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Autore: kenjina    01/04/2012    5 recensioni
Non fu il dolore fisico che gli procurò quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle tenebre e dalle paure.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buona domenica a tutti!

In questo nuovo capitolo scoprirete di quale errore si sia macchiata Brethil in passato. Spero che la sua storia, compatibilmente a quella narrata dal Professore, possa piacervi.

Buona lettura!

 

Betulla

03.

27 Febbraio 3019 T. E.

 

«Dimmi, cosa sai di Gollum?»

Boromir non si aspettava una domanda simile e corrugò la fronte. Aveva sentito parlare di quell'essere solo durante il Consiglio di Elrond, a Gran Burrone, e affrontare quel discorso avrebbe portato all'Anello; lei avrebbe potuto chiedere perché ne avessero parlato con gli Elfi e lui non avrebbe saputo che rispondere per salvare la situazione. «Non molto, in realtà.»

Accolse lo sguardo canzonatorio della donna con impassibilità. Non poteva rischiare di mandare a monte l'assoluta segretezza della missione di Frodo.

«Sei un pessimo bugiardo, Boromir di Gondor.» disse Brethil. «Ma farò finta che tu ignori davvero la sua storia e quella dell'Anello, così che ti racconterò in dettaglio cosa accadde.» Gli diede nuovamente le spalle, guardando verso le colline di Rohan, come se proteggere il suo viso durante quel racconto potesse aiutarla a parlare liberamente. «Quando incontrai Gandalf per la prima volta fu diciotto anni fa. Ero una ragazzina, a quel tempo, che seguiva il padre ovunque andasse. Non erano molte le donne tra i Raminghi, che viaggiassero e combattessero per difendere le lontane terre del nord, ma ero stata educata con la convinzione che io stessa avrei potuto cambiare le sorti della Terra di Mezzo, con il mio aiuto. Fu durante quell'incontro che venni mandata con mio padre a sorvegliare i confini della Contea, laddove vivono gli Hobbit. Non sapevamo perché, Gandalf si era confidato solo con Aragorn; ma per gli anni successivi difendemmo le frontiere e alcuni di noi morirono per non lasciar passare il male in quelle terre incontaminate dall'ombra. Mio padre fu tra coloro che diedero la vita. Sette anni sono trascorsi. Ed è grazie a noi che la Contea è rimasto il luogo sicuro che è tutt'ora.

«Ma accadde che mia madre, rimasta a Dale, nell'estremo nord, oltre Bosco Atro, morì uccisa durante un incursione degli Orchi e io mi recai lì, con il permesso di Halbarad, grande amico e fedele compagno. Gandalf tornò l'anno dopo e partì insieme ad Aragorn per cercare Gollum, un essere che un tempo doveva essere stato un Hobbit, o qualcosa di simile. E quando Re Thranduil spiegò a me e a pochi altri chi fosse, mi fu chiaro il motivo per cui la Contea, sperduta e sconosciuta regione dei Arda, fosse diventata così importante; così come mi fu chiaro un sogno che mi raccontò mio padre. Ma di questo parlerò dopo.

«Gollum era stato derubato di qualcosa da un Hobbit, qualcosa che gli aveva avvelenato la mente e il corpo, rendendolo l'essere che è ora. Tu sai di cosa parlo, non è vero? Tu stesso hai sentito il suo potere e ne sei stato quasi sopraffatto.»

Boromir socchiuse le labbra, come per dire qualcosa. Ma lei lo precedette.

«Non darti pena per ciò che so. Il segreto è al sicuro, con me. Gandalf me ne parlò quando giunse a Edoras, dopo che riuscì a fuggire dalla torre di Orthanc e da quel momento, poiché mi ero confidata con lui, mi spedì messaggeri alati, bestie piccole e impercettibili come libellule, che mi aggiornavano sullo stato di cose lì, a Gran Burrone. Per un breve periodo ebbi vostre notizie, le ultime dicevano che foste alle pendici del Caradhras. Poi più nulla.»

«È così che mi hai trovato? Con le spie?»

«No, non così. Avevo visto un lontano gruppo di Orchi attraversare le terre di Rohan quando ero in esplorazione con i Rohirrim, e li inseguii. I cavalieri non mi impedirono di andare, ma loro non potevano accompagnarmi, perché Théoden non aveva dato loro nessun ordine. Ai margini dei colli di Amon Hen ho sentito tre volte il suono del corno e ti ho raggiunto seguendo i rumori della battaglia.»

L'Uomo osservò la giovane combattente e ne fu colpito. Neanche metà della storia era stata raccontata, eppure non riusciva ad indovinare cosa avesse potuto compiere dopo una vita di sacrifici e battaglie.

«Ma torniamo indietro, ho divagato troppo! Ti stavo parlando di Gollum e della caccia che Aragorn e Gandalf gli diedero. Spesero otto anni a cercarlo, ma quando avevano quasi perso le speranze e lo Stregone se n'era andato, Aragorn lo trovò e con non poche difficoltà riuscì a catturarlo e a portarlo a Bosco Atro. Lì venne rinchiuso in prigione e interrogato più volte. Io stessa mi trovavo nei pressi del regno di Re Thranduil e fu in quel momento che ebbi in sogno la stessa immagine che ebbe mio padre.

 

Nelle segrete degli Elfi Silvani

Lo Sturoi ha legate le mani.

