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Autore: Aphasia_    03/04/2012    0 recensioni
A parlare è un uomo, chiamato Il Creatore, ormai anziano che, in fin di vita e in procinto di redimersi, decide di scrivere un libro nel quale rivela come ha creato la maledizione delle Ofelia e i suoi motivi, in questo modo confessando i suoi peccati nel tentativo di cancellare il suo terribile passato.
Esiste uno sguardo che uccide? E se la storia di quest'uomo fosse vera? Se avesse davvero creato delle donne capaci di uccidere con un solo sguardo?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non avevo mai pensato seriamente che ci potesse essere un altro al mondo come me, o per meglio dire che qualcun altro avesse potuto compiere un secondo abominio come il mio, visto che il primo era stato atroce. Le domande mi sorgevano così naturali per quell'uomo, se mai l'avessi incontrato, perchè una cosa era certa: dovevo incontrarlo. E lo volevo perchè parlare con lui sarebbe stato come guardarsi allo specchio, nel quale avrei potuto una volta per tutte capirmi, senza illusioni, senza bugie. Perchè diciamocelo, in tutti quegli anni non avevo fatto altro che coprire i miei problemi o semplicemente mentire a me stesso creando illusioni che mi facessero dimenticare il bisogno che avevo di aiuto. Forse, dopotutto, non ero così debole come credevo di essere se in tutto quel tempo avevo sofferto quasi in silenzio. E dico in silenzio perchè avevo sicuramente avuto i miei sfoghi, in maniere più o meno contenute, ma in fondo il mio dolore non aveva mai danneggiato davvero qualcuno, perchè i fatti conseguenti erano stati tutti scelte altrui o semplicemente..del destino. Con quell'uomo avrei finalmente capito se era effettivamente giusto sentirmi come mi ero sentito in tutto quel tempo, un mostro, o se magari c'era una strana via alternativa, a me sconosciuta, nel quale avrei potuto elaborare una nuova concezione di me stesso, quella di un uomo, un padre, una marito. Conoscevo già le conseguenze di quell'incontro, perchè io e Eveline ne avevamo parlato a lungo considerando i pro e i contro visto che ormai non eravamo più in pericolo e non volevamo rovinarci ancora la nostra felicità. Ma nonostante tutto mi sentivo pronto a quella conversazione, non so il perchè, ma era come se quell'uomo che ancora non avevo avuto modo di conoscere, avesse un legame con me da sempre, probabilmente per il fatto che condividevamo una creazione comune, o forse per aver avuto il cuore spezzato che aveva causato tutto. Ero curioso e lo ero anche perchè avrei conosciuto le sue creazioni, quelle che erano state per lui come per me le sue figlie, anche se non naturali, ma comunque figlie nel vero senso della parola, e non creature come le avrebbero chiamate le male voci. Non c'era solo curiosità in quell'incontro che bramavo così tanto, c'era soprattutto..sollievo, si, perchè, anche se egoisticamente, avrei avuto la certezza di non aver mai avuto quel peso che mi sentivo sempre addosso: ora lo potevo condividere.
Io ed Eveline avevamo fatto di tutto per rintracciare il secondo creatore e al dire il vero non era stato così difficile, visto che ci era bastato continuare a ricattare il padre di Clara. Forse era stato un gesto troppo meschino, ma a noi non importava perchè il padre di Clara poteva sopportare ancora un pò di tortura visto che a me, ma anche ai ragazzi dell'organizzazione, aveva fatto passare momenti di gran lunga peggiori. Lo ricordo ancora quel giorno, era inverno, nevicava, ricordo ancora l'esatta posizione dei mobili del nostro salotto e come era vestita Eveline, impeccabile come sempre, ricordo persino gli odori, le loro voci.. quella roca ma anche gentile del mio compagno di creazione e una seconda voce, quella dolce e gradevole di una ragazza, la sua creazione.
Ancora oggi rabbrividisco dall'emozione al ricordarmi di quell'incontro, era stato il più incredibile della mia vita, perchè in quegli istanti di gradevole conversazione avevo compreso una volta per tutte cosa significasse davvero la parola opposto. Avevo capito che c'era anche la luce oltre quel viola.

