«Ehi,
Remus!». Un Sirius euforico e baldanzoso arrivò
nella sala comune dei
Grifondoro.
Si
avvicinò al ragazzo che sedeva a un tavolo, con il naso
immerso in un libro e
migliaia di pergamene piene di appunti e libri di scuola sparsi davanti
a lui.
Le
mani correvano, quasi febbrilmente, sparpagliando ancora di
più i fogli di
pergamena.
Remus
lo degnò solo d’uno sguardo veloce, poi
tornò alla sua ricerca.
«Dove
cavolo l’ho messo?», si chiese ad alta voce.
Il
ragazzo accanto a lui sbuffò.
«Dai,
vieni con me! James, Lily e Peter sono vicino al lago. Ci sono dei
ragazzi che
suonano le chitarre, hanno acceso un falò, e fanno festa
tutti insieme! Vieni a
svagarti un po’…», disse, gli occhi di
zaffiro fissati sul suo migliore amico.
Remus
si voltò, fissando i suoi occhi color dell’oro nei
suoi stupendi scorci di
cielo.
Rimase
un secondo a fissare quegli occhi. Occhi che bramava avere fissi su di
sé.
Occhi in cui per anni aveva desiderato vedere quella particolare
scintilla.
«Dai!!!»,
pregò.
Okay,
era vero che Remus doveva studiare, e in realtà avrebbe
dovuto farlo anche lui,
ma…
Erano
giorni che quel ragazzo non si staccava dai libri, che non pensava ad
altro,
che non mangiava.
Era
stato Sirius a portargli qualcosa rubata dalle cucine, la notte, per
non
lasciarlo andare a letto totalmente digiuno.
E
anche allora Remus non staccava gli occhi dai quei dannati libri.
E
Sirius, ogni sera, puntualmente, lasciava il vassoio col cibo sul
comodino, e
si lanciava in una sfrenata lotta, assalendo Remus sul suo letto,
bloccandolo
col proprio corpo, fissando gli occhi nei suoi…
E
ogni sera, puntualmente, Sirius riusciva ad avere la meglio su Remus.
Gli
toglieva di mano il libro e lo buttava di lato(qualche volta aveva
persino
colpito Peter in testa…).
E
ogni sera, puntualmente, Sirius bloccava Remus contro la spalliera del
letto, e
lo costringeva a mangiare.
Se
non fosse stato per lui, sarebbe di certo morto di fame.
Anche
Remus si alzò in piedi. Gli occhi scintillarono
pericolosamente.
Remus
si sedette, iniziando a mettere in ordine le pergamene sparse davanti a
lui.
Anche
se Sirius e James erano studenti brillanti, lui credeva comunque che
anche loro
avrebbero dovuto ripassare.
Dopotutto,
erano i M.A.G.O., e avrebbero determinato parte del loro futuro.
Era
deserta, tranne che per lui e Remus.
Tutti
gli altri ragazzi del settimo anno erano a divertirsi
all’aperto, godendosi la
notte che anticipava l’inizio degli esami.
Il
giovane Black guardò ancora una volta il suo migliore amico.
«Remus…»,
sussurrò dolcemente. Sperava che quel cocciuto avrebbe
potuto cambiare idea.
«No,
Sirius». La risposta secca non si fece per niente attendere.
La
voce di Remus era incolore, atona come non lo era mai stata.
Sirius
sentì le viscere contorcersi per la rabbia.
Senza
dire altro, si voltò e uscì velocemente dal buco
del ritratto.
Remus
si voltò dopo qualche istante, rimanendo a fissare il punto
in cui Sirius era
sparito.
Si
era arrabbiato davvero molto, il suo Paddy.
Ma
avrebbe dovuto capirlo. Avevano gli esami, e Remus doveva
studiare.
Con
un sospiro, il ragazzo tornò a fissare gli occhi dorati sul
libro che teneva in
mano
Sirius
corse per i corridoi poco illuminati della scuola, dirigendosi verso il
prato.