La sua libertà è il prezzo da pagare,

Se il Mezzuomo la via oscura vuole attraversare.

Poiché debole è la luce della speranza,

eppur essa dimora ancora nell'Alleanza.

E tutte le genti s'uniranno sotto un'unica bandiera,

e l'Erede dell'Albero Bianco inizierà una nuova Era.

 

«Mi trovai davanti ad una scelta: ignorare quelle parole, del tutto simili a quelle udite dal mio genitore, o prestare loro ascolto e vanificare le fatiche di Aragorn e Gandalf, nella vana speranza che la salvezza giungesse realmente, se avessi liberato Gollum. Non sapevo come questo sarebbe potuto accadere, perché quell'essere tanto piccolo e apparentemente innocuo ha portato e porterà sempre male ovunque andrà. Ma non ebbi altra scelta. Quelle parole mi tormentarono ogni volta che chiudevo gli occhi. Non potevo lasciarle scivolare via.»

Boromir cominciò a capire e ne fu turbato. «Legolas disse che ci fu un attacco di Orchi a Bosco Atro, il giorno in cui Gollum fuggì.»

«Sì, è così. Erano giunti da Dol Guldur, a sud del Bosco, dove il male sembrava svanito per sempre. La prigione di Gollum era sorvegliata giorno e notte, come Gandalf aveva raccomandato, e io non sapevo come fare per prestar fede al sogno, che di notte in notte continuava ad ossessionarmi, senza darmi riposo. Quando gli Elfi di vedetta ai confini diedero l'allarme, molti vennero chiamati alle armi. Con me c'erano Halbarad e pochi altri Raminghi, e combattemmo per ore contro gli Orchi. Poi riconobbi le guardie delle prigioni, richiamate anch'esse per difendere la propria terra e capii che quella era l'unica occasione che avessi. Riuscii ad allontanarmi senza destare sospetti, continuando a combattere qualsiasi nemico mi sbarrasse il cammino e giunsi alle segrete. Lì Gollum, accovacciato su se stesso, blaterava qualcosa sul suo tesoro e provai pena. Ma non avevo le chiavi della cella, che era ben sicura poiché l'anima delle sbarre di ferro era di mithril. Così tornai indietro e catturai un Orco, il più possente possibile. Ci volle qualche tempo prima che riuscissi a costringerlo a seguirmi e ad addomesticarlo. Gli ordinai di usare tutta la forza di cui disponeva per allargare lo spazio tra una sbarra e l'altra. Non riuscì a piegare di molto il ferro, ma era sufficiente perché sia io che Gollum potessimo attraversare la cella. Mi sbarazzai dell'Orco e controllai che non ci fosse nessuno nei dintorni. La battaglia era ancora rovente, sulle nostre teste. Presi un respiro profondo e tenni ben salda la spada nella mano, quando entrai nella cella. Gollum si ritirò in un angolo, temendo forse che fossi andata ad ucciderlo, e mi studiò con i suoi occhi grandi e acquosi, sibilando e sputando. Tagliai la corda elfica che lo teneva bloccato e gli feci cenno di uscire. Ma non si mosse. Così mi avvicinai, per trascinarlo fuori, ma lui mi temette ancora e mi aggredì. I segni che ho in viso sono il ricordo che mi lasciò per ringraziarmi.» Brethil sospirò e chiuse gli occhi, come se si fosse appena liberata di un peso schiacciante che le opprimeva i polmoni. «Ora capisci il perché della rabbia di Aragorn. Capisci le mie ferite. Capisci cosa accadde veramente.»

«Lui come lo scoprì? Che fosti tu a liberarlo, intendo.»

«Halbarad mi vide poco dopo. Notò il mio volto insanguinato, ma non domandò come mi procurai le ferite, perché pensava avessi combattuto altrove. Poi, alla fine della battaglia, quando anche gli ultimi invasori furono uccisi o catturati, giunsero gli Elfi, che con terrore raccontarono della fuga di Gollum. Fu opinione di tutti che quell'attacco fosse stato organizzato per liberarlo, ma Halbarad mi guardò negli occhi e non riuscii a nascondergli niente. Capì tutto e io ebbi vergogna per ciò che avevo fatto. Ma lui mi amava come una figlia e sorella, e non parlò a nessuno di ciò che venne a sapere. Non capisco ancora le ragioni del suo silenzio, ma è probabile che abbia avvertito Aragorn del mio gesto.

«Così me ne andai, perché non c'era più niente che mi legasse alla mia gente. Temevo i loro sguardi, e mi pentivo. Ma non ho mai perso la speranza che sia io che mio padre fossimo nel giusto; che forse quel Gollum possa davvero avere una parte importante in questa storia. Gandalf mi comprese e non mi condannò, poiché anche lui era convinto che quell'essere disperato abbia ancora un ruolo da svolgere, prima della fine di tutto.»

Boromir non riuscì a trovare le parole per parlare. Ciò che quella donna aveva fatto era senz'altro grave, eppure non ebbe la forza di rimproverarla. Aveva provato sulla sua pelle, e il fratello con lui, il potere dei sogni premonitori e, dato che anche nelle sue vene scorreva il sangue di Númenor, era altamente probabile che il suo racconto fosse veritiero. La richiamò e si accorse con pena che stesse piangendo.