"Benvenuto. Entrate, vi prego" aveva detto Eveline.
Lui era seduto nel mio divano, eravamo l'uno davanti all'altro, esattamente come l'immagine classica dell'opposizione. Si chiamava Roger Hope, e non era solo il suo cognome a suggerirmo che di lui potevo fidarmi e che era una persona buona ma anche il suo aspetto.. che male poteva fare un signore con gli occhiali? Era sempre questa l'impressione che avevo, sin da piccolo, perchè le lenti erano come scudi contro la malvagità, questo pensavo. Stavolta era vero. Lei, la ragazza, mi metteva tristezza. Non per il suo aspetto, bella come era, fresca e giovane, con lineamenti addolciti da boccoli castani e dai suoi occhi verdi candidi come la foreste d'estate, ma perchè mi ricordava Ofelia. Eccetto l'aspetto si potevano dire uguali, nel destino almeno, la sola differenza, e questo era il particolare che più mi rattristava, era che lei mi aveva lasciato... mentre Roger Hope poteva ancora contare sulla compagnia della sua piccola.
"Sa, Signor Sullivan, Mi fa piacere il suo invito" aveva detto il mio ospite sincero. Lo scudo dei suoi occhiali tondi e splendenti era attivo, lo sentivo, perchè la casa era piena di bontà e questo non poteva non sentirsi, persino Eveline la percepiva, sorridente.
"E a me che sia venuto. Io..io..mi sono sentito così solo.." avevo balbettato. Diamine ero così felice della sua presenza che quasi piangevo sulla mano di Eveline! Lei mi era seduta accanto , con la mano sui miei capelli.
"Va tutto bene, signor Sullivan. Ora non è più solo. Io sono Roger Hope e lei è mia figlia, se sa cosa intendo. Lei è Elise" mi aveva detto con la sua gentilezza sprizzata in soccorso alle mie lacrime che quasi spuntavano fuori dagli occhi. Le lacrime però presto erano cresciute sempre più e non importa che me le avesse provocate quello sconosciuto, era la gioia di aver trovato la luce dopo tutto quel tempo, dopo tutto quel tempo..ero salvo. Ero uscito fuori da quel tunnel buio nel quale avevo potuto godere di Eveline, la mia torcia nell'oscurità, e ora invece...ero fuori, nella luce, nel giorno, e tutto grazie a Roger Hope. Non potevo nemmeno immaginarmelo cattivo, tanto che mi sembrava strano che avesse creato anche lui la luna viola. Non poteva essere.
"su, su..non pianga. Come si chiamano le sue figlie?" mi aveva chiesto ridendo la dolce voce di Elise. Mi stavano consolando..una cosa che raramente ricevevo, se non da Eveline.
"Le mie figlie sono andate tutte via, purtroppo. Erano 8." avevo risposto singhiozzando come un bambino. Da quanto non piangevo? Non ricordavo più..e questo era un bene, stavo finalmente dimenticando il dolore, con la forza di un solo pianto.
"Ofelia, Katherine, Sophie, Eva, Cristine, Elizabeth, Agata e Portia..Le nostre figlie" aveva detto Eveline fiera. I nostri diamanti, diamanti rubati che risplendevano di ricordi ormai sbiaditi, ma sempre presenti.
"Che nomi sublimi! li avete scelti tutti voi?" aveva chiesto Elise curiosa.
"La maggior parte li ha scelti Eric..io solo alcuni. Hanno tutte un secondo nome, tranne Ofelia." aveva risposto Eveline sorridendo. Era così bello che parlasse così, tra donne, era..naturale.
"Quindi in un certo senso si chiamano tutte Ofelia...originale!" aveva esclamato Elise, battendo le mani guantate.
"E' stato Eric a scegliere quel nome.." aveva detto Eveline associandosi alla reazione di Elise, anche se più compostamente e ricordando con un sorriso quando eravamo una famiglia.
"Come mai proprio Ofelia? Intende L'Amleto non è vero?" aveva chiesto Roger Hope, anche lui trascinato dalla curiosità verso di me e le mie figlie così come io era incuriosito da lui.
