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Autore: Lade_    03/04/2012    3 recensioni
«Devo essere arrabbiata, arrabbiata, capisci?!»
«Devi essere arrabbiata? Te lo ha ordinato il medico?»
Remus e Dora alle prese con una spinosa novità proprio a pochi giorni dal matrimonio, una futura suocera in ansia e una gatta convinta di essere una regina...
Prima classificata al contest "Perché a Bessie piace così" indetto da BessieB sul forum di EFP
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Crash!
 
 
 
Crash.
Era il quarto crash che, nell’arco di mezz’ora, Remus sentì provenire dalla cucina. Sospirò: preferiva di gran lunga le sere in cui toccava a lui lavare le stoviglie, perlomeno dopo lui e Dora si ritrovavano con lo stesso numero di piatti e bicchieri che possedevano prima dell’ora di cena.
Qualche secondo dopo, ancora crash, subito seguito da un’imprecazione di Dora.
«Tutto bene, lì dentro?» domandò ironico, bussando alla porta della cucina. «Siamo arrivati a quota cinque, posso almeno sapere chi, pardon, cosa sono i caduti di guerra?»
«Sì che va tutto bene!» replicò una voce aspra. «Non entrare
Remus bussò ancora. «Dora, sicura che vada tutto bene? Ti sei tagliata? Stai piangendo sui resti della tua tazza preferita?»
«Va’ via, ho detto!»
E, prima ancora che avesse finito la frase, un altro rumore di ceramica infranta. Quota sei: un record, persino per gli alti standard di Dora.
Che lei quella sera fosse parecchio nervosa lo aveva notato già durante la cena, durante la quale non aveva spiccicato parola, limitandosi a divorare tre porzioni di pudding e a guardare torva la brocca dell’acqua, ma aveva lasciato correre: dacché la conosceva, non aveva mai visto Dora tanto irritabile, perciò sperava di sbagliarsi, magari era solo molto stanca o si trovava in quei giorni
Il problema erano i crash: Dora rompeva qualcosa praticamente sempre, ma rompere i piatti era per lei anche una valvola di sfogo, quindi Remus al terzo crash aveva capito che Dora non era semplicemente irritabile… era furiosa, e non poco. 
«Dora?» provò a entrare, ma lei, previdente, aveva sigillato la porta con un Colloportus. «Dora, mi apri? Conosco mille modi per aggirare un Colloportus, e parecchi di questi prevedono che della porta rimanga solo un mucchietto di polvere. Tu non vuoi che ti distrugga la casa, vero?»
Nessuna risposta, se non l’ennesimo rumore di un piatto che s’infrangeva contro il pavimento. Che poi, Remus sapeva benissimo come sarebbe andata a finire: Dora era un disastro con gli incantesimi di pulizia, e di raccogliere i cocci con la scopa non ne avrebbe avuto voglia, perciò chissà a chi sarebbe toccato pulire tutto quel tripudio di ceramica colorata…
«Tre… Due… Uno e mezzo… Allo zero uso un Bombarda Maxima… Uno… Tre quarti…» e la porta si aprì, rivelando Dora avvolta in un grembiulone giallo e con le braccia insaponate fino al gomito, la bocca tirata e l’espressione truce.
«Mamma ti ucciderà se mi distruggi la casa», lo avvertì, «e sai benissimo di cosa è capace».
«È capace di fare tutti quei piccoli incantesimi casalinghi che a te proprio non riescono, tanto per fare un esempio » scherzò Remus. «Scommetto un bacio che tua madre non ha mai rotto un piatto ».
E, malgrado l’arrabbiatura, quando lui si chinò a baciarla Dora non si spostò, anzi rispose con entusiasmo, cingendogli le spalle con le mani insaponate. Ma, subito dopo, lo colpì con uno schiaffo in pieno viso.
«Non mi devi distrarre, per Merlino! » gli gridò. «Devo essere arrabbiata, arrabbiata, capisci?!»
Con tutta la buona volontà, Remus non capiva, e francamente non gliene importava più di tanto: prendere la cosa sul ridere era molto più divertente. «Devi essere arrabbiata? Te lo ha ordinato il medico?»
Dora gli scoccò un’occhiata di fuoco. «Quanto sei insensibile, Rem!»
Facendosi largo tra i frammenti di piatti e tazzine, Remus giunse fino al tavolo e si sedette su una delle sedie: se era in arrivo un’adorabile litigata tra fidanzati pre-matrimonio, voleva godersela stando comodo.
«Ma, Ninfadora, se ti rifiuti di dirmi cosa succede come pretendi che ti possa capire?» le disse, a metà tra il serio e il faceto.
Altro sguardo di fuoco e altro crash – il settimo? L’ottavo? Aveva perso il conto. «Se proprio vuoi saperlo, mi hanno offerto una promozione» rivelò con aria drammatica, sempre scura in volto, mentre i capelli passavano dal solito viola a una tonalità rosso acceso.
Per Merlino, non si era arrabbiata quando l’aveva chiamata Ninfadora… La cosa doveva essere parecchio grave, quindi. 
Solo… cosa mai poteva esserci di tanto grave da farla innervosire a quel modo in una promozione?
«Promozione, hai detto?» disse cauto Remus. «Be’, congratulazioni cara! È rimasto un po’ di pudding per festeggiare?»
«Congratulazioni un corno!» s’indispettì lei. «Tu non hai la più pallida idea di quello che quelli lì pretendono!»
«E… cosa mai pretenderanno gli esaminatori di tanto terribile?»
Dora afferrò un piatto e lo strinse tanto forte che le nocche le diventarono tutte bianche. «Un esame orale» mormorò con aria affranta.
Remus, che si aspettava perlomeno un duello mortale contro un drago e una chimera, per un attimo temette di aver capito male. Esame orale, aveva detto. Per tutti i rospi, cosa c’era di tanto terribile in un esame orale?
«Ecco, prima di tutto posa quel piatto… Ecco, così, brava. E, seconda cosa, Dora… Temo di non aver ancora afferrato il problema» ammise in tutta sincerità Remus.
Da rossi che erano, i capelli di Dora diventarono neri e lisci come quelli di Mirtilla Malcontenta. «Hai visto i libri che ho lasciato all’ingresso?» disse affranta, lasciandosi cadere sulle ginocchia di Remus.
«Ehm, stavo finendo di preparare la cena quando sei tornata… No, non li ho ancora visti».
«Be’, sono i libri che dovrò studiare per l’esame» spiegò lei, sempre scura in viso, «e sono otto, e per giunta delle dimensioni di un cucciolo di drago».
Di nuovo, Remus ebbe la percezione che ci fosse qualcosa che gli sfuggiva. «Lo so che sono tanti, Dora, ma sono argomenti di cui hai già sentito parlare, i soliti mostri classificati con cinque X, i soliti incantesimi oscuri, le solite fatture che ti fanno ritrovare con la testa al posto delle gambe e viceversa… La solita roba da Auror, no?»
Dora allargò le braccia, esasperata. «Tu proprio non hai idea di come funzioni l’ufficio Auror, eh?» sbottò. «Hai presente tutta quella roba che Kingsley e Malocchio sanno fare e io no? Be’, quella è roba avanzata, mica ti possono insegnare tutto quanto al primo livello!»
«Ah, perché, ci sono i livelli?»
Lei lo guardò come si guarda un bambino molto piccolo che impara l’alfabeto. «Sei amico da anni di Kingsley e Malocchio, stai conme, conoscevi Lily e James PotterPensavo sapessi come funziona!» i capelli tornarono rosso fuoco. «Io sono al primo livello, Kingsley al quarto, Malocchio al quinto, che è l’ultimo» elencò, contando sulla punta delle dita.
«D’accordo, quindi tu devi andare al secondo livello – Merlino, mi sembra di star parlando di un torneo di Gobbiglie –, e per ottenere la promozione bisogna saper fare parecchie cose in più rispetto a quelli del primo, giusto?»
«Giusto».