«Sono una persona orribile, Boromir. Ho vanificato otto lunghi anni della sua vita con un unico e semplice gesto, e per questo giustamente mi odia.»

«Perché Gandalf non gli ha spiegato tutto?» fu l'unica cosa che Boromir riuscì a chiederle.

«Perché l'ho pregato di non dirglielo. Non voglio il suo perdono, non lo merito.»

«Neanche io merito il suo perdono, né quello di tutta la Compagnia. Ho tentato di rubare l'Anello a Frodo, un gesto ben più spregevole che nessun sogno mi ha mai consigliato di fare. Eppure lui me lo ha dato, mi ha perdonato. Mi considera ancora un amico, addirittura! Non è folle, questo?»

Brethil asciugò le lacrime con il dorso della mano, e si alzò. «Forse hai ragione tu, forse dovrei pentirmi con lui e accettare qualsiasi sua condanna. Ma ho paura di leggergli negli occhi tutto il suo disprezzo e la sua amarezza. Preferirei che mi uccidesse, piuttosto che sopportare il suo odio.» Poi si voltò, e si strinse nelle spalle. «Questa è la mia storia, Boromir. Ora anche tu hai un segreto che deve rimanere al sicuro. Mi sono fidata di te.»

Lui annuì, portandosi una mano al cuore. «Puoi fidarti di me, Brethil figlia di Aeglos. Forse un giorno le tue gesta verranno raccontate nelle canzoni e tutti ringrazieranno il tuo nome quando lo udranno.»

La Dùnadan rise, senza allegria. «E cosa chiederanno i figli ai loro padri? "Raccontami la storia di Brethil, la Sfregiata"?»

«O magari la storia di Brethil, la Liberatrice.»

Quella sbuffò, agitando con una mano quel pensiero sciocco, come per scacciare un fastidioso insetto. «Vado a procacciare un po' di cibo per il pranzo. Intanto pensa al viaggio di domani. Ho già sottratto troppo del tuo prezioso tempo con i miei racconti. E se hai bisogno di qualcosa chiamami, non starò molto lontano.»

Boromir la seguì con lo sguardo finché non scese la scala e la intravide nella radura del Seggio, prima di sparire tra gli alberi. Rimase con il capo poggiato alla fredda pietra, ripensando alla storia che aveva appena sentito. Quella donna aveva avuto coraggio a sfidare le leggi degli Elfi e i loro controlli, così come era stata coraggiosa a mettere da parte il forte legame che la univa ai suoi consanguinei per il bene della Terra di Mezzo, o almeno, per quello che lei credeva e sperava.

E lui? Lui cosa avrebbe dovuto fare per riparare gli errori che aveva commesso? La Compagnia aveva fallito per causa sua, eppure non si era del tutto sciolta. Forse poteva, doveva ancora dare il suo contributo per aiutare i suoi amici. Avrebbe potuto ringraziare Aragorn della sua fiducia e della sua amicizia standogli accanto, dandogli il supporto per vincere la guerra, per spianargli la strada verso il trono di Gondor. Più passava il tempo e più si rendeva conto che quello era il suo compito, ora. Avrebbe seguito il suo Re ovunque, anche al Nero Cancello, se fosse stata la sua volontà. Avrebbe combattuto al suo fianco, sarebbe morto per lui. Solo così poteva redimersi, solo così poteva meritare il perdono di tutti. E in cuor suo fu grato a quella donna che gli aveva confidato le sue paure e le sue colpe, che gli aveva aperto gli occhi ed era stata sincera fin dall'inizio. Perché ora anche lui aveva un obiettivo da centrare.

Passò quasi un'ora prima che Brethil tornasse e quando la vide sbucare dal bosco si sentì sollevato. Per quanto avesse capito che fosse in parte come un uomo, per la vita che aveva vissuto fino a quel momento, non poteva risparmiarsi di pensare che fosse pur sempre una donna, e non gli garbava l'idea che fosse lei a prendersi cura di lui, e non viceversa, e che andasse a cacciare da sola in un luogo potenzialmente pericoloso.

«Ti piace la carne di volpe?» gli domandò, dal basso.

Boromir si sporse, spalancando gli occhi. «Molto! Ne hai presa una?»

«No, mi dispiace, di nuovo lepre. Una a testa.»

L'Uomo si lasciò andare ad una risata, stanca ma divertita, e lei sorrise con innocenza.

Brethil lo raggiunse subito dopo per aiutarlo a scendere. «In realtà una volpe c'era, ma mi è scappata.»

«Le lepri andranno benissimo, non preoccuparti. Sempre meglio che mangiare il pane degli Elfi. Utile, quando il cibo scarseggia, ma il mio stomaco non è abituato a simili pasti.»

Tornarono sotto il portico e lì si sedettero. Boromir protestò, perché avrebbe voluto rimanere in piedi per un po', ma lei fu irremovibile.

«Domani camminerai quanto vuoi, ma per oggi rimarrai seduto qui. Te lo chiedo per favore.» aggiunse poi, vedendo l'espressione contrariata dell'Uomo, che non poté far altro che annuire.

Pulirono insieme la coppia di animali e Boromir tornò a sentirsi utile, finalmente. Era ancora debilitato dal sangue perso, ma grazie alle cure della donna, stava lentamente riprendendo le energie e se ne accorse dalla forza con cui riuscì a stringere il coltello tra le mani. Aveva voglia di riprendersi del tutto per combattere, per ritrovare i piccoletti e mantener fede alla propria promessa. Aveva voglia di vivere, come mai in vita sua.

