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Autore: Sselene    01/04/2012    5 recensioni
Secondo caso per la coppia di Detective Tiberius Sheller e Cameron Warren. Una giovane studentessa viene ritrovata morta in un armadietto della sua scuola e sembra che tutti avessero un motivo più o meno valido per ucciderla. Chi è davvero l'assassino?
Seconda storia della Saga "Detroit Police Department"
Genere: Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Detroit Police Department'
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Inizio a temere davvero che possa essere stata uccisa per un voto troppo alto in chissà che materia. Quei ragazzi sono… insani.


La giovane si fermò un istante in cima alle scale, sbadigliando vistosamente, senza neanche pensare a coprirsi le labbra con una mano, troppo ancora intontita dal torpore del sonno che la avvolgeva.
“Odio il lunedì.” Sbadigliò ancora.
“Chi non lo fa?” Domandò in risposta il biondo accanto a lei, passandole un braccio attorno alle spalle, quasi tirandola lungo il corridoio sul cui lato sinistro si aprivano le porte delle aule ancora perlopiù vuote.
Dal lato opposto del corridoio, prima che i due se ne rendessero effettivamente conto, giunse di corsa Mattew, uno dei loro compagni di classe, che, incredibilmente attivo per quell’ora mattutina, ridendo agitava un cappellino.
“Ho preso il cappello a Mary, non se n’è proprio accorta.” Rivelò loro, lanciandosi appena un’occhiata all’indietro per assicurarsi che la compagna non lo stesse inseguendo o, comunque, non fosse nelle vicinanze. “Dove lo nascondo, ora?”
Kirsten si guardò un attimo intorno nel corridoio, cercando attentamente un luogo adatto a quelli che erano i progetti del compagno, poi s’illuminò.
“Mettilo nell’armadietto del bidello!” Esclamò, accostandosi all’armadietto metallico e posando entrambe le mani sulla maniglia per spingere la porta lateralmente e farla scivolare sui cardini, aprendo il mobiletto e lanciando immediatamente un urlo.
“Che diamine…?” Sbottò il biondo accanto a lei, affacciandosi e trasalendo.
 
L’uomo passò agilmente sotto i nastri che delimitavano la scena, accostandosi al collega che prendeva appunti parlando con un poliziotto, davanti all’armadietto aperto.
“Che mi dici, Cameron?” Gli domandò, accostandoglisi ed osservando attentamente il corpo privo di vita della ragazza che nell’armadietto era stato morbidamente adagiato in posizione semiseduta e che presentava una visibile ferita da corpo contundente sulla tempia destra ed un altro taglio sullo zigomo sinistro.
“La vittima è Claire Garner, 17 anni, studentessa. E’ stata trovata da alcuni suoi compagni di classe.” Iniziò a spiegare il secondo detective, indicando con un cenno del capo il gruppo di ragazzi poco lontano quando diede l’ultima informazione. “E’ stata uccisa nell’aula con un forte colpo alla tempia che l’ha fatta rovesciare e le ha fatto sbattere il viso su di un banco, poi è stata trascinata fuori e nascosta in quest’armadietto. L’arma del delitto non è stata trovata.”
“Ci sono già dei sospetti?” Chiese ancora il primo, portando lo sguardo sul gruppo di giovani che si stringeva perlopiù attorno all’unica ragazza che tra di loro pareva veramente sconvolta per la morte di Claire.
“Ancora nessuno, ma non ho ancora parlato con i compagni di classe. Ci pensi tu mentre io finisco di esaminare il cadavere e la scena?”
Il detective annuì, sfiorandosi appena la mandibola ricoperta da una lieve barbetta lasciata crescere con poca cura con un pollice, poi si avvicinò al gruppo, schiarendosi la voce per farsi notare.
“Buongiorno, sono il detective Sheller, vorrei porvi alcune domande.”
Attese che il gruppo, pur non dicendogli nulla, gli prestasse attenzione per cominciare l’interrogatorio di circostanza.
“Chi ha trovato il cadavere?”
La mora studentessa alzò la mano, visibilmente tremante e con gli occhi ricolmi di terrore, avanzando di mezzo passo, ma rimanendo comunque molto vicina al biondo che le teneva una mano sul fianco con fare protettivo.
“Come ti chiami?” Le chiese il detective, cercando di usare il tono più cortese possibile, sebbene la cortesia non fosse mai stata una delle caratteristiche principali del suo carattere.
“Kirsten White.” Rispose lei con un filo di voce appena udibile, tanto da costringere Sheller a ripetere il nome per assicurarsi di averlo compreso correttamente.
“Puoi raccontami cos’è successo, Kirsten?”
Per qualche istante, lei si limitò a tacere, chinando lo sguardo su una delle macchie nere del pavimento, inarcando le sopracciglia come si rendesse solo in quel momento di ciò che davvero aveva visto e dell’assurdità del tutto.
“Io e Richard eravamo appena arrivati sul pianerottolo… e Mattew ci è corso incontro perché… aveva rubato il cappello di Mary e voleva nasconderlo…” In qualche modo si forzò a ridere mentre raccontava, nascondendo il viso contro le mani per nascondere le lacrime, lasciandosi sfuggire un singhiozzo mentre Richard le stringeva affettuosamente le mani sulle spalle. “Io ho proposto di nasconderlo nell’armadietto del bidello perché è sempre aperto e le cose le nascondiamo sempre lì.” Continuò a raccontare, sebbene la narrazione fosse fortemente interrotta dai singhiozzi e la voce parecchio soffocata dalle mani ben strette sul viso. “Ho aperto l’armadietto perché ero lì vicina e ho…” Si volse di scatto, scoppiando a piangere più forte, stringendosi contro il petto del biondo che aveva vicino e nascondendo il viso contro la sua spalla.
“Io ero accanto a lei.” S’intromise proprio Richard, mentre stringeva dolcemente la ragazza. “Ho visto Claire e abbiamo subito chiamato la polizia e poco a poco sono arrivati anche gli altri.”
“Qualcuno ha toccato il cadavere?” S’informò Sheller.
“Non lo so…” rispose Kirsten, scuotendo piano il capo.
Richard si accigliò a quella risposta, rivolgendole un’occhiata perplessa. “Kirsten, tu l’hai toccato…” Le ricordò. “L’hai presa per la maglia e l’hai scossa…”
Il detective osservò lui, poi lei. “Ha toccato il cadavere, signorina White?”
La ragazza ancora scosse il capo, asciugandosi appena le guance con il palmo della mano. “Io non lo so.” Mormorò. “Non me lo ricordo!” Aggiunse a voce più alta, singhiozzante.
“Ricordatelo!” Ringhiò un’alta ragazza dai capelli mori.
L’afferrò per le spalle, scotendola.
“L’hai toccata, lurida puttanella?”
Il resto del gruppo s’intromise immediatamente, scostando le due ragazze l’una dall’altra.
“Alexis, calmati!” Le disse Richard a voce alta. “E’ sconvolta!”
“Lei è sconvolta?” Strillò la ragazza. “Quella era la mia ragazza!”
“E lei lo sapeva?” La prese crudelmente in giro l’altro.
La studentessa urlò, cercando di avventarsi su di lui, ma il detective si mise in mezzo, fermandola.
“Signorina, si calmi.” Ordinò imperioso, per poi volgersi verso la singhiozzante mora. “Venga con me, spostiamoci in un posto più tranquillo.”
