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Autore: SupremeCommander    02/04/2012    5 recensioni
I pensieri sono ancora una volta troppi e troppo veloci. La mia mente è come il motore di un’auto da corsa e le meningi sono come i pistoni sottoposti ad uno sforzo eccessivo, la velocità è troppo elevata e il disastro è imminente.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Emergenza noia

Fandom: Sherlock BBC
Autore: me, my-self and I
Pairing: Sherlock/la-sua-mente-malata (apparte i vari dileggi, non c'è nessun pairing, non è una storia d'amore, questa)
Rating: verde
Genere: angst, introspettivo e vagamente fluff nel finale
Avvertimenti: questa ff non è betata (ho cercato di correggermela da me, ma potrebbe essere che qualche errore/orrore mi sia comunque scappato) e contiene un insano uso di parentesi
Info: Questa fanfic è il risultato del connubio fra la mia immaginazione contorta e il desiderio di leggere qualcosa in cui si descriva il delirio nella mente di Sherlock quando questi si ritrova tra un caso e l'altro e la noia minaccia di mordergli le chiappe e cosa possa mai scongiurare codesto disastro. Tenete presente che è scritta in prima persona, Sherlock's POV, quindi, magari, forse, potreste vederci qualche sfumatura OOC, ma queste 1200 parole e poco più rappresentano il mio headcanon, quindi vi arrangiate! xD
ps. Se ve lo state chiedendo, sì, il titolo di questa shot è stato allegramente scopiazzato dall'omonima canzone di Renato Zero (scommetto che i sorcini c'erano già arrivati xD), ma questa non è una song fic, ci tengo a precisarlo.
pps. Ficcy dedicata alla mia nuora degenera.
Disclaimer: Sherlock non appartiene a me, bensì a sir Arthur Conan Doyle, alla BBC, Steven Moffat e (quel geniaccio che io adoro in modo insano di) Mark Gatiss. Nessun profitto vien ricavato da questa storia, aka: non mi pagano per scriverla! Perciò non fatemi causa, mi portereste via solo le mutande.
Musica consigliata durante la lettura: Solitude di Ryuichi Sakamoto
Per un'esperienza completa vi consiglio di aprire anche Rainy Mood insieme alla composizione sopra citata.

Info aggiuntive: 2° classificata al contest First Time - La Mia Prima Volta

 



Emergenza Noia

La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia.
Arthur Schopenhauer

 

Certi giorni va tutto bene.

Il sole gira attorno alla terra come è sempre stato (o è il contrario? Ma poi, di che importanza è?), John compra il latte sbuffando solo un po’, Mrs. Hudson non è la mia governante e Mycroft scongiura una guerra nucleare tra l’appuntamento delle cinque e un quarto e quello delle sei.

Va tutto bene perché il gioco è nel pieno svolgimento, io sono a poche mosse dal fare scacco matto alla Regina e catturare l’ennesimo serial-killer (origini caucasiche, capelli tinti, biondi, incredibilmente donna) ed il mondo m’infastidisce quel tanto da poter comunque esser sopportato.

 

Ma poi il gioco finisce, io non ho nulla da fare e mi ritrovo stravaccato sul divano a cercare di indovinare a quale molecola chimica assomiglino le macchie di muffa sul soffitto; sembrerebbe quella della cocaina, ma John sceglie il momento sbagliato per distrarmi con il suo armeggiare in cucina e io perdo di vista quell’escrescenza verdognola e malsana che poteva indicare l'azoto e non c’è modo di provare ad individuarla nuovamente.


Mi annoio.

E la mia mente prende il sopravvento.


I pensieri diventano troppi, si rincorrono troppo velocemente ed io faccio fatica ad star dietro al mio stesso cervello.
Conosco l’agonia psichica (e fisica) che questa condizione mi provocherà e quindi cerco qualcosa su cui focalizzarmi completamente prima di scivolare in un terrificante Sceol mentale.

L’ideale sarebbe un bel caso da risolvere, un intricato e complicatissimo puzzle (una stanza, corpo appezzato, ogni singolo osso, ogni organo, ogni tessuto proveniente da un donatore diverso. Sarebbe Natale, Pasqua e la Befana tutti insieme. Possibile che nessuno ci abbia ancora pensato?), ma in questo momento anche una deduzione (la più stupida ed insignificante, me la farei andar bene comunque) potrebbe essere la mia salvezza e allora i miei occhi scorrono frenetici su tutto ciò che riesco a vedere dell’appartamento dalla mia posizione sul divano.


L’unica cosa a differire dal solito, abbandonato contro la Scrigno semichiusa della cucina, è un ombrello: poliestere nero, 89 centimetri di lunghezza dal manico al puntale, manico ricurvo in legno di Malacca. Oggetto costoso, di lusso. Un regalo per John. Da Mycroft.

Ed ecco che subito analizzo i due elementi: Mycroft e l’ombrello. Schivo, temuto ed ubiquista il primo, il secondo lungo, nero e potenzialmente letale (manico in legno di Malacca, materiale anticamente usato per i bastoni con lama nascosta; conoscendo Mycroft, quell’ombrello potrebbe effettivamente nascondere una sciabola).

Il mio occhio mentale fonde tutto ciò in un nuovo pensiero, completamente diverso eppure intrinsecamente uguale.


Ombrello + Mycroft = serpente.

Animale temuto, lungo, nero, schivo, potenzialmente letale agli occhi dei più fantasiosi, ubiquista. Un Colubro Verdegiallo, Hierophis Viridiflavus per i più colti, Biacco per i profani.