«Parlami di Minas Tirith.»

Se qualcuno delle guardie di suo padre, o Denethor stesso, avessero sentito quella richiesta le avrebbero tagliato la lingua. E probabilmente, se fosse stato più giovane e non la conoscesse un poco, lui stesso l'avrebbe rimproverata - come fece poco dopo, sebbene fosse tutto fuorché serio. «Bada a come parli, ragazza. È per caso un ordine?»

Si accorse con stupore che quella arrossì e chinò il capo, servizievole. «Perdonami, non volevo essere maleducata.» s'affrettò a dire.

Lui, inaspettatamente, sorrise. «Scusami tu, non ho saputo resistere.» le disse, puntandole il coltello contro e agitandolo come se fosse il dito di un anziano tutore che rimproverava il proprio studente. «Ti prendo in giro.»

Brethil divenne ancora più rossa e lui, quella volta, rise di cuore.

«Non vedo cosa ci sia di divertente.» borbottò la donna.

«Ti ho per caso offesa?» domandò, accigliato. Non era abituato a trattare con il sesso opposto, cresciuto in un ambiente di soli soldati, sebbene la madre, quando era molto piccolo, gli avesse dato qualche lezione a proposito delle buone maniere. Pensandoci bene, forse avrebbe dovuto prestarle maggiore ascolto, anche se lui, fin da bambino, aveva sempre rifiutato l'idea di prendere moglie.

«Certo che no! Sono io che ti ho praticamente ordinato di parlare. Ma...»

«Ma?»

«Mi sento una perfetta stupida.» disse Brethil, imbarazzata. «Non ho molta esperienza con i figli dei Sovrintendenti. La personalità più in vista con cui ho parlato è stato Re Thranduil. E Théodred e Éomer mi considerano un uomo al loro pari, figurati. Ricominciamo, che ne dici?»

Boromir acconsentì, incuriosito da quel lato più femminile della Dùnadan che ancora non aveva mostrato. E le parlò della sua città, che lei non aveva mai visitato. L'entusiasmo era palpabile nei suoi occhi chiari, tanto che le parve di vedere quella maestosa città di pietra bianca splendere davanti a sé. «Ogni volta che rientro dalle spedizioni o dalle passeggiate con Faramir, e mi appare dietro una collina mi lascia senza fiato. Risplende come la luna nelle sue notti più luminose, fiera e altera guarda al nemico con orgoglio e disprezzo, come la chiglia di una nave che taglia in due le onde. E non c'è esercito che possa farla crollare, possente e regale come è. Quando eravamo piccoli, io e mio fratello facevamo a gara a chi giungesse per primo alla cittadella, passando per i vari anelli. Rischiavamo sempre di essere investiti da qualche cavallo o carro.»

«E chi vinceva, di solito?»

«Lui.»

Dall'occhiata divertita, perso nei ricordi, Brethil intuì che forse era anche merito suo, e si divertì ad immaginarlo da bambino.

«E la Bianca Torre di Ecthelion, che troneggia sui Campi del Pelennor e risplende di luce propria, contro l'ombra della Torre di Barad-dûr. Da quell'altezza puoi guardare ovunque la città sotto i tuoi piedi, che pullula di vita, di bellezza, di musica.»

«Sei innamorato così tanto della tua città.»

«Sì, lo sono. E un giorno, quando vi farai ritorno insieme al Re, l'amerai anche tu, poiché è anche la tua città.»

Lei si strinse nelle spalle. «È strano. Non ho un posto che possa chiamare casa. Il Nord mi ha vista crescere, eppure sento di non appartenervi. Forse, se mai accadrà, quando mi trasferirò a Gondor le cose cambieranno. Forse anche io avrò una casa che potrò considerare tale.»

L'Uomo annuì. Gli fu difficile immaginare una vita trascorsa a vagabondare da una landa all'altra, senza fermarsi mai nello stesso posto, se non per pochi mesi. Quando stava troppo tempo lontano dalla sua città, un forte senso di nostalgia lo pervadeva, e non riusciva a placarlo se non con l'idea dell'imminente ritorno. E allora, solo allora, si sentiva completo e in pace con se stesso. Non c'era niente che potesse renderlo più orgoglioso della sua terra e dei suoi abitanti. E l'idea di Mordor che incalzava e metteva a rischio la sopravvivenza della città e del suo popolo lo faceva ribollire di rabbia e di determinazione.

Nessun esercito avrebbe dissacrato Minas Tirith, finché lui e i suoi soldati avessero avuto energie in corpo.

 

 Quella notte, come la precedente, Brethil non dormì, se non un paio d'ore dopo l'alba, quando la luce del sole li proteggeva dalle creature notturne. Era rimasta poggiata contro la colonna diagonalmente opposta a quella sotto la quale Boromir si era addormentato. Avvolta nel suo mantello e con il cappuccio calato sugli occhi, stringeva l'arco tra le braccia e le gambe incrociate, guardando senza realmente vederle le ultime scintille del piccolo focolare che aveva acceso. La sua mente era, infatti, densa di pensieri e ricordi, che il racconto di quel giorno le aveva fatto rivivere.