"Perchè volevo che potessero scegliere il loro destino e che, a differenza di Ofelia, non fossero spinte a vedere la morte" avevo risposto io quasi in automatico, perchè era stata una scelta talmente naturale che l'avevo presa senza nemmeno pensarci. Quella famosa frase aveva deciso tutto.
"E' stato bravo, Sullivan. Le lune viola non sono esattamente un facile affare da sopportare.." aveva constatato Roger Hope. Perchè mi capiva? Ero così grato! Quelle parole fino a poco tempo prima me le potevo immaginare solamente ripetute da me stesso, nell'atto di consolarmi e in quell'istante invece..c'era qualcun altro, la bontà.
"Mi è costato tanto.." avevo detto tra le lacrime. Era giusto piangere, in effetti, stava venendo tutto fuori e dal sapore che mi entrava in bocca mentre gocciolava dagli occhi per poi attraversare le guance e diretto poi sulle labbra e nella lingua, sentivo che quel dolore poteva finire. Era il mio ultimo sfogo. Ufficialmente. E sentirlo nel sapore delle proprie lacrime aveva un senso, soprattutto se tutte le altre versate erano solo calde, erano dolore sordo, ma insopprimibile. Ora invece potevano smettere ed era incredibile che potesse essere possibile con quella conversazione. Ancora oggi mi chiedo cosa ci fosse in quelle parole, ma non capisco niente di magia, perchè ho conosciuto solo l'orrore di essa, ammesso che lo fosse, ancora non lo so spiegare.
"Lo immagino, Sullivan. Io non ho creato le lune viola e di certo non so cosa si prova. In compenso però ho creato qualcosa di buono nella mia vita, e sa una cosa? Ho lasciato tutti a bocca aperta, mi credevano un fallito. E invece eccoci qui, abbiamo creato qualcosa nella nostra vita, e bella o brutta che sia, quella c'è e ci sarà per sempre a ricordarci che noi, Roger e Eric, qualcosa l'abbiamo fatta in questo pazzo mondo: insaporirlo!" aveva detto Roger Hope scoppiando in una sonora risata. Perchè non avevo saputo farlo anche io? Perchè non avevo saputo riderne? Era una soluzione così semplice (anche se bizzarra) che mi avrebbe risparmiato tanto dolore. Certo non c'è molto da ridere nella morte, ma un sorriso apre gli spiragli nel cuore, ti apre le porte alla speranza, e attraverso quell'angolazione delle tue labbra così bella e inaspettata ti fa capire che a tutto c'è un rimedio, a qualunque errore, anche se è terribile.
"La luce esiste, Signor Sullivan. E mio padre me l'ha dimostrato creando me: La dama bianca. E' così che mi chiama" aveva detto Elise ridendo di gusto con il padre, come due strumenti che suonano, uno basso e roco, l'altro alto e acuto.
"Dama bianca?" aveva chiesto Eveline incredula.
"La luna ha anche un altra faccia, signora Sullivan. Non la mostra mai, ma c'è. Ed è lì che è nata la Luna argentata..è per essa che è nata Elise." aveva risposto Roger Hope con semplicità, come se la domanda fosse banale e retorica.
"Ma Elise..cosa..?" non riuscivo nemmeno a dire "Cosa sa fare?". Mi sembrava inopportuno, non volevo farla sentire come avevo fatto sentire le mie figlie, così sbagliate e dannate.
"Io signor Sullivan? Io do la vita..." aveva risposto lei degna di quel dono.
Era ovvio. Eravamo davvero opposti. Vita e Morte: L'una viene data e l'altra arriva se la prima viene tolta. Viola e Argento, Luna visibile, Luna non visibile. Ma nonostante fossimo opposti, quel giorno avevo pianto tantissimo, perchè Roger Hope e la sua figlia mi avevano mostrato un cammino del quale non conoscevo nemmeno la mappa, o la direzione, un cammino che avevo sempre ignorato nonostante ci fossi così vicino e che non mi era mai passato nella testa, intento come ero a pensare alla morte e al dolore: La vita.
  
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