Rabbrividisco nel mio maglioncino
blu. Le
foglie scricchiolano sotto le mie scarpe.
Malgrado sia una notte
d’estate fa
piuttosto freddo e il vento leggero mi scompiglia i capelli.
Non so perché me ne stia
qui a camminare
al buio di questo piccolo parco.
Per dimenticare, forse.
Mi perdo nei miei pensieri
finché non
arrivo ai piedi di un alto edificio. Sollevo lo sguardo e scopro che si
tratta
dell’osservatorio di New York. Mi sono sempre piaciute le
stelle.
Quasi senza accorgermene, entro e
salgo
con l’ascensore fino all’ultimo piano. Quando le
porte si aprono, il cuore si
ferma per un momento alla vista delle luci della città,
lontane e vicine al
tempo stesso. Il panorama è stupendo, indescrivibile. Mi
avvicino alla ringhiera,
lungo la quale sono disposti i vari binocoli per scrutare il cielo. Mi
perdo
osservandolo, mi pare che passino ore.. “ma che importanza ha
il tempo quassù?”,
penso sorridendo.
Improvvisamente mi scivola la mano,
il
binocolo si sposta verso il basso e i miei occhi vedono un ragazzo,
seduto su una
panchina del parco di prima. Sembra preoccupato, sta fermo con le gambe
piegate, i piedi sul bordo della panchina e le braccia appoggiate alle
ginocchia, lo sguardo perso nel vuoto.
Impossibile non cogliere il dolore
nei
suoi occhi verdi.
Malgrado
l’oscurità in cui era immerso,
quel ragazzo misterioso ai miei occhi brillava più di
qualunque stella del
cielo.
È ancora notte, sono
ancora nel parco. L’immagine
del ragazzo mi ha tormentata tutto il giorno e sono decisa a scoprire
chi è. Mi
metto quasi a correre, ma quando arrivo alla panchina la trovo vuota.
“Ma cosa mi è
saltato in testa? Cosa credevo?
Uno non passa tutte le notti sulla panchina di un parco!”.
All’improvviso mi sento
strana, mi
chiedo cosa ci faccio qui..
Decido di andare ancora
all’osservatorio.
L’ascensore sembra essere più lento della sera
prima, quando si apre, lascia
spazio al solito panorama mozzafiato, che mi appare
all’improvviso meno
attraente.
Schiaccio gli occhi contro il
binocolo
per fermare le lacrime che minacciano di cadere.
“Impossibile. Non ci
credo. Sto piangendo
per un ragazzo che non vedrò mai più in vita mia.
Sono proprio senza speranze!”
- Allora non sono l’unico
ad essere
triste in una notte come questa.
Salto indietro per lo spavento e
volto
la testa di scatto verso la voce, che mi sembrava quasi famigliare,
timida e
curiosa al tempo stesso.
Non credo ai miei occhi. Davanti a
me c’è
il ragazzo, proprio lui, appoggiato alla ringhiera con gli avambracci,
lo
sguardo perso a guardare il cielo davanti a sé, i capelli al
vento.
Sembra la scena di un film o di un
romanzo Harmony, peccato che non credo più alle favole da
quando a cinque anni
ho scoperto che Superman non esiste. Si, lo so, è stato un
momento molto
difficile della mia infanzia.
Sembra accorgersi che rimango a
bocca
aperta a guardarlo proprio mentre mi cade la borsa che tenevo in mano.
Altra scena classica, ovviamente
non
poteva durare molto conoscendo i miei standard.
Infatti tutto il contenuto della
borsa
si rovescia sul pavimento.
Il pavimento di un osservatorio. Al
diciassettesimo
piano. Vicino a una ringhiera.
Mi sembra quasi di vedere la scena
al
rallenty: le chiavi che cadono, che rotolano verso la ringhiera, io che
mi
getto senza contegno. Chiudo gli occhi e quando li riapro le mie dita
stringono
il mazzo di chiavi e altri mani, calde nel freddo della notte. Le fisso
per un
po’ per poi alzare gli occhi e incontrarne un paio verde
smeraldo, più vicini
di quanto mi aspettavo.
Sorride. Anch’io gli
sorrido. Della tristezza
di prima, non sembra esserci più traccia.
- Queste suppongo siano tue
– Mi porge
le chiavi, con lo sguardo divertito. Le afferro.
- Grazie – mormoro, quasi
con paura di
rovinare l’atmosfera che si era creata.
Guardo verso il basso e solo allora
mi
accorgo di quanto siamo vicini al vuoto. La vista si appanna e inizio
ad andare
nel panico. Vertigini. Un conto è appoggiarsi ad un
binocolo, ma ora a chi mi
aggrappo?
Neanche a pensarlo, eccomi che mi
lancio, o meglio mi allungo data la distanza, verso il ragazzo e lo
stringo in
un abbraccio stritolatore, cercando di respirare normalmente.
Chissà cosa
starà pensando adesso. Una pazza
maniaca a piede libero.
Invece, sembra capire, mi abbraccia
a
sua volta e mi sussurra qualcosa all’orecchio.
In pochi minuti mi calmo e mi dice:
-Non
so nemmeno il tuo nome.
- Hope, piacere.
- Harry.
Lo stringo un po’
più forte sotto questo
tappeto di stelle, anche se so che la più preziosa di tutte
mi tiene qui,
stretta fra le sue braccia.