Perché
Remus gli aveva detto di no? Aveva bisogno di una pausa, di staccare
almeno per
un po’. Ma era troppo stupido per capirlo.
Aveva
rifiutato la splendida opportunità di stare con lui, James e
Peter solo per
rimanere a studiare.
Quella
era la loro ultima notte da Malandrini in quella scuola,
perché con l’inizio
degli esami non avrebbero potuto fare granché a parte
studiare.
Sirius
si sentì ribollire il sangue nelle vene.
Correva,
totalmente accecato dalla rabbia.
Improvvisamente
una goccia salata scese a bagnargli la guancia sinistra.
Stupito,
la tolse con la manica della camicia.
A
quella ne seguì un’altra. E poi
un’altra. E un’altra ancora.
Era
colpa di Remus, e Sirius lo sapeva bene. Era tutta colpa di quello
stupido
Moony.
Dell’intelligente
ragazzo dagli occhi dorati, e le labbra sottili…
Sirius
corse ancora più velocemente, togliendo le lacrime con il
dorso delle mani.
Quando
arrivò al grande portone, lo spalancò
furiosamente e uscì, dirigendosi veloce
verso il lago, dove avrebbe trovato i suoi amici.
Remus
si alzò per sgranchirsi un po’ le gambe.
Andò alla finestra e l’aprì.
Lì dentro
si stava soffocando, per via del camino acceso.
Una
ventata d’aria fresca lo investì in pieno viso.
Remus sorrise e guardò fuori,
verso il prato. C’erano gruppi di ragazzi sparsi un
po’ dappertutto. C’erano
piccoli fuochi accesi e musica, e canti e grida.
Lo
sguardo del giovane fu attirato da una figura scura che correva veloce,
attraversando il prato e spostandosi in direzione del lago.
Sirius.
Il
suo cuore mancò un battito.
Gli
sarebbe piaciuto essere con lui, ma non era proprio possibile.
Rivide
ancora lo sguardo arrabbiato dell’amico, quando aveva
nuovamente rifiutato di
seguirlo.
Rivide
quegli occhi blu ridotti a fessure, che lo fissavano.
Si
sentì quasi mancare il respiro.
Avrebbe
dovuto parlare con Sirius, quando era andato a chiamarlo.
Ne
aveva avuto l’opportunità, quando non
c’era nessuno ad ascoltare. E invece
l’aveva sprecata.
Non
avrebbe mai più avuto l’occasione per parlargli, a
quattr’occhi.
Il
ragazzo si diede mentalmente dello stupido, mentre ancora seguiva con
lo
sguardo quella figura che stava raggiungendo il prato vicino al lago e
si stava
sedendo insieme ad altri ragazzi.
Un
sospiro fuoriuscì dalle sottili labbra.
«Mi
dispiace…», mormorò a quel ragazzo
lontano, sdraiato sul prato, che non avrebbe
mai sentito quelle due parole.
«Ci
hai messo un secolo!»esclamò James Potter mentre
Sirius si sdraiava sul prato
di fronte a lui.
«E
Moony? Sta arrivando?», continuò il Cercatore. La
sua ragazza, Lily, era seduta
accanto a lui, i capelli rossi che brillavano alla luce del fuoco
azzurro che
aveva evocato. La ragazza guardò Sirius, fissando per un
istante i suoi occhi
verde smeraldo in quel quelli di lui.
Scosse
la testa, e gettò indietro la bella chioma fulva.
«No.
Moony non sta arrivando. Ha preferito rimanere a studiare»,
rispose Sirius,
gettando un’occhiata al lago.
James
si indignò.
«Ma
come?! È pazzo! Doveva venire e stare un po’ con
noi! Qualche minuto, almeno!»,
esclamò infervorandosi.
Il
ragazzo che gli stava accanto annuì vigorosamente, per
sottolineare la sua
approvazione. Peter Minus adorava James Potter.
