Capitolo
1
I
nuovi poteri
In
un tempo lontano dal nostro vivevano tre ragazzi di 15 anni, inseparabili amici
per la pelle. Questi erano poveri contadinelli, e per questo un po’ ignoranti.
Certo, sapevano leggere e scrivere, ma preferivano dedicarsi ad attività più
maschili come cacciare o aiutare i genitori nei campi. I loro nomi erano tre
Luca,Edoardo e Alessandro. Erano tutti molto coraggiosi e sicuri di sé, ma non
per questo superbi.
Un
giorno, mentre camminavano per il bosco, scorsero una cerva molto grande, ed ai
loro occhi anche veloce, e decisero di inseguirla. Si fecero strada attraverso
pini ed impenetrabili cespugli di rovi, che laceravano i vestiti ai nostri
amici. Mentre correvano, però, la notte li raggiunse e li costrinse a fermarsi
lungo la sponda del fiume Kiris.
-
Caspita – disse Alessandro – ma come diavolo abbiamo fatto a correre così
tanto?
-
In effetti sono un po’ stanco – ammise Edoardo
-
Credo che dovremo fermarci per questa notte e tornare a casa domani, o non
prenderemo mai quella cerva – concluse Luca
-
Aspetta a dirlo Luca, guarda… - disse l’altro. La cerva, infatti, si era fermata
vicino al fiume. I tre, quando la videro, si misero rapidamente e
silenziosamente dietro ad una roccia ad osservare la cerva. Era un esemplare a
dir poco magnifico, quasi irreale, per il quale molti artisti avrebbero pagato
oro sonante pur di immortalarne l’immagine in qualche quadro o scultura, od
appenderne le sue corna come trofeo. In quel momento alzò il muso verso la luna.
I suoi grandi occhi ambrati, dal taglio elegante, fissavano l’astro notturno
pieni di speranza, come ad esprimere un’eterna ricerca di
qualcosa.
Poi
si levò una lieve brezza da est, che fece fremere i
ragazzi.
-
Accidenti, non ora! – pensò furioso Alessandro, mentre si appiattiva
ancora di più contro il macigno che lo copriva alla vista della cerva. Questa
annusò l’aria, tenendo sempre le gambe piegate, pronta a fuggire al minimo segno
di pericolo. C’era qualcuno, ma non era solo, e questo qualcuno doveva aver
corso molto, tanto era forte l’odore del sudore. Luca incordò una freccia
all’arco, pronto ad abbattere l’animale, poi fece segno agli altri due. Questi
annuirono, ripetendo anch’essi il gesto di Luca, ed uscirono velocemente dal
nascondiglio, come avevano fatto una miriade di volte prima di allora. Negli
occhi della cerva balenò un guizzo di paura mentre, con un’altra prova di forza,
saltava il fiume per finire fuori tiro degli arcieri, trovando rifugio sotto le
immense ombre dei salici e dei pioppi, dove era una macchia indistinta di cui si
vedevano solo gli occhi. I ragazzi abbassarono gli archi. Era inutile, avevano
sprecato un’occasione d’oro. Il loro orgoglio di cacciatori li spinse a non
abbassare lo sguardo da dove la preda era fuggita, notando che li fissava, quasi
divertita. Solo allora i tre videro che quegli occhi avevano qualcosa di
diverso, di magnetico... di magico. Improvvisamente, la figura della cerva
s’illuminò di una luce ambrata, che costrinse i ragazzi a coprirsi gli occhi.
Quando la loro vista si riabituò al buio, la cerva non c’era più, ed al suo
posto c’era una fata; una delle ultime tre fate viventi sulla terra, che
risplendeva sotto la flebile luce lunare. I tre rimasero come impietriti. Al
villaggio si narrava spesso delle fate, ma erano solo leggende, “stupide
storielle per bambini”, come dicevano spesso. La fata, intanto, osservava
divertita la reazione dei ragazzi, ma in fondo doveva
aspettarselo.
Li
aveva messi alla prova e loro avevano reagito
Erano
degni degli Spiriti?
Avrebbero
accettato quell’enorme fardello?
