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Autore: mamie    04/04/2012    3 recensioni
[Sword of the Stranger]
Questa storia si ispira all'anime "The Sword of the Stranger". In un Giappone feudale dove la vita è difficile, un ronin e un ragazzino, che fugge dagli emissari cinesi dell'imperatore Ming, si incontrano e fanno insieme uno strano viaggio, accompagnati dal fedele cane Tobimaru.
Il ronin ha un passato oscuro, che non rivela mai al bambino, e una spada che però tiene sempre legata, anche quando si trova in pericolo. La tirerà fuori solo alla fine, quando salverà il ragazzino dalle grinfie dei Ming che vogliono ucciderlo per ricavare un elisir di lunga vita dal suo sangue.
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Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Vizi e virtù'
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Prompt: Giustizia - Spada

LA COSA GIUSTA

 Kotaro non l’aveva notato subito. Aveva avuto troppa paura, era preoccupato per Tobimaru, non sapeva dove andare. Soltanto un po’ più tardi, quando era riuscito a calmarsi un poco, gli era rimasto impresso quel particolare.
Nanashi portava una katana e aveva tutta l’aria di saperla usare, ma tra lo tsuba e il kurigate una logora striscia di stoffa bianca stringeva in molti nodi l’elsa al fodero, in modo tale che non fosse possibile estrarla; non velocemente almeno.
Era un particolare curioso, ma solo uno dei tanti misteri che sembrava portarsi dietro lo straniero nel suo viaggio. Come i capelli tinti di nero che in realtà erano di un rosso ramato scuro, la quantità di pallide cicatrici che gli segnavano il corpo o quel buffo nome che un nome non era.
La volta che si erano rifugiati in quella grotta a dormire per lasciar passare il temporale, l’aveva sentito gridare nel sonno e poi sedersi ansimante come per scacciare un incubo che lo tormentava. Allora lui gli aveva detto di pensare a qualcosa di bello e si era messo ad accarezzare il pelo di Tobimaru. Nanashi aveva sorriso. Poi però l’aveva sentito altre volte agitarsi e gemere nel sonno.
Kotaro non osava fare domande indiscrete. Era già molto se quell’uomo aveva deciso di accompagnarlo e di difenderlo fino a Mangaku e, anche se tutti e due facevano finta di crederci, non era certo per il misero compenso che il ragazzino gli aveva promesso.
Solo molto tempo dopo, finalmente lontani e al sicuro da tutta quella follia, mentre Nanashi cerca di riprendersi dalle brutte ferite che ha ricevuto durante l’ultimo scontro, era uscita fuori tutta la storia.
 
In realtà non era una storia particolarmente strana, solo una come tante altre. Il giovane Nanashi faceva la guerra al servizio del suo signore.  Poiché era giovane e gentile, Shinji e Akiko lo cercavano spesso per giocare e lui, paziente, li portava a spasso o gli regalava piccoli animali intagliati nel legno. Erano i nipoti del suo daimyo, figli di una sorella, che gli si erano affezionati come ad un fratello più grande. La guerra era feroce, ma era quasi come un gioco. Uccidere era facile come morire. Però la guerra da sola non risolve mai niente. E i fratelli possono arrivare ad odiarsi, a combattersi, a uccidersi.
La regola era quella: il vincitore prende tutto. La stirpe del perdente va cancellata dal mondo, per non nutrire serpi vendicative in seno. Era giusto. Nanashi lo sapeva ma perché, non aveva mai smesso di chiederselo da quel giorno… perché avevano scelto lui? Era solo un modo crudele per mettere alla prova la sua fedeltà?
Pioveva. La sensazione delle gocce gelide sul collo quasi la sentiva ancora. Pioveva e la sua lama gli tremava tra le mani. Non riusciva a tenerla ferma per quanto si sforzasse. Non vedeva più niente attorno a lui, né il cerchio dei suoi compagni, né le urla del suo signore che gli dicevano di sbrigarsi.
Ai suoi piedi i bambini abbracciati, ridotti ad un misero fagotto bagnato. Shinji che si volta, lo sguardo dei suoi sette anni già fiero di odio.
- Allora, cosa aspetti, razza di codardo?
E poi la lama che cade come chiamata da quel grido, e sangue che si mescola alla pioggia, e il pianto di paura della bambina che si è gettata sul fratello, qualcuno deve tenerla ferma e poi ancora il sangue e il silenzio e la pioggia, su tutto, la pioggia.
 
Nanashi non piange a quel ricordo, da molto tempo ha imparato a non versare più le lacrime, ma Kotaro lo sente, quel dolore che è ancora lì e non se ne vuole andare.
- Però… - comincia esitante - … tu mi hai salvato.
Nanashi sorride, incerto. Insieme, un po’ imbarazzati, accarezzano Tobimaru che si lascia fare.
Il ronin non è pentito di avere infranto il voto. Questa volta la sua spada ha fatto la cosa giusta.
 
 
 
 
 
NOTA: Nanashi significa “Senza Nome”  ed è probabilmente un indocinese meticcio. Si tinge i capelli perché gli stranieri  nel Giappone di epoca Sengoku erano malvisti. Tobimaru è il cane di Kotaro. La scena dell’esecuzione dei due bambini è nel film, ma non ne vengono spiegati i motivi.
Lo tsuba è la coccia della katana, che di solito è piatta e traforata, il kurigate è il gancio del fodero.
 
  
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