«Bene. E la promozione te l’hanno offerta perché stai facendo moltissimo per la società magica in questo periodo di guerra, quindi già sanno quali sono le tue abilità pratiche, ed è per questo che devi semplicemente sostenere un esame orale, no?» procedendo per piccoli passi, Remus voleva arrivare ad avere un quadro completo della situazione.
«Proprio così».
«E quindi il problema sarebbe che ti tocca studiare otto libroni di argomenti parecchio complicati? » Remus sperava di essere arrivato, finalmente alla conclusione.
«Mmh… sì e no » sbottò Dora. «Il vero problema…» fece una pausa per prendere fiato. «Ilveroproblemaèchel’esameèlasettimanaprossima».
Per la rabbia, aveva parlato tanto veloce che Remus non aveva capito un’acca. Quando lei, torcendosi le mani, ripeté quello che aveva detto scandendo bene ogni parola, lui sbiancò.
Aveva sentito male, di sicuro.
Oppure Dora aveva avuto un lapsus.
Insomma, la sorte non poteva essere così maligna…
«Noi due ci sposiamo, la settimana prossima» mormorò, come se Dora non lo sapesse.
«E l’esame è due giorni prima del matrimonio» aggiunse cupa Dora. «Ora, suppongo che in condizioni normali potrei anche farcela a studiare otto libri in una settimana, ma di solito le spose sono leggermente indaffarate nei giorni prima delle nozze. Giusto un pochino, eh. Fleur Delacour la settimana scorsa è quasi svenuta per lo stress, e al suo, di matrimonio, manca quasi un mese».
Remus aggrottò le sopracciglia. Al suo posto, sarebbe stato nervoso e affranto quanto lei.
«Scusa, Dora, mi passi quel piatto? Quello azzurro, là dietro di te» fece cupo. Dora allungò un braccio e glielo porse e, non appena lui lo ebbe in mano, sotto lo sguardo stupito della giovane lo sbatté con entrambe le mani sull’orlo del tavolo.
Crash.
 
 
Quando, due giorni prima, Dora si era chiusa nella loro camera da letto con il fermo proposito di uscirne solamente la mattina del giorno dell’esame, portandosi dietro una scorta di cibo e acqua sufficiente per una settimana e lasciando fuori la porta alcuni effetti personali di Remus, inizialmente lui aveva creduto che non avrebbe resistito più d’un paio d’ore chiusa in quella stanzetta: Dora non era il tipo di persona capace di star ferma a lungo, tantomeno di star ferma a lungo a studiare.
Quarantott’ore dopo si era dovuto ricredere. Nemmeno il rimorso per costringere Remus a dormire sul divano l’aveva dissuasa ad aprire quella porta per uscirne o per far entrare lui: aveva preso quell’esame maledettamente sul serio, studiava tutto il giorno e dormiva tre o quattro ore a notte, stando a quanto aveva rivelato lei stessa quando Remus, preoccupato, le aveva domandato come procedesse lo studio.
Remus, dal canto suo, si era ritrovato a dover vivere solo con la gatta – Kneazle, anzi – di Dora, una palla di pelo striato le cui piccole dimensioni erano inversamente proporzionali al suo brutto carattere. Si chiamava Plotina – il nome di una qualche regina o imperatrice, Remus non ricordava bene –, e mai nome era stato più azzeccato.
Non era propriamente antipatica, Plotina, anzi spesso e volentieri era una piacevole compagnia; era il suo ego il problema, il suo spropositato ego da primadonna, la sua predisposizione al comando, le sue manie da regina.
Remus, che durante il primo giorno senza Dora aveva messo in ordine l’intera casa, si era visto costretto a riordinarla allo stesso modo ogni sera, poiché non appena lui usciva di casa per andare a Grimmauld Place o a compiere qualche missione per l’Ordine, Plotina ne approfittava per creare dal nulla il caos più totale, semplicemente perché quello era il suo modo di divertirsi.
Il primo giorno, ad esempio, Remus trovò il divano rovesciato su un fianco e diversi libri sparpagliati sul pavimento.
Il secondo giorno, ai suddetti libri mancavano delle pagine; il mistero fu svelato quando Plotina vomitò fogli di carta.
Il terzo giorno, Plotina rifiutò sdegnosa la cena che Remus le aveva pazientemente preparato – compito che di solito spettava a Dora, poiché Remus non capiva perché mai una gatta non si accontentasse di semplici croccantini – e gli proibì di metter piede fuori dalla cucina finché non le ebbe preparato un piatto di suo gradimento. Remus, che non si era mai sentito così stupido, sperava che nessuno dell’Ordine sarebbe mai venuto a conoscenza del fatto che prendeva ordini da una gatta. Si ripromise di chiedere a Hermione se anche Grattastinchi facesse così, o se fosse solo Plotina ad essere tanto insopportabile.
Il quarto giorno, miracolosamente, Plotina non gli dette alcun problema: si limitò a fare le fusa per tutta la sera, placidamente accoccolata sulle sue ginocchia, e s’addormentò insieme a Remus – punto a favore di Plotina: russava meno di Dora.
Il quinto giorno Remus si accorse di provare una grandissima, tremenda nostalgia di Dora; fu colpito da quella lucida consapevolezza quando posò gli occhi sul portaombrelli rotto nel quale lei puntualmente inciampava rientrando a casa, e restò fermo a guardarlo per diversi minuti, fino a quando avvertì Plotina strusciarsi contro le sue caviglie, miagolando lamentosa.
«Cosa c’è, adesso?» mormorò distratto.
In tutta risposta, Plotina indicò con la zampetta la porta della camera da letto. Sembrava atterrita.
«Merlino, quanto vorrei che tu avessi il dono della parola… Del resto, ti manca giusto quello, e io non ce la faccio più a tentare di decifrare quello che vuoi dirmi» più che rivolgersi a Plotina, Remus aveva parlato tra sé e sé, scoccandole un’occhiata confusa.
Plotina assunse un’aria infastidita – era straordinariamente espressiva, per essere un animale – e, di nuovo, gl’indicò la camera. Era un’altra delle caratteristiche di Plotina, quella di mostrarsi scocciata ogni volta che qualcuno non capiva al volo cosa voleva.
Perplesso, Remus si avvicinò di qualche passo alla porta della stanza, sigillata con un banale Colloportus che avrebbe potuto essere aggirato in mille modi. Più di una volta aveva provato l’impulso di far esplodere quella porta, non fosse altro che per dormire su qualcosa di più comodo di quel maledetto divano; e, in quel momento, al desiderio di comodità si aggiungeva quello di rivedere Dora, poiché la sua assenza gli dava ormai un senso di incompletezza, abituato com’era a vederla inciampare o a sentirla fracassare piatti in cucina…
Plotina attirò di nuovo la sua attenzione, lamentosa, e di nuovo gl’indicò la camera da letto. Dalla sottile fessura tra porta e pavimento, Remus intravide strani bagliori colorati, poi ci fu un botto e un rumore di vetro infranto.
«T-tutto  b-bene!» tossì subito Dora. «N-non dovrei provare tutti gli incantesimi che studio, credo…»
«Le tue lucette strane hanno spaventato Plotina, credo» la informò divertito Remus. «E il botto l’ha terrorizzata» aggiunse con una punta di malignità, guardando soddisfatto la gatta tremare di paura.
Malgrado lo spavento, Plotina gli scoccò un’occhiataccia, come a voler dire “sei una spia!”.
«Be’, informami, se riporti danni permanenti» celiò lui. «O se per caso ti penti di farmi dormire sul divano più scomodo della contea».
«Non ci sperare troppo» rise lei. «Qui sta andando tutto alla grande, se continuo così supererò l’esame col massimo dei voti!»
«Potrei aiutarti» propose speranzoso Remus. «Cioè, non che io ne sappia più di un Auror sulla roba che stai studiando, ma potrei interrogarti, o darti una mano a memorizzare le cose più difficili… Ero un professore, ricordi? So fare il mio mestiere».
Plotina intanto continuava a tremare, ancora atterrita, saldamente aggrappata alle caviglie di Remus, che faticava non poco nel trattenersi dal calciarla via.
«Grazie, ma non so quanto riuscirei a concentrarmi se ci fossi anche tu» ammise ridendo Dora.