Era
tutto ciò che lui non sarebbe mai stato.
Bello,
intelligente, simpatico, brillante.
Da
sette anni, ormai, Peter viveva nella sua ombra, godendo della sua
gloria
riflessa.
Sirius
rimase in silenzio, gli occhi azzurri fissi sul lago, nero come i suoi
capelli.
Le
mani tremavano alla luce del fuoco, a causa della folle e distruttiva
rabbia
che si era impossessata di lui.
Odiava
Remus.
Da
quel momento in poi l’avrebbe sempre odiato, decise.
Quello
stupido, dannato ragazzo!
Come
poteva davvero rifiutare di trascorrere insieme ai suoi amici la notte
prima
degli esami?!
Anche
la notte prima dei G.U.F.O. era stata la stessa storia. Identica.
Solo
che quella notte di due anni prima Sirius non si era sentito
così arrabbiato.
Non
era mai stato così furioso in tutta la sua vita, a dir la
verità.
Neanche
quando aveva litigato con sua madre ed era andato via da casa, trovando
rifugio
dai Potter.
James
si alzò in piedi, il bagliore bluastro del fuoco riflesso
negli occhi castani.
«Ora
vado su e lo prendo a pugni!», esclamò.
Peter
annuì, assecondandolo.
Anche
perché sapeva che contraddire James quando era
così risoluto equivaleva a morte
certa.
Sirius
si voltò verso l’amico.
«No».
Un'unica parola uscì dalle sue labbra.
James
lo guardò con gli occhi sbarrati.
«Che-?
Come no? Che vuol dire “no”?»,
farfugliò.
«No.
Lascia che faccia come vuole. Lascia che rimanga con il naso incollato
nei suoi
dannatissimi libri per tutta la notte, se lo desidera»,
rispose Sirius, tornando
a fissare gli occhi sulla superficie liscia del lago.
«E
perché dovrei farlo? Rimpiangerà di non essere
stato con noi!», disse il moro.
Sirius
non rispose. Non ne aveva voglia. E, anche se avesse voluto, non
avrebbe
davvero saputo cosa rispondere.
Perché
non voleva che James andasse a parlare con Remus, che lo tirasse fuori
da
quella dannata torre?
Probabilmente
perché era davvero furioso con lui, e se lo avesse visto
l’avrebbe davvero
preso a pugni.
«James,
siediti». Lily prese dolcemente la mano del suo ragazzo,
invitandolo a
sistemarsi accanto a lei. James obbedì, sbuffando.
Lily
si accoccolò contro il suo petto e lanciò a
Sirius uno sguardo penetrante.
Lily
sorrise, amaramente.
Erano
davvero ciechi, tutti quanti!
Sirius
spostò lo sguardo sui gruppi di ragazzi sparpagliati per il
prato.
Le
chitarre accompagnavano le voci degli studenti, le loro risa invadevano
l’aria.
Improvvisamente,
Sirius non ebbe più voglia di rimanere lì.
C’era qualcosa che non andava. Era…
no, non sapeva definire cosa fosse. Solo, si sentiva strano.
Aveva
bisogno di allontanarsi, alla svelta.
Così
si alzò, con uno scatto.
«Dove
vai?», domandò James.
«A
fare un giro…», rispose vagamente
l’altro.
«Qualche
ragazza che ti aspetta da qualche parte, eh?», fece Peter,
sorridendo.
«Ricordati,
la protezione prima di tutto!», esclamò James
ridendo. Lily gli scoccò uno
sguardo torvo.
Sirius
non rispose, e si allontanò velocemente.
Vagò
per il prato, passando accanto ai gruppi di ragazzi.
Alcune
ragazze gli si avvicinarono, maliziose, ma lui le respinse in modo non
esattamente gentile.
Di
solito non se ne perdeva una.
Ma
quella sera era troppo…
Era
diverso.
