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Autore: Eristena_Merisi    02/04/2012    4 recensioni
Questa storia parla di due ragazzi che conosciuti su un social network e che finalmente possono trascorrere tre mesi insieme. Un'amicizia nulla più che sfocerà in una notte bollente su cui ci si è tanto scherzato prima. Buona lettura!
Genere: Comico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Macciao anime =)
Come promesso dopo tempo publico il continuo di questa mia storia. Scusate per il ritardo ma coem sapete è un lavoretto a quattro mani e deve passare sotto quattro occhi. Vi ringrazio tutti quanti per i vostri commenti, e ringrazio anche chi l'ha solo letta.
Spero che questo capitolo vi piaccia, e magari fatemelo anche sapere.
Un bacio a tutti.
Buona lettura <3


Oddio che stanchezza, dodici ore di treno mi hanno ucciso.
Dove sarà mai quel coglione? Scendo dal treno e mi guardo intorno. Vedo una vecchietta gasata perché ha fatto due metri in meno di venti minuti avvicinarmisi.Meglio scansarmi che qua son pericolose pure le vecchietteMeglio scansarmi che qua son pericolose pure le vecchiette. Alla mia destra c’è un gruppo di ragazzi ma nessuno di quelli mi pare lui. Guarda te se mi tocca andarlo a cercare in posti sconosciuti, ecco ora mi perdo, mi rapiscono e ciao ciao mondo è stato bello conoscerti…
Mentre girovago per la stazione continuando a farmi paranoie mentali all’improvviso sento due mani calde che mi si posano sugl’occhi. Ok non sapevo se ridere come una scema o se piangere. Il ragazzo che da un anno e una manicciata di mesi sento più di mia madre è dietro di me. Calma e sangue freddo, saltagli addosso ma non ucciderlo.
-         E chi sarà mai – cerco di sottrarmi dal contatto con le sue mani non vorrei che scoppiassi a piangere come una deficiente facendo una figura di merda ma lui le tiene premute deciso a tenermi girata.
-         Non so prova a indovinare -  La sua voce è ancora più bella dal vivo. Madò non ci posso ancora credere, ma che minchia aspetto ad abbracciarlo? La voglia di perdermi in quegl’occhi scuri è più forte della mia cretinaggine infantile.
-         Si vabbè non facciamo i ragazzini… ammoooree!- mi giro di scatto e mi ritrovo ad abbracciare un petto palestrato ma confortevole. Cavolo perché son tutti così alti? TwT . E perché ha dovuto fare tutta quella palestra? Però ha ragione non sono poi così d’impiccio tutti quei muscoli.
Lo stringo forte a me, ancora non ci posso credere mi sembra uno di quei sogni impossibili che quando si realizzano non sembra vero e invece è proprio lui quello che mi stringe forte, son proprio i suoi capelli quelli che mi solleticano il collo.
-         Gnaaao-  lo stringo ancora più forte come fosse un addio perché quel contatto mi riempie di felicità. E’ proprio vero che l’amicizia non ha chilometri. Mentre mi stringe un fianco con una mano sento le lacrime pungermi gli occhi.
 
Non posso piangere, non devo… Non tanto per la figura perché mi conosce come le mutande che porto , ma perché minchia ci ho messo un’ora per truccarmi con quel cavolo di specchietto sul treno! Ok forse è per la figuraccia che ci farei. Decido di staccarmi un attimo per poter riparare l’irreparabile. Evitando in tutti i modi il suo sguardo che mi tenta a farmi girare lo prendo per mano e come una ragazzina lo trascino urlando:
-         -Insomma non mi fai visitare la città?- cammino come se avessi il diavolo alle calcagna mentre con una mano cerco di asciugarmi le lacrime senza farmi vedere da lui. Ad una certa sento che mi rigira ed è li che saluto orgoglio e tutti i complessi che mi stavo facendo. Incontro quel’occhi color pece che mi portano a sprofondare. Quegl’occhi così scuri che sembrano pozze di petrolio pronto a colare da un momento all’altro, eppure io ci vedo delle sfumature. Ci rivedo tutte quelle scenate in web e le risate divise da un computer e una connessione internet. Ci rivedo le notti passate in bianco a chattare di una possibile storia di letto tra noi due, ci rivedo i pomeriggi a telefono passati a sparare cazzate. Quegl’occhi mi hanno pietrificata, hanno paralizzato ogni mio singolo muscolo ma non sono riusciti a fermare le mie copiose lacrime di felicità e quel sorriso che pian piano si stava allargando sul mio viso.
 