Più deciso che mai a non passare un’altra notte insonne su quel maledetto divano troppo corto, Remus decise di giocare la carta dei sensi di colpa. «Non ti faccio pena? Almeno un po’?» bofonchiò. «Insomma, mal di schiena a parte, ho dovuto pulire il vomito di Plotina!» il solo ricordo lo disgustava.
«Sapessi quante volte l’ho dovuto fare io!» a giudicare dal tono, non sembrava che quella fosse esattamente una delle attività preferite da Dora.
«Spero almeno che ci sia qualche incantesimo contro il mal di schiena perpetuo, in uno di quei libri» sospirò Remus massaggiandosi la schiena dolorante e piegata in due.
Il sonoro crack di un’esplosione echeggiò in tutta la casa, subito seguito da un’alta imprecazione di Dora.  Plotina – Remus iniziava a detestarla sul serio – ringhiò spaventata e saltò, fulminea, sulla schiena già sofferente di Remus, artigliando la sua giacca di tweed per sorreggersi.
«Ma cosa diavolo…?» sbottò Remus, scrollandosela di dosso. «Pensavo che gli Kneazle, svegli come sono, non si lasciassero spaventare da queste sciocchezze» aggiunse a denti stretti, indietreggiando per mettere una distanza di sicurezza tra sé e quella gatta infernale.
Anche se, tutto sommato, Plotina era tanto intelligente che quel terrore per i rumori improvvisi glielo si poteva anche perdonare.
Remus pensò – o, perlomeno, a pensarlo fu il suo lato maligno, che malgrado quel che credevano molti esisteva, seppur latente – che non vedeva l’ora di passare il suo primo Capodanno con Plotina. Tra fuochi d’artificio e brindisi di mezzanotte, sarebbe stata l’occasione perfetta per farle passare dei brutti quarti d’ora, ne era sicuro. 
Plotina tremava, le orecchie dritte e tese, la coda tra le zampe.
«Dora, sei ancora viva? Gambe e braccia sono ancora al loro posto?» s’informò ironico Remus. Che la moglie combinasse più disastri di un centinaio di maghi al primo anno a Hogwarts, ormai lo aveva accettato, così come aveva imparato che, miracolosamente, Dora usciva indenne da qualsiasi caduta o esplosione da lei provocata, perciò non si preoccupò più di tanto.
«L’armadio» dal tono, Remus capì che, in quel semplice sostantivo, Dora aveva sottinteso un “l’ho distrutto”.
Sospirò: mai un esame era stato tanto pericoloso, mai.
 
 
Dell’armadio, restavano solo poche schegge sparse qua e là per il pavimento. Dora si distrasse un attimo a guardarle, sorridendo suo malgrado, poi scosse la testa e si immerse nuovamente nella lettura di un paragrafo piuttosto ostico. La bacchetta magica era ben lontana da lei – dopo l’esplosione di quel pomeriggio, aveva saggiamente deciso di non mischiare la pratica alla teoria – e, senza più quegli incantesimi e quelle lucine colorate, studiare era davvero faticoso, e ancor di più lo era trattenersi dal gettare quei libroni contro il muro, mandare a quel paese l’esame e gli esaminatori e accontentarsi del suo titolo di Auror del primo livello. 
Non era mai stato un tipo studioso, lei, glielo avevano ripetuto mille volte i professori, sconsolati, e sua madre, affranta, per poi ricredersi quando aveva superato i M.A.G.O. col massimo dei voti e aveva intrapreso la carriera da Auror.
Che soddisfazione! Dopo anni e anni di “Ninfadora, per l’amor del cielo, smettila di volare su quella maledettissima scopa e fa’ i compiti per le vacanze!”, l’aver sorpreso la madre con quella svolta improvvisa era stato qualcosa di impagabile!
Dora si picchiò la testa, rendendosi conto di essersi distratta per l’ennesima volta. Sbuffando, si costrinse a ritornare ai suoi libri, ma non ci riusciva, c’erano troppi rumori, la pendola dell’orologio del soggiorno era tanto rumorosa che la sentiva anche lei, e poi di là c’era Plotina che faceva le fusa, e Remus che russava…
Poverino, Remus, costretto a dormire su quel divano troppo corto e tutto liso… Si sentiva terribilmente in colpa, e fosse stato per lei lo avrebbe fatto entrare, ma ogni volta che era lì lì per aprirgli la porta le tornava in mente il fermo ammonimento di Malocchio: “Otto libri in una settimana… Chiuditi in camera e non uscirne fino al giorno dell’esame, Tonks, se vuoi avere qualche speranza di superarlo, persone ben più grandi e preparate di te non ce l’hanno fatta!”
Ottimista come sempre, Malocchio.
Sentì la pendola del soggiorno battere dodici rintocchi. Mezzanotte.
Cascava dal sonno, perciò afferrò in tutta fretta la bacchetta, la puntò contro se stessa e formulò rapida l’incantesimo Occhiaperti. Già si distraeva a guardare la luce del sole che filtrava dalle finestre, ci mancava solo che perdesse altro tempo dormendo…
Tornò al suo libro, applicandosi al massimo per memorizzare complicatissimi incantesimi e ricette di pozioni di cui non aveva mai sentito parlare. In meno di mezz’ora riuscì a terminare il sesto libro, e la cosa la entusiasmò al punto che, felice, gridò a Remus la bella notizia, incurante del fatto che lui stesse dormendo.
Lo sentì trasalire, e dai tenui rumori che provenivano dal soggiorno tentò di figurarsi la scena: avrebbe giurato di aver udito un piccolo tonfo, perciò immaginò che Remus si fosse addormentato, come al solito, con una tavoletta di cioccolata mangiata a metà stretta in mano, e che gli fosse scivolata a terra a causa del brusco risveglio.
«Eh? Hai detto qualcosa?» sbadigliò Remus. Poi, dopo qualche istante, «Dora… È mezzanotte!»
Ah, come se lei non lo sapesse! Era talmente rumorosa, quella pendola…
«Sì, ho detto che ho appena finito il sesto libro!» gli gridò, tutta felice. «Ora inizio il settimo, De formidolosissimis incantamentis» ridendo, Dora ne pronunciò il titolo fingendo un brivido di terrore.
«Ma… È mezzanotte!» protestò debolmente Remus. Merlino, che strazio parlargli senza poterlo vedere!
Qualche passo, poi di nuovo silenzio; quando Remus parlò, la sua voce era molto più vicina.
«Credo che dovresti dormire… Sai che l’incantesimo Occhiaperti ha tipo un centinaio di controindicazioni?»
Certo che lo sapeva, a Hogwarts i professori lo ripetevano in continuazione!
«Acidità, nervosismo, cattivo umore, pessimismo…» elencò Dora, memore delle prolisse raccomandazioni di Minerva McGranitt. «Ma io sto bene, non sono né acida né altro!»
Remus sbadigliò. «Entro domani o dopodomani lo sarai, fidati, e dovrai affrontare l’esame in quelle condizioni. Sarà la punizione divina per avermi costretto a dormire su quella poltroncina che tu chiami divano e a vivere a stretto contatto con un’insopportabile Kneazle con manie di protagonismo».
Per tutti i capelli di Morgana, se l’obiettivo di Remus era di farla sentire in colpa, ci stava riuscendo alla grande; mai aveva provato un tale rimorso, in vita sua.
«Perché non lo ammetti?» sussurrò, un po’ divertita e un po’ esasperata. «Non è per il divano, o per Plotina… Ti manco, non è vero?»
«È  da cinque giorni a questa parte che non riesco a dormire decentemente, al punto che mi caverei gli occhi pur di far cessare il loro bruciore, ho la schiena a pezzi e temo di non riuscire più a sopportare quella primadonna che cammina su quattro zampe…» cominciò Remus.
«E…?» incalzò Dora.
«E di tutto questo non mi importa, non potrebbe importarmene di meno… Mi manchi, Dora» sbottò Remus, con tutto l’impeto che la sua sonnolenza potesse permettergli.
