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Autore: Akagami no Annie    04/04/2012    2 recensioni
-Perchè li hai tinti?
-Detesto il rosso.
-E perchè? Il rosso è il colore dell'amore...
-L'amore è dolore. Molti dicono che sia indispensabile per vivere, ma io credo che l'ossigeno sia più importante. L'amore può distruggere una persona, anche se questa è forte, un amore non corrisposto o la mancanza di affetto da parte dei propri cari, può perfino portarla a suicidarsi.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: per scrivere questa storia ho utilizzato la canzone "Il Sangue dal naso" de "I ministri". Questo è il link: http://www.youtube.com/watch?v=MqOdvrlBTCM
Questa è la seconda versione d'una stessa storia, modificata dopo la recensione d'un professore di latino e storia (la prima versione non era un granchè...questa è già migliore, anche se non ne sono totalmente soddisfatta).

Chiedimi dove sono stato
e pensami spento
chiedimi perché ho un braccio rotto
perdonami tutto

toglimi un anno di vita e salvalo
toglimi un anno di vita e incartalo

ma quando avrò gli occhi dipinti
tu lasciami fare
quando avrò gli occhi dipinti
tu lasciami fare

 

Basta. Non sarebbe più riuscita a sopportare altre umiliazioni come quelle ricevute fino a quel momento. Era davvero troppo, si sentiva impotente e non sapeva come poter risolvere la situazione; i suoi genitori continuavano a farle subire violenze fisiche e psicologiche. Sì, perchè, fin da piccola, Emily Napier era sempre stata picchiata dai genitori, una coppia di drogati e alcolizzati i quali l'ultima cosa che avevano per la mente era occuparsi della figlia e preoccuparsi della sua salute mentale e fisica. Di fatto, se succedeva qualcosa in casa, la ragazza veniva sempre usata come capro espiatorio, insultata, picchiata a sangue e poi lasciata nel dimenticatoio fino al giorno seguente, quando avrebbero trovato un altro assurdo motivo per maltrattarla. Ma nessuno avrebbe mai detto che i signori Napier fossero delle brutte persone: la madre di Emily le assomigliava molto, aveva i capelli rossi e mossi che le arrivavano fino a metà schiena, gli occhi grandi e castani ed era alta, magra e bella, tanto bella che Emily si ritrovava a invidiarla quando guardava le sue foto da giovane. Il padre era un uomo distinto, con i capelli castani lunghi fino a metà collo, gli occhi azzurri come il ghiaccio che tanto spaventavano Emily quando veniva sgridata e i baffi; alto e magro anche lui, riusciva sempre a sottomettere la figlia grazie alla sua imponenza di statura e alla sua forza non indifferente.

A tutto ciò, come se non bastasse, si sommava il fatto che era malvista ovunque andasse: grazie alla fama dei genitori era considerata una drogata e una malvivente, anche a causa del suo modo di vestire piuttosto alternativo. Però quest'ultimo, se si può dire fortunatamente, le permise di unirsi a un gruppetto di ragazzi nelle sue stesse condizioni, ma che fumavano e si drogavano oltre che ascoltare musica metal. Erano ragazzi discriminati per il loro modo di abbigliarsi: avevano quasi tutti la cresta o un ciuffo che copriva loro gli occhi, portavano molti piercing alle orecchie, al naso o alla bocca, numerosi bracciali, collari o vestiti con le borchie e stivali alti tipici dei punk. Essendo vista come una piccola teppista, aveva finito per esserlo: a tredici anni aveva incominciato a drogarsi e a tagliarsi per la frustrazione, anche se ciò non influì sulla scuola, in quanto era una ragazza piuttosto intelligente e scaltra e nessuno aveva mai avuto modo di lamentarsi di lei.