Remus
si stiracchiò sulla sedia, inarcando la schiena.
Sbadigliò.
Alcuni
ragazzi erano già tornati in sala comune. Molti altri erano
ancora giù al prato
a divertirsi.
Il
giovane licantropo diede ancora un’occhiata ai suoi appunti.
Nello
stesso istante il buco del ritratto si aprì, lasciando
passare i suoi amici.
James,
Lily e Peter si diressero verso di lui, chiacchierando.
«Ciao,
Moony», disse James, freddamente.
Remus
lo guardò. E capì che se l’era davvero
presa.
Lily
gli sorrise, dolcemente.
Peter
rimase in silenzio.
«E
così… sei rimasto qui a studiare»,
continuò il bel Cercatore.
Remus
sospirò.
«James-»,
esordì. Ma l’altro lo interruppe.
«Non
c’è bisogno che tu dica niente, Remus. Era la
nostra ultima notte, voglio solo
che tu lo sappia e che te lo ricordi, sempre».
Lily
guardò il suo ragazzo, gli poggiò una mano sul
braccio per fargli capire che
non era proprio il caso di fare così.
«Lo
so, Pronks. E mi dispiace, ma…-». Di nuovo, il
licantropo non potè finire la
frase.
«Ne
riparliamo, Moony. Adesso sono stanco, e ho bisogno di dormire. Domani
sarà una
giornata terribile». Detto questo, James baciò
Lily, dolcemente, e si diresse
al suo dormitorio.
Peter
augurò la buona notte e lo seguì.
«Posso
sedermi?», domandò Lily, dolcemente.
Remus
annuì, spostò i libri dalla sedia mettendoli sul
tavolo, e la ragazza si
sedette accanto a lui.
«Mi
è dispiaciuto davvero tanto, questa sera, ma dovevo
studiare…», esordì il
giovane.
«Lo
so», disse la ragazza. Poi sorrise.
«Non
preoccuparti, a James passerà presto. Non riesce a tenere il
broncio molto a
lungo», continuò la rossa.
Remus
sorrise.
«Grazie»,
mormorò.
Rimasero
alcuni istanti in silenzio. Poi Remus guardò la ragazza,
fissando i suoi occhi
color del miele negli stupendi smeraldi di lei.
«No»,
disse lei. Poi sorrise.
«No
cosa?», domandò Remus, stupito.
«No,
non so dove sia Sirius».
Il
ragazzo diventò di un bel rosa acceso. Guardò
verso la finestra, cercando di
sfuggire lo sguardo di lei.
«Come
lo sai?», domandò spostando lo sguardo sulla dolce
figura che gli stava
accanto.
«Intuito
femminile», disse la rossa.
Subito
dopo si alzò.
«Adesso
vado a letto. E dovresti andare anche tu. Sei stanco, davvero. Hai
bisogno di
riposare. A domani…», disse, piegandosi a lasciare
un tenero bacio sulla guancia
del compagno.
Lui
sorrise.
«A
domani».
La
guardò salire le scale, muovendosi con grazia infinita,
simile a una dea, i
rossi capelli che ondeggiavano dolcemente sulle sue spalle.
Rimase
in silenzio, pensando a cosa fare.
Non
sarebbe riuscito a studiare, ormai. Era troppo stanco, e gli dolevano
gli
occhi.
Chiuse
tutti i libri e arrotolò le pergamene con gli appunti,
riponendoli nella sua
borsa.
Rimase
così per un po’, in silenzio, da solo, con
l’unica compagnia dei suoi pensieri.
Decise
di aspettare il ritorno di Sirius, così lasciò le
sue cose sul tavolo e si
sistemò in una poltrona, molto più comoda della
sedia.
Non
gli andava di leggere, era davvero troppo stanco.
Rimase
in silenzio, a fissare il soffitto, con la testa reclinata
all’indietro.