L'aveva sorpresa la semplicità con cui aveva parlato del suo segreto più buio, delle sue memorie più dolorose; era stato difficile trovare il coraggio di iniziare, ma quando aveva cominciato non era riuscita a fermarsi. Aiutata forse anche dal fatto che non guardasse in viso il suo interlocutore, dandogli le spalle per sentirsi più protetta e non vedere lo sguardo di rancore dell'altro, si era tolta un pesante fardello che le opprimeva l'anima. E lui l'aveva ascoltata quasi senza interromperla.

Aveva dovuto fare numerose scelte difficili nella sua vita ancora giovane, e si era sempre chiesta quali altre prove i Valar avessero seminato sul suo cammino. Ma quella che aveva dovuto affrontare a Bosco Atro era stata la più dura. Con un solo gesto aveva tradito tutti: gli Elfi e Re Thranduil, che a quel tempo serviva, e che avevano preso in custodia Gollum; i suoi consanguinei e compagni, Raminghi da una vita, la sua stessa famiglia; e Gandalf, che aveva inseguito quell'essere per otto lunghi anni, e Aragorn con lui.

L'Erede di Isildur le aveva raccontato di quanti perigli avesse dovuto affrontare nel viaggio di ritorno, quando Gollum si rifiutava di seguirlo e non perdeva occasione di morderlo e ferirlo per farlo desistere. "In più puzzava terribilmente!", aggiungeva, ora con più sollievo e divertimento, rassicurato dal fatto che non avrebbe dovuto avvicinarsi più a lui. E allora lei e Halbarad, quando andavano in esplorazione e riposavano un poco, lo ascoltavano mentre descriveva le terre di Gondor, che in cuor suo amava più di se stesso, e della malvagità che si era risvegliata ad Est, con il Monte Fato nuovamente in piena attività. E domandava loro cosa avessero fatto in quei lunghi anni di assenza, dispiacendosi per la morte di persone conosciute e amiche e rallegrandosi delle loro vittorie. E lei, lei aveva distrutto tutto il suo lavoro per un sogno e una fioca speranza.

Brethil amava Aragorn e Halbarad come se fossero insieme padri e fratelli, oltre che gli amici più fidati; in particolare quest'ultimo, che si era affezionato a lei quando era rimasta sola, senza il conforto del padre deceduto. Aveva deciso di prenderla sotto la sua ala, e insieme avevano affrontato molte battaglie, gioie e dolori. Aragorn sapeva del legame che univa i due e quando chiamava il suo braccio destro lontano da lei, Brethil s'incupiva e riusciva, in un modo o nell'altro, a seguirli e ad unirsi a loro. Molte volte il Capitano dei Raminghi del Nord l'aveva rimproverata per aver curiosato in faccende che non la riguardavano, ma non riusciva a rimanere adirato troppo a lungo, perché sapeva che avesse agito in buona fede e per amore. E soprattutto, si fidava di lei. Lei, che l'aveva tradito!

Più volte fu tentata dal raccontare il suo sogno ad Halbarad, quando Aragorn era lontano, ma mai trovò il coraggio, perché lei stessa reputava folle l'idea, frutto dell'influenza del padre. Magari, se quest'ultimo non le avesse mai parlato del suo sogno, lei non avrebbe dovuto affrontare niente di tutto quello. Ma ormai il più era fatto e non sarebbe potuta tornare indietro. L'unica via d'uscita era l'attesa, che la stava lentamente consumando.

Brethil alzò il capo, sentendo un mormorio roco. Si avvicinò a Boromir silenziosamente e si accorse che stesse parlando nel sonno. Non riusciva a capire cosa dicesse, ma era evidentemente un sogno agitato, quello dell'Uomo, poiché era sudato e la fronte era corrugata da preoccupazioni e timori.

«Boromir.» Si chinò su di lui, accarezzandogli un braccio e scuotendolo un poco.

«Non sono un ladro...»

«Boromir, svegliati.» disse, ora con più vigore, scostandogli i capelli sudati dalla fronte.

«No, no! Frodo, mi dispiace. Frodo! Frodo!»

L'Uomo spalancò gli occhi e bloccò con forza il polso di lei. Gli ci vollero parecchi secondi prima di rendersi conto di dove fosse.

«Boromir, mi spezzi il braccio, così.»

«Perdonami, io... ti chiedo scusa.» mormorò, lasciandola andare, atterrito.

Si mise a sedere a fatica e prese respiri profondi per calmarsi. Accettò con mani tremanti la borraccia d'acqua che lei gli porse e bevette qualche sorso per rinfrescare la gola secca. Rimase in silenzio, cercando di riprendersi e di non badare, con scarsi risultati, all'imbarazzo che lo assalì. Rare erano state le volte che aveva parlato nel sonno da bambino, e tutte a causa della morte precoce della madre; e ora doveva accadere con quella donna nelle vicinanze!

Brethil lasciò passare qualche minuto, inginocchiata accanto a lui, prima di chiedergli come si sentisse.

«Bene, sto bene.» disse Boromir, poco convinto. «Era solo un incubo.»

«Sì, ho visto. Per questo ti ho svegliato.»

«Grazie per averlo fatto.» Chinò lo sguardo sulle sue mani. Le mani di un ladro. Mani che stavano per fare del male alla sua ancora di salvezza. «Ti ho ferita?»

