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Autore: St. Jimmy    01/04/2012    4 recensioni
“E così alla fine ha preso la sua decisione, eh giovanotto? Mi sorprende già il fatto che sia riuscito a non sbagliare la sua data di nascita. Anzi, mi sorprende ancor di più il fatto che sia riuscito a scrivere la sua data di nascita. Il corso di inglese non le ha fatto così male, dopotutto, ne conviene anche lei?”.
No, non è un pesce d'Aprile, St. Jimmy ha fottutamente ripreso vita su EFP, e spera di riuscire a starci ancora per parecchio tempo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wow, che sensazione strana tornare qui, nel paradiso italiano delle fic, dopo quasi due mesi.. Gente, in particolare You Are Forgiven, mi scuso per l'assenza, non so che altro dire. Ho avuto (seri) problemi con Internet, problemi di tempo e troppi impegni tra le balls per occuparmi di scrittura/lettura. Shame on me! Non so come scusarmi abbastanza, quindi ecco qui una semplicissima OS, scritta un mese fa per un compito d'italiano. E' davvero una cosa modestissima, né più né meno, ma il mio obiettivo oggi non è postare una fic che piaccia, bensì una fic di "ritorno" sul sito. Una reintroduzione di St. Jimmy, se vogliamo. Strychnine Twitch, ti ho detto che l'avrei postata, no? ♥
Bene, un bel respiro, e giù nel Fandom!
P.S. Biglietti per l'I-Day presi il 23 Marzo alle 12:33. See ya in the pit!





