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Autore: Sylphs    04/04/2012    2 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 17

 
 
 
 
 
 
Era la terza volta che Isadora si sposava, ma di certo la più felice. Era tutta ansiosa e frenetica, e Katrina, che la stava vestendo, continuava a ripetere: “Isa, guarda che ci aspettano!”
Erano nella stanza dove aveva dormito durante il suo primo periodo nel maniero. Gli altri la aspettavano al primo piano, dove si sarebbero tenute le nozze. Indossava un abito molto semplice, bianco come il latte, col velo aggiustato sui capelli da una coroncina di papaveri. Niente trucco né gioielli, a lei andava bene così. Si sistemò la gonna freneticamente: “Sono a posto?”
“Sei bellissima” le rispose Katrina perentoria. Aveva finalmente abbandonato la sua divisa da domestica e portava un vestito blu scuro, semplice ma dignitoso, e aveva i capelli grigi coperti da un velo azzurro. Contemplava la sposa con aria commossa: “Oggi sarà un grande giorno” prese dal baule lì vicino il bouquet di fiori di campo che aveva raccolto con le sue mani, porgendoglielo. Isadora lo accettò e se lo posò sul seno: “Infatti”.
“Pronta?” il marchese fece capolino dalla porta. Isadora sorrise e lo raggiunse: “Prontissima, papà” si avviarono con Katrina dietro. Stavolta lui le fece un sincero complimento: “Stai proprio bene. Tu stai bene semplice, Isa”.
Andarono alla sala dove Isadora era andata a sposarsi settimane prima, pallida come un cencio e prossima al collasso. Ora avanzava a testa alta, gli occhi brillanti, un sorriso sulle labbra, con la radiosità delle spose. Entrò al braccio di un padre piuttosto commosso anche lui.
C’erano pochissimi invitati, volevano fare una cosa in famiglia. Tre file di panche di legno. In prima fila, su due cuscini morbidissimi, erano accomodati Bruto e Armageddon, lavati e pettinati per la cerimonia. Il topolino aveva un fiocchetto azzurro al collo, il cane nero un collare di cuoio con appesa la chiave argentata che li aveva salvati. Katrina andò ad accomodarsi lì accanto, asciugandosi le lacrime con discrezione. Poi c’era un posto per il marchese, e basta. La loro piccola, allegra comunità. Natalie non era stata invitata.
Ah, era stato chiamato un sacerdote dal territorio dell’orco, che aveva accettato di buon grado. Gli era giunta voce della loro impresa. Era dietro ad un altare di legno con appoggiate sopra le fedi di legno di prima, e lì davanti c’era l’orco, vestito in modo elegante per l’occasione. Anche a lui brillavano gli occhi. All’ingresso di Isadora, si scambiarono un sorriso.
Se durante la prima cerimonia avevano agito senza la minima partecipazione, ora lo fecero con grande sentimento, guardandosi negli occhi con aria rapita. In un certo senso era quello il loro primo matrimonio. Si scambiarono le fedi con un sorriso, pronunciando due decisi “lo voglio”. Quando si scambiarono il bacio rituale, gli invitati balzarono in piedi e, gridando di gioia, gettarono loro addosso chicchi di riso a volontà. Bruto teneva il pacco con i chicchi tra i denti e Armageddon li prendeva.
I due sposini, ridendo, si fecero scudo con le braccia. Poi Isadora si girò, radiosa, e lanciò il mazzo di fiori verso le panche. Bruto saltò verso l’alto, Armageddon fece lo stesso, ma fu Katrina che lo afferrò al volo. Arrossì violentemente, stringendoselo al petto. Isadora, sorridendole, le mandò un bacio.
Da quel giorno in poi, conobbero solo felicità. Il marchese veniva in visita al maniero ogni volta che poteva, e veniva accolto con allegria. A Katrina il bouquet portò due cose: del tenero con il nobile ciccione, che le ispirava un sentimento materno, e un inaspettato pollice verde. Si dedicò esclusivamente al piccolo orto che creò accanto al maniero, e diede vita a patate, pomodori, piante rare e fiori splendidi.
Bruto trovò una meticcia nera che gli assomigliava moltissimo e che gli portò il marchese in regalo, con un gran fiocco rosa intorno al collo. All’inizio fu sospettoso come suo solito, ma ben presto smise di fare storie ed ebbero una numerosa cucciolata di cagnetti neri e vivaci. Bruto e Isa (così venne chiamata la sua compagna) si dimostrarono due bravi genitori.
Armageddon si fece pittore. Infatti il marchese aveva intravisto nei suoi disegni una nuova forma d’arte e lo spinse (per così dire) a coltivare la sua passione. Armageddon si fece prendere dall’entusiasmo. Potete trovarlo chiuso al terzo piano, intento a tracciare strani segni con un pennello fatto su misura.
Il marchese faceva avanti e indietro dal maniero e Soledad di continuo. Natalie finì per stufarsi e se ne andò via, tornando nel monastero dove aveva trascorso l’adolescenza e dove si fece suora. Lì, con ravanelli ad ogni ora e preghiere continue, trovò il suo posto, assieme a due curiose novizie che si chiamavano Anastasia e Genoveffa, le quali si erano rifugiate lì dopo non aver trovato un cane disposto a sposarle.
E l’orco e Isadora? Continuarono ad amarsi per sempre e a vivere felici insieme. Abbandonarono uno la caccia e gli altri orchi, l’altra le riunioni tra ragazze nubili o coniugate. Vissero in tranquillità la loro serena vita nel maniero, insieme alla loro piccola grande famiglia di cani, topi, marchesi e domestiche. Ricostruirono insieme il lampadario distrutto, creandolo a forma di un’enorme volpe con luci negli occhi, e chiamarono il salone che lo ospitava Sala Fox. Stavano per conto loro quasi sempre, a parte quando il marchese arrivava. Allora organizzavano fantastiche gite.
Una volta fecero un picnic nel prato fiorito di fronte al maniero, e il marchese insegnò all’orco a giocare a scacchi mentre Isadora e Katrina giocavano coi cuccioli di Bruto e Isa e Armageddon dipingeva paesaggi. Un’altra l’orco li portò tutti ad una polla d’acqua nella foresta alimentata da una cascatella e si fecero il bagno. Isadora insegnò a Katrina a nuotare. Un’altra ancora fecero volare gli aquiloni costruiti da Armageddon, e il marchese e Katrina trovarono il coraggio di abbracciarsi.
Ora l’orco e Isadora sono seduti nel prato di fronte ad una gran luna piena, stretti l’uno all’altra. Lei tiene fra le braccia un fagottino urlante, metà orco, metà umano, atipico come l’arcobaleno. Katrina vuole già farsi babysitter. Come lo chiamarono? Non ve lo dico. È un segreto. Ma una cosa ve la rivelo: vissero per sempre felici e contenti.
 