-
Complimenti ragazzi – disse la fata, avvicinandosi. Istintivamente, i tre fecero
un passo indietro, con le prese serrate sugli archi e sulle frecce – io sono
Kate, la fata più potente delle tre rimaste sulla Terra. Non sono qui per farvi
del male. Ma, ahimè, non sono qui neppure per parlare di me, bensì per farvi un
dono molto particolare. Badate però che non è un gioco, ma una cosa seria, molto
seria. Sto per donarvi i poteri elementari. Voi sapete cosa
sono?
-
No – ammisero i tre onestamente, pur tenendo ben stretto il proprio
arco
-
Bene, ve lo spiegherò in parole povere: molto tempo fa si crearono quattro
spiriti che rappresentano i quattro elementi della vita: Fuoco, Acqua, Terra e
Aria. Fino ad oggi questi poteri sono stati custoditi da me, ma da qualche tempo
tre di essi hanno iniziato a risvegliarsi. Ho vagato a lungo su tutta la Terra
in cerca delle persone a cui affidare questi poteri, ma finora non sono riuscita
a trovarli. Oggi, finalmente, vi ho trovato e ve li porto. Li accettate? -
chiese. I tre, che erano rimasti muti per molto tempo, non riuscivano a
proferire parola.
Come
potevano fidarsi?
Tutta
quella storia era assurda!
Come
potevano tre ignoranti contadinelli essere i custodi degli
elementi?
Luca,
facendosi coraggio, riuscì ad annuire, e con lui anche i suoi amici. La fata
sorrise, con i suoi grandi occhi ambrati che lasciavano trasparire un’immensa
felicità, convincendo i ragazzi a riporre gli archi, e congiunse le mani.
Nell’ombra gettata dai salici e dai pioppi della riva opposta apparvero tre
figure, di cui si distinguevano a fatica i contorni.
La
prima cosa che spiccava era l’altezza: non erano molto grandi, bensì alti
all’incirca come i tre ragazzi. Le figure, qualsiasi creature fossero, portavano
tra le zampe tre cristalli di colore diverso, che illuminavano debolmente l’aria
circostante. Nonostante la luce dei cristalli, però, gran parte del corpo era in
ombra
-
Questi – disse la fata – sono i tre elementi che si sono appena risvegliati.
Essi sono l’Acqua, la Terra e il Fuoco. Ve li darò in ordine anzi… saranno loro
a darveli. Venite avanti – le tre figure uscirono alla luce
lunare.
Erano
draghi.
Giunti
davanti ai ragazzi i tre s’inchinarono, ed i ragazzi resero l’inchino come
meglio poterono; quindi il drago centrale, di colore blu, fece un passo avanti
portandosi di fronte a Luca, che lo fissava dritto nei suoi grandi occhi
ghiaccio
-
Io sono Ice – disse la creatura – il drago di ghiaccio e ho scelto te, Luca,
come detentore del potere dell’Acqua. Esso è forte e potente, perciò usalo bene
– detto ciò il drago porse il cristallo a Luca. Il ragazzo lo prese dalle mani
e, nello stesso istante, fu avvolto da un aura azzurra che investì completamente
tutta la foresta. La stessa cosa successe ad Edoardo e a Alessandro; che per la
potenza di quei nuovi poteri si misero ad urlare. Luca li udì ma non ci fece
tanto caso poiché anche lui si sentiva male. Fu questione di un attimo. Il
bagliore sparì ed i tre tornarono normali. Normali non proprio ora si sentivano
molto più forti e determinati di prima; inoltre sentivano un nuovo potere
affluire in loro e ne erano entusiasti. Non si resero neanche conto che la fata
era sparita. Ritornati in sé, però, cominciarono dapprima a guardarsi; poi,
lentamente, la lingua si sciolse e iniziarono a parlare
-
Accidenti, ma che diavolo è successo? – chiese Alessandro
-
Non lo so – ammise Luca – ma credo che molto presto lo scopriremo. Ora avviamoci
verso casa, che è meglio
L’alba,
infatti, li aveva sorpresi. Era successo tutto in una notte: i poteri, la fata,
i draghi. Tutto in una notte.
