toc toc.

Il ticchettio alla finestra mi fece alzare lo sguardo dalla pergamena che stavo studiando. Un bellissimo gufo  nero attendeva sul mio davanzale. Un sorriso increspò le mie labbra. Gellert.

Ci eravamo salutati da meno di mezz’ora ma aveva già qualcosa da dirmi, sentiva già la mia mancanza.

E io la sua.

Aprii la finestra per lasciar entrare Ares, il suo gufo. Gli accarezzai le penne lucide e splendenti mentre sfilavo dal suo becco la lettera:

 

“Albus – lessi-

Ci siamo salutati pochi minuti fa ma sento già la mancanza delle tue argute opinioni, della tua intelligenza profonda e delle tue dolci labbra.

Stavo pensando ai Doni. Una volta che li avremo riuniti saremo i Padroni della Morte, i dominatori del mondo magico… Ci pensi?! Non moriremo mai. Potremo vivere insieme per sempre.

Sai cos’altro mi piacerebbe avere?

Una fenice.

Per quando saremo immortali, quale animale migliore di quello per noi? Il simbolo dell’eternità, dell’indistruttibile. Un animale che rinasce continuamente dalle proprie ceneri, che ad ogni sconfitta sorge più forte.

Sarebbe perfetto, non trovi?

Ci vediamo domani, Albus.

Pensami”

 

Chiusi la lettera continuando a sorridere.

Una fenice… solo Gellert poteva pensare ad una cosa del genere. Ed era un ulteriore segno della nostra affinità, del nostro legame: lui non poteva saperlo, ma la Fenice era il mio animale preferito, avevo sempre desiderato averne una.

Presi una pergamena pulita dalla scrivania e scrissi una risposta:

 

“Sai che la Fenice è sempre stata il mio animale preferito?

È una creatura straordinaria, estremamente rara e hai proprio ragione, come sempre, sarebbe il simbolo perfetto per i Padroni della Morte.

A domani Gellert, ti penserò, come sempre.

Buonanotte”.

 

Ignoravo che quella sarebbe stata l’ultima lettera che gli avrei mandato, ignoravo che la vera natura di Gellert, la sua malvagità, si sarebbe rivelata nel modo più duro e crudele possibile. Non sapevo che di lì a poche ore avrei avuto il cuore spezzato e avrei maledetto il giorno in cui quel ragazzo, il mio ragazzo, aveva messo piede a Godric’s Hollow.  

 

 

Erano passati ormai dieci anni dalla morte di Ariana, dal giorno in cui tutti i miei incubi avevano preso forma. La foresta vicino al castello era silenziosa e deserta. Sedevo nella fresca ombra creata dai rami di un vecchio e nodoso faggio e riflettevo. Mi piaceva insegnare, lo trovavo un compito adatto a me, eppure ogni tanto alzando lo sguardo sulla classe mi sembrava di scorgere il volto triste e accusatorio di Ariana o il ghigno malevolo e seducente di Gellert.

Erano sempre con me, soprattutto nei miei sogni. E purtroppo molti di questi non erano affatto incubi.

In quei giorni in particolare mi capitava di pensare a Gellert anche più del solito, probabilmente a causa delle ricerche cui mi stavo dedicando: stavo infatti studiando le sostanze magiche da bacchetta, in particolare le piume di fenice.

Era quindi impossibile non pensare a lui:

Una fenice.

Per quando saremo immortali, quale animale migliore di quello per noi? Il simbolo dell’eternità, dell’indistruttibile. Un animale che rinasce continuamente dalle proprie ceneri, che ad ogni sconfitta sorge più forte.”

Rivedevo le parole galleggiare davanti a me, scritte in quella sua grafia elegante. Non riuscivo a dimenticare nulla di quello che ci eravamo detti, di quanto ci era stato tra noi… Certo, avevo accantonato il sogno di diventare Padrone della Morte, avevo capito quanto fossi inetto di fronte al potere. Ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a dimenticare la fenice.

Era sempre stato il mio animale preferito ma non avevo mai pensato di poterne possedere una, un giorno; almeno finché non l’aveva suggerito Gellert. Da quel momento il tarlo era entrato in me e potevo ammettere, anche se solo con me stesso, che il desiderio di avere una fenice fosse collegato in qualche modo al desiderio di avere accanto qualcosa di lui.

 

La campana che segnava la fine delle lezioni echeggiò tra i prati, giungendo ad infrangere la quiete ovattata della foresta. Mi alzai e scuotendo i fili d’erba dalla veste mi incamminai verso il castello, dove la mia classe mi stava aspettando per la lezione.

Non notai che, appollaiata maestosamente sul faggio, c’era proprio una fenice, né la piuma che lasciò cadere vicino a me.

 

 

-Tu mi hai ucciso! Sei stato tu! Io ti volevo bene… Perché mi hai ucciso?- urlò Ariana piangendo.

Cercai di parlare, di giustificarmi, ma scoprii di non avere voce.

Intanto due braccia forti mi cinsero da dietro:

-Non mi hai dimenticato, vero, Albus?- soffiò dolce al mio orecchio- Hai dimenticato i nostri sogni, i baci?

Non riuscivo a parlare, né a muovermi. Ariana continuava a piangere sempre più forte e le braccia di Gellert mi tenevano sempre più stretto…

 

Mi svegliai di colpo, in un lago di sudore.

Improvvisamente la stanza mi sembrava troppo calda, opprimente, piena com’era dei residui del sogno. Così mi alzai e uscii nel parco, cercando di calmare il battito impazzito del mio cuore, di non fermarmi ad analizzare cosa lo faceva realmente andare così veloce.

All’improvviso vidi una fiamma davanti a me, un bagliore rosso e oro, e udii la più bella musica mai sentita.

Mentre questa cresceva d’intensità, calmando il mio cuore e riempiendo la mia anima. Per la prima volta dalla morte di Ariana sentii una gran pace.

La fiamma divenne più nitida, finché non scomparve, sostituita da una fenice.

Rimasi a bocca aperta, incapace di credere ai miei occhi. L’uccello era lì, davanti a me, magnifico nel suo piumaggio iridescente. Si avvicinò e sollevai una mano tremante a sfiorargli la lunga coda. Lei chiuse una volta i lucenti occhi scuri e si lasciò accarezzare, poi cominciò a volare verso il castello.

Ipnotizzato, la seguii fino in camera mia.

Non sapevo come era successo né perché, ma ora quel magnifico animale era mio. Mi aveva scelto.

Accarezzai la sua soffice testa e pensai, ovviamente, a Gellert.

Ma per la prima volta nei miei pensieri non c’era amarezza, senso di colpa, odio.

C’era solo la dolcezza del ricordo.

Avevo amato Gellert Grindelwald, di un amore totale e appassionato, e i miei sentimenti per lui non sarebbero mai cambiati. Avevo creduto che fossero ormai morti, sepolti dall’enormità di ciò che erano costati, ma mi sbagliavo. Erano rimasti lì, sotto la cenere, ed erano risorti più forti, proprio come una fenice.

Non voleva certo dire che l’avessi perdonato, o che avessi perdonato me stesso, per quello che era successo ad Ariana o che avessi ricominciato a illudermi sulla sua vera natura.

Solo che, da qualche parte dentro di me, l’avrei sempre amato. I ricordi del nostro amore sarebbero stati eterni. Come la fenice.

 

 

   
 
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