La Dùnadan mosse il polso, scuotendo il capo. «Tranquillo, nessun male. Sono fiera di me stessa, piuttosto. Con la forza che hai usato per stringermi il braccio posso dire con certezza che ti stia riprendendo.»

«Perdonami, non ero in me.» mormorò.

E neanche quella volta era se stesso. Quando aveva aggredito il Mezzuomo. Quando aveva decretato la sua condanna.

«Boromir.» lo richiamò lei, stringendogli una mano.

«Temo di perdermi, Brethil. Non riesco più a riconoscere me stesso.»

Lei sospirò, sollevando lo sguardo al cielo. «Come posso aiutarti?»

«Fai tacere queste voci, ti prego.» sussurrò, portando le mani sul viso. «Non le sopporto più. Giungono con la notte, sussurrano al mio orecchio e mi sconvolgono, sempre di più.»

«Che cosa senti?»

«Insulti. Mi chiamano ladro, e traditore. Sono le voci di Frodo, di Aragorn, di Gandalf... di tutta la Compagnia. E poi arriva lui, strisciando come un serpente s'insinua nei miei pensieri, e mi chiama. L'Anello mi perseguita, Brethil. Aiutami a farli tacere.»

La donna si morse un labbro nel vederlo così ridotto. Ma cosa avrebbe potuto fare lei per farlo stare meglio? «Boromir, non posso scacciare i tuoi incubi. Devi essere tu a farlo.»

«Ma non riesco.»

«Riuscirai.» Gli scostò le mani dal viso e lo guardò negli occhi, con pazienza. «Riuscirai quando capirai che nessuno ti considera un ladro e traditore. Riuscirai quando capirai che l'Anello non è più un pericolo per te. È lontano, con Frodo. Non può nuocerti più.»

«Sì, è lontano.» Boromir sospirò pesantemente e lei ritirò le mani sulle gambe.

Avrebbe voluto dirgli quanto lo comprendesse, in parte, e quanto stesse soffrendo per lui; ma sapeva che sarebbero state parole inutili, in momenti come quelli. E sapeva anche che la compassione era l'ultima delle cose che lui avrebbe voluto. «Presto avrai altri pensieri che affolleranno i tuoi sogni. Hai un popolo da difendere, e conta su di te. Devi solo stringere i denti e andare avanti.»

«Come hai fatto tu.»

Lei annuì. «Ora riposa, se riesci. Io sono qui.»

Quasi Boromir non si rese conto della proposta che le fece, né si accorse del rossore che le imporporò il viso. «Stenditi accanto a me, per favore. Dormirò meglio sapendo che sei qui.»

E lei, riluttante, fece come le aveva chiesto. Boromir si addormentò qualche minuto dopo, una mano di lei stretta nella propria. Brethil, invece, non chiuse occhio, se non alle prime luci dell'alba.

Quella volta le voci non disturbarono il suo sonno e Boromir si svegliò di buona lena verso le otto, vista la posizione del sole in cielo. La prima cosa che vide appena aprì gli occhi fu il volto addormentato di Brethil. Sembrava riposare tranquillamente, perché la sua espressione era serena. Solo quei quattro graffi indelebili deturpavano quel quadro di quiete, riportando alla mente il suo triste racconto. I capelli neri erano scarmigliati, come il primo giorno che l'aveva vista, ed erano corti - mai aveva incontrato una donna con i capelli della sua lunghezza; eppure guardarla gli mise buon umore. Era una sensazione nuova, per lui, quella di trovare conforto in qualcuno che non fosse se stesso, poiché era lui, solitamente, che infondeva forza e coraggio negli altri. Però gli piaceva, e decise che l'avrebbe ringraziata a modo suo.

Si alzò lentamente, sciogliendo la presa sulla mano di lei, e si mise a sedere. Non aveva problemi di respirazione, se non qualche fitta passeggera, e ormai le ferite gli prudevano per la cicatrizzazione. Poteva considerarsi guarito, e in tempo così celere, poi. Solo un giramento di testa lo colse appena si alzò, ma tentò di non pensarci. Aveva un compito da svolgere, prima di essere fermato dalle vertigini della debolezza.

Brethil si svegliò mezzora dopo, con il braccio indolenzito per averci dormito sopra. Sbatté le palpebre più volte quando si accorse che Boromir non era più accanto a lei, temendo che avesse ancora gli occhi appannati dal sonno. Ma quando si rese conto che l'Uomo fosse sparito sul serio pensò al peggio. Forse erano stati attaccati? Eppure non udiva i rumori di una battaglia, niente ferro contro ferro, nessun grido. No, la collina era deserta. Allora dove era andato?

La Dùnadan si alzò velocemente, guardandosi intorno. Lo scudo era ancora poggiato in un angolo, ma mancava la spada e il pugnale. E l'arco che le aveva regalato il padre.

«Boromir di Gondor, se ti succede qualcosa giuro che ti finisco con le mie mani.» mormorò, correndo tra gli alberi per cercarlo.

Ma venne fermata dalla sua voce, alle sue spalle.

«Dove vai? Ho qualcosa che ti appartiene... e che ti riempirà lo stomaco.»

Non credette ai suoi occhi quando, voltata verso l'Uomo, lo vide con un piccolo cervo in spalla e un'espressione vittoriosa in volto.

«Ti piace la carne di cervo?» le domandò, ridendo del suo sguardo stupito. «Non sono mai stato bravo con l'arco; ma dammi un pugnale e una preda a venti piedi di distanza, e ti assicuro che posso colpirla in fronte.»