-
Che dire – pensò Luca – forse è tutto un sogno o forse no; una cosa è
certa: loro non si sentivano più come prima... – Mentre pensava a ciò fu
riportato bruscamente alla realtà da uno strattone di Edoardo, che indicò un
qualcosa dietro di loro
-
E di loro che ne facciamo? – chiese. Luca si girò lentamente e si rese conto che
i draghi non erano finti ma reali, e che la loro presenza disintegrava la sua
piccola convinzione che fosse tutto un sogno. D’ altronde li stavano seguendo
come cani ubbidienti.
-
Non lo so – rispose – Forse dovremmo portarli con noi; ma alla valle li
vedrebbero. Mica sono delle cosine che si possono nascondere sotto il
mantello!
-
Questo lo sappiamo, carini – a parlare era stato il drago rosso e
arancione.
-
Sapete parlare? – chiese incredulo Alessandro
-
Certo! Noi draghi siamo tra le creature più intelligenti tra tutte le razze –
rispose offeso il drago
-
E soprattutto le più modeste – pensò Luca
-
Comunque, non dovete preoccuparvi per noi – disse il drago marrone – Sappiamo
nasconderci e cacciare. Ci apposteremo vicino al vostro villaggio, nella Grotta
del Lupo, e se avrete bisogno di noi basta che urlerete i nostri nomi e noi
arriveremo di corsa
-
O per meglio dire…di volata – scherzò Ice
-
OK, se siete in grado di badare a voi stessi, noi non ci preoccuperemo; ma
verremo a trovarvi ogni tanto – disse Edoardo. Detto ciò i tre draghi spiccarono
un balzo e andarono ad immergersi nelle nuvole rosa dell’alba. I tre ragazzi,
seppur scossi, s’incamminarono verso il villaggio. La marcia, come all’andata,
fu assai lunga e difficile, ma i tre ragazzi sentirono nessuna stanchezza e,
quando arrivarono, era sera tarda. Si congedarono rapidamente perché sapevano di
essere in guai grossi con le loro famiglie. Luca corse perché la sua casa era la
più lontana. Quando arrivò aveva un leggero fiatone, ma non se ne curò perché
era in ritardo. La casa di Luca era molto grande: la sua famiglia possedeva,
infatti, molti campi, che ogni anno producevano dell’ottima frutta, verdura e
foraggio, senza contare gli animali. Nonostante ciò la famiglia di Luca non era
molto ricca; vi era infatti un mago malvagio di nome Malus che abitava un
castello adiacente alla foresta, dal quale controllava il villaggio di Kirs, il
villaggio di Luca, Edoardo e Alessandro. Essendo assoggettati dagli oscuri
poteri del mago la famiglia di Luca, come quelle di tutto il villaggio, dovevano
pagare pesanti tributi, tra cui metà del raccolto annuale. Gli esattori del mago
erano bestie mantellate alte e brutte, create dagli esperimenti del mago. Si
diceva addirittura che fossero uomini catturati dal mago e trasformati. Tra
qualche giorno ci sarebbe stato l’esenzione del tributo; di conseguenza c’era un
gran viavai nella fattoria che rendeva tutti molto nervosi e stanchi. Quando
Luca arrivò non fu una gran festa. La madre, una giovane molto bella di nome
Shila, gli venne incontro tutta affannata e rossa in volto. Luca sperò con tutto
il cuore che quel rossore fosse causato dalla corsa e non dalla arrabbiatura; ed
in un primo momento parve prevalere la seconda ipotesi perché la madre lo guardò
in cagnesco; poi, però, pensando a tutto quello che aveva da fare, corse via e
disse al figlio di andare a dare una mano
-
Fiuuu... – pensò Luca con sollievo – almeno fino a cena l’ho scampata.
Speriamo che papà mi dia del lavoro da fare e non pensi alla mia
scappatella
Camminò
ancora e raggiunse il fienile, dove sperava di trovare suo padre, ma non fu
così. Il fienile era vuoto, fatta eccezione per Aurora, la sua sorellina, che
mungeva le pecore. Per la sua età era molto volenterosa e affiatata, ma
soprattutto gentile. Era una bimba molto esile e carina, che aveva preso la sua
bellezza dalla madre. Di occhi blu come quelli del fratello e capelli biondi
come quelli della madre, possedeva una grande intelligenza che gli aveva
tramandato la nonna. Quando la vide fu molto contento di
vederla
-
Aurora – la chiamò Luca
-
Ciao fratellone – rispose lei con un sorriso di pura felicità; quello che solo i
bambini sanno fare – è da tanto tempo che non ci vediamo; la mamma si è
arrabbiata ieri sera, ma era solo preoccupata per te
-
Lo so – disse Luca – sai dov’è papà?