Ora frequentava le superiori e tutto era cambiato: era nella stessa classe dei suoi amici, non era più del tutto sola e ora non era più tanto derisa e maltrattata dai coetanei, ma a volte persino temuta data la gente con cui girava. A casa, però, le cose peggioravano soltanto e lei non sapeva più come fare per reagire a quella situazione, aveva solo due idee: suicidarsi o denunciare i genitori. Della prima aveva timore e della seconda ancora di più perchè era certa che i suoi avrebbero trovato un modo per nascondere le prove e farla franca, poi l'avrebbero uccisa di botte. Su questi pensieri non dormiva e iniziava anche a riscontrare problemi a livello scolastico, in quanto, per il poco riposo, perdeva facilmente l'attenzione. Tutto ciò che riuscivano a dirle i suoi amici, quando si trovava in queste condizioni di depressione, era di contare fino a dieci e sperare che qualcosa migliorasse.

Emily aveva smesso di credere che le cose potessero migliorare, sapeva che era inutile sperare perchè finiva solo per illudersi e rimanerci male ancora di più quando tutto peggiorava. Ma proprio quando non se lo aspettava, anche per lei cessò la pioggia e uscì il sole.

 

se qui ci si perde
tu seguimi sempre
chiedimi come mi sveglio
e come mi taglio

toglimi un anno di vita e salvalo

e se avrò la cenere in bocca
tu lasciami stare
se avrò la cenere in bocca
tu lasciami stare


 

Uno dei suoi insegnanti, un giorno, la scoprì mentre si tagliava e la fermò urlandole che era pazza. Lei, per tutta risposta, scoppiò in lacrime stupendo non poco il professore che si sarebbe aspettato una reazione di rabbia da parte dell'alunna. La lasciò sfogare e quando ella si fu calmata, le chiese cosa l'affliggesse a tal punto da procurarsi da sola delle ferite. La ragazza, per la prima volta, raccontò tutto, di come i suoi genitori la maltrattassero, di come trovò quei pochi amici che aveva e di come iniziò a drogarsi e auto-lesionarsi per sopraffare il dolore e punirsi per i sensi di colpa che aveva.

-Ma di cosa ti senti colpevole?

-Di esistere...I miei genitori nemmeno mi vogliono e sono per tutti una teppista...”il popolo impaurito diventa conservatore, prende il mostro e gli dà un colore. Piuttosto che accettare che chiunque è un potenziale Hitler, che in 9 su 10 un parente è sempre il killer”....Sono solo un peso per tutti...

-Non credi invece che le condizioni in cui vivi ti portino ad avere sensi di colpa anche se in realtà tu non hai fatto nulla di male?

Lei scosse la testa imperterrita: aveva sempre pensato di essere cattiva e sbagliata, pensare che lo fossero gli altri le suonava strano e improbabile.

-Più mi parli di te e più sono convinto che sei solo una ragazza incompresa e chiusa per paura di soffrire...Ma è proprio chiudendoti che ti fai del male: se non ti mostri per quello che sei, chi mai potrà immaginare che Emily Napier, la ragazza dai capelli rossi tinti di nero, gli occhi azzurri e con le lentiggini sul naso, possa essere una ragazza buona e generosa?

Lei lo guardò arrossendo: possibile che quello uomo sulla cinquantina, con i capelli neri, lisci, lunghi fino a metà collo e tendenti al grigio, gli occhi verdi con delle sfumature castano chiaro stanchi e svogliati, con la pelle olivastra e i segni della vecchiaia sul volto, potesse capirla tanto bene? Però non avrebbe mai ammesso che aveva ragione lui, anche se in parte la comprendeva, non poteva sapere tutto di lei ed Emily Napier non si considerava affatto una ragazza buona e generosa.

-Non lo sono.

Lui sospirò, anche se notò un lieve colore rossastro colorare le guance della ragazza: probabilmente non si aspettava che sapesse che si fosse tinta i capelli di nero, né tanto meno che li avesse rossi. Prese una delle ciocche tra due dita rigirandola.

-Perchè li hai tinti?

-Detesto il rosso.