Il cantastorie tacque sorridendo. I bambini rimasero per un istante in silenzio. Poi esplose un vigoroso battito di mani.
“Bravo!”
“Splendida storia!”
“Non l’avevo mai sentita!”
Lui chinò modestamente il capo: “Troppo buoni. Spero che questa storia resterà nei vostri cuori”.
“Ma certo!” esclamò Tom con veemenza: “Devo ricredermi. Avevate ragione, questa storia è cento volte meglio di Pollicino!”
“Tornerete per raccontarcene un’altra?” gli chiese Annie. Ma il cantastorie scosse la testa: “Io il mio dovere l’ho fatto. Ora tocca a voi diffondere questa storia in giro”.
“Lo faremo!”
“Fidatevi!”
“Mi fido” sorrise lui. Stette a guardare i bambini che tornavano eccitati ognuno alla sua casa. Aveva raccontato per tutta la notte: il cielo si era già tinto dei caldi colori dell’alba. Ora era stanco, ma soddisfatto. I bambini avrebbero svolto bene il loro compito.
Con un pof, una figura di donna si materializzò davanti a lui. In tutta tranquillità, le si rivolse sorridendo: “Contenta del mio operato, Marian?”
“Sei stato bravo” disse lei. Era una donna dall’aspetto giovanile, vestita di abiti di pelle piuttosto mascolini. I capelli neri e lisci erano raccolti in due trecce spesse, il volto dai tratti marcati era dominato da due occhi azzurri. Dal collo le pendevano amuleti di ogni genere: “Ma non gli hai rivelato che tu c’eri, quando accaddero quelle cose” aggiunse sorridendo furbescamente. Il cantastorie scrollò le spalle: “Non serve. E poi sei stata tu a mandarmi qui, come mi avevi mandato da Isadora per proteggerla con le sembianze di topolino”.
“Già” commentò Marian, la strega immortale: “Ma ora quei bambini non dovranno più sentir parlare di te”.
“Non mi vedranno più” disse deciso il cantastorie. Era accaduta la stessa cosa con Isadora: un bel giorno, dopo tanti anni, il suo caro amico, il suo topolino adorato, il suo Armageddon, era sparito, e nessuno ne aveva saputo più nulla. Lei ne aveva sofferto tantissimo, ma alla fine si era rassegnata a lasciar andare il suo angelo custode. Come poteva immaginare che era l’apprendista di sua madre, tramutato in topo per proteggerla? Questo spiegava la sua straordinaria longevità e la sua intelligenza.
“È tempo di andare” disse Marian perentoria: “Ci aspetta un altro regno, un’altra storia, altri bambini a cui raccontarla”.
Il cantastorie si alzò, si spolverò il mantello, e svanì insieme a lei in una nuvola di fumo.
Stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra che ho detto la mia.
 
FINE

 






 
  
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