Se solo la faccia burbera di Malocchio non avesse fatto capolino tra i pensieri di Dora, lei si sarebbe subito precipitata a spalancare quella porta, per poter abbracciare l’uomo che stava sopportando disagi e nostalgia solo per lei.
Remus avrebbe potuto aggirare il suo Colloportus in mille modi, eppure aveva sempre rispettato la sua decisione di non uscire da quella stanza fino al giorno dell’esame, sapendo bene quanto fosse importante per lei… L’aveva spesso supplicata di farlo entrare, vero, ma non aveva mai osato prendere da solo l’iniziativa.
Anche questo, secondo Dora, era amore.
«Solo due giorni» gli ricordò bonariamente.
«Due giorni con Plotina sono due anni» ghignò Remus.
All’improvviso, Dora si batté una mano sulla fronte, più e più volte. Che smemorata che era! Si era dimenticata di una cosa importantissima!
«Ti stai… picchiando?»
«Scusa, mille volte scusa, Rem, ma me ne ero completamente dimenticata! Potrebbe venire mamma qui a casa, uno di questi giorni. Quando le ho detto dell’esame, mi ha risposto che sarebbe venuta a darti una mano con gli ultimi preparativi».
«Dora, tua madre mi detesta» Remus era rimasto di stucco alla notizia. «Non credo che… Insomma, forse lo ha detto solo per tranquillizzarti… E poi, c’è già Molly Weasley che ci dà una mano…»
«Lo so, non riuscivo a crederci nemmeno io» commentò lei. «Ma mamma non è il tipo da rimangiarsi la parola data, Rem. Solo, cercate di non litigare, quando verrà, d’accordo? Già basto io a distruggere la casa, anzi, ricordati di mettere un po’ in ordine, a lei la confusione non piace…»
Aveva interrotto bruscamente quello che avrebbe potuto essere un bel momento romantico, accidenti.
Remus non reagì in alcun modo; perplessa, Dora scese dal letto e si accostò alla porta sigillata: il respiro leggero e cadenzato di Remus tradiva il fatto che si fosse addormentato, probabilmente chiedendosi chi mai fosse quella specie di Hermione Granger che studiava senza posa, lasciandolo dormire sul pavimento a pochi giorni dalle nozze.
 
 
«Ninfadora mi ha detto che agli anelli ci avresti pensato tu»Andromeda Tonks sembrava non fidarsi appieno delle promesse del futuro marito di sua figlia. Teneva tra le mani un taccuino e una piuma, e man mano che parlava con Remus spuntava i punti di una lista che, a dir la verità, era piuttosto corta.
«È così» assentì gentile Remus, sfuggendo allo sguardo penetrante della donna con disagio crescente.
«Bene» Andromeda spuntò un’altra casella, le labbra tirate, come se stesse bevendo una medicina molto amara. «E il rinfresco? Ora che ci penso, Ninfadora non me ne ha mai parlato».
Remus chinò il capo. «Molly Weasley» disse semplicemente. «Lei e Fleur Delacour, la futura moglie di Bill… Loro due si sono proposte di organizzare un piccolo ricevimento dopo la cerimonia».
Era tutto quel che aveva da offrire a Dora, le fedi dei suoi genitori e un ricevimento nuziale organizzato da altri. Sperava che dal suo volto non trasparisse il profondo disagio che provava, non voleva dare ad Andromeda la soddisfazione di poter pensare “ecco, ho sempre avuto ragione, mia figlia sta per sposare un buono a nulla”. 
«D’accordo» sempre con quel velo di cortese freddezza, Andromeda annuì. «Quindi, cosa rimane? L’abito Dora lo ha già scelto, e se agli anelli ci pensi tu e al ricevimento la signora Weasley…» scorse in fretta la lista. «Ah, sì, ecco, gli invitati. Avete organizzato tutto così in fretta, sicuri di aver spedito tutti gli inviti? Non vi siete dimenticati di nessuno?»
Remus scosse la testa. «Alastor Moody, i Weasley ed Hermione Granger, Kingsley Shacklebolt, lei e suo marito…» elencò. «Non abbiamo mandato inviti, signora, sono così pochi che lo abbiamo detto a voce a tutti quanti».
Andromeda annuì – non aveva fatto altro per tutto il pomeriggio, forse aveva un tic al collo –. «E i tuoi genitori? Harry Potter?»
«Sono morti, signora » Remus ebbe una fugace visione della madre stesa a letto, il viso segnato dalla malattia che l’aveva portata in poche settimane alla morte, che accarezzava la fotografia di suo marito, il padre che Remus non aveva mai conosciuto. Aveva solo tredici anni all’epoca, rammentò. «E l’Ordine preferisce che Harry Potter non metta il naso fuori di casa, almeno per il momento».
Avrebbe voluto che fosse Harry il suo testimone, così come Malocchio lo sarebbe stato di Dora. In realtà – e Remus si concentrò per accantonare quel pensiero – aveva sempre pensato che, se mai si fosse sposato, il suo testimone sarebbe stato Sirius. Ma Sirius era morto, morto come James, come Lily e i suoi genitori e Silente, e non avrebbe potuto testimoniare un bel niente, mai più.
Guardò torvo la donna anziana seduta accanto a lui continuare a spuntare metodicamente caselline; era troppo educata per esprimere il suo dissenso davanti a lui, ma Dora gli aveva raccontato delle interminabili discussioni su di lui tra lei e la madre… Non piaceva a quella donna e forse non le sarebbe piaciuto mai, forse addirittura lo detestava e, malgrado facesse male ammetterlo, Andromeda aveva ragione, Remus comprendeva e condivideva quel suo pensiero. Forse Dora non aveva tutti i torti quando sosteneva che lui e la madre erano più simili di carattere di quanto volessero ammettere.
«I fiori» mormorò Andromeda indicando una casellina non ancora spuntata. «Nessuno ha pensato ai fiori. Il bouquet di Dora. Le decorazioni. O Molly Weasley si occupa anche di questo?»
«Non ci avevamo pensato, in realtà. Ma non è un problema, i fiori si possono tranquillamente Evocare con la magia e…»
Andromeda arricciò il naso. «Sciocchezze, la mia amica Lysette ha una serra bellissima… Provvederò io ai fiori, allora» sempre annuendo, spuntò un’altra casellina. Poi lasciò cadere piuma e taccuino e chiuse gli occhi. «Avevo dimenticato quanto fosse stancante organizzare un matrimonio» commentò, massaggiandosi le tempie.
Non sapendo bene cosa rispondere, Remus esitò un attimo. «Vuole del tè?» disse infine, un po’ incerto. «Dora prende sempre del tè quando si sente stanca…»
Andromeda scosse appena il capo. «No, non del tè…» c’era una punta d’esitazione nella sua voce. «Avete, piuttosto, del Whisky Incendiario? Fa miracoli contro il mal di testa».
Un tonfo proveniente dalla camera di Dora distrasse entrambi. «Era solo un libro!» li tranquillizzò la voce febbrile della ragazza.
«Servirebbe anche a Ninfadora, forse» aggiunse preoccupata Andromeda; Remus notò solo in quel momento quanto fossero profonde le sue occhiaie. Sembrava distrutta.
Perplesso, Remus corse in cucina a riempirle un bicchierino di Whisky Incendiario – era più che certo di aver compreso male, dal momento che gli era difficile conciliare la composta Andromeda con il Whisky; tuttavia, la donna bevve il bicchierino tutto d’un fiato. «Va un po’ meglio, ora» sospirò, riponendo nella borsetta la piuma e il taccuino. Continuò a massaggiarsi le tempie per qualche minuto, mormorando qualcosa su quanto fossero fastidiose le emicranie, poi alzò su di lui i fermi occhi grigi.
Andromeda aveva sempre evitato il contatto visivo con lui, perciò Remus si sentì invadere da un’improvvisa ondata di disagio. «Vieni qui, Remus» disse poi, con un debole sospiro che sembrava esprimere una profonda rassegnazione. «Non abbiamo mai parlato, io e te».