Lo abbraccio di nuovo questa volta buttandomici addosso e mi accorgo solo dopo di essere sospesa per l’aria; il mio viso è accanto al suo orecchio ad infradiciare la sua maglietta blu con quelle gocce salate che sanno di gioia.
 
Gli sussurro il bene che gli voglio e dopo quest’altro abbraccio gli lascio un bacio sulla guancia per poi scostarmi da lui.
 
-         No dico, mi sa che qualcuno è felice di vedermi- mi dice, con un sorriso a trentadue denti stampato in volto.
-         -Niente affatto io son qui per lavorare bello mio, anzi ti stavo giusto chiedendo di accompagnarmi all’hotel- e con uno sguardo sostenuto lo fisso mentre il più caldo dei sorrisi mi da il benvenuto.
Sono nel sud Italia, la terra del sole eppure nessun raggio solare sarebbe riuscito a scaldarmi più del suo sorriso.
 
-         Dai andiamo a mangiare qualcosa che dodici ore son tante –  mentre ci allontaniamo dal treno sento la voce degli altoparlanti che segnala la partenza e rifletto un secondo.. Dov’è la mia borsa di quattro chili? Dove sono le sette valigie che avevo con me?
 
-         Dio! Fortuna che la testa ce l’ho attaccata al collo- Corro come una scema verso le porte del treno che stanno per chiudersi e mi sbrigo a legare la mia kefiah ai sensori per evitare che le porte si chiudano.  Vado al mio posto e incomincio a trainarmi le valigie tirando giù tutti i santi che mi vengono in mente. Mentre guardo istericamente le tre valigie che non so come far scendere dal treno vedo Anthony che mi fissa ridendo sotto i baffi.
-         Ma ti sei portata dietro casa? Dai ti do una mano io – Lo vedo avvinarsi alla valigia nera dove ho messo le cose più pesanti e fare una faccia buffissima mentre cerca di alzarla per metterla vicino alle altre.
-         Ma che minchia ci porti, un cadavere? No dico, nonno lo potevi pure lasciare nella tomba senza che te lo portavi una foto bastava!- Gli rispondo con una faccia che non lascia commenti, gli strappo la valigia dalle mani e senza mostrare la fatica enorme che sto facendo la incastro sotto il braccio mentre prendo le altre tre valigie con dentro i vestiti.
-         Caro mio te l’ho detto che a me non serve fare palestra per farmi muscoli!-  Gli passo accanto con una delle mie espressioni più soddisfatte e scendo dalla carrozza aspettando che mi segua con il resto dei bagagli. Poso tutto dopo la striscia gialla e sciolgo la kefiah mentre Anthony porta i bagagli rimanenti vicino i miei e li guarda con un aspetto tra lo sbigottito e l’inebetito.
-         Cos’è quella faccia? – Sapevo benissimo cosa stava pensando, come se non lo conoscessi..
-         Non vedo l’ora di arrivare in albergo per vedere cosa hai qui dentro.-
 
Gli sorrido e mi lascio guidare da lui verso l’uscita della stazione mentre chiacchieriamo sulle dodici noiosissime ore di viaggio e scherziamo sulla vecchietta che si faceva figa per lo sprint di prima.
 
Ad un certo punto mi ricordo che sono a Reggio Calabria, cioè kilometri e kilometri di casa, mi ricordo di avere una famiglia, degli amici e che il mio cellulare è offline. Mi fermo un attimo, estraggo il telefono dalla borsa e metto la suoneria, neanche il tempo d rimetterlo a posto che incomincia a squillare.
-         Si ci stiamo per arrivare all’albergo – Sussurro tra me e me mentre premo per rispondere. E’ mia madre. Neanche la faccio iniziare che attacco a rispondere  alle probabili e sicure domande che mi sta per fare.
-         Si mamma son arrivata, si mamma Anthony è qui vicino a me, si stiamo per andare a mangiare, no non è stato troppo pesante il viaggio, si ti richiamerò stasera e ogni due giorni per dirti se son ancora viva logico se non ti chiamo non ti devi preoccupare perché mi son dimenticata che ho una vita a Roma, no non ho ancora visto le chiamate perse che mi hai fatto, si domani mi presenterò seriamente, no non combinerò casini, ciao ti voglio bene – la sento ridere a telefono ed attaccare.  Quanto son lunghe le mie chiacchierate a telefono con mia madre.
-         Era tua madre?- Lo sguardo sbalordito di Anthony diventa ancora più buffo e sto quasi per scoppiargli a ridere in faccia quando il telefono squilla ancora, mi ci giocherei il culo che è lei. Sorrido al mio bel moro e gli passo il telefono e prima di rispondere legge il quadrante facendosi ad un tratto tutto serio.
 