-
No, ma credo che sia nei campi. Lo sai che tra qualche giorno arriveranno gli
esattori del mago, e papà è molto agitato
-
Me lo immagino… Vuoi una mano?
-
Grazie, ma ho quasi finito…ah lo sai che Camilla ha partorito un altro
agnellino?
-
Davvero? – chiese sorpreso Luca. Aurora alludeva alla sua capra preferita, che
aveva già partorito sei agnellini di ottima salute ed ora aveva partorito il
settimo
-
Dobbiamo dargli un nome – disse Aurora
-
Uhm…che ne dici di Jill?
-
Non mi piace...
-
Han?
-
No...
-
Settimo?
-
Bleah!!! – disse schifata – Ma da dove li peschi certi
nomi?!
-
Robin?
-
Magari anche Hood... – disse ridendo lei
-
Uffa! Sai che sei noiosa? Io ti do una mano e tu mi prendi in
giro...
-
Allora? Non ti viene in mente nessun altro nome? Mi sorprendi... – disse Aurora.
La faccia del fratello le disse che aveva colpito nel
segno
-
Jack? – chiese lui, infine
-
Sì, sembra un bel nome. OK, aggiudicato. Comunque è meglio che ti sbrighi, papà
ha bisogno di te; non ti preoccupare per me, ce la farò da sola. Adesso
vai
Salutandola
con un ultimo sorriso, Luca si allontanò e si diresse verso le verdeggianti
colline, visibili solo dietro casa sua, che si stavano tingendo di un lieve
color oro nella giornata morente. Mentre correva non poté non fare a meno di
pensare alla sua sorellina, così gentile e premurosa nei confronti di tutti.
Invece di pensare a se stessa e di giocare con le altre bambine preferiva
aiutare i genitori e il fratello, soprattutto quando questo era a caccia o con i
suoi due amici, Alessandro e Edoardo. Sapeva di doverle qualcosa, e sentiva che
ora, forse a causa dei nuovi poteri o forse perché stava crescendo, le sue
responsabilità verso di lei e di tutti erano maggiori.
SBAMM!!!
Nel
giro di un secondo si trovò steso a terra
-
Maledizione, cosa diavolo... – cominciò a dire, ma non riuscì mai a finire la
frase perché due braccia forti e muscolose lo sollevarono e lo strinsero
forte
-
Luca ma dove sei stato? – tuonò la voce di Stronghold, suo
padre
-
Papà, ciao, come va qui il lavoro? Vedo che sei molto avanti – disse Luca,
cercando di divincolarsi dalla stretta del padre
-
Non bene, Luca. sono indietro con la raccolta delle mele: qui il campo è ancora
a metà, e se non finiremo di raccogliere le patate e non disbrigheremo a
seminare le carote, i cavoli e le altre verdure quest’inverno non riusciremo a
mangiare abbastanza da sopravvivere – disse. Luca sapeva che a suo padre piaceva
fare il melodrammatico per accelerare i tempi, ma si accorse che, in effetti,
aveva ragione: dei cento alberi di mele solo venti erano stati raccolti e il
campo di patate era a metà.
-
Ho capito, papà, da domani mi metterò con te e ti aiuterò il più
possibile.
-
Bravissimo figliolo – disse Stronghold menando una pacca sulla spalla del figlio
che gli mozzò il fiato – Non credere di cavartela però, tua madre non è rimasta
molto contenta dal tuo comportamento. Dovrei darti una punizione? – chiese
Stronghold con voce minacciosa quanto bastò per far crollare il morale al
ragazzo. L’ultima volta che lo aveva punito aveva arato tutti i campi e raccolto
l’intero frutteto. Quando aveva finito era più morto che vivo – Dai
scherzavo…Mica hai creduto che dicessi sul serio?
