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Autore: malukuku    04/04/2012    3 recensioni
"Erano sette anni che non ci rivolgevamo la parola; né ci eravamo più visti da quella faccenda. Inoltre mi ero trasferito nella vecchia casa della nonna appena avevo potuto, in aperta campagna e ad almeno un’ora di distanza dalla nostra città natale.
Per questo non riuscivo
davvero a capire perché il mio fratellino fosse venuto a farmi visita."
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Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando suonarono alzai interrogativo lo sguardo dal libro.
Controllai l’orologio a pendolo: le 22:32. Mi alzai dalla poltrona e andai a vedere chi potesse essere a quest’ora.

Guardai dallo spioncino prima di aprire sorpreso. Sotto il portico c’era mio fratello che sorrideva.

- Buona sera, Jan – mi salutò.

Lo studiai per qualche lungo minuto prima di rispondergli. - Che ci fai qui, Ian? -

- Ero da queste parti e ho pensato di passarti a trovare. -

Aggrottai la fronte. – E che ci facevi da queste parti? –

- Uffa, Jan. Non posso nemmeno venirti a trovare? -

Feci per rispondergli ma all’ultimo decisi di lasciar perdere. Invece sospirai e lo superai con lo sguardo, osservando il cielo denso di nubi nere.
- Va bene: entra. – mi arresi facendomi da parte per lasciargli libero il passaggio. Ian non se lo fece ripetere due volte.

Richiusi la porta e mi ci appoggiai con la schiena per studiare il mio fratellino che si guardava intorno. - Ti sei sistemato davvero bene! Complimenti, l’hai resa ancora più bella! -

Erano sette anni che non ci rivolgevamo la parola, né ci eravamo più visti da
quella faccenda. Inoltre mi ero trasferito nella vecchia casa della nonna appena avevo potuto, in aperta campagna e ad almeno un’ora di distanza dalla nostra città natale.
Per questo non riuscivo davvero a capire perché il mio fratellino fosse venuto a farmi visita.

Dopo aver gironzolato un altro po’, Ian si sedette proprio sulla mia poltrona preferita. La mia espressione si rabbuiò ancora di più ma alla fine cedetti all’assurdo istinto di essere ospitale con lui.

- Faccio del tè – dichiarai dirigendomi in cucina.

Immediatamente Ian balzò in piedi e mi seguì nell’altra stanza. Mi fermai un secondo per lanciargli un’occhiata infastidita.
- Ian, te lo ricordi quanti anni hai? -  

- Uh, ventisei. Perché? -

- E te lo ricordi quanti anni ho io? -

- Hmm, ventiii...otto? -

- Appunto. Siamo entrambi un po’ troppo cresciuti per queste scenette. Fai l’ospite come si deve e aspetta in salotto. -

Ian ridacchiò. – Sono venuto per vedere te, non per stare in salotto ad aspettare! -

Gli dedicai un’altra occhiataccia prima di arrendermi per l’ennesima volta e ricominciare a camminare con un verso seccato. Chissà perché ero così concessivo quella sera.

Mentre preparavo il tè, Ian si sedette ad uno degli alti sgabelli di legno e rimase zitto per tutto il tempo, silenzioso come se non ci fosse stato. Per quanto assurda, questa impressione mi provocava un brutto senso di ansia e un paio di volte mi voltai per controllare che fosse ancora lì.

La brutta sensazione sparì una volta che gli appoggiai la tazza di tè sotto al naso.

- La cucina è molto diversa da come me la ricordavo – osservò Ian prendendo la tazza fra le mani.

Scrollai le spalle. – Il forno era ancora quello scassato della nonna. L’ho cambiato e già che c’ero ho cambiato l’intera cucina. -

Mio fratello annuì e poi aggiunse con un mezzo sorriso: - Le piastrelle però sono le stesse. -

Fui colpito dal ricordo di quando da piccoli avevamo rotto metà delle piastrelle di questa cucina. 
La nonna ci aveva riempito di sculacciate e per farci perdonare avevamo provato a riaggiustare il pavimento usando lo scotch. La nonna aveva apprezzato lo sforzo e in alcuni punti aveva lasciato che fosse lo spesso scotch marrone a tenere intatte le piastrelle.

Scossi la testa per scacciare il ricordo e tornai in salotto, certo che mio fratello mi avrebbe seguito.
Ian provò a superarmi per tornare seduto sulla mia poltrona ma accelerai il passo e riuscii a rimpossessarmene. Gli lanciai un’occhiata di sfida alla quale, dopo un secondo di sorpresa, rispose con una mezza risata.