 Richard fece per seguire la ragazza, ma il detective lo fermò.
“La signorina viene da sola.”
“E’ la mia ragazza.” Fece notare, freddamente.
“E’ la mia testimone.” Ribatté Sheller, altrettanto gelido.
Poi posò una mano sulla schiena della studentessa, portandola in un aula vuota, invitandola a sedersi ad un banco.
Prese una sedia, sistemandosi di fronte a lei.
“Ci hai pensato, Kirsten? L’hai toccata?” Chiese con tono dolce.
Lei tirò rumorosamente su con il naso, ma pareva già più tranquilla.
“Io… non lo so.” Ammise. “Se Richard ha detto di sì probabilmente è vero.”
Il detective annuì, passandosi appena una mano tra i corti capelli castani prima di cominciare a scrivere sul taccuino che aveva posato sul tavolinetto.
“Com’erano i suoi rapporti con la vittima?” Domandò, sempre molto cautamente.
La giovane sospirò, lo sguardo perso nel vuoto, abbassando totalmente le spalle.
“Nulli.” Mormorò. “Noi… facevamo parte di due gruppi completamente diversi, non ci frequentavamo, non parlavamo durante le pause tra le lezioni… non avevamo alcun rapporto.” Spiegò, gli occhi ormai totalmente asciutti.
“E quand’è l’ultima volta che l’ha vista?”
“Ieri mattina.” Rispose lei. “Io, lei ed altri ci siamo incontrati qui per un progetto.”
Il detective inarcò sorpreso le sopracciglia.
“Di Domenica mattina?” Ripeté.
Kirsten rise appena, la voce ancora arrochita dal recente pianto.
“Puntavamo tutti ad università prestigiose e quel progetto ci avrebbe promesso una A+. Ne avevamo bisogno.” Spiegò lentamente.
Sheller tacque qualche istante, ma poi annuì.
“Posso sapere i nomi di tutte le persone che erano qui ieri mattina?”
“Io, Claire, Alexis, Richard, Matthew, MaryAnn, Robert e Frederick.” Rispose Kirsten.
“Mi servirebbero anche i cognomi…” Precisò il detective.
Kirsten rise, passandosi una mano sul viso, come si sentisse improvvisamente molto stupida.
“Certo…” Mormorò. “Alexis Redfold, Richard Thompson, Matthew Reed, MaryAnn Anderson, Robert Thelt e Frederick Debrew.” Elencò lentamente, mentre il detective scriveva.
“Mi può parlare dei loro rapporti con la vittima?”
La ragazza annuì piano, assorta a guardare un punto vago, poi portò lo sguardo su di lui.
“Così come me, Richard e MaryAnn non hanno niente a che fare con lei… Robert è praticamente suo fratello, fanno tutto insieme. Friederich ebbe con lei una storia, ma non so quanto importante. Matthew fa parte del gruppo, escono spesso insieme ed Alexis è la sua fidanzata, anche se… da parte di Claire non c’era la stessa esclusività che c’era da parte di Alexis.”
“Alexis è… quella ragazza che ti ha urlato contro?” Chiese ancora Sheller.
Lei annuì.
“Sì… Richard invece è il mio fidanzato, il bel ragazzo biondo. MaryAnn l’altra ragazza con noi e Matthew il ragazzo castano. Oh! E Friederich… lui è il rosso con le lentiggini.” Elencò ancora.
Il detective segnò tutto sul blocchetto.
“Secondo lei che ci faceva qui la vittima ieri pomeriggio?” Domandò.
Kirsten si strinse nelle spalle.
“Io… io credo stesse facendo sesso.” Mormorò imbarazzata.
Lui inarcò sorpreso le sopracciglia.
“Come?”
“Beh, sì…” Borbottò la mora. “Fare sesso a scuola è una sua grande fantasia erotica.”
Il detective inarcò maggiormente le sopracciglia.
Era una notizia molto approfondita, per una persona che aveva rapporti nulli con la vittima.
“E lei come lo sa?” Chiese.
Kirsten si inumidì le labbra con la punta della lingua.
“A volte Friderich fa… dei giochi. Inizia a fare una domanda, di solito porno, a tutta la classe… so le fantasie erotiche di quasi tutti i miei compagni di classe.”
Il castano tacque, senza riuscire a non pensare che ai suoi tempi la scuola era un posto ben diverso.
“Grazie per la disponibilità, se avrò altre domande la farò chiamare.” Concluse l’uomo, con un sorriso rassicurante sul viso.
“Certo.” La giovane si alzò, ma poi esitò. “Posso farle una domanda io?” Chiese incerta.
Lui annuì.
“Certo, mi dica.”
La mora si morse il labbro inferiore, risedendosi.
L’incertezza era chiara nella sua espressione.
“Come si chiama?”
“Io?” Domandò sorpreso il detective. “Tiberius Sheller.”
“Oh…” Mormorò solo la studentessa. “E’ che non ho potuto fare a meno di notare il suo ciondolo…”
L’uomo si portò istintivamente la mano alla C dorata che portava al collo, ridendo piano.
“No, non… non è la mia iniziale.” Ammise.
“Della sua fidanzata?” Domandò ancora la ragazza, una imbarazzata curiosità dipinta in viso.
“Diciamo di sì…” Rispose il detective.
Non era molto a suo agio a parlare della sua vita privata.
“Posso chiederle come si chiama?” Provò ancora la studentessa, abbassando la voce.
“Cameron.” Rispose lui dopo qualche momento di silenzio.
“E’ davvero un bel nome.” Commentò la ragazza con un sorriso. Poi si alzò. “E’ stato un piacere, detective.” Aggiunse con un sorriso, uscendo.
Poco dopo, Cameron fece il suo ingresso nella stanza, trovando il collega chino a scrivere appunti e idee sul suo immancabile taccuino.
“Tiberius, abbiamo trovato un preservativo usato nel cestino.” Informò.
Per qualche minuto Sheller non fece cenno di avergli prestato alcuna attenzione, poi, lentamente, alzò il viso, portando lo sguardo su di lui.
“Iniziate a prendere il DNA dai ragazzi che abbiamo riunito per ora.” Ordinò.
L’altro uomo annuì brevemente.
“Rossi se ne sta già occupando.” Ribatté.
Soddisfatto il detective annuì, tornando poi ad osservare il blocchetto.
“Fai entrare Alexis Redfold, per favore?” Domandò, tornando con lo sguardo sul biondo collega.
“Certamente, te la chiamo subito.” Confermò lui, uscendo.
Sheller osservò la sua schiena, poi portò lo sguardo ancora sul blocchetto.
Forse Alexis aveva scoperto la fidanzata con un altro e si era irritata, anche se aveva l’impressione che la storia non fosse poi così semplice.
Quando la porta si aprì, ad entrare nella stanza non fu il corpo femminile di chi aveva chiesto, ma la fisionomia muscolosa di Richard Thompson.
“Detective, mi scusi…” Mormorò questi, con un’espressione tra il panico e l’imbarazzo. “Ecco… mi chiedevo come mai ci stessero prendendo il DNA…”
L’espressione del detective non mutò da quella fredda curiosità che gli si era dipinta quando la porta era stata aperta.
“Semplicemente abbiamo trovato un preservativo usato e vogliamo scoprire chi si è divertito con la vittima prima che lei fosse uccisa.”