Dopo un attimo di silenzio tanto profondo che potevano sentire Dora sfogliare le pagine dei suoi libri, Andromeda prese un altro sospiro e parlò. «Mia figlia ti ama proprio, eh?» disse amareggiata, poiché conosceva benissimo la risposta.
Questa volta fu Remus ad annuire.
«E tu?»
«Dora è la prima persona di cui mi sia mai innamorato sul serio, ma penso che questo lei già lo sappia» rispose sincero Remus.
«E sai anche che potresti non essere la persona più indicata per passare la vita al suo fianco, suppongo».
«Perché sono un lupo mannaro, o perché sono un disoccupato povero in canna che non potrà mai garantirle nulla?» chiese amaro Remus.
Andromeda scosse la testa. «Remus, sono scappata di casa a sedici anni con un Nato Babbano figlio di due lattai, l’ho sposato e vivo ancora felice insieme a lui. Credi davvero che mi importi qualcosa del fatto che tu sia povero o che non abbia un lavoro?»
«Lo speravo» ammise Remus. «A quello si potrebbe sempre rimediare».
«Già. Forse. Ma non importa» Andromeda scosse la testa, lo sguardo chino. «Voglio solo che Ninfadora sia felice come lo sono stata io».
«È quello che voglio anch’io, forse anche più di lei».
La donna alzò gli occhi, e Remus provò a decifrare tutte le sensazioni che si succedevano nel suo sguardo. Amarezza. Paura. Rabbia. Rassegnazione.
«Voglio solo che sia felice… » ripeté. «E lei lo è. È innamorata. Tu la ricambi. Vi state per sposare» mormorò. «E, per giunta, ha davanti a sé una grande carriera da Auror. Non credo che potrebbe – che potreste – chiedere di più».
Fece una pausa per schiarirsi la gola, e il suo sguardo si volse automaticamente verso la porta della stanza di Dora. «Ho accettato il fatto che siete una coppia, voi due» disse a voce bassissima.
Remus accennò un sorriso mesto. «Mi fa piacere».
La donna scostò di nuovo lo sguardo, questa volta per guardare Remus dritto negli occhi. «Be’, era piuttosto ovvio che mi fossi ormai rassegnata, altrimenti non mi sarei mai offerta di darvi una mano con gli ultimi preparativi» borbottò. «Ho accettato voi, ma credo che mi serva ancora del tempo per poter accettare te» aggiunse grave Andromeda, le labbra tirate e la voce d’un tratto più rauca, come se fosse sul punto di piangere. Ma gli occhi erano asciutti, e lei era tornata all’improvviso rigida e composta come quando, prima, discutevano di fiori e fedi nuziali.
Remus guardò la ferma compostezza di quella donna, di quella madre, e colse la lieve sfumatura di significato tra le sue parole. E, saggiamente, non rispose.
 
 
Crash.
Merlino, Dora aveva ragione, rompere piatti e tazzine era la miglior valvola di sfogo del mondo. Tanto, bastava un Reparo per rimettere tutto a posto, no?
Persino la proverbiale flemma britannica di Remus aveva un limite, e passare la settimana prima delle nozze lontano da Dora e, al contrario, a stretto contatto con Plotina, gli aveva fatto perdere tutta la pazienza accumulata in anni e anni di solitudine.
Ma era soprattutto la discussione di quel pomeriggio con Andromeda Tonks che lo aveva lasciato stremato: affrontare lo sguardo carico d’amarezza della donna, sentirla parlare con tanta sincerità e vedere, per la prima volta, il suo lato materno messo a nudo con tanta spontaneità di fronte a lui, gli aveva lasciato un segno più indelebile delle cicatrici scure delle sue ferite. E, malgrado il malcelato dolore della donna, si era sentito sollevato al pensiero che avesse solo bisogno di tempo per accettarlo.
Remus guardò soddisfatto il piatto rotto ai suoi piedi. Già si sentiva meglio, anche perché era ormai la vigilia dell’esame e di lì a poche ore Dora sarebbe finalmente uscita da quella stanza, pronta a diventare un’Auror del secondo livello, sarebbe tornata adorabile come sempre e il suo comportamento alla Hermione Granger sarebbe caduto nel dimenticatoio. Ma, soprattutto, lui avrebbe avuto di nuovo il suo letto. Gli veniva da piangere per la felicità al pensiero.
«Rem, ho sentito crash!» gridò Dora dalla camera da letto.
«È caduto un piatto» mentì Remus, guardando le stoviglie lavarsi da sole nel lavabo – lui, a differenza di Dora, se la cavava con quel tipo di incantesimi domestici. Meglio che lavare i piatti a mano, senza dubbio.
Ne afferrò un altro che era appena saltato fuori dal lavabo e, stringendolo con entrambe le mani, lo schiantò contro il tavolo. Farlo lo fece sentire meglio. «Reparo» bisbigliò poi, e entrambi i piatti tornarono integri – e insaponati.
«Rem, ho sentito un altro crash!» gridò ancora Dora. «Non ti è scivolato un bel niente, tu non rompi mai niente, i piatti li hai rotti apposta, ammettilo!»
«Da che pulpito!» celiò lui. «Chi è che ha inventato questo giochetto?»
«Cosa c’entra!?» sbuffò Dora. «Almeno io ho una tecnica ben precisa, mica li spacco sbattendoli sul tavolo come sicuramente starai facendo tu!»
Remus rise e Plotina, che lo osservava accovacciata sul tavolo, miagolò in un modo che sembrava tanto una risata. Gli occhi gialli della gatta erano più vivaci del solito o perlomeno, come notò Remus girandosi a guardarla, non sembravano quelli di un’attrice consumata.
«Siamo di buon’umore stasera, eh?» commentò soprappensiero, continuando a dirigere con la bacchetta il movimento di piatti e stoviglie.
In tutta risposta, Plotina miagolò, tutta felice, e mosse appena la testa, come se stesse annuendo.
Poi entrambi sentirono uno strano rumore proveniente dalla camera da letto. Vetro infranto, forse.
«Hai fatto fuori l’abat-jour?» tentò d’indovinare Remus.
«No, cioè sì… Insomma, stavo esultando e con il braccio ho… Ma ho sentito male o stavi parlando con Plotina?» la voce di Dora era molto più rilassata di quanto lo fosse mai stata nell’ultima settimana.
«Quando non si comporta da Imperatrice delle Indie non è poi così male… Credo» e Remus cercò conferma nell’espressione di Plotina, che annuì, tutta contenta. «Tu, comunque, perché stavi esultando?»
«Perché ho appena finito di ripassare l’ottavo libro!» annunciò soddisfatta Dora. «Ora magari ripeto un po’ di cose che mi chiederanno di sicuro domani, così, giusto per stare tranquilla…»
Ma Remus non aveva alcuna intenzione di lasciarla ripassare fino al mattino. Aveva studiato a sufficienza, no? L’esame lo avrebbe passato, in un modo o nell’altro. E lui aveva sopportato l’inevitabile separazione di quei pochi giorni perché sapeva quanto quell’esame fosse importante per lei, ma ora che aveva finito di studiare non c’era più motivo di non disturbarla…
E poi, anche lei sarebbe stata felice di posare una volta per tutte quei libri che ormai erano diventati un vero e proprio incubo; lo studio non era una delle attività che Dora preferiva, dopotutto, anche guardare un muro sarebbe stato un passatempo più gradevole, per lei. E non era forse stata lei stessa a dirgli, solamente il giorno prima, di provare una fortissima nostalgia?
Remus abbandonò la cucina a passo svelto, subito seguito da Plotina; una volta arrivato davanti alla porta della camera da letto, sfoderò la bacchetta. «Bombarda!» formulò a denti stretti. Un attimo dopo, della porta non restavano che i cardini, e il pavimento era cosparso di frammenti di legno.
Plotina si catapultò nella stanza per prima e si gettò su Dora con un “meow” di felicità; Remus entrò un attimo dopo, giusto in tempo per vedere Plotina volare attraverso la stanza e sbattere contro l’armadio.
«Oh Merlino, scusa!» preoccupata, Dora saltò giù dal letto – facendo cadere un paio di libri – e andò a controllare le condizioni della gatta. «Oh, scusa, scusa, non volevo!»