- Cosa? - gli chiesi brusco.

Ancora sorridendo, si sedette sul sofà. – È che mi sono ricordato che abbiamo sempre litigato per quella poltrona. –
Quando anche quel ricordo tornò a galla, spalancai gli occhi. Un secondo dopo sostituii l’espressione stupita con una decisamente contrariata.

Non mi piaceva che mi stessero tornando in mente tutte queste cose. Avrei dovuto essere ancora arrabbiato con Ian e i ricordi d’infanzia certo non aiutavano. Bevvi seccato un sorso di tè bollente.

Fuori dalla finestra si udì un tuono in lontananza.

- Che ci fai qui? – Stavolta feci attenzione ad usate un tono ostile.

- Te l’ho detto: è una visita. -

- Adesso piantala! – sbottai drizzandomi sulla poltrona. – Non ci credo che all’improvviso ti è venuta voglia di farti un viaggetto e venirmi a trovare. Non dopo tutto questo tempo! Dimmelo chiaro e tondo, Ian: cosa vuoi? -  

Cadde un silenzio teso, disturbato unicamente dal pesante ticchettio dell’orologio. Restammo a guardarci dritti negli occhi a lungo; io con una certa ostilità e lui senza nessuna emozione particolare.
Mi sembrava di star mostrando più rabbia di quanto in realtà provassi ma decisi di non pensarci troppo su.

Finalmente Ian distolse lo sguardo per un secondo, abbassandolo sulla tazza che teneva fra le mani.
- Voglio solo passare un po’ di tempo con mio fratello. –

- Perché? – lo incalzai.

Ma Ian si voltò e ricominciò a bere come per mettere fine alla questione.
Dopo un po’ sbottai qualcosa e lo imitai, finendo il tè tutto d’un fiato.

D
ato che lui si era rifiutato di rispondermi, io non reagii a nessuno dei commenti irrilevanti che fece.
La pendola batté le 23 quando mio fratello capì che non poteva fare conversazione da solo. Mi guardò con espressione ferita e sospirò, appoggiando la tazza vuota sul tavolino da caffè.

- Sei ancora arrabbiato con me. – Non era una domanda; sapeva che in tutti quegli anni non avevo mai smesso di essere arrabbiato con lui.
A non saperlo più molto bene sembrava fossi io.

Lo stavo trattando un po’ male ma non in modo diverso da come lo trattavo quando eravamo piccoli. Era un’antipatia da fratello maggiore per il fratello minore, non il tipo d’odio che dovrebbe provare chi è stato tradito.

Anche se io stesso non ne ero più sicurissimo, annuii: - Certo che sono arrabbiato. -

Ian rialzò gli occhi su di me e io continuai insistentemente ad evitarli.
- Non avresti dovuto lasciarmi entrare. -

- M-ma no. – ribattei, improvvisamente a disagio. – Stava per piovere: non potevo mica lasciarti fuori. -

Dopo un secondo, Ian mi mostrò un mezzo sorriso triste.
Per evitare di guardarlo mi alzai e andai in cucina a versarmi dell’altro tè. Stavolta mio fratello non mi seguì. Tornato in salotto comunque, era ancora seduto sul vecchio divano.
Mi sfuggì un sospiro di sollievo ma non capii perché.

- Mi sembri cambiato, Ian. – cominciai guardingo mentre tornavo al mio posto. 
L’attimo dopo avrei voluto tirarmi una manata in faccia.  Erano passati sette anni: ovvio che fosse cambiato!

Mio fratello comunque non mi fece notare la stupida gaffe. – Tu non sei cambiato per niente. -

Osservai il suo leggero sorriso per un po’ prima di tornare in cucina a prendere la teiera.
- Non è ancora freddo ma conviene berlo subito. – commentai riempiendo anche la sua tazza. Mi ringraziò e stavolta il suo sorriso allegro mi risultò più famigliare.

Cadde il silenzio mentre finivamo la seconda tazza di tè. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui e anche Ian mi osservava, sebbene in maniera più discreta di me.

Non c’era mai stata un’atmosfera così strana fra noi due. Non era stizzita come quando ci avevano fatto lavare i piatti insieme dopo aver rotto l’uno la macchinina dell’altro. Non era impacciata come quando nostra madre aveva trovato le sigarette nascoste in camera mia e lo aveva costretto ad assistere alla sgridata colossale. Non era fredda come quando mi erano venuti i primi sospetti su lui ed Alyssa.
Non era tesa come quando li avevo effettivamente beccati insieme e non era bellicosa come dopo il litigio catastrofico di sette anni prima.