Il biondo strinse forte le dita sulla maniglia, passandosi una mano sul viso sudato e poi tra i capelli.
Che avesse un segreto era abbastanza chiaro e non era difficile immaginare quale.
Avanzò nell’aula, sistemandosi seduto davanti al detective.
“Posso… posso confessarle una cosa? Lei non lo dice a Kirsten, non è vero?” Domandò con la voce visibilmente tremante.
“No, certamente.” Gli confermò Sheller, in qualche modo rassicurante.
Richard sospirò, torcendosi lievemente le mani, con lo sguardo concentrato sulle propria dita.
“I-io l’amo, sa? Kirsten, intendo. Io l’amo. Potrei persino sposarla, un giorno.”
Tiberius non lo interruppe, lasciando che parlasse con i tempi che più lo facevano sentire a suo agio.
Dopo un lungo sospiro, il biondo riprese.
“Ma Claire… Claire è un’altra storia, detective. L’avete vista, pure da morta è più eccitante di Kirsten.” Trasalì, sgranando gli occhi chiari, che parvero divenire immensi. “S-senza essere irrispettoso, certo, non vorrei mai… essere irrispettoso nei confronti di un morto…”
“Ma certo, non si preoccupi.” Lo rassicurò rapidamente il detective. “Vada avanti.”
Lo sguardo dello studente si spostò ancora intorno a sé, mentre per l’ennesima volta sospirava.
“Era da un po’ che Claire ci… provava con me… io penso lo facesse solo per far irritare Kirsten, ma, diamine, era Claire! Io sono un bel ragazzo, ma di certo non abbastanza per lei, il pensiero che potesse in qualche modo interessarsi a me era… inimmaginabile!”
“Come mai crede lo facesse solo per far innervosire la signorina White? C’era qualche problema tra di loro?” Chiese il detective, improvvisamente molto più attento.
Si chinò in avanti sul ragazzo, che esitò a lungo.
“Beh… Kirsten aveva avuto un voto migliore al test di Geografia, quindi… Claire era un po’ infastidita… credo volesse fargliela pagare un po’…” Spiegò imbarazzato.
“Fargliela pagare per un test di Geografia?” Ripeté perplesso Sheller.
Richard annuì.
“Sì… per Claire era molto importante essere sempre la migliore…” Spiegò.
“Va bene.” Commentò solo l’uomo, segnando tutto sul suo blocchetto. “Vada avanti.”
Un altro sospiro, prima che le parole riprendessero ad uscire.
“Pensavo fosse tutto lì, ma poi ieri mattina mi ha proposto di incontrarci nel pomeriggio per… beh…” Deglutì pesantemente. “Un po’ di sesso...” Concluse a fatica.
La sua gola pareva essersi contratta già solo a ricordare quelle parole.
D’altronde, era vero che anche da morta Claire aveva un grande fascino seduttivo.
“Quindi lei ieri pomeriggio era qui con la vittima.” Riassunse il castano.
“S-Sì…” Ammise lo studente, deglutendo a fatica. “Ma non l’ho uccisa io!” Aggiunse a voce molto alta, persino acuta per il panico. “Era viva quando l’ho lasciata!”
“Qualcuno può dimostrarlo?” Chiese il detective, ma per prassi.
Il suo istinto gli diceva che il ragazzo davanti a lui non era l’assassino della povera ragazza.
“N-no…” Ammise a disagio lui, chinando lo sguardo.
“Va bene.” Disse l’uomo dopo qualche momento di silenzio. “Può andare, ma resti disponibile.”
“Certo, signor detective. Grazie.” Balbettò in fretta il biondo, alzandosi.
Si allontanò in fretta, uscendo di corsa dall’aula.
Poteva essere lui, preso da un raptus nello scoprire che era stato usato per far irritare la fidanzata?
O poteva essere stata la stessa signorina White, quando aveva scoperto la storia di sesso tra il fidanzato e la vittima?
Tiberius sospirò lievemente, osservando il blocchetto che aveva davanti.
Non sarebbe stato un caso semplice.
 
“Tibbs.”
Alzò lo sguardo dalle schede che aveva sparpagliato sulla scrivania, portandolo sul collega che si era affacciato al suo ufficio, con la mano ancora sull’uscio.
“Dimmi, Cameron.”
Il biondo fece un cenno fuori alla porta.
“Vieni con me a controllare l’autopsia?” Gli chiese.
Tiberius annuì, raccogliendo tutte le schede in un’unica cartellina, alzandosi.
“Speriamo possa darci qualche buon indizio.” Mormorò.
“Non hai nessun sospettato?” Chiese l’uomo, mentre si avviava alla sala autoptica.
“Più di uno, in realtà.” Ammise Sheller. “Quasi tutti potevano avere un motivo per ucciderla.”
“Beh, puoi già escludere Kirsten e MaryAnn.” Ribatté Cameron.
Aveva l’abitudine di chiamare i sospettati per nome.
Aveva l’abitudine di chiamare tutti per nome, una caratteristica del sud che gli era rimasta impressa addosso come la pelle abbronzata.
“Perché? Forse non Anderson, ma White aveva un ottimo movente per uccidere la signorina Garner.” Ricordò Tiberius.
“E’ troppo esile fisicamente.” Fece notare il collega.
“Poteva avere un complice.” Ribatté. “E poi la gente fa cose grandiose quando è presa dal panico, come dopo un omicidio.”
Il biondo si strinse solo nelle spalle, senza aggiungere nient’altro.
In silenzio entrarono nella gelida sala autoptica, dove la dottoressa Mercedes Jordan li attendeva, con il cadavere della bella ragazza ancora sul tavolo dell’autopsia.
“Cosa ci dici, Mercedes?” Chiese Cameron, passandosi una mano tra i capelli.
“Le ho detto mille volte di chiamarmi Dottoressa Jordan, detective Warren.” Ribatté freddamente lei, senza neanche rivolgergli un’occhiata.
Lui rise, calorosamente.
“E io le ho detto mille volte di chiamarmi Cameron, Dottoressa.” Ricordò.
“Cosa può dirci, Dottoressa Jordan?” S’intromise Sheller, per concludere in fretta quella sceneggiata ormai vecchia.
“Niente di diverso da quello che sapevate già, temo. La vittima, una donna bianca di circa 17 anni, è stata colpita mortalmente alla tempia con un corpo contundente di forma sferica. La forza l’ha rovesciata su una qualche superficie, probabilmente un banco, dato lo scenario dell’omicidio, ferendosi allo zigomo. E’ morta sul colpo.” Spiegò rapidamente.
“Un corpo contundente sferico?” Ripeté Cameron. “Alexis ha detto che c’era parcheggiato il motorino di Claire, ma il casco non è stato trovato, potrebbe essere l’arma del delitto.”
“Potrebbe.” Confermò la dottoressa. “Un casco coinciderebbe con la ferita.”
“Che altro può dirci?” Domandò Sheller.
 “Aveva recentemente avuto rapporti sessuali consensuali, o, perlomeno, non ci sono segni di violenza. Non aveva niente sotto le unghie, ma non avrebbe comunque avuto il tempo di lottare.”
“Qualcosa che possa aiutarci?” Chiese ancora il detective, osservando il viso della vittima.
Se non fosse stato per la vistosa ferita sulla tempia, poteva sembrare solamente addormentata.