Poi si voltò verso Remus. «Cosa ci fai qui e perché hai appena buttato giù la porta?» ringhiò, tastandosi le tasche dei pantaloni, forse per cercare la bacchetta. Sembrava sull’orlo di una crisi di nervi: le controindicazioni dell’incantesimo Occhiaperti si stavano manifestando, dunque.  «Ti avevo detto di… E poi, guarda… Per colpa tua ho quasi ucciso Plotina!»
Ma la gatta sembrava star bene, a giudicare dal miagolio sussiegoso che emise non appena fu di nuovo su quattro zampe. Poi, lisciandosi il pelo con le zampette, si arrampicò sul letto e guardò truce Dora – la stessa occhiata che nei giorni precedenti aveva talvolta riservato a Remus –, quasi volesse dire “ma come, ti abbraccio dopo tanti giorni che non ci siamo viste e tu mi scagli per aria?”
«Fino a prova contraria, il volo a Plotina glielo hai fatto fare tu» obiettò Remus.
«Non mi aspettavo che mi piombasse sulla faccia!» si giustificò Dora. «E non avrebbe dovuto farlo, visto che in teoria quella porta sarebbe dovuta rimanere chiusa fino a domani mattina!»
Si torceva le mani, fuori di sé.
«Hai studiato abbastanza» le fece notare Remus, «e io avevo troppa nostalgia per starti ancora lontano senza motivo».
Si fissarono per qualche secondo; un attimo dopo, Dora gli buttò le braccia al collo e lo baciò con impeto, quasi avesse aspettato quel momento per tutta la settimana. Dimentichi dell’esame, dei libri e, soprattutto, di Plotina che non li perdeva d’occhio un istante, Remus e Dora si buttarono a peso morto sul letto, avvinghiati l’uno all’altra.
«Sapevo che sarebbe andata a finire così» mormorò lei scuotendo la testa, abbracciandolo come avrebbe abbracciato qualcuno che non vedeva da anni. «Ecco perché non volevo farti entrare!» aggiunse colpevole. «Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo…»
«Be’, onestamente…» gli occhi di Remus ardevano, e lui si rallegrò nel leggere lo stesso piacere in quelli di Dora. «Onestamente, non me ne importa».
 
 
Dora gli aveva tenuto il muso per tutta la mattina.
«Se mi bocceranno all’esame» gli aveva detto, «sarà anche colpa tua! Ti avevo supplicato di non entrare, sapevi che non sarei riuscita a studiare con te intorno! E avevo bisogno di qualche ora di ripasso, c’era un capitolo di De formidolosissimis incantamentis che non mi era molto chiaro e…»
Invano Remus aveva tentato di rassicurarla, dicendole che aveva studiato anche troppo, quasi ventiquattr’ore su ventiquattro per sette giorni di fila, e che di sicuro sarebbe stata promossa a pieni voti.
«Te l’avevo detto di non esagerare con l’incantesimo Occhiaperti» l’aveva rimproverata. «Causa nervosismo, cattivo umore… e tanto, tanto pessimismo».
Dora lo aveva guardato malissimo, stritolando la fetta di pane tostato e marmellata che lui le aveva preparato. Anche Plotina aveva cercato di dare il suo contributo per tranquillizzarla, strusciandosi contro le sue gambe e facendo fusa all’impazzata, ma Dora non ci aveva neppure fatto caso.
Remus, comprensivo, le aveva allungato un piatto; lei lo aveva afferrato con una mano sola e crash, con un unico, rapido ed elegante movimento del polso lo aveva lanciato di taglio contro la credenza – Plotina, spaventata, era corsa a rifugiarsi tra le ginocchia di Remus con un “meow” di disappunto.
«Rompi tutti i piatti che vuoi» le aveva suggerito Remus. «Guarda, se vuoi ti lascio sola… Fa’ fuori tutte le stoviglie che abbiamo, poi ad aggiustarle ci penso io…» ed era uscito silenziosamente dalla cucina, subito seguito da Plotina che sembrava aver capito cosa sarebbe successo.
Dieci minuti dopo, la tazza da tè di Remus era l’unica stoviglia intatta rimasta in cucina, e Dora era scomparsa nel caminetto – aveva scelto di arrivare al Ministero via Metropolvere – con un’espressione ben diversa dalla smorfia crucciata che aveva durante la colazione. Lui l’aveva seguita a ruota, facendo fatica a tenere a bada Plotina che sembrava intenzionata a seguirli. 
Ora, Remus misurava a larghi passi il corridoio davanti l’Ufficio Auror, dove Dora stava sostenendo l’esame già da mezz’ora, ormai; guardava l’orologio pressoché ogni minuto, chiedendosi quanto potesse mai durare quel Merlino di esame e tentando di carpire ogni rumore proveniente dall’Ufficio, anche se con scarsi risultati. Non ricordava di essersi mai sentito tanto in ansia, neppure ai tempi dei M.A.G.O., quando quello sotto esame era lui.
Poi, all’improvviso, al rumore dello scalpiccio di Remus se ne aggiunse un altro, più lieve: erano in due, ora, a camminare per quel corridoio. Remus alzò lo sguardo per vedere chi fosse il nuovo venuto, e indietreggiò d’istinto nel vedere la figura altera di Andromeda Tonks venirgli incontro.
«Buongiorno, Remus» lo salutò garbata, le labbra tirate come sempre e, come sempre, gli occhi sfuggenti, enigmatici. Non dette cenno di ricordare la loro ultima conversazione, di come gli aveva parlato, per la prima volta, senza giri di parole o formule di cortesia, solo con tutta l’amara, disarmante sincerità di cui le donne – e a maggior ragione le madri – sono sempre provviste.
«’giorno, signora Tonks» fece Remus, imitando senza volerlo il tono studiato di Andromeda.
«Ninfadora è dentro da molto?» s’informò lei, sempre con quel suo modo di parlare artefatto ma cortese che Remus aveva imparato a riconoscere. Frugava nella borsetta, sfuggendo allo sguardo di Remus: una mossa studiata, l’ennesima.
«Mezz’ora, dovrebbe uscire a breve» Remus continuò la farsa.
Andromeda annuì – tic al collo, pensò Remus, ricordando quante volte avesse annuito il giorno precedente, di sicuro ha un tic al collo – e continuò a rovistare nella borsa, finché, spazientita, non la rivoltò come un guanto, e finalmente ne estrasse una scatolina rossa e infiocchettata. Un regalo per Dora, intuì Remus.
«E… suo marito non è potuto venire?» azzardò Remus, dicendo la prima cosa che gli passò per la testa, giusto perché la compagnia silenziosa di Andromeda lo metteva a disagio.
«Ted sarà qui a momenti» Andromeda sbirciò l’imboccatura del corridoio. «Si è fermato a parlare con un amico al piano di sotto, credo».
Ci mancava solo che parlassero del tempo. A quella cortesia artificiosa, Remus avrebbe preferito persino una discussione coi fiocchi, o anche solo un’occhiataccia, una battuta tagliente…
«Uhm, bene» era a corto di parole.
Andromeda sbirciò di nuovo alla sua sinistra, verso l’ascensore, da dove a breve sarebbe spuntato il marito; Remus quasi non vedeva l’ora che arrivasse, perlomeno la sua presenza gioviale sarebbe stata come una ventata d’aria fresca paragonata alle maniere forbite di Andromeda.
«Remus, io…» la voce, di solito così ferma, di Andromeda vacillò, quasi la donna non riuscisse a trovare le parole giuste; Remus, che già si aspettava di sentirla buttar lì un commento qualunque, o chiedergli di Plotina giusto per far conversazione, trasalì appena.
Un’altra occhiata nervosa all’imboccatura del corridoio, poi Andromeda alzò finalmente lo sguardo fiero verso quello cauto di Remus. «Ho parlato con mio marito. Abbiamo quasi discusso, in realtà» la voce le vacillò di nuovo, ma si sforzò di tenerla ferma e, a tratti, tagliente. «Ted mi ha rimproverata di essermi comportata come una vera Black con te, il che equivale a un insulto, praticamente».