E dicendo quelle parole gettò l'animale ai suoi piedi, cosicché vedesse il pugnale conficcato tra gli occhi della bestia.

Brethil incrociò le braccia, scuotendo il capo. «Questo dovrebbe essere il momento esatto in cui dovrei iniziare un rimprovero degno di una madre contrariata.»

Lui allargò le braccia, poggiandosi con nonchalance contro una colonna, per non perdere l'equilibrio. «Sono in forze, madre. E ti ho portato la colazione. Sono un figlio modello, direi.» disse, porgendole l'arco e la faretra, che non aveva utilizzato. Si sedette subito, però, perché si era affaticato troppo e non voleva che la donna se ne accorgesse.

Sorridendo divertiti, scuoiarono il cervo e prepararono da mangiare. Il buon profumo di carne arrostita fece brontolare i loro stomachi e mangiarono a volontà, rendendosi conto di essere affamati.

«Hai deciso cosa fare?»

Boromir sollevò lo sguardo sulla donna, e annuì. «Sì, ci ho pensato bene. Voglio seguire le orme degli Orchi e rintracciare Aragorn. Il mio posto è accanto a lui.»

«Sono trascorsi tre giorni da quando sono partiti, e sebbene siano a piedi saranno molto lontani.» gli fece notare Brethil. «Non vuoi andare a Minas Tirith?»

«Solo io so quanto desideri farlo. E sì, mi recherò alla mia città. Ma non ora.»

«D'accordo.» La donna sorrise. «Raggiungeremo Aragorn e gli altri. Le tracce degli Orchi saranno ben evidenti.»

«Piuttosto, avanzerà del cibo.» fece Boromir, guardando con dispiacere la carne. «È un vero peccato buttare una così bella preda.»

«Lo credo, dopo che l'hai cacciata ferito e debilitato, Uomo testardo! Ma non temere, ti darò l'ultima dose di Athelas e useremo le foglie che la proteggono dalle intemperie per conservare la carne. Così ne avremo anche pranzo, cena e forse anche colazione.»

«Riponi troppa fiducia nella capienza del tuo piccolo stomaco. Non metterne nel mio.» l'ammonì lui.

«Ma non sei un Hobbit, il che è buona cosa. Altrimenti sì che sarebbe finita!»

Con il cuore leggero dai racconti pesanti del giorno prima e l'umore sollevato dalla colazione, i due raccolsero le loro poche cose - armi, più che altro - e lasciarono il Seggio della Vista, verso l'uscita da quei colli che li avevano ospitati. Camminarono  tra la foresta e le colline di Amon Hen per mezza giornata, fortunatamente senza perdersi. Brethil sembrava conoscere bene quegli alberi e quei sentieri invisibili che percorrevano, con lentezza, per permettere al ferito di riposare e non stancarsi troppo, nonostante lui si rifiutasse di interrompere il cammino e non accettasse il suo aiuto. Per tre volte la donna aveva fermato il passo, rimanendo in silenzio con una mano poggiata sul tronco di un albero, o con l'orecchio teso contro una roccia, per ascoltare ciò che il terreno aveva da raccontarle. Boromir non fece domande a riguardo, poiché aveva visto che anche Aragorn sapesse leggere l'ambiente circostante per orientarsi, come stava facendo lei. Quando raggiunsero la fine delle colline, Boromir rimase senza fiato. Aveva cavalcato alcune volte per le vaste praterie di Rohan, l'ultima volta proprio qualche mese prima, ma non si era mai soffermato a godere della loro bellezza: immense distese di colline e valli di erba, con macchie di verde e giallo a seconda delle specie e della presenza di acqua; stagni e piccoli laghi s'intravvedevano a perdita d'occhio e una striscia argentata, che pareva uno specchio di luce, indicava il corso del fiume più importante della zona, l'Entalluvio.

Brethil si guardò intorno, per cercare qualcosa che però non trovò. Allora mise due dita tra le labbra e fischiò con quanto più fiato avesse in corpo. Un nitrito provenne da nord e poco dopo la sagoma di un cavallo, bruno come la terra e bardato degli emblemi di Rohan, giunse al galoppo.

«Boromir, lui è Nerian, il mio compagno di viaggi da qualche mese.» disse Brethil, accarezzando la criniera del destriero, che non si sottrasse nemmeno alle attenzioni dell'Uomo.

«Raggiunsi Edoras perché il mio scappò a una notte dalla città, lasciandomi a piedi. Mi chiedo se quello che mi prestarono abbia mai fatto ritorno a casa.»

La Dùnadan annuì. «I cavalli dei Rohirrim sono veloci e intelligenti; sanno ritrovare la strada del loro paese. E soprattutto, non lasciano a piedi il proprio cavaliere.»

Tra le risate dell'Uomo, Brethil salì in sella e lasciò una staffa libera, affinché anche lui potesse raggiungerla. Fu solo quando lo sentì dietro di lei, che le stringeva la vita per non perdere l'equilibrio, che spronò Nerian al galoppo, e si misero alla ricerca degli Orchi. Non impiegarono troppo a trovare le tracce evidenti del loro passaggio, poco più a sud-ovest: pesanti piedi avevano pestato l'erba, verso Isengard. Esseri che avevano una fretta tremenda, accelerati da fruste e minacce. Boromir sentiva ancora nelle orecchie lo scalpitio di quei piedi rivestiti di ferro, mentre correvano con gli Hobbit, fuori da quei colli, ignorando il suo corpo straziato dalle frecce, aggirandolo e gridando in quell'orribile linguaggio.