-
In effetti...
-
Oh, insomma, smettila e dammi una mano: lo sai che dobbiamo finire tutto il
campo
-
Tutto il campo! – protestò Luca – Ma io, veramente, sarei appena tornato; non è
possibile fare tutto domani? – chiese. Suo padre si accigliò, e Luca cominciò a
maledire la sua linguaccia
-
Lo sai che non sopporto i pigri – disse – Sei stato a spassartela con i tuoi
amici, bene, ora c’è da lavorare; e ti conviene impegnarti; altrimenti non ti
coprirò con tua madre
-
Questo è un ricatto bello e buono!
-
Eh...mi dispiace...
-
Va bene, lavorerò...uffa!
Lavorarono
sodo fino al calar del sole e poi smisero. Entrarono nella loro accogliente
casetta e, sudati, assaporarono il profumo invitante proveniente dalla
cucina.
-
Mm...la mamma deve aver preparato l’arrosto con le patate: non vedo l’ora di
mangiarmelo. Ho una fame che mi mangerei un bue! – disse
Luca
-
Prima, però, dobbiamo andare a lavarci: lo sai che la mamma non vuole vederti
sporco e infangato
Senza
protestare (non ne aveva la forza) Luca si trascinò fino alla stanza da bagno,
che consisteva in una pozza d’acqua con una saponetta. Dalla vasca usciva del
fumo bianco, segno che l’acqua era molto calda. Luca si spogliò ed entrò nella
vasca per primo. Subito dopo entrò suo padre, ed a Luca sembrò di stare in una
scatola di sardine. Il ragazzo uscì e attese che il padre si lavasse. Attese un
bel po’, infatti al padre piaceva stare a mollo. Dopo quelle che a Luca
sembrarono ore suo padre uscì. Fu costretto a cambiare l’acqua, che ormai era
una pozzanghera marrone, e così dovette fare il bagno nell’acqua gelida, fino a
che non ebbe un’idea. Provò a concentrarsi a fondo sui suoi poteri e…l’acqua
incominciò a bollire e diventò tutto a un tratto calda. Per un po’ fu piacevole;
poi, all’improvviso, si accorse che l’acqua era diventata come lava liquida e
tirò un grande urlo.
-
Aaah!!! Ma ti venisse... – cominciò a dire, sfoggiando tutto il suo repertorio
di maledizioni. Era ancora mezzo insaponato, così si fece il resto del bagno in
fretta e furia – Devo imparare a dominare i miei poteri... – pensò Luca.
Ma fu di nuovo scosso dai suoi pensieri dall’urlo di sua madre che gli diceva di
scendere per la cena. Finì di vestirsi ed entrò in cucina. La tavola era
apparecchiata con ogni bendiddio possibile ed
immaginabile.
-
Evidentemente è felice che sia tornato – pensò Luca, quasi ridendo sotto
i baffi. Si sedette a tavola e iniziò a “mangiare”. Mangiare per così dire:
mandava giù un boccone ogni cinque minuti, poiché doveva narrare a sua madre le
sue avventure dalla genesi sino all’apocalisse inventandosi un bel po’ di scuse
perché non credeva fosse il caso di mettere al corrente la madre dei suoi nuovi
poteri. Perciò tralasciò l’incontro con la fata, notando con sollievo che sua
madre non indagò più a fondo. Finita la cena Luca, molto stanco, salì le scale
con le parole della fata che gli rimbombavano nella mente
I
vostri poteri sono molto importanti, non prendeteli come un gioco, mi
raccomando
-
Cosa avrà voluto dire e chi è il quarto prescelto che dovrà dominare il potere
dell’Aria?
– pensò. Certo loro avevano ricevuto i primi tre, ma a che scopo? Perché di
tutte le persone presenti sulla faccia della terra proprio loro aveva scelto?
Questi interrogativi sembravano senza risposta ma forse più avanti l’avrebbero
scoperto. Pensò ancora a queste domande per il restante quarto d’ora facendo le
più spropositate ipotesi soprattutto riguardarti l’erede del quarto elemento, ma
poi finalmente si addormentò.