Alcuni
Grifondoro entrarono dal buco del ritratto, chiacchierando
allegramente.
Oltrepassarono Remus, rivolgendogli un cenno del capo, e si diressero
ai loro
dormitori.
Il
ragazzo tornò a fissare il soffitto.
Chiuse
gli occhi per qualche istante, massaggiandoli come a voler cacciare via
tutta
la stanchezza che li opprimeva.
L’orologio
segnò le due e mezzo.
Remus
si chiese dove fosse finito Sirius.
Era
tardi, e lui cominciava a preoccuparsi.
Poteva
anche essere insieme a qualche ragazza, ma lo stesso Remus non poteva
non
pensarci.
Il
tempo trascorse, lento, troppo lento per Remus.
Le
tre meno un quarto.
A
Remus sembrò fosse passata un’eternità
da quando, quindici minuti prima, si era
domandato che fine avesse fatto il suo amico.
Il
giovane Grifondoro iniziò ad agitarsi sulla poltrona,
irrequieto.
Dove
diamine era finito quel cretino?
Oh,
gliel’avrebbe fatta pagare, questo era certo.
Il
ticchettio delle lancette contribuiva a far aumentare il nervosismo di
Remus,
che, alle tre e un quarto, si alzò dalla poltrona, deciso a
trovare quel
dannato Padfoot.
Ma
non poteva andare così, tranquillamente in giro di notte.
Gli
sarebbe servito un aiuto…
Dieci
minuti dopo, Remus scese dal dormitorio dei ragazzi, dopo aver posato
tutti i
suoi libri e le pergamene, stringendo a sé il Mantello
dell’Invisibilità di
James.
Lui
non si sarebbe arrabbiato, dato che comunque Remus l’aveva
preso per una buona
ragione.
Controllando
prima che
Ovviamente,
Remus aveva anche pensato a prendere
Dopo
tanti sforzi, lui, Sirius, James e Peter erano finalmente riusciti a
crearla.
Era una mappa fantastica. Mostrava tutto. Ogni persona, ogni luogo,
ogni
passaggio segreto entro i confini del castello.
Remus
la colpì con la bacchetta, mormorando “Giuro
solennemente di non avere buone
intenzioni”. Subito, una bella e ordinata grafia fece la sua
apparizione sul
foglio.
“I Signori Lunastorta, Codaliscia,
Felpato e
Ramoso sono lieti di presentarvi
Quella
era la sua grafia, e Remus sorrise. Aprì
Vide
il Professor Silente camminare su e giù nel suo ufficio,
come faceva sempre,
domandandosi se dormiva anche lui, ogni tanto.
Mrs
Norris e Gazza giacevano nella loro stanza, beatamente addormentati.
Tutto
sembrava tacere, nella scuola.
Remus
controllò sulla Mappa il campo da Quidditch, ma non vi
trovò traccia di Sirius.
Guardò
I
suoi occhi vagarono veloci, fino a trovare
l’infermeria…
Un
sospiro di sollievo uscì dalle sue labbra. Sirius non era
lì. Almeno stava
bene.
Poi,
controllando ogni singolo centimetro della Mappa, Remus vide un piccolo
puntolino, immobile.
Sotto,
la scritta Sirius Black.
Remus
colpì
Guardò
il cielo scuro della notte, dove qualche timida stella faceva capolino.
Tentò
di calmarsi e di riflettere.
«Di
solito quello è compito di Remus»,
mormorò.
Remus.
Il solo pensare a lui gli faceva montare una rabbia tremenda.
Era
stato davvero terribile, Moony, quella notte.
Quella
era la loro ultima notte.
L’ultima
notte da Malandrini.
L’ultima
notte da ragazzi.
L’ultima
notte che poteva passare, tranquillamente e senza problemi, con lui,
James e
Peter.
L’ultima
notte in cui avrebbe potuto parlare con lui, da ragazzo a ragazzo, e
non da
uomo a uomo.
