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Autore: Anna Carla    02/04/2012    1 recensioni
Passavo le ultime settimane al cimitero, più tra i fiori che tra i morti. Sistematicamente, uscita da scuola, prendevo l'autobus e poi un altro, finchè non finivo all'entrata del camposanto.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero al gelo, nelle tenebre del sottopalco. Mi aveva sempre terrorizzato lo scendere là sotto per prendere un jack o una doppia presa, nonostante mi affascinasse la tranquillità ed il silenzio che c'era. La luce filtrava dai tubi ferrosi per colpire il pavimento della piazza, come a volerlo bruciare. Mi chiesi da quanto tempo fossi sparita e se mi stessero cercando per non finire nei guai con i miei genitori o perchè si fossero passati una mano sulla coscienza.

Passavo le ultime settimane al cimitero, più tra i fiori che tra i morti. Sistematicamente, uscita da scuola, prendevo l'autobus e poi un altro, finchè non finivo per strisciare le converse consumate sull'asfalto passato male dell'autostrada, verso l'entrata del camposanto. Tutti i fiorai del primo cancello cercavano sempre di rifilarmi qualche mazzetto o fiore di campo, invano. Passavo al secondo, dove nessuna delle tre signore armate di occhiali da sole si degnava di rivolgermi uno sguardo, e finivo nel campo dei bambini. Non mi commuoveva, per niente. Non che fossi un'insensibile.. quanto vuota. Non riuscivo ad immaginare tanti piccoli corpicini sotto un sottile strato di terra, identificati da un numero inciso con un chiodo arruginito su un mattone più che da un nome. I genitori si erano dimenticati di loro. Una volta vidi un arto - un braccio, probabilmente - sbucare dalla terra fangosa dopo la nottata di pioggia incessante. Non mi soffermavo molto al cimitero dei bambini quanto davanti la cappella semi-deserta. Non credo di aver mai creduto in qualcosa, in particolare in un Dio. Che non ne avessi bisogno? Pf. Ne avevo anche troppo. Restavo appoggiata male accanto all'uscio dell'edificio sporco e vecchio, osservando chi, di tanto in tanto, decideva ad entrare con gli occhi umidi e usciva poco dopo con il viso straziato dal dolore. E no, tutto questo non riusciva a deprimermi. Quando ne sentivo il bisogno, salivo per la stradina asfaltata concentrandomi sulle urla delle neo-vedove inginocchiate di fronte ad una bara fresca. Ne trovavo un paio ogni giorno. Mi piaceva scovare i vecchi morti con i fiori secchi, rubarne dei freschi al vicino e riavvivare il loro nome sulla lapide. Mi piaceva toccare le foto venute male ed i volti arrabbiati.

Nonostante i mesi passati al cimitero, le foto studiate e tastate, le visite ai parenti mai conosciuti, non ebbi mai il coraggio di salire per la torre D e osservare la sua foto. Seduta nel buio, nel sottopalco, pensavo ad Alex. Mi soffermai sul ricordo del primo pomeriggio di Aprile: seduta sul tappeto afferrai il cellulare allungando la mano più che potei, schiacciando in fretta il tasto verde dopo aver visto che a chiamarmi era Quinn. La mia voce stridula riempì il salotto, la cucina ad esso collegata e riecheggiò nel cellulare. Adesso, là sotto, la cassa nera di metallo sulla quale ero seduta a gambe incrociate diventava sempre più fredda, anziché riscaldarsi col calore del mio corpo. Non emanavo più calore? Probabile. Per un attimo mi sembrò di sentire un palmo caldo sulla mia spalla. Sorrisi.










In occasione di un evento.. particolare, 'arrieccomi.
Mi scuso per eventuali errori nella stesura, non rileggo mai ciò che scrivo. Criticatemi e fatemi male.

Anna Carla.
  
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