-E perchè? Il rosso è il colore dell'amore...

-L'amore è dolore. Molti dicono che sia indispensabile per vivere, ma io credo che l'ossigeno sia più importante. L'amore può distruggere una persona, anche se questa è forte, un amore non corrisposto o la mancanza di affetto da parte dei propri cari, può perfino portarla a suicidarsi.

Lui sorrise appena osservandola: negli occhi color del mare traspariva una profonda tristezza che l'aveva segnata, come le cicatrici che aveva ovunque sul corpo, alcune dovute alle autolesioni, altre dovute alle percosse ricevute dai genitori. Non l'aveva mai vista sorridere, né vestirsi di colori gioiosi: il rosso e il rosa erano presenti solo in parte sui suoi indumenti. Vestiva sempre di nero e portava sempre scarpe da ginnastica o degli anfibi.

-Era da tanto che non piangevi?- chiese alla fine.

-”C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo...”.- recitò lei, quasi meccanicamente guardando il cielo grigio e piovoso fuori dalla finestra, mentre sentiva gli occhi bruciargli nel tentativo di trattenere le lacrime.

-Però dopo la pioggia, torna il sereno.

Poi notò che la ragazza tentava di reprimere le lacrime, probabilmente per non apparire ancora così fragile come poco prima. La prese per le spalle e la strinse a sé pensando che non avesse mai ricevuto un abbraccio in vita sua. Emily sbarrò gli occhi e dapprima s'irrigidì, poi si rilassò lasciandosi andare tra le braccia dell'insegnante e le lacrime iniziarono a rigarle le guance.

-Non devi vergognarti di piangere, Emi. Piangere non è segno di debolezza, ma è segno di sensibilità a prova che tu sei una ragazza buona e sensibile.

ma quando avrò sangue dal naso
tu lasciami fare
quando avrò sangue dal naso
tu lasciami fare

 

Passarono i mesi da quel giorno e Emily cominciava a stare un po' meglio dato che sapeva di potersi sfogare con qualcuno. Però non smetteva di farsi del male e le sue condizioni di salute peggioravano. Un giorno, durante la lezione dell'insegnante, mentre giocava a calcio con le compagne, la ragazza rovinò improvvisamente a terra perdendo i sensi. Spaventato, il professore, corse subito da lei e, caricandosela sulle spalle, corse dal direttore della scuola per ricevere il permesso per portarla all'ospedale spiegando che sarebbe stato impossibile che i genitori di Emily fossero venuti a soccorrerla. Ottenuto il permesso e chiamati i soccorsi si diresse all'ospedale con la ragazza e i medici. Attese fuori dalla stanza dove era stata portata l'allieva fino a quando il medico uscì chiedendogli se fosse il genitori.

-...Il tutore...

-La ragazza presenta numerose lesioni cerebrali dovute all'assunzione di sostanze stupefacenti. Se continua così, morirà di certo. Il problema sta nel fatto che non abbiamo trovato tracce delle sostanze sui vestiti ho addosso alla ragazza e non possiamo determinare se le abbia assunte di propria volontà o per errore.

-Ho capito. Posso entrare?

-Faccia pure, è sveglia.

Lui entrò chiudendosi la porta alle spalle e osservò la ragazza sdraiata sul letto che guardava fuori dalla finestra con uno sguardo spento e perso.

-Come stai?

-Considerando che sono ancora viva e che non ho ottenuto nulla, uno schifo.

-E allora perchè continui a farti del male inutilmente?

Lei si voltò verso di lui squadrandolo con i suoi occhi di ghiaccio e ribattendo:- A lei cosa interessa se io mi drogo e mi faccio del male?

-I medici dicono che puoi morire.

-E dove sta il problema? E' proprio quello che cerco di fare. La facevo più perspicace.

-Non ci credo. Se avessi voluto davvero farti fuori, l'avresti già fatto: hai paura.

Emily sbuffò mettendosi a sedere e appoggiò la schiena al cuscino rialzato.