Dopo
gli esami, tutto sarebbe cambiato.
Avrebbero
iniziato a lavorare, e si sarebbero visti poco.
E,
le poche volte che si sarebbero visti, sarebbe stato da uomini, e non
da
Malandrini.
Dio
come odiava Remus, in quel momento!!
Dalla
tasca del mantello estrasse un pacchetto di sigarette. Ne accese una e
poi
ripose pacchetto e accendino.
Aspirò
il fumo, ributtandolo fuori dopo qualche secondo.
Continuò
a fumare, in silenzio, cercando di rimuovere ogni pensiero dalla sua
mente.
Ma
il viso di Remus continuava ad apparirgli davanti agli occhi.
Non
riusciva a toglierselo dalla mente.
Era
entrato dentro di lui, impossibile da rimuovere o dimenticare.
«Dannato
Moony», mormorò il moro tirando l’ultimo
tiro e gettando la sigaretta lontano,
oltre il cornicione.
Rivide
il suo sorriso, dolce, tenero. I suoi occhi color dell’oro.
Le sue mani, così
fragili, piene di libri.
E
poi, rivide il Remus di quella notte.
Stanco,
con gli occhi cerchiati di scuro, spenti. Rivide la sua espressione
scocciata
per essere stato interrotto. Sentì di nuovo quelle sue
parole, quelle due
parole pronunciate con calma incredibile. Quelle due parole fredde,
senza
colore.
“No,
Sirius”.
Quelle
parole continuarono a riecheggiare nella sua mente, accompagnate dal
viso
dell’amico. Decise di rimuoverle, di sostituirle con un altro
Remus. Con il
Remus che non stava impazzendo per lo studio e lo stress da esami.
Con
il Remus che aveva conosciuto sette anni prima.
Con
quel ragazzo dall’aria impaurita, dolce, tenera.
Quel
ragazzo che Sirius aveva notato tra tutti gli altri e che, subito dopo
lo
Smistamento, aveva avvicinato.
Quel
ragazzo che era diventato suo amico. Quel ragazzo così
diverso da lui nel
carattere, eppure stranamente così simile.
Quel
ragazzo che, durante tutti quegli anni, gli era stato accanto.
Quel
ragazzo che, ogni santa mattina, prima dell’inizio della
prima lezione, gli
toglieva la sigaretta dalle labbra, tenendola tra l’indice e
il pollice, e la
spegneva pestandola con un piede, accompagnando sempre il tutto con la
sua
solita frase “Smettila di fumare anche la mattina
così presto, ti fa male”.
Sirius
sorrise al pensiero di tutti quegli anni trascorsi insieme, e un calore
si
spanse per tutto il suo corpo, arrivando fino al cuore.
Forse,
decise il ragazzo, non avrebbe tenuto il muso a Remus per tanto tempo.
Giusto
quanto bastava per farlo sentire un po’ in colpa.
Ma,
davvero, non sarebbe riuscito a rimanere arrabbiato con lui.
Era
Remus.
E,
anche se incollato ai libri, un po’ moralizzatore, e un
po’ rompipalle, Sirius
gli voleva bene.
Il
ragazzo rimase seduto, con il sorriso sulle labbra dovuto al ricordo
degli anni
passati. Estrasse ancora una volta sigarette e accendino, ne accese una
e
ripose il tutto nella solita tasca del mantello.
Mentre
stava aspirando il primo tiro, un rumore lo fece voltare.
Ma
non trovò nessuno.
Rimase
all’erta per un po’, ma poi si rilassò
di nuovo, poggiando la schiena contro la
fredda parete di pietra.
I
suoi occhi si persero nell’immensità del cielo,
vagando tra le stelle e il
buio.
Fece
un altro tiro e ributtò fuori il fumo.
Un
altro rumore.
Questa
volta più vicino.
Sirius
rimase immobile, chiedendosi chi o cosa fosse, e sperando di non
imbattersi in
Mrs Norris…
Salì
i gradini, cercando di non inciampare nel Mantello di James.