Scosse il capo, scacciando con rabbia quei momenti. Li avrebbe uccisi con tutta la forza di cui disponeva. Avrebbe trucidato chiunque avesse osato solo posare gli occhi sui piccoletti. Si sistemò un poco sulla sella, che sebbene fosse larga e comoda per una persona, difficilmente conteneva un uomo e una donna; non voleva disturbare la cavalcata di Brethil, tantomeno metterla a disagio per la sua vicinanza, ma lei non sembrava badarvi. E neanche Nerian sembrò badare al suo carico, dato che non cedette l'andatura neppure un momento. Non parlarono molto per tutto il viaggio, se non le poche volte che si fermarono per controllare il territorio con più attenzione.

«Hanno accelerato di molto il passo.» disse Brethil, controllando le tracce e sfiorando il terreno. «Più di tre giorni di vantaggio ci separano da loro.»

«Muoviamoci, dunque.» Le porse una mano. «Sali dietro, ti do il cambio.»

«Boromir...»

«Sali, non lo ripeterò.» e aggiunse, meno duramente. «Cavalcherò io, finché il mio corpo non mi chiederà pietà.»

E così fece, fino a metà pomeriggio. Boromir non volle fermarsi per riposare, se non il tempo di rifocillarsi; e nonostante le proteste della donna, che temeva un suo collasso da un momento all'altro, proseguì il galoppo fino a notte tarda. Tra i dolci pendii di Rohan, giunsero in un piccolo anfratto scavato dal vento nella roccia, al riparo dalle correnti d'aria ma non da occhi indiscreti.

Boromir poggiò lo scudo contro la pietra e si sedette, esausto. Aveva esagerato, testardo com'era, e rimanere quasi tutto il giorno rigido sulla sella non aveva aiutato il suo busto in via di guarigione. Ma non ne fece parola con Brethil, che comunque gli lesse la sua stanchezza in viso.

«Hai poco rispetto per te stesso, Boromir. O sei troppo orgoglioso per ammettere i tuoi limiti.» gli disse, mentre quello si lasciava cadere sull'erba. «Non servi a nessuno spossato.»

Quello non rispose, intimamente seccato dalla sua debolezza. Aveva visto che le ferite si fossero rimarginate in fretta, quindi non doveva temere di compiere sforzi di qualunque tipo; e invece ecco che avvertiva nuovamente dolore ad ogni movimento che il cavallo faceva durante la marcia. Non sopportava l'immagine di se stesso stanco e debole, era inconcepibile. «Ci metteremo in viaggio tra tre ore.»

«No.» disse lei, osservando distrattamente il terreno. Quasi non sentì la protesta dell'Uomo contro quel no secco, perché si era già accovacciata a controllare delle tracce. «Qualcuno si è accampato, qui. E deve aver anche acceso un piccolo falò.» Spostò lo sguardo verso destra, inchinata sul terreno. «Erano in tre, due hanno dormito qui, accanto alla tua posizione. Il terzo era di guardia, accanto al fuoco.»

Gli occhi di Boromir brillarono. «Dici che si tratta di Aragorn, Legolas e Gimli?»

«Sì, credo di sì. Le impronte risalgono al massimo alla scorsa notte.»

«Bene. Molto bene.» disse l'Uomo, con un sorriso. «Li stiamo raggiungendo.»

Lei annuì. «Proprio per questo possiamo fermarci qualche ora in più. Ti ricordo che stavi per morire fino a tre giorni fa, Boromir. Non giocare troppo con la sorte.»

«Ma non sono morto, e riprendo le forze velocemente. Non mi attarderò più del necessario, sapendo che due miei amici sono diretti verso l'ombra e la tortura di uno Stregone, e che altri tre sono sulle loro tracce.»

Sentendo con quel tono, Brethil capì che la discussione fosse finita.

 

 

 

 

*

Note: dal racconto di Legolas, Gollum fuggì da Bosco Atro aiutato dagli Orchetti, mentre gli Elfi lo avevano portato a spasso per gli alberi. Nella mia storia Gollum era chiuso in prigione, e gli Elfi di guardia si allontanarono per difendere il loro regno, così che Brethil poté liberarlo senza essere vista. Spero che questo piccolo cambiamento non vi stravolga troppo. Di seguito una piccola cronologia che vi chiarisca i vari passaggi, per chi non ricordasse bene la storia.

2956 - Aragorn incontra Gandalf e inizia così la loro amicizia.

2984 - nascita di Brethil. (*)

3000 - la Contea è rigorosamente custodita dai Raminghi.

3001 - vigilanza raddoppiata, Gandalf cerca notizie di Gollum e chiede l'aiuto di Aragorn.

3009 - Gandalf e Aragorn cercano Gollum per gli otto anni successivi.

3017 - Aragorn trova Gollum e lo porta a Bosco Atro.

3018 - Gollum fugge.

(*) Mi sembra superfluo precisarlo, ma questo ovviamente è una mia aggiunta.

 

Grazie a tutti i lettori!

A presto,

Marta

   
 
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