Remus lo sapeva bene: anche per Sirius sarebbe stato un insulto, ricordò malinconico.
«Io… Io già ti ho detto cosa penso. Già ti ho detto di aver bisogno di tempo» continuò. «Non ti ho detto tutto, però, e Ted mi ha rimproverata aspramente per questo. Mi sono dimenticata una cosa. Mi sono dimenticata di scusarmi».
Di nuovo, Remus lesse una disarmante sincerità nello sguardo di Andromeda. «Non… Io…» tacque, incapace di trovare le parole adatte, proprio lui che non aveva mai avuto problemi nell’eloquio.
«Dora è ancora dentro?» trafelato, Ted Tonks sopraggiunse proprio in quel momento, togliendolo d’impaccio. Guardò l’orologio da polso, perplesso. «Per tutti i Lepricani, quante domande dovranno mai farle a quella poveretta? Insomma, ha combattuto contro Bellatrix Lestrange, questo dovrebbe bastare a farla salire dritta al quinto livello!»
Poi si volse verso la moglie, d’un tratto più serio. «E tu, hai fatto quello che dovevi fare?» indicò Remus con un cenno del capo.
Andromeda, lievemente imbarazzata, annuì. Il volto gioviale di Ted Tonks si allargò in un grande sorriso. «Vedi, Remus, lei è così, anzi, tutte le madri sono così…» allargò le braccia e strizzò l’occhio a Remus. «Lo so, Andromeda sembra tremenda, ma è buona come il pane, in realtà. Solo, è un po’ protettiva verso Dora. Giusto un po’, sai» altra strizzata d’occhi. Le guance di Andromeda avevano assunto una strana tonalità porpora; non aveva peli sulla lingua, Ted Tonks, decisamente.
Un improvviso rumore secco distrasse tutti e tre, e pochi istanti dopo la porta dell’Ufficio Auror si aprì di scatto, e sulla soglia apparve, raggiante, Dora, stringendo tra le braccia uno dei suoi libri. Dietro di lei, Malocchio Moody aveva l’aria più soddisfatta del mondo, malgrado Remus vide un paio di Auror alle sue spalle guardare sgomenti una grande anfora decorativa ridotta in frantumi – ecco cos’era il rumore secco!
Dora si precipitò tra le braccia di Remus, lanciando in aria il pesante libro sotto gli occhi esterrefatti della madre. «Sono ufficialmente un’Auror del secondo livello!» annunciò esultante, con la lieta furia che l’aveva sempre caratterizzata. Fortunatamente, ogni ombra di Hermione Granger sembrava scomparsa da lei, sembrava tornata la Dora di sempre, la solita Dora adorabilmente chiassosa che Remus tanto amava.
«Congratulazioni, tesoro!» Andromeda le sorrise – Remus, che non l’aveva mai vista sorridere, quasi non la riconobbe – e abbracciò la figlia. «Ho risposto bene a tutte le domande… tranne che a una» raccontò frenetica Dora, mentre si separava dall’abbraccio materno e si gettava, felice, tra le braccia del padre. «E Malocchio mi ha fatto domande difficilissime, e io che credevo che mi avrebbe aiutata… Ma d’altro canto si sa, Malocchio è così, non è mica tipo da fare favoritismi…»
E si lanciò in un lungo resoconto dell’esame, da come era inciampata davanti agli esaminatori ancor prima di iniziare fino a una dettagliata descrizione dello sguardo eloquente che Malocchio e Kingsley si erano scambiati prima di annunciarle ufficialmente che era promossa.
«E poi ho rotto l’anfora» concluse Dora, facendo spallucce. «Ma tanto era brutta, l’ho sempre detto».
 
 
Quella sera, Dora non ne volle sapere di fare alcunché, dicendosi troppo stanca persino per cenare; si buttò scompostamente sul divano, con Plotina che faceva fusa all’impazzata sul grembo, e tentò di addormentarsi – il primo vero sonno da una settimana a quella parte –, per cui Remus cercò di sbrigare le poche faccende domestiche che aveva da fare, tra cui riparare tutti i piatti rotti da Dora a colazione, il più silenziosamente possibile. Dopo una decina di Reparo formulati a mezza voce, sulla soglia della cucina comparve Plotina, il cui muso schiacciato era contratto in una smorfia di disappunto.
«Ma non stavi facendo compagnia a Dora, tu?» borbottò Remus.
Plotina avanzò di pochi passi e miagolò sommessa: sembrava che qualcosa la irritasse.
«Per Morgana, cosa c’è adesso?» come spesso capitava con Plotina, si stava spazientendo. La Kneazle indicò con la testolina il soggiorno, producendo uno strano suono a metà tra un ringhio e uno starnuto.
«Vuoi che vada in soggiorno?» Remus era piuttosto perplesso.
Plotina, guardandolo come si guarda un completo idiota che arriva dopo ore a una conclusione banale, annuì, ricordandogli terribilmente Andromeda Tonks, e lo precedette in soggiorno.
«Be’, cosa c’è?» Remus non notava nulla di anomalo.
Spazientita, Plotina indicò con una zampetta Dora placidamente addormentata sul divano; russava alla grande, ma a questo Remus era abituato, e doveva esserlo anche Plotina, dato che di solito dormiva sul suo comodino.
Remus continuava a non capire.
Plotina, esasperata, gl’indicò un filo di lana rossa mista a pelo di gatto che spuntava da sotto il corpo di Dora.
«Ah, si è addormentata sul tuo gomitolo…» capì finalmente. «Be’, non puoi giocare con un’altra cosa ora? Non possiamo svegliarla, ha bisogno di dormire un po’!»
Ma Plotina non aveva alcuna intenzione di seguire il consiglio di Remus, a giudicare dal lampo omicida che le balenò negli occhietti gialli. Soffiò, aggressiva, e indicò di nuovo il filo di lana.
«Non sveglierò Dora per un gomitolo» chiarì severo Remus.
Non che pensasse davvero di poterla spuntare contro Plotina,aveva imparato a sue spese quanto potesse essere pericoloso mettere in discussione quella gatta; non si poteva avere la meglio contro di lei: non solo ne uscivi con la coda tra le gambe, ma eri anche costretto a sorbirti un sagace “te l’avevo detto, io” da parte di Dora, convinta che ci fossero due persone al mondo da non mettere mai in discussione: sua madre, e Plotina.
E Remus di “te lo avevo detto” ne aveva già sentiti parecchi, da quando era andato a vivere in quella casa con la malsana idea di poter “mettere al suo posto” Plotina. Era sconfitto già in partenza, insomma.
Plotina alzò una zampetta, e Remus notò che aveva estratto gli artigli; la sua espressione era inequivocabile, con gli occhi gialli ridotti a due fessure e i denti scoperti.
«D’accordo, d’accordo» si arrese. Uno a zero per Plotina. Tentò di prendere il gomitolo senza svegliare Dora – dopotutto, aveva il sonno parecchio pesante – ma capì subito che era pressoché impossibile. Pensò di usare l’Incantesimo di Appello, allora, ma era sicuro che se il gomitolo fosse schizzato all’improvviso verso di lui Dora si sarebbe svegliata ugualmente, ed Evocare un altro gomitolo era fuori discussione, conoscendo Plotina.
Sospirando di disappunto, Remus si costrinse a svegliarla. «Dora?» disse piano, sentendosi terribilmente in colpa. «Dora?»
«Eh? È già mattina?» Dora sbadigliò e sbatté più volte le palpebre.
«No, è solo che ti sei addormentata sul gomitolo del mostriciattolo…» spiegò a denti stretti Remus, guardando storto Plotina. Dora, sbadigliando di nuovo, estrasse da sotto la sua schiena un gomitolo rosso in condizioni pietose, che lanciò a Plotina. La gatta iniziò a giocarci, felice, e non degnò più d’uno sguardo né la sua padrona né Remus.
«A volte sembra che sia Plotina la padrona della casa» mormorò sovrappensiero Dora, guardando con affetto la gatta. «A proposito, siete andati d’accordo in questi giorni?»