-         Ti giuro che è viva e che non ha segni di lotta- Scoppio a ridere come una scema mentre ripenso alle parole di Francesca, la mia migliore amica:
 
“ Allora tu sappi che sul treno lei potrebbe, A) far preoccupare quelli che son vicini a lei se sta leggendo un libro perché ora ride come una matta, dopo due pagine scoppia a piangere dopo quattro sta sbroccando con il protagonista.
 
B) Fare a botte con qualcuno  che vuole dormire perché sta cantando a squarciagola con l’ipod alle orecchie.
 
C) Farsi cacciare o prendersi una multa perché l’hanno trovata a fumare nei bagni del treno.
 
D) Ah dimenticato, se non la vedi scendere subito corri a svegliarla perché sta russando in modo allucinante spaccando i vetri che intanto avrà imbrattato con i vostri nomi e la data di quando arriva.”
 
Lo sento ridere  a telefono e fare battute sul fatto che mi son commossa appena l’ho visto, dopo essersi salutati mi ripassa il telefono e le dico di avvertire tutti che son arrivata perché avrei immediatamente il telefono in offline e di chiamare sul numero di Anthony per le emergenze.
 
Sospiro e finalmente butto il telefono nella borsa riprendendo i bagagli e convincendomi che non mi son portata troppa roba e che non sto trascinando circa 54 chili.
 
-         Allora qua vicino c’è una tavola calda, ci fermiamo lì che ne dici? –
Annuisco e gli sorrido mentre i morsi della fame si incominciano a far sentire alla parola “tavola calda”
 
Ci sediamo ai tavolini fuori per non dare troppo fastidio con i bagagli e aspettiamo che la cameriera venga a prendere le ordinazioni.
 
-         Che cosa mi consiglia il mio amore? – Intreccio le dita sotto il mento e mi appoggio con i gomiti al tavolino guardandolo mentre prende il menù.
-         Allora, a qualsiasi ragazza consiglierei l’insalata ai gamberi che qui è buonissima con dei grissini ma conoscendoti ti dico che qui il polpettone, i peperoni , la bistecca e tutti i dolci son buoni quindi facciamo che ordino io per tutti e due e diciamo alla cameriera che devono venire altre due persone così non si spaventa a sapere che tutta quella roba la devi mangiare te – Scoppiamo entrambi a ridere e vediamo la cameriera che di fretta si avvicina con il taccuino e la penna.
 
Ordiniamo il menu di quattro camionisti e aspettiamo che arrivi  il cibo. Continuo a guardarlo  in quegl’occhi scuri. Non mi sembra vero..
 
-         Sai pensavo che sarei stata impacciata a parlarti perché infondo non ci siamo mai visti ma mi sembra di essere al bar vicino casa mia con l’amico con cui esco tutti i giorni. Mi fa strano – Abbasso lo sguardo e aspetto una sua risposta mentre giocherello con il mezzo cuore che ho con Francesca.
-         A dirla tutta anche io ho la sensazione di stare con la mai compagna di banco che ho avuto per 7 anni .. Sai,solito non mi affeziono così tanto.- Mi sorride anche lui e mi vien voglia di prendergli quelle guance e riempirgliele di baci ma il mio sguardo viene attirato da un gruppo di ragazzi che camminano per strada.
 
Si gira a guardare nella mia stessa direzione e mentre osserva anche lui quella comitiva mi chiede:
-         Allora? Come ti sembra la città? E’ così diversa da Roma? – Si rigira per guardarmi negl’occhi.
-         Bhè Roma è Roma. Non vedo nessun ragazzo che balla in mezzo alla strada con i-pod alle orecchie. La cameriera è stata così gentile ed educata da noi avrebbe detto “ao a belli che ve prendete da magnà?”. Nessun gruppo che si prende a schiaffi ne ragazze dai capelli tricolori che vanno in giro con croci appese al collo e una scarpa di un colore e una di un altro. Mi sembra tutto così tranquillo – Sospiro, già mi manca la mia euforica e ed estroversa Roma.
 
La cameriera ci porta quello che abbiamo ordinato e dopo aver mangiato e pagato ci incamminiamo verso l’hotel.
   
 
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