-A parer mio ha sbagliato lavoro, prof. Perchè non si è dato alla psicologia?

Lui sorrise scuotendo la testa e avvicinò una mano al viso della ragazza, ma questa si scostò per non lasciarsi toccare.

-Lo so, hai paura a stringere dei legami con le persone perchè hai paura di essere delusa. Ma di me ti puoi fidare: ti posso aiutare a superare questa situazione. Ti porterò via dai tuoi genitori.

-E' impossibile. In qualche modo se la caveranno e daranno a lei la colpa: sono più furbi di quanto lei creda. Sanno come raggirare i problemi e farli ricadere sugli altri; non sarebbe la prima volta.

-A tutto c'è una soluzione, Emi. Non buttare via la vita per un problema. Lascia che ti aiuti.

-Ne stia fuori. Non voglio che qualcun altro soffra a causa loro.

Lui le prese una mano stringendola e facendola avvampare.

-E io non posso lasciare che tu ti faccia inutilmente del male quando si può trovare una soluzione.

-Poi sono io la testarda.

-Promettimi che resisterai. Promettimi che non assumerai più le droghe. Promettimi che non ti taglierai più. Ti prego, Emily. Il sole torna. E se tu non lo vedrai, te lo mostrerò io. Ma tu promettimi che non ti farai più del male, altrimenti non ti lascerò più tornare a casa.

Lei sbuffò scocciata chiedendosi perchè si sforzasse tanto per qualcosa d'inutile. Però poteva divertirsi a vedere chi aveva ragione: se lui fosse riuscito a salvarla incolpando i suoi genitori prima che si suicidasse.

-D'accordo. Lo prometto. E ora mi lasci in pace, voglio riposare prima di tornare a casa.

Emily si sdraiò mostrandogli le spalle e chiudendo gli occhi. Lui sorrise appena e le accarezzò i capelli prima di alzarsi e uscire.

Due ore dopo, si svegliò e il medico le disse che poteva tornare a casa, ma di stare attenta. Lei lo ignorò e raccolse un bigliettino che aveva visto sul comodino. Era del professore e diceva:

Dato che mi stai sfidando, abbi almeno la gentilezza di aiutarmi ad aiutarti: se trovi qualcosa che possa incolparli comunicamelo e non barare. Se lo farai, me ne accorgerò!

Prof Evans

P.S. Non ti devi preoccupare per me: sono pronto a rischiare per i miei alunni!

P.P.S. Se dovessi averne bisogno, ti lascio il mio numero *** *******”

Sorrise tristemente infilandosi il pezzo di carta nella tasca e uscì dall'ospedale dirigendosi verso casa.

Nelle settimane seguenti tutto sembrava essersi tranquillizzato e quasi migliorato: Emily stava molto meglio e aveva mantenuto le promesse fatte al professore, anche se non poteva ancora dire di essere felice. La sera, quando tornava a casa dopo esser uscita con gli amici, il padre la riaccoglieva picchiandola e trovando mille scuse per incolparla di qualcosa. Lei tornava in camera cercando di contenere la rabbia e il dolore per non arrivare a dover assumere le droghe o tagliarsi. Si faceva una doccia per lavare le ferite e poi, dopo aver studiato quel che bastava, si lasciava cadere sul letto con la musica al massimo volume pensando a ciò che avrebbe potuto aiutare lei e il suo insegnante ad incastrare i genitori di lei. Non sapeva dove tenessero le sostanze stupefacenti: l'unico modo era far arrivare la polizia mentre davano di matto.

Il giorno seguente finita la lezione di educazione fisica, mentre erano tutti negli spogliatoi a cambiarsi, Emily raggiunse il professore e gli espose la propria idea.

-Ci avevo pensato anche io...per questo ti ho lasciato il mio numero.

-Crede davvero che possa funzionare? Potrebbero trovare una qualsiasi scusa e incolpare gli spacciatori di essere stati obbligati ad assumerle o di averle assunte entrando in un bar...