Remus aggrottò le sopracciglia. «Abbiamo personalità piuttosto discordi, ma non abbiamo mai litigato, se è questo che intendi. Se ci fosse stato Sirius al posto mio» aggiunse con un velo di malinconia, «Plotina a quest’ora non avrebbe tutte le zampette al loro posto, credo».
«Ti ho sentito parlare con lei, ieri sera» ricordò Dora, ridacchiando. «Secondo me finirete col fare amicizia».
Remus guardò dubbioso la gatta: amicizia? Ne dubitava fortemente, a dire il vero.
«Reciproca sopportazione, forse» la corresse. Lei alzò gli occhi al cielo. «Merlino, Rem, è una gatta, non un demonio!» disse divertita. «Comunque, non è solo con Plotina che ti ho sentito parlare…» rivelò Dora dopo un attimo di esitazione.
«Ah, ti riferisci a tua madre…» Remus si lasciò cadere sul divano, al suo fianco, e Dora d’istinto posò il capo sulla sua spalla. «Be’, è diversa da come me l’ero sempre immaginata. È molto sincera e diretta e… be’, è solo una madre che ha istinti protettivi verso la sua unica figlia» si strinse nelle spalle e posò un leggero bacio tra i capelli di Dora. «Non aveva tutti i torti a detestarmi, suppongo. Quale madre vorrebbe che sua figlia sposasse un essere classificato con cinque X dal Ministero?»
«Detta così, sembra che io stia per sposare un’Acromantula» rise Dora. «Il problema di mia madre è che ancora non ha ben chiaro che sono un’Auror, non la proprietaria dei Tre Manici di Scopa. Saprei difendermi benissimo in caso di attacco di un Lupo Mann… non che ce ne sarà mai l’occasione, insomma, con la Pozione Antilupo e tutto il resto e…» aggiunse precipitosamente, arrossendo appena. «Spero che un giorno mamma se lo metterà bene in testa. Quanto a papà, lui non si è mai posto il problema, gli sei subito stato simpatico».
«Spero di esserlo anche a tua madre, un giorno» Remus visualizzò nella sua mente i grandi occhi limpidi della donna. «Nel suo caso, credo che “reciproca sopportazione” sia poco. Voglio piacerle sul serio».
Dora gli sorrise. «Hai già guadagnato mille punti dicendole che sono la prima donna di cui ti sia mai innamorato sul serio» si avvicinò di più al viso di Remus e lo baciò delicatamente sulle labbra. «Non sembra, ma mamma è una romanticona» rivelò ridendo.
Remus le passò distrattamente una mano tra i capelli – che, finito lo stress da esame, erano tornati molto corti e rosa – e allungò una mano per stringere una delle sue. Dora ricambiò con forza la stretta, intrecciando le proprie dita a quelle del futuro marito, e lo guardò divertita. «Cosa c’è?» fece perplesso Remus.
«Pensavo mi avresti chiesto a quale domanda non ho saputo rispondere, oggi…» rise lei.
Remus ricordò le sue parole una volta uscita dall’Ufficio Auror: “Ho risposto bene a tutte le domande… tranne che a una”.
«Ti hanno domandato come si uccide un Lupo Mannaro, sei scoppiata a ridere e non sei riuscita a rispondere?» tentò d’indovinare.
«Sei completamente fuori strada! Alla domanda sui Lupi Mannari ho risposto molto bene, specificando anche che ne amo uno» si vantò Dora, gli occhi vispi.
Remus alzò gli occhi al cielo. «Merlino, dimmi che non l’hai fatto davvero!»
«L’ho fatto, l’ho fatto, e Malocchio mi ha guardato storto, ma tanto lui mi guarda sempre storto» Dora fece spallucce.
«Mi immagino la scena, cinque o sei esaminatori dall’aria solenne e tu che li informi allegramente sulla tua vita sentimentale» Remus scosse la testa con aria di rimprovero, ma in realtà faticava a trattenere le risate. «Comunque, qual è questa famosa domanda?»
Il naso di Dora si allargò, diventando tale  e quale a quello di Malocchio. «Signorina Tonks, sarebbe così gentile da parlarci del processo di creazione di un Horcrux?» Dora si esibì in una perfetta imitazione della voce burbera di Moody.
«Hor-che?» Remus non ne aveva mai sentito parlare, di sicuro era roba parecchio avanzata.
«Oh, lasciamo perdere, è un argomento che fa piuttosto schifo» Dora arricciò il naso. «Ma non è l’argomento in sé il problema… Il punto, Rem» e alzò la testa per guardarlo dritto negli occhi, «il punto è che, uno, era la domanda più importante di tutte e io ho risposto da cani, e due, sai di chi è la colpa?»
«Suppongo fosse questo il capitolo di De formidolosissimis incantamentis di cui parlavi ieri…» Remus nascose un sorriso. «Andiamo, Dora, non sembravi così scontenta quando ti ho impedito di ripassarlo!»
Lei gli rivolse un’occhiataccia. «Era l’argomento più importante, quello attorno al quale ruotava l’intero esame!» disse esasperata. «Possibile che tu sia così insensibile?»
«L’intero esame? E ti hanno promossa?» Remus si finse sorpreso. «Merlino, io ti avrei bocciata su due piedi!»
Dora sbuffò. «D’accordo, forse non l’intero esame… Ma una buona parte sì! Fossi in te mi sentirei in colpa, Rem».
«Non riuscirò mai a perdonarmelo!» celiò lui, ma ebbe il presentimento che Dora non lo stesse più ascoltando. Aveva posato di nuovo la testa sulle sue ginocchia e si stava stropicciando gli occhi, sbadigliando.
«Va’ a dormire» la esortò Remus, guardandola con affetto. «Fossi in te sarei distrutto… Con tutti quegli incantesimi Occhiaperti, poi…»
Dora gli rivolse uno sguardo stanco. «Tu e mamma avete finito tutti i preparativi dell’ultimo minuto?»
«Assolutamente sì».
«I fiori? Il ricevimento? Lo so, è una cerimonia piccola e informale, ma deve essere fatto tutto per bene, altrimenti chi la sente mamma con quella sua mania della precisione?» Dora rabbrividì solo a pensarci. «Avresti dovuto vederla organizzare i miei compleanni, quando ero piccola! Più che feste sembravano commemorazioni storiche, a giudicare dall’impegno che metteva nell’organizzazione… Ah, e invitava solo femmine, i maschietti erano tassativamente esclusi… Come se avessero potuto rappresentare un problema, a otto anni!» Dora alzò gli occhi al cielo.
Remus immaginò una frenetica Andromeda che preparava una torta a otto piani per delle bimbe di otto anni, immagine che poco si conciliava con la donna seria e posata con cui aveva parlato lui. Scrollò le spalle e allontanò quel pensiero. «Ai fiori ci pensa tua madre, e per il ricevimento è tutto a posto, ho parlato con Molly un paio di giorni fa» la rassicurò. «Va’ a dormire, ora, devi rimetterti bene in forze per dopodomani».
Dora lanciò un’occhiata fugace alla cucina. «Sì ma… Insomma, prima di andare a dormire devo fare una cosa… Sai, vorrei festeggiare a modo mio la fine dello stress da esame, e le nozze imminenti» indicò col capo la cucina, e Remus capì al volo.
«No, Dora, per Merlino, è tardi e parecchia gente già starà dormendo, o tentando di farlo!» tentò di dissuaderla Remus, ma era come parlare al vento, come parlare a Plotina: Dora si era già alzata e si stava dirigendo verso la cucina, saltellando con la poca forza che le rimaneva in corpo.
Remus restò sul divano, paziente. «Tre…» contò, quando sentì la credenza aprirsi.
«Due…» un acciottolio di stoviglie: Dora aveva preso qualcosa.
«Uno» sospirò, sapendo cosa sarebbe successo di lì a un istante.
Crash! 
 
 
 
 
 
Fanfiction classificatasi prima, con mia grande sorpresa, al contest "Perché a Bessie piace così" indetto da BessieB sul forum di EFP ^^
   
 
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