Riesco a vedere il profilo indistinto del rettile muoversi contro il separé della cucina, lo scruto mentre l’ombrello scompare completamente lasciando spazio ad un serpente viscido e nerastro che si arrampica sulle mensole, fino a trovare una nicchia di suo gradimento ed acciambellarsi in modo assolutamente inconsueto: anziché arrotolarsi in un unico cerchio, il Biacco sceglie di contorcersi fino a formare due cerchi: un otto, il numero naturale? Oppure un otto rovesciato simbolo dell’infinito? Non so decidermi e l’incertezza è il più potente veleno per la mia attenzione.

La mia curiosità sta scemando sempre più velocemente ed ecco che infine ogni interesse svanisce del tutto.

Ades delle mie meningi, Sceol dei miei pensieri, eccomi! Accoglimi fra le tue spire malevole, soffocami. Ora. Subito! Il più presto che puoi.


I pensieri sono ancora una volta troppi e troppo veloci. La mia mente è come il motore di un’auto da corsa e le meningi sono come i pistoni sottoposti ad uno sforzo eccessivo, la velocità è troppo elevata e il disastro è imminente. Riesco a sentire il rumore disperato e scoppiettante delle mie sinapsi sotto sforzo che implorano pietà, ma la magnanimità non è mai stata intrinseca al mio carattere e, comunque, in questo momento l’unico padrone del mio cervello sono le sue stesse sinapsi e i suoi stessi neuroni.

Sono circondato da suoni assordanti: lo stridio dei freni di un’auto che ha appena svoltato in Baker Street, il ronzio monotono del microonde nella cucina di Mrs. Hudson, l’accoppiamento disperato dei coniugi inquilini di Mrs. Turner dall’altra parte della strada. Eppure non v’è rumore abbastanza forte da riuscire a coprire quello delle mie infinite reazioni chimiche sinaptiche, tanti pop-pop-pop
, troppo veloci (nelle menti medie avvengono alla velocità di un millisecondo, mi chiedo che picchi supersonici vengano toccati nel mio cervello superiore).

L’unica soluzione, ora, sarebbe spingere le mie meningi oltre il punto di non ritorno, forzarle a lavorare ad un’andatura ancora più veloce, costringerle ad un ritmo incalzante e malato in cui velocità e suono si unisco e mutano diventando colore.
Colore intenso ed incandescente, colore micidiale e sopraffacente, così potente da dominare persino una mente talmente brillante e ribelle come la mia.

Per ottenere quest’effetto avrei bisogno del mio 7%.
Per poter condensare suoni, velocità e reazioni chimiche in una sol cosa e mutarla in colore, accecante promessa di un quasi istantaneo oblio, avrei bisogno di cocaina. Purissima ed in fiale.

Però Mycroft si è occupato personalmente di ogni individuo che abbia mai osato vendermi questo illegale sollievo e John... John non mi perdonerebbe mai una ricaduta in ciò che lui considera un vizio insalubre e deleterio.

La noia inclemente ha ormai affondato gli artigli nella mia mente ed ogni rumore, ogni movimento, ogni spostamento d’aria sta velocemente diventando più di ciò ch’io riesca a sopportare, come dolore fisico tutto ciò che accade attorno a me sembra trasformarsi in tanti stiletti e quadrelli che, infami ed impietosi, si scagliano contro di me, conficcandosi profondamente nelle mie carni.

Il dolore sale ancora, di più, sempre di più, finché mi ritrovo sul punto di urlare e chiedere misericordia ad un Dio in cui non son sicuro di credere, aumenta finché, ne sono certo, le mie orecchie sono sul punto di sanguinare copiosamente.

Ma, all’improvviso, qualcosa di caldo e solido si posa sul mio capo. Cinque dita (corte, tozze, i polpastrelli induriti dai calli: John) si insinuano fra i miei capelli ed io sono di nuovo in grado di sentire e vedere chiaramente. E tutto ciò che vedo e che sento è il mio coinquilino, il mio migliore amico, che deliberatamente accarezza il mio scalpo e mi sorride esitante mente lascia scivolare sul mio stomaco un recipiente in sughero.
Grazie alle sue dita che senza vergogna continuano a massaggiarmi il capo ho abbastanza lucidità da riuscire a riconoscere la rudimentale arnia (razionale, pannelli fissi) che giace placida sul mio grembo e l’incessante ronzio di migliaia di api (fuchi e api operaie, impossibile identificare con esattezza le proporzioni) che al loro interno stanno lavorando alacremente.

Prima ch’io riesca a dire qualcosa, John sorride nuovamente.
- Manca l’ape regina. - dice sciogliendo la presa delle sue dita sui miei ricci, si infila la giacca blu. - Andiamo a cercarne una? -

Ed ecco che la noia è di nuovo un lontano e sbiadito ricordo nella mia mente e le mie facoltà intellettive son riuscite finalmente a scrollarsi di dosso quella fastidiosa nebbia che impediva loro di lavorare al massimo della capacità.

Non ringrazio John, non lo gratifico neppure con un sorriso, ma conosco abbastanza il mio amico da sapere che i pochi secondi che passano dal momento in cui sono ancora coricato sul divano e quello in cui ho il cappotto addosso ed il mio BlackBerry in mano sono tutta la gratitudine di cui lui ha bisogno.

Ed entrambi siamo pienamente coscienti di due verità fondamentali:

Primo: Sarei perso senza il mio blogger.
Secondo: Noia 0, John 1

E questo d’ora in poi, sarà per sempre il punteggio.

   
 
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