-Bisogna provare, Emi. Altrimenti non ne usciremo mai.

-Ho paura.

-Il lato positivo di questa storia è che stai diventando sincera.

Lei arrossì quando si accorse di aver ammesso una debolezza.

-Intendevo dire che c'è la possibilità che qualcosa vada storto.

-Ho capito. In effetti è vero. Servirebbero le prove concrete, ma se tu non sai dove nascondano le sostanze...

-Le cerco. Oggi sono fuori e ne approfitto per cercare.

-Ne sei sicura? E se ti scoprono?

-La mia schiena è più sensibile agli abbracci che alle percosse: ci ho fatto l'abitudine.

Lui sorrise tristemente mentre lei scrollò le spalle; tentò di toccarle la spalla con una mano prima di salutarla, ma lei gliela scansò con decisione.

-Arrivederci.

Quel pomeriggio, come aveva detto, Emily sgattaiolò nella camera dei genitori e iniziò a metterla a soqquadro nel tentativo di trovare delle prove.

Dove si può nascondere qualcosa sperando che nessuno lo trovi??”

Svuotò l'armadio e i cassetti cercando tra i vestiti sia del padre che della madre, ma non trovò nulla che potesse esserle d'aiuto. Per ultimo, tentò con la scrivania, ma anche lì nulla: solo fogli e cavi elettrici. Per sbaglio fece uscire dai binari l'ultimo cassetto nella foga di tirarlo e questo cadde sul pavimento facendo volare da tutte le parti il suo contenuto, compresa la tavola di legno che doveva essere il fondo del cassetto...ma che in realtà era un doppio fondo. Finalmente era riuscita a trovare ciò che cercava: sul fondo del cassetto vi erano numerose buste con scritto sopra i nomi delle sostanze al loro interno e vi era anche un coltello. Improvvisamente le venne un'idea geniale: si tolse la maglietta e si fece un taglio sulla schiena, tenendo il coltello con un fazzoletto della madre per non lasciarvi le impronte digitali.

Mi perdoni, prof, ma questo lo faccio anche per aiutarla!”

Poi rimise tutto a posto, nascondendo nuovamente le prove e rimise a posto il cassetto proprio mentre la madre irruppe nella stanza urlandole di uscire immediatamente. Non fece in tempo a girarsi che la donna fu sopra di lei e iniziò a prenderla a pugni sul viso e sulla schiena. Poi entrò il padre che la prese per i capelli e la chiuse nella sua camera. Emily si lasciò cadere a terra dolorante piangendo per la rabbia e la frustrazione di essere stata umiliata un'altra volta.

-Uno.....due.....tre......

Il mattino seguente Emily non era a scuola e il direttore chiamò a casa per accertarsi che i genitori lo sapessero, ma nessuno rispose al telefono. Chiamò il professor Evans sul cellulare dicendogli che la ragazza era assente, che nessuno rispondeva e gli chiese di andare a controllare che non fosse successo nulla. L'insegnante assentì e corse subito a prendere la moto, lasciando tutto com'era, per la troppa fretta. Salì sulla moto e imboccò la strada più rapida per arrivare a casa dell'allieva.

Fa che non sia successo nulla...Anzi, fa che non sia successo nulla d'irreparabile, ma che sia accaduto qualcosa che possa provare che quei due sono dei delinquenti!”

Sudava freddo: aveva provato a chiamare anche lui a casa e poi sul cellulare della ragazza, ma suonavano a vuoto, senza che nessuno rispondesse. Cercò di auto-convincersi che Emily fosse diventata una ragazza responsabile e non gli avrebbe disobbedito, ma servì a ben poco. Quando arrivò davanti alla casa, per poco non si dimenticò di spegnere la moto e togliersi il casco. Suonò al campanello e bussò alla porta. Niente. Riprovò ancora un paio di volte deglutendo a fatica finchè non si