Quando
arrivò davanti alla pesante porta in legno,
l’aprì e, con solo un cigolio dei cardini
leggermente arrugginiti, se la richiuse alle spalle.
Da
dove si trovava poteva vedere Sirius, seduto per terra.
Sembrava
teso, all’erta.
Dopo
qualche secondo, si rilassò e tornò a fumare la
sua sigaretta.
Remus
scosse la testa.
Rimase
ancora un po’ in silenzio, a fissarlo.
Dio,
come l’aveva fatto preoccupare!
Dopo
qualche secondo di silenzio, Remus si diresse verso il compagno,
cercando di
non fare il minimo rumore.
Un
bello spavento gli sarebbe stato bene, a quel dannato Padfoot.
Sfortunatamente,
Remus sbattè il piede contro qualcosa di duro. Chinandosi,
si accorse che
doveva essere un pezzo smontato di un cannocchiale, di quelli che si
usavano
durante gli esami per scrutare il cielo.
Vide
Sirius voltarsi e cercare la fonte del rumore, senza successo.
Remus
ghignò, soddisfatto.
Si
avvicinò al ragazzo.
Questa
volta senza alcun rumore, si sedette accanto a lui.
Rimase
a guardarlo, immobile, trattenendo quasi il respiro per paura di essere
scoperto.
Guardò
Sirius portarsi la sigaretta alle labbra, aspirare il fumo, e gettarlo
fuori
dolcemente, quasi cullandolo con il movimento delle labbra.
Era
assolutamente straordinario come ogni suo gesto, anche il
più semplice, fosse
intriso di una aristocratica malizia, senza che lui se ne accorgesse.
Era
per questo che piaceva tanto alle ragazze.
E
ai ragazzi, anche.
Naturalmente,
lui sapeva di essere affascinante, ma ignorava fino a che punto.
Ignorava
che, ogni volta che lo guardava, Remus si incantava, affascinato da
quei
movimenti così dannatamente sensuali.
Il
moro stava scrutando il cielo, forse alla ricerca di qualche
particolare
stella, forse semplicemente per perdersi
nell’immensità di quella splendida
bellezza.
Remus
decise che poteva essere ora di mostrarsi.
Così,
togliendosi il cappuccio del Mantello, mormorò
«Ciao, Sirius».
Sirius
sobbalzò, spaventato. Si voltò a guardare quel
viso tanto familiare, così dolce
anche quando i lineamenti erano induriti dalla rabbia.
Si
massaggiò il cuore, in parte per fare un po’ di
scena, in parte per mascherare
con quel gesto teatrale lo spavento che si era preso.
«Remus!»,
esclamò fissando i suoi occhi blu in quelli
dell’altro.
Il
licantropo sorrise. Poi tornò serio.
«Lo
sai che ti fa male fumare anche a quest’ora della
notte?», disse togliendo la
sigaretta dalle mani dell’altro e gettandola lontano, oltre
il cornicione.
Sirius
sorrise, doveva aspettarselo…
«Sirius,
mi hai fatto prendere un bello spavento, lo sai? È tardi! E
io sono rimasto ad
aspettarti, fino a quando, non vedendoti rientrare, ho deciso di
cercarti»,
disse Remus guardandolo con occhi pieni di rimprovero.
Sirius
lo guardò.
«Non
volevo farti preoccupare. Ma ti sta bene, secchia che non sei
altro!», rispose
imbronciato. Sorrise dentro di sé, pensando che forse
sarebbe davvero riuscito
a fare sentire in colpa Remus. Almeno un pochino.
«Sirius…»,
esordì Remus. Stava per dire quello che aveva cercato di
dire a James, e cioè
che gli dispiaceva, ma quegli esami erano troppo importanti per lui. Ma
Sirius
l’aveva interrotto con un cenno elegante della mano.