“Temo di no, ma ho mandato i vestiti in laboratorio, per eventuali impronte.” Rispose ancora la dottoressa, sistemandosi sul naso i sottili occhiali rettangolari.
“Va bene, se scopre qualcosa mi chiami.” Concluse il castano, avviandosi già fuori dalla sala.
“Oppure puoi chiamare me, Mercedes.” Aggiunse Cameron con un sorriso caldo.
La Dottoressa fece per ribattere, ma Sheller s’intromise prima, afferrando il collega per un braccio.
“Andiamo.” Sbottò, trascinandolo via.
Cameron rise, ma si lasciò portare finché non furono fuori, poi liberò il braccio.
“Cosa c’è, sei geloso?” Lo prese in giro.
Tiberius gli rivolse un’occhiata gelida che lo fece ridere di nuovo.
“Okay, non sei geloso.” Si affrettò ad ammettere.
“Senti.” Mormorò il castano. “Io vado al laboratorio a vedere se hanno qualcosa sulle impronte. Tu vedi di fare qualcosa di utile.”
“Faccio una ricerca sul casco.” Confermò Warren.
“Mi sembra una buona idea.” Acconsentì Sheller, annuendo.
Cameron sorrise, facendo per commentare qualcosa, ma poi vide lo sguardo gelido del collega e si limitò a sorridere maggiormente, allontanandosi.
Con passo svelto Tiberius arrivò ai laboratori, entrando.
“Buongiorno detective Sheller.” Lo raggiunse la voce delicata di Amy Linnett, che aveva appena alzato lo sguardo dal suo microscopio.
“Buongiorno, Linnett.” Salutò educatamente l’uomo. “Hai qualcosa per me?”
“Poco, per ora, ma i vestiti mi sono appena arrivati.” Spiegò la bionda, sistemandosi gli occhiali da laboratorio. “Per ora ho trovato del pelo che stiamo analizzando e due serie di impronte qui, sulla parte anteriore della maglia.”
Le indicò per mostrargliele mentre lui si chinava ad osservarle.
“Corrispondono a quelle di qualcuno?” Chiese.
“Entrambe le serie sono di Kirsten White.” Rispose Amy.
Sheller ritornò in posizione eretta.
“Pare abbia afferrato la ragazza e l’abbia scossa, è un ipotesi credibile?”
La specialista osservò le impronte, pensandoci, poi annuì.
“Sì, è molto probabile.” Confermò.
“E per quanto riguarda il pelo? Come può essere arrivato sul cadavere?” Domandò ancora il detective.
“Potrebbe essere stato depositato lì attraverso un contatto diretto con ciò che possedeva quel tipo di pelo o con qualcuno che ne aveva una grande quantità addosso.” Spiegò Amy.
“Potrebbe sempre essere stata Kirsten White scotendola?”
“Se nello scuoterla se l’è appoggiata addosso, sì.” Rispose la specialista. “Altrimenti è improbabile, è una grande quantità di pelo.”
Sheller sospirò cautamente, passandosi una mano tra i capelli castani.
“E’ un brutto caso, non è vero? Era così giovane.” Mormorò la donna.
“Non è solo questo.” Rispose il detective. “E’ che inizio a temere davvero che possa essere stata uccisa per un voto troppo alto in chissà che materia. Quei ragazzi sono… insani.”
“Certi bambini sono stati cresciuti con il desiderio di successo sciolto nel latte, detective.” Constatò solo lei, stringendosi nelle spalle. “E’ così che crescono piccoli assassini.”
“Sai…” Cominciò a dire il castano, portando lo sguardo lontano da lei. “Se l’assassino fosse davvero uno di quei ragazzi come credo, sia l’omicida che la vittima avrebbero l’età di mia figlia.”
Linnett schiuse sorpresa le labbra, poi le richiuse.
Si chinò in avanti, posando una mano su quella del detective, stringendola appena.
“Perché non torna un po’ a casa, detective? La chiamo quando ho novità.” Gli disse con tono dolce.
Tiberius annuì, ritraendosi a quel gesto tanto intimo.
“Sì, è una buona idea.” Ammise. “Buon lavoro.”
Le sorrise appena, salutandola con un cenno del capo, prima di allontanarsi rapidamente.
Aveva davvero bisogno di stare un po’ a casa, di una doccia calda, di una dormita, anche.
Quel caso l’aveva scosso nel profondo, forse proprio per l’età degli interessati.
 
Uscendo dall’auto, si ritrovò ancora più stanco di quand’era partito.
Si passò le mani sul viso, stancamente, accostandosi alla porta di casa.
La aprì, quasi poggiandovisi contro con il suo corpo, avanzando nella casa.
La luce nel salone era accesa, probabilmente sua figlia era davanti al computer e già la immaginava, data l’ora, con un piatto di pollo ormai freddo sul tavolinetto da caffè.
Entrò nel salone, sorridendo nel vedersi davanti agli occhi proprio l’immagine che si aspettava.
“Ormai quel pollo sarò rinato, Christine. Da quanto lo tieni lì?”
La diciassettenne alzò lo sguardo su di lui, sgranando appena appena gli occhi.
“Papà! Che ci fai a casa così presto?” Domandò sorpresa.
“Stiamo facendo alcuni controlli, quindi non c’era bisogno della mia presenza lì. Mi chiameranno quando ci saranno novità.” Spiegò l’uomo.
Si accostò al tavolo dove la figlia sedeva, chinandosi su di lei per baciarle i capelli.
“Ti preparo qualcosa di caldo?”
Christine si allungò verso il pollo, infilzandolo con la forchetta.
“Forse è meglio…” Ammise, con un sorrisetto.
“Ci penso io.”
Si avviò in cucina, prendendo il necessario per una semplice pasta.
La figlia lo raggiunse poco dopo.
“Di che ti stai occupando?” Chiese curiosamente, sedendosi sul ripiano della cucina.
“Una studentessa è stata trovata morta in un armadietto della scuola.” Rispose brevemente l’uomo.
“Sospetti?” Domandò ancora la ragazza, con un ciglio professionale.
Tiberius sorrise, chinandosi a baciare la guancia della figlia.
“Troppi.” Ammise. “Era fidanzata, ma non fedele e prima di morire ha avuto rapporti sessuali con il fidanzato di una ragazza che aveva preso un voto più alto di lei in Geografia.”
La diciassettenne si mise a pensarci, battendosi un dito sulle labbra.
“Io dico che è stato il fidanzato, per gelosia.” Ipotizzò.
“La fidanzata.” La corresse il detective.
Lei schiuse sorpresa le labbra, sgranando gli occhi. Rise.
“Oh, interessante!” Esclamò divertita.
“Sapevo avresti apprezzato il dettaglio.” Ammise altrettanto divertito il padre.
Per un po’ la giovane tacque, osservando il padre lavorare ai fornelli.
“Come mai Cameron non c’è? Ultimamente è sempre a cena con noi.” Notò guardandosi intorno.
“Non mi pare.” Ribatté Tiberius. “E poi stava seguendo una pista.”
Spense i fornelli, prendendo la pentola.
“Va’ ad apparecchiare, su.”
La ragazza sorrise, scendendo dal ripiano.
“Corro.” Rispose, prendendo le cose necessarie ed allontanandosi verso il salone.
Per qualche istante, Sheller si limitò a rimanere fermo, mentre la osservava allontanarsi, poi prese la padella e il poggia pentola e tornò nella sala da pranzo, dove Christine lo attendeva già seduta.
 
La mattina, fu particolarmente lieto di aprire gli occhi.
Già non era insolito che la mente gli si riempisse di incubi riguardanti morti più o meno atroci della figlia, ma quando erano persone giovani come lei a venire uccise, il terrore triplicava.
Non avrebbe sopportato di perdere anche Christine.
Si alzò a sedere quando si fu totalmente ripreso dal sonno e finalmente l’odore di caffè proveniente dal piano di sotto gli riempì i polmoni.
Evidentemente Christine era già sveglia.
Afferrò una maglia qualsiasi, infilandosela, si diresse in bagno, per sciacquarsi rapidamente il viso, poi finalmente andò in cucina.
“Buongiorno.” Salutò ancora fuori dalla stanza.
“Buongiorno.” Ripeterono in coro due voci, entrambe molto familiari.
Alzò curiosamente lo sguardo e si fermò sull’uscio.
“Cameron…” Mormorò, notando a tavola il collega.
“Tibbs.” Lo salutò con un sorriso il californiano.
“Cosa ci fai qui?” Chiese il castano, sedendosi al tavolo.
Christine si affrettò a versargli del caffè nella tazza.
“Ero venuto a parlarti delle novità sul caso e Chrissie mi ha invitato a fare colazione.” Spiegò il biondo.
“Mi sembrava maleducato non fare accomodare Came.” Aggiunse la ragazza, sottolineando il soprannome.
Era, in effetti, solo un modo per prendere in giro il californiano che aveva sempre l’abitudine di utilizzare soprannomi più o meno inconsueti.
“Ma Came non esiste neanche, come soprannome!” Rise il biondo, passandosi una mano tra i capelli.
“Neanche Tibbs.” Fece notare la giovane. “E ho fatto una ricerca, Chrissie non si usa dalla fine del 1800!”
Cameron rise, passandosi una mano tra i capelli.
“Va bene, hai ragione.” Ammise.
Tiberius chinò la tazza di caffè a cui si era dedicato per quello scambio di battute.
“Che cosa sai dirmi di nuovo? Qualcosa sul casco?” Chiese.
“Esattamente.” Confermò il biondo. “L’ho trovato in un ufficio degli oggetti smarriti, l’aveva portato un ragazzo che sono riuscito a ritrovare, un tale Justin Robinson.” Spiegò.
Poi tacque, portando lo sguardo su Christine, che ascoltava con grande interesse.
“Ma posso parlarne con lei davanti?” Domandò perplesso.
“Sì, sì, non preoccuparti.” Rispose proprio la ragazzina. “Ma il casco non doveva essere sporco di sangue? Nessuno l’ha notato?”
“Era stato pulito superficialmente.” Spiegò Cameron, riportando poi lo sguardo sul collega. “Justin dice che l’ha visto cadere ad un ragazzo, abbastanza minuto, con un cappotto doppiopetto nero ed una coppola beige, ma non è riuscito a vederlo bene in faccia, né a raggiungerlo.”
“Hai fatto fare un identikit?” Chiese il detective.
“Sì, per quel che vale.” Rispose il biondo.
Prese una cartellina che aveva in borsa, tirandone fuori il disegno di una persona con un bavero alto fino al naso e la visiera calata sulla fronte di cui si vedevano solo gli occhi.
“Beh, utile.” Constatò Christine, con un piccolo ghigno divertito.
“Almeno è sicuro degli occhi?” Domandò con un sospiro Sheller.
“Non molto.” Ammise Cameron.
“Fantastico.” Sospirò ancora il castano.
“Wow, avete un sacco di piste da cui partire!” Scoppiò a ridere Christine.
Tiberius le scoccò un’occhiata gelida, così lei tacque, alzandosi.
“Metto a posto.” Cinguettò, afferrando tazze e piatti.
Poi corse in cucina, lasciando i due detective da soli.
“Però è vero quello che dice, Tibbs. Non abbiamo niente se non un cappello beige e un cappotto nero.” Mormorò il californiano dopo qualche momento, a voce bassa.
Sheller sospirò, passandosi le mani sul viso e poi tra i capelli.
“Ah, un’ultima cosa, hanno analizzato i peli. Gatto soriano, colore arancione, pelo lungo.” Rivelò ancora il biondo, con un sorriso mesto. “Ma questo comunque non ci aiuta.”
Tiberius sospirò, vagando con lo sguardo attorno a sé.
“Comunque sappiamo che chi ha lasciato il casco, quindi probabilmente l’assassino, è un uomo, questo riduce il campo.” Disse ancora Cameron.
Allungò la mano per posarla su quella del collega, stringendogliela. Lui non la scostò.
“Possiamo cominciare da questo.”
“Da tutti gli uomini di questa città?” Lo prese freddamente in giro Tiberius.
“Io pensavo a Richard, Tibbs.” Sorrise divertito il biondo. “E’ quello che ha più da perdere in questa situazione, data la pura devozione che pare nutrire nei confronti della fidanzata, che, ricordiamo, ha tradito con Claire.”
Il castano rimase qualche momento in silenzio, gli occhi socchiusi, l’espressione assorta, mentre il pollice accarezzava lievemente la mandibola.
“Va bene, andiamo.” Confermò.
Si alzò, volgendosi verso la cucina, da cui Christine non pareva  voler uscire.
“Christine.” La chiamò. “Io e Came… Cameron usciamo.”
La ragazza si affacciò alla porta, offrendo ai due uomini un sorriso immenso.
“Buon lavoro. Acciufferete sicuramente il cattivo.”
“Speriamo.” Rise Cameron.
Poi lui e Tiberius uscirono dalla casa.
“Andiamo con la mia?” Domandò il californiano, già prendendo le chiavi da tasca.
“Sì, ma guido io.” Rispose Tiberius, allungando la mano verso di lui.
Il biondo gli offrì le chiavi senza lamentarsi, accostandosi al lato del passeggero della Ford Puma argentata.
Girando attorno all’auto, l’altro detective aprì l’auto, entrando poi al posto di guida.
Cameron si sistemò sul sediolino, lanciando solo un’occhiata al collega.
“Hey…” Soffiò con un sorriso sulle labbra.
Si sporse completamente verso di lui, posandogli saldamente una mano sulla gamba.
“Lo prenderemo.”
Sheller tacque, posando qualche istante la mano su quella del californiano, scostandogliela poi.
“Certo.” Mormorò.
Poi mise in moto e partì.
 
Il ragazzo schiuse sorpreso le labbra, osservando i due uomini davanti alla porta.
“Detective…” Mormorò.
Le sue dita si strinsero quasi automaticamente sulla porta, fino a far sbiancare le falangi, la mascella si serrò, mentre le pupille si dilatavano fino a coprire quasi totalmente l’iride colorato.
Era terrorizzato, era chiaro.
“Possiamo entrare, Richard?” Domandò Cameron, con il suo bel sorriso in viso.
“Certo…” Mormorò il giovane, facendosi da parte.
I due uomini si fecero spazio nella casa.
Un gatto soriano di colore arancione si fece subito largo nell’ingresso, miagolando curioso.
“Ma che bel gatto.” Commentò il californiano.
Si chinò a prendere il micio tra le braccia, osservandolo.
“Gli manca una zampina…” Notò.
“Sì, Kiki me lo portò proprio per questo motivo, lo raccolse dalla strada.” Spiegò Richard, con un sorriso tenero sul viso.
“Kiki?” Ripeté perplesso Tiberius.
“Kirsten.” Gli spiegò Cameron, sempre con il gatto tra le braccia.
Richard annuì solamente, con un cenno del capo.
“Come mai non l’ha tenuto lei?” Chiese il detective.
“La madre è allergica al pelo di gatto.” Rispose il ragazzo. “Senta, posso… posso sapere cosa ci fate qui?” Domandò dopo qualche momento, evidentemente nervoso.
“Lei ha per caso un cappotto doppiopetto nero, signor Thompson?” Domandò Sheller, con un neutro tono di voce.
Il giovane esitò a lungo, deglutendo rumorosamente, forse valutando se valesse la pena mentire, ma poi annuì.
“Sì, signore…” Soffiò.
“Possiamo vederlo?” Chiese ancora l’uomo.
Nuovamente Richard esitò a lungo, per poi annuire brevemente.
“Certamente, seguitemi.”
Si avviò lungo il corridoio ed entrò in una delle stanze.
Era la stanza tipica di un adolescente, con poster sui muri di strani gruppi musicali e belle ragazze, mille consolle accanto al grande televisore ed un impianto stereo non indifferente.
Richard aprì l’armadio, tirandone fuori un cappotto doppiopetto nero.
Lo mostrò al detective Sheller.
“Ecco.”
L’uomo lo prese dalla gruccia, osservandolo.
“E’ davvero un bel cappotto.” Mormorò.
“Me l’ha regalato Kiki.” Ammise Richard con un sorrise. “Lei se l’è preso uguale.”
“Sì, i modelli femminili sono splendidi, soprattutto sulle curve giuste.” S’intromise Cameron, con un mezzo sorriso.
“No, lei… lei ha preso il modello maschile anche lei, quello femminile non le piaceva sul fondoschiena.” Ammise il giovane, ridendo piano.
Tiberius non commentò, limitandosi ad osservare la giacca.
“Posso portarlo in laboratorio?” Domandò.
Lo studente trasalì, sgranando gli occhi all’inverosimile.
Pareva quasi volesse cominciare a piangere.
“Sono… sono un sospettato? C-cioè… il principale?” Domandò con la voce incredibilmente acuta.
Tiberius rimase in silenzio per qualche momento, poi annuì brevemente.
“Sì…” Ammise.
Il ragazzo tremò visibilmente, portandosi le mani al viso, nascondendosi.
Un gemito basso gli scivolò fuori dalle labbra.
“Dio… Dio non è possibile, Dio…” Singhiozzò.
Sheller distolse lo sguardo, sospirando piano, tornando a sfiorarsi la mandibola con il pollice.
Aveva l’età di sua figlia, il suo spirito paterno si addolorava di quelle lacrime.
Portò lo sguardo sul collega quando lo sentì passargli accanto per avvicinarsi al ragazzo, passandogli le braccia attorno al corpo.
“Hey, hey, Richie…” Soffiò dolcemente. “Se sei innocente, non devi preoccuparti di nulla. Se sei colpevole, puoi evitare tutto questo confessando e il giudice sarà clemente.”
“Io non ho fatto niente!” Urlò Richard, scostandosi violentemente dall’abbraccio, dando uno spintone al detective, che arretrò di mezzo passo. “E’ vero, ho tradito Kiki, ma non avrei mai mai mai potuto uccidere Claire né nessun altro!”
“Allora la verità verrà fuori e tu non hai nulla da temere.” Lo rassicurò ancora il detective.
“Come se non ci fosse nessun innocente, in galera!” Gridò ancora il ragazzo.
“Richard?”
Una bella donna, piuttosto giovane, con dei corti capelli biondi e degli intensi occhi azzurri, i tratti molto simili a quelli di Richard, entrò nella stanza, accigliandosi.
“Buongiorno…” Mormorò.
“Mamma, loro sono il detective Sheller e il detective Warren. Si stanno occupando dell’omicidio di Claire…” Spiegò con la voce ancora tremante Richard.
La donna schiuse sorpresa le labbra.
Si accostò al figlio, passandogli un braccio attorno alle spalle, sorreggendolo.
“Buongiorno.” Salutò con un sorriso cortese. “Io sono Rachel Thompson.”
“Mamma, sospettano di me! Pensano che io abbia ucciso Claire!”
La donna trasalì.
“Ma no… ma no, Richard, che dici, sicuramente non è vero. Stanno solo facendo delle domande, ”
Alzò lo sguardo, portandolo sui due uomini dinnanzi a lei.
“Mio figlio non è sospettato, non è vero?”
I due detective tacquero.
“Ma no!” Esclamò la donna a voce molto alta. “Non è possibile, mio figlio non ha ucciso nessuno, non potrebbe mai!”
“Mamma, dobbiamo chiamare un avvocato?” Domandò Richard con voce implorante.
“No, Kirsten… Kirsten sicuramente conformerà che non puoi essere stato tu, lei era con te!” Esclamò Rachel.
I due detective si accigliarono e così fece anche Richard.
“Kirsten? Mamma, Kirsten non era con me…” Mormorò quest’ultimo, confuso.
“Come?” Chiese sorpresa lei. “Non ti ha raggiunto in biblioteca?”
“Biblioteca?” Ripeté Cameron, facendosi avanti. “Può essere più chiara, signora?”
La donna alzò lo sguardo su di lui, passandosi una mano tra i capelli.
“Beh… domenica Kirsten è venuta qui… cercava Richard. Io le ho detto che era in biblioteca, lei ha detto che Richard gliel’aveva detto, ma lei l’aveva dimenticato ed è andata in biblioteca da Richard.” Spiegò lentamente, evidentemente a disagio.
Il biondo schiuse sorpreso le labbra, senza sapere esattamente come rispondere a quella rivelazione.
Tiberius scostò lo sguardo da lui alla madre.
“Si ricorda com’era vestita Kirsten?” Domandò.
“Non saprei dirle, aveva il cappotto nero addosso… quello che lei ha in mano…” Rispose Rachel, ancora passandosi la mano tra i capelli.
“Aveva un cappello?” Insistette il detective.
“No, non in testa… ma Kiki porta sempre un cappello con sé…”
“Senta, ho… ho capito cosa sta cercando di fare…” S’intromise Richard, la voce che tremava visibilmente. “Ma Kirsten non ha ucciso Claire! Non ne aveva motivo!”
“Ne aveva se ha scoperto che la tradivi.” Ribatté Tiberius con estrema semplicità.
Il biondo sgranò gli occhi a quella rivelazione, mentre sua madre boccheggiava confusa.
“Come?” Domandò incerta.
“Credo che dobbiamo fare una chiacchierata con Kiki.” Mormorò Cameron, sorridendo poi ai due Thompson. “Grazie per la collaborazione.”
Fece per muoversi, ma Richard si parò dinnanzi a lui, fermandolo.
“Non è stata lei. Non è stata Kiki, ne sono sicuro!” Esclamò.
“Se è innocente, la verità verrà fuori, proprio com’è venuta fuori con te.” Lo rassicurò il detective, sfiorandogli una guancia. “Non preoccuparti.”
“Non è stata lei, detective.” Mormorò ancora il ragazzo.
“Lo scopriremo.” Sorrise ancora il californiano.
Lo studente rimase in silenzio qualche momento, poi annuì brevemente.
Cameron gli sorrise, senza aggiungere nient’altro.
 
Kirsten andò ad aprire in top e shorts, nonostante l’aria, fuori, non fosse poi così calda da giustificare quella tenuta.
“Hey, detectives.” Salutò con un sorriso, sottolineando il finto plurale.
Si accigliò, con lo sguardo fisso su Cameron.
Tiberius si volse a quell’occhiata, osservando il collega, che guardava piuttosto interessato il seno della ragazza.
“Cameron!” Lo richiamò, affibbiandogli una precisa gomitata tra le costole.
Il biondo emise un verso di dolore, massaggiandosi la parte lesa.
Kirsten rise a quella scena.
“Lasci stare, detective. Non è insolito che mi guardino il seno, dato che raramente porto il reggiseno.”
Il castano inarcò le sopracciglia, ma non commentò.
Mentalmente, però, si appuntò di controllare meglio la scelta d’intimo della figlia.
“Prego, entrate.” Offrì la mora, facendosi da parte per far entrare i due uomini.
Richiuse la porta, quando i detective furono entrati.
“Posso aiutarvi?” Domandò.
“Siamo passati dal signor Thompson, poco fa…” Cominciò Tiberius, sbottonandosi il cappotto.
“Richard?” Chiese curiosa la ragazza. “Come mai?” Ci pensò, poi rise. “Non penserete che sia stato lui a uccidere Claire, non è vero? Non può essere stato lui” E rise ancora.
“La signora Thompson, la madre di Richard, ha detto che sei passata a casa loro domenica, perché cercavi Richard.” Continuò a parlare il detective, come non l’avesse sentita.
Lei tacque qualche istante, poi distolse lo sguardo, inumidendosi le labbra con la punta della lingua.
“Sì…” Mormorò. “Avrei dovuto dirvelo…” Ammise.
“Come mai non ce l’ha detto?” S’intromise Cameron, affiancando il collega.
“Io temevo aveste presunto qualcosa che non era vero…” Spiegò la mora, leccandosi e mordendosi le labbra, senza assolutamente guardare i detective.
“Del tipo che ha capito dov’era il suo fidanzato, l’ha raggiunto e l’ha visto mentre la tradiva con la vittima?” Ipotizzò il castano.
Lei boccheggiò qualche istante, con gli angoli della bocca che cominciavano a tremarle vistosamente, gli occhi immediatamente lucidi.
“Claire ci provava con lui da un sacco di tempo, diceva di volere lui per assecondare la sua fantasia sul sesso a scuola, così quando Rachel mi ha detto che lui era in biblioteca, ho capito che non era vero. Sono andata a scuola e… e lì li ho visti.” Si portò una mano alle labbra, spingendola forte, soffocando un singhiozzo, mentre le lacrime le scorrevano sulle guance. “Io non potevo crederci, non… non potevo… non potevo crederci.” Concluse con la voce spezzata dai singhiozzi che le scuotevano il corpo.
Affettuoso come sempre, Cameron le posò dolcemente una mano sulla spalla, stringendogliela.
Tiberius scoccò appena un’occhiata a quel gesto.
“Così ha atteso che il suo fidanzato se ne andasse e poi ha affrontato Claire e l’ha uccisa.” Concluse.
“No!” Esclamò la ragazza. “Io me ne sono andata subito!”
Il detective non insistette.
“Sappiamo che è in possesso di un cappotto a doppiopetto nero di taglio maschile, possiamo vederlo?” Chiese invece.
Kirsten si accigliò a quel cambio improvviso di discorso, portando lo sguardo sul californiano, da cui, in qualche modo, si sentiva rassicurata.
“Perché lo volete?” Domandò incerta.
“L’assassino lo indossava quando ha ucciso Claire, ci sarà sicuramente del sangue sopra.” Spiegò l’uomo, con un dolce sorriso in viso.
La mora tirò su con il naso, poi annuì, dirigendosi verso la camera.
I detective la seguirono.
La stanza era perlopiù occupata da scaffali contenenti libri e DVD, dinnanzi ai quali erano poste numerose cornici fotografiche; il letto era quasi sommerso dai peluche.
La studentessa tirò ancora su con il naso, aprendo il piccolo armadio, tirandone fuori un doppiopetto del tutto simile a quello di Richard, solo di qualche taglia più piccolo.
Lo porse a Cameron, ma fu Tiberius ad intercettarlo e prenderlo.
Lo osservò attentamente, rigirandoselo tra le mani, facendo perno sulla gruccia per ruotarlo.
Non era sporco di sangue, ma non era del tutto fondamentale.
“Sa, esiste una sostanza che permette di individuare macchie di sangue anche quando queste sono state lavate via.” Rivelò con voce neutra Tiberius, osservando ancora la giacca.
Kirsten sgranò lievemente gli occhi, trattenendo un attimo il fiato.
Non era la reazione migliore per passare inosservati.
“Crede che troveremo qualcosa?” Chiese il detective, alzando finalmente lo sguardo su di lei.
La mora rimase in silenzio per qualche istante.
“Credo che ora chiamerò un avvocato.” Mormorò con la voce che vistosamente aveva cominciato a tremarle.
L’uomo la osservò, poi annuì brevemente.
“Certamente.” Confermò.
Cameron si fece avanti di un passo.
“Se vuoi chiamare un avvocato, Kiki, è tuo diritto farlo.” Incominciò a dire, molto lentamente. “Ma se sei colpevole e confessi non solo dimostrerai di essere abbastanza forte da ammettere il tuo errore, ma potremmo convincere il procuratore a proporti un accordo vantaggioso. Omicidio preterintenzionale, eri arrabbiata, chi non ti potrebbe capire?, non ci hai visto più, hai preso la prima cosa che ti è passata sotto mano, hai colpito Claire con tutta la forza che avevi e l’hai uccisa. La tua fedina penale è pulita, sei una brava ragazza e non hai neanche compiuto diciotto anni, la corte sarà clemente: 7 anni e potresti essere fuori di prigione.”
“Cameron.” Lo richiamò freddamente Tiberius.
Lo afferrò per una spalla, allontanandolo dalla giovane tremante, tirandoselo vicino, riducendo la voce ad un basso ringhio.
“Non sono affari nostri, Cameron, ha chiesto un avvocato.”
“E’ terrorizzata, Tiberius.” Ribatté il biondo, per una volta rinunciando all’affettuoso soprannome. “Non sa che cosa fare, è nostro dovere aiutarla a scegliere il meglio.”
“E’ un’assassina, Cameron.” Ricordò Sheller.
“Era arrabbiata, Tiberius, era stata tradita per uno stupido voto.”
“Non tutti quelli che vengono traditi uccidono, Cameron!”
“Lo so. Tu non l’hai fatto.”
Tiberius schiuse le labbra, accigliato, cercando di ribattere, ma Kirsten si mise in mezzo.
“Voglio confessare.” Mormorò, con gli occhi lucidi, la voce ancora tremante. “Per favore.”
Il castano guardò lei, poi il collega che aveva dinnanzi, poi di nuovo la ragazza.
“Ti portiamo in Commissariato.” Disse solo.
 
Seduta al tavolo dell’interrogatorio, Kirsten tirò ancora su con il naso, asciugandosi le guance.
“Quando sono arrivata a scuola…” Riprese a parlare. “Ho visto Richard e Claire che… facevano sesso. Claire diceva ‘Sono più bella io di Kirsten, non è vero?’ e Richard…” La voce si incrinò lievemente. “E Richard diceva ‘Sì, sei più bella tu, sei mille volte più bella tu’ e… e cose simili.” Strinse i denti, soffocando un altro singhiozzo mentre le lacrime riprendevano a scivolarle sulle guance. “Così… così mi sono nascosta nell’armadietto del bidello e ho aspettato… quando ho sentito Richard allontanarsi sono andata nell’aula… Claire era lì, mi aveva visto e mi aspettava…” Tirò su con il naso, ancora. “Mi disse ‘Chi è la migliore, ora?’ e cominciò a ridere… ‘Non sai neanche tenerti quello sfigato’… i-io… io volevo solo la smettesse…” Singhiozzò forte, abbattendosi con la fronte sul tavolo.
Cameron si fece avanti, posandole una mano tra i capelli.
“Stai andando bene, Kiki…” Mormorò rassicurante. “Stai andando benissimo.”
A fatica la ragazza alzò di nuovo il capo.
“I-io… io non ci ho visto più, lei… rideva e si era scopata il mio ragazzo! Così ho afferrato il casco che stava sul banco e gliel’ho sbattuto in testa. E… e lei e caduta a terra, morta.” Inspirò profondamente, asciugandosi le guance che cominciarono immediatamente a bagnarsi di nuovo. “Quando ho capito che era morta mi sono spaventata… l’ho afferrata e l’ho trascinata nello sgabuzzino del bidello, per nasconderla… poi ho preso il casco, l’ho pulito con il cappotto e sono corsa via, abbandonandolo in mezzo alla strada.”
“Hai fatto tutto da sola?” Chiese Tiberius, osservandola attentamente.
La ragazza annuì.
“Sì…” Mormorò.
Il detective le porse un foglio e una penna.
“Leggi, controlla che sia tutto giusto e firma, per favore.”
Lei tirò su con il naso ed annuì, prendendo il foglio e cominciando a leggere.
Il castano si alzò, facendo un cenno al collega mentre usciva dalla sala.
Cameron lo seguì.
“Credi se la caverà?” Chiese.
“Cameron…” Lo rimproverò Sheller, scuotendo piano il capo.
“Cosa c’è?” Domandò incerto il primo, già muovendo le spalle per mettersi sulla difensiva.
“Non puoi affezionarti a lei, è un’assassina.” Ricordò il castano.
“E’ solo una ragazzina, Tibbs.” Ribatté il californiano. “Era arrabbiata.”
“Non puoi continuare a giustificare tutti gli assassini che arrestiamo, Cameron!” Alzò la voce Tiberius, alzando gli occhi al cielo.
“Cerco solo di capire il punto di vista di ognuno!” Si difese il biondo, corrucciato.
“Ma alcuni sono semplicemente sbagliati.” Sbottò Sheller.
“Sono solo diversi dai tuoi.” Concluse il biondo con tono freddo.
Tiberius sospirò, alzando ancora gli occhi al cielo.
Ragionare con Cameron su quell’argomento era del tutto inutile.
“Come sai di Gabrielle?” Domandò quindi, cambiando completamente discorso.
“Chrissie mi ha detto che avete divorziato perché lei ti ha tradito.” Spiegò il biondo, stringendosi solo nelle spalle, brevemente.
“Christine, dovevo immaginarlo…” Rise piano Sheller, scuotendo il capo. “Non dovrei lasciarvi da soli, prima o poi farete qualche guaio.”
Cameron rise a sua volta.
Vagò a lungo con lo sguardo attorno a sé, prima di decidersi ad esprimere ciò che stava pensando.
“Tu le hai… mai detto di noi?” Chiese cautamente.
Tiberius schiuse sorpreso le labbra a quella domanda.
Distolse lo sguardo, deglutendo pesantemente, prima di riportarlo sul collega.
“Non… c’era niente da dire, Cameron… è stata solo una breve parentesi.” Mormorò.
Il biondo annuì appena, senza portare lo sguardo su di lui.
“Certo.” Mormorò. “Solo una parentesi.”
Volse le spalle al collega, prima che questo potesse commentare, rientrando nella sala degli interrogatori.
Tiberius sospirò, portandosi le mani ai fianchi e alzando gli occhi al cielo.
Odiava quel discorso.
Aveva capito bene che per Cameron non era stata solo una breve parentesi, bensì qualcosa di più profondo, ma continuare a ripetere la sua versione era l’unico modo che conosceva per mantenere in equilibrio quel loro rapporto di amicizia.
Aveva bisogno dell’amicizia di Cameron.
Aveva bisogno di Cameron.
 
“Quindi alla fine è stata la fidanzata del ragazzo che ha scopato la vittima prima che lei morisse?” Domandò Christine, cercando di riassumere al meglio.
“Sì, esatto.” Confermò Tiberius, mescolando la salsa nella padella.
“Beh, la capisco!” Scoppiò a ridere la ragazza, seduta sul ripiano della cucina. “L’avrei uccisa anch’io!”
“Vedi? E’ esattamente ciò che intendevo.” S’intromise Cameron, poggiato allo stipite della porta della cucina. “E’ comprensibile, uccidere è il primo impulso quando qualcuno si appropria di ciò che è nostro, è un istinto primordiale.”
E prese un altro lungo sorso dalla bottiglia di birra che aveva in mano.
“Ma noi non siamo animali, Cameron, siamo esseri umani, abbiamo la capacità di ragionare, di capire che uccidere è sbagliato.” Ribatté l’altro uomo.
“Infatti è così, infatti noi prendiamo gli assassini e li mettiamo in galera. Non sto dicendo che è giusto, sto dicendo che è comprensibile.” Spiegò più precisamente il californiano.
“Beh, io lo trovo incomprensibile e inaccettabile.” Sbottò il castano. “E ora filate a tavola.”
Christine scattò giù dal ripiano, andando a sedersi.
Sorrise, passando accanto a Cameron che poi la seguì.
“Sai, mi sto talmente abituando ad averti per casa che quasi mi sento sola quando non ci sei, Came.” Ammise la ragazza, sedendosi al suo posto. “Devo iniziare a considerarti il mio altro papà?”
Cameron tossì, quasi facendosi andare di traverso la birra, poi sorrise.
“Non credo proprio, Chrissie.” Mormorò.
“Oh, dai!” Si lagnò la ragazza. “So che mio padre è burbero e freddo, ma sono sicuro che saprebbe amarti tanto tanto!”
“Christine.” La rimproverò la voce seccata di Tiberius, mentre portava a tavola la carne.
La posò al centro del tavolo, iniziando poi a sistemarla nei piatti.
Nessuno disse più niente.
“Beh, comunque non sarebbe male, avere un altro papà.” Borbottò Christine dopo un po’.
“Non te ne basta uno?” La prese in giro Cameron, divertito.
Lei trasalì.
“Oh, ma non un altro papà come papà! Oddio, uno ne basta e avanza!” Commentò quasi spaventata.
Tiberius alzò lo sguardo dal piatto, inarcando le sopracciglia.
“Come?” Chiese.
Christine si volse verso di lui, sorridendo luminosa.
   
 
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