Non era nulla di tutto ciò ma non si poteva nemmeno dire che fosse un’atmosfera calma e rilassata.

Il non riuscire a definire che tipo di aria tirasse, mi innervosiva. Proprio nell’attimo in cui aprii bocca per dire una cosa qualsiasi, mio fratello mi precedette.
- Jan, vo_ - Ma fu interrotto anche lui.

Si voltò in direzione dello squillo insistente del telefono ma io non  lo imitai. Rimasi a guardarlo fisso, in attesa che continuasse. Avevo la netta impressione che quello che stesse per dirmi fosse più importante di qualsiasi cosa mi avrebbe detto chi stava chiamando.

Mio fratello sospirò appena. - Non rispondi? – mi chiese con un sorriso rassegnato.

Aggrottai la fronte ma mi alzai. 
- Non… - Mi interruppi subito. Avevo sentito come il bisogno di dirgli di non sparire ma era un’assurdità. Fuori stava piovendo e Ian aveva sempre odiato guidare con la pioggia: non sarebbe andato da nessuna parte.

- No, niente. – mi corressi mancando il suo sguardo sofferente.

Arrivai in corridoio ed alzai la cornetta del vecchio telefono nero.
- Pronto? -

Dall’altro capo mi rispose una voce che, anche se era tesa come una corda di violino, riconobbi subito. – J-Jan? –

Al suono della voce di Alyssa, ogni singola cellula del mio corpo si pietrificò. Fioccavano sorprese e brutti ricordi stanotte.

- Sì. – risposi secco.

Alyssa sussultò e poi espirò flebilmente. Quando riprese sembrava sul punto di piangere.
- Jan, scusa per l’or_ -

- Non importa. – la interruppi bruscamente. – Ero sveglio. Cosa c’è? -

Alyssa tentennò ancora. Parlava così piano che riuscivo a sentire il rumore di pioggia che le faceva da sottofondo. – Ecco… Ian… -

- Se n’è andato senza dirti niente? – 
Lanciai un’occhiataccia verso la porta che dava sul salotto. – Tranquilla: ci penso io a rispedirtelo a casa. Vai pure a dormire. – tagliai corto, già pronto a riattaccare.

-
Jan, smettila!! -

Mi si inceppò il cuore. 
Già era difficile resistere sentendola parlare; figuriamoci sentirla piangere senza potere né dovere fare nulla.

Nonostante le lacrime che le impastavano la voce, continuò: - Ian non c’è più, Jan! S-stava tornando a casa m-ma… la pioggia… La mac-china ha sbandato e… N-non ho potuto fare niente, Jan. Mi dispiace! -

-C… che diavolo dici?! – sbottai cercando di mantenere la calma. 

Ian era di là in salotto, avevamo appena bevuto il tè insieme, stavo parlando con lui un minuto fa!
Ma nonostante fossi certo di tutto questo, la sensazione di ansia che mi aveva preso in cucina era tornata ad aggredirmi il petto.

- Sei pazza: Ian è q_ -

- Mi dispiace! Mi dispiace tanto!! – Alyssa piangeva così forte che sicuramente non faceva più caso a me.

Abbandonai la cornetta sul mobile e tornai veloce in salotto. Mentre fissavo al stanza deserta, riuscivo ancora a sentire i singhiozzi uscire incontrollati dal telefono.
Il divano su cui era seduto Ian poco prima e il punto sul pavimento dove aveva appoggiato i piedi, erano bagnati di pioggia.

 

 



N.S.S.
Il mio modo di ribellarmi al metodo scolastico italiano!! È ingiusto che a me facciano fare temi su “Facebook e i social network” e in America diano “Scrivi una storia di fantasmi” >:I
O almeno era ciò che pensavo mentre scrivevo questa cosa: adesso non me li danno nemmeno più i temi… *sigh sob*

UN HURRA' PER I PERIODI IMPRODUTTIVI!!!! Uno pensa che finito il liceo si abbia più tempo per i propri hobby e invece niente, tutte balle. =.=
Comunque, per festeggiare (??) il mio ritorno (???) su questo sito, mi do alle fic originali! Ultimamente sono immersa in un fandom che non mi permette di scrivere in Italiano. True story.

Spero comunque che 
per qualcuno questa sia stata una lettura piacevole :D 

 

  
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