Good Riddance



Pinole Valley High School. La grande insegna campeggiava sulla grigia facciata principale dell'istituto, lievemente sfocata dalle sottili ma fitte gocce di pioggia che da quella notte imperversavano sull'intera contea di Contra Costa, nell'est della California settentrionale.
Guardala bene fratello, perché questa è l'ultima volta che metterai piede in questa topaia fatiscente, pensò Billie Joe Armstrong mentre con passo incerto si avviava verso la porta d'entrata del liceo, le mani calcate nelle tasche dei jeans sdruciti. Spinse l'uscio con la spalla destra e con tranquillità camminò attraverso i freddi corridoi deserti, passando di fronte alle porte serrate delle aule del piano terra, seguito dal gommoso, fastidioso squittio delle proprie suole bagnate sul pavimento. L'ufficio del preside si trovava accanto alla segreteria, ad una manciata di metri da lui. Gli ci vollero solo pochi passi per coprire quella breve distanza. La porta dell'ufficio era chiusa, così colse l'occasione per ravviarsi i folti capelli corvini incollati alle guance bianche e per estrarre dalla tasca destra del chiodo di pelle un piccolo foglio ripiegato su sé stesso. Trasse un profondo respiro, dunque bussò. Dall'interno della stanza la voce profonda di un uomo sulla sessantina lo invitò ad entrare. Billie Joe obbedì, cercando di non far troppo rumore con le scarpe ora quasi asciutte. Avanzò nel familiare ufficio e con un appena mormorato “buongiorno” si accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania del Signor Haner. Il preside lo fissò annoiato attraverso i tondi occhiali appoggiati sul naso adunco. A Billie avevano sempre ricordato gli occhiali di John Lennon.
“Armstrong, perché non è in aula per la sua lezione di chimica?” domandò l'uomo con un sospiro di rassegnazione. Il ragazzo aprì il foglio che teneva tra le mani e con un movimento delicato lo posò sulla cattedra rivolto verso Haner, cosicché potesse leggere quello che c'era scritto. Haner si sporse in avanti. Sollevò gli occhietti porcini verso il giovane e lasciò andare un risolino di scherno.
“E così alla fine ha preso la sua decisione, eh giovanotto? Mi sorprende già il fatto che sia riuscito a non sbagliare la sua data di nascita. Anzi, mi sorprende ancor di più il fatto che sia riuscito a scrivere la sua data di nascita. Il corso di inglese non le ha fatto così male, dopotutto, ne conviene anche lei?”.
“Ne convengo anch'io.”
“Ma mi dica, mi dica: come è riuscito a convincere i suoi genitori a firmare il modulo per il ritiro dagli studi del loro tanto amato -mi faccia pensare- sesto pargolo, esatto?”
“Esatto.”
“Per suo padre dev'essere stato un brutto colpo vedere il proprio bambino buttare al vento la sua vita in questo modo, vedere il suo buon nome infangato dalla pecora nera della famiglia.”
“Mio padre è morto sette anni fa.”
“Be', per sua madre allora. Ha dei sentimenti anche lei, ne conviene con me?”
“Ne convengo con lei.”
“Benissimo.” Haner si grattò il sopracciglio. “Sa,” iniziò stringendo le dita tozze attorno alla stilografica che teneva nel taschino della giacca, “quando ho sentito bussare alla porta dell'ufficio il mio primo pensiero è andato alla segretaria d'istituto e alle sue scartoffie da compilare. Invece qui ad oscurarmi la vista del campo da football sulla Tightwad Hill c'è niente meno che lei, Signor Armstrong, lei ed il suo modulo per l'abbandono della scuola pronto da firmare. Oh, mi creda, non mi dispiace affatto di dovermi accollare -me lo lasci dire- l'onore, di questo compito. In tutta sincerità, sono quattro anni che attendo questo momento, da quando lei non era che il ragazzino scatenato dell'invasione di rane in sala insegnanti.” Il preside avvicinò la mano al foglio e lentamente, come fosse l'ultima azione della sua vita, firmò. Poi sollevò nuovamente lo sguardo su Billie Joe, mostrando al giovane la sua espressione soddisfatta.
“Armstrong, la devo ringraziare per aver illuminato di luce nuova la mia giornata. Lei non potrà mai capire quanto quella firma significhi per me. Grazie, giovanotto, ora posso considerarmi sereno.” Si spinse gli occhiali più su sul naso con l'indice. John Lennon vecchio e calvo. “Ma, d'altra parte, non posso che pensare a cosa ne sarebbe di tutta la mia serenità se ogni ragazzo qui dentro la pensasse come lei, se ogni ragazzo dell'istituto avesse la credenza, come lei, che la scuola sia solo un inutile edificio da vandalizzare nell'attesa del giorno del diploma. Impazzirei, e non per modo di dire. Non saprei davvero cosa fare. Però ora coraggio, coraggio, mi spieghi la vera ragione per cui ha deciso di graziarci della sua dipartita.”
Billie Joe alzò gli occhi verso il volto rugoso di Haner, le iridi smeraldine attraversate da un improvviso bagliore sinistro. Un ghigno impertinente gli distese il viso pallido. Il preside smise a poco a poco di sorridere.
“Vede, domani sarà il mio diciottesimo compleanno, ed il motivo per cui me ne vado da questa baracca in decomposizione che lei affettuosamente chiama “scuola” è molto semplice: sono cresciuto. Sono cresciuto, e crescendo ho scoperto una cosa, una cosa elementare. Arrivato ormai a diciott'anni ho capito che...” con un gesto rapido Armstrong sottrasse al preside il microfono che teneva immediatamente dietro la foto di famiglia degli Haner, scattata qualche anno prima da un' amica della moglie, se lo portò alle labbra e premette il pulsante d'accensione. Billie Joe parlò e tutt'a un tratto i corridoi e le aule dell'istituto furono colmati dalla voce calda e leggermente nasale del ragazzo. Per pochi secondi non ci fu altro che lui.
“La scuola è esercizio per il futuro, per renderlo perfetto, ma tutti sappiamo che nulla è perfetto, quindi perché esercitarsi?”. Premette il pulsante di spegnimento. Lui e Haner si fissarono per un tempo indeterminato, abbastanza breve da non contenere più di tre battiti di ciglia, ma abbastanza lungo perché il messaggio arrivasse forte e chiaro alle orecchie e alla mente di ogni alunno della Pinole Valley High. Billie Joe Armstrong seppe che il suo pensiero era stato recepito correttamente quando un grido unanime di esultanza esplose tra le mura ingiallite, un grido gioioso e liberatorio che conteneva tutta la ribellione e l'energia di quegli adolescenti costretti in banchi più piccoli di loro. Billie si alzò con un sorriso vittorioso e strinse la mano inerte dell'uomo basito di fronte a lui, la bocca semiaperta in un'espressione di pura incredulità. “Grazie a lei Edgar, e la prego, mi faccia sapere come si sta in uno di quei famosi ospedali psichiatrici di cui ho tanto sentito parlare”.
   
 
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