«Non
mi importa se questi esami sono importanti, Remus… era la
nostra ultima
notte…», mormorò il moro. Era davvero
dispiaciuto che Remus non l’avesse
trascorsa con lui e gli altri. Adesso, tutti i propositi di fare
sentire Remus
in colpa erano svaniti, sostituiti da una grande tristezza.
«Può
ancora esserlo, Sirius…», sussurrò
Remus, stupendo anche se stesso.
Si
tolse il Mantello dell’Invisibilità sotto lo
sguardo attento di Sirius, lo
piegò e lo sistemò accanto a sé.
«Non
può, Remus, è troppo
tardi…», disse Sirius, gli occhi blu ancora
più scuri.
«Abbiamo
ancora una notte davanti a noi, Sirius. Questa notte è
ancora nostra!», esclamò
Remus, gli occhi splendenti di un bagliore dorato.
L’altro
lo guardò. Com’era bello in quel momento! I
capelli chiari scompigliati dalla
leggera brezza notturna, gli occhi illuminati da una nuova
luce…
Non
era mai stato così bello, pensò Sirius.
E
non lo sarebbe mai stato più di allora.
Quel
momento era unico. Non si sarebbe ripetuto mai più, loro non
sarebbero mai più
stati gli stessi. Sarebbero irrimediabilmente cambiati. Sarebbero stati
diversi. Non sarebbero mai più stati, forse, i Malandrini.
E
Remus non sarebbe mai stato così bello…
Improvvisamente
e senza alcun senso, Sirius si avvicinò a Remus e
posò un delicato bacio sulle
sue labbra.
I
suoi occhi erano fissi in quelli dorati, ma non vi leggeva sgomento o
orrore.
No.
Solo
una nuova luce dorata si era accesa in quegli occhi.
Sirius
sorrise sulla bocca di Remus. Chiuse gli occhi.
Rimase
a fissare gli occhi blu, quegli occhi che tante volte in quegli anni
aveva
sperato di avere così vicini.
Quegli
occhi in cui aveva bramato di vedere quello
sguardo.
Occhi
in cui, in quel momento, quello
sguardo risplendeva alla luce delle stelle.
Sentì
Sirius sorridere, lo vide chiudere gli occhi. Anche lui li chiuse.
Sollevò
una candida mano, e gli accarezzò una guancia.
Continuò
a baciarlo, dolcemente, delicatamente, a leccargli le labbra, ad
assaporarlo.
Poi,
il bacio si fece più profondo. Un bacio che nascondeva anni
di passione
repressa e nascosta.
Un
bacio dolce e forte.
Remus
prese il viso di Sirius tra le mani, continuando a baciarlo.
Dopo
un bel pezzo si staccarono per riprendere fiato.
Sirius
sorrise, abbracciando Remus, stringendolo a sé, inalando il
profumo di cannella
che emanava il suo corpo.
Remus
rimase accoccolato tra le braccia di Sirius, sorridendo felice.
Poggiò
la testa sul suo petto.
Potè
sentire il battito del suo cuore, veloce, quasi frenetico.
Anche
il suo cuore batteva così, in quel momento. Se non
addirittura ancora più
veloce.
Sirius
lo stava abbracciando, lo aveva baciato, e questo era tutto
ciò che Remus
avesse mai desiderato.
E
capì il motivo per cui, quella notte, dopo il rifiuto di
Remus si era sentito
così arrabbiato. Il motivo per cui aveva respinto quelle
ragazze, si era
sentito solo e… tradito. E triste.
Remus
lo completava… con un solo sorriso era capace di farlo
sentire bene.
E
Sirius non l’aveva mai capito…
Ma
adesso era con lui, con il suo Remus stretto tra le braccia, e non
l’avrebbe lasciato
andare…
Che
ve ne pare? Spero vi sia piaciuta…
Lasciatemi
almeno un piccolo commento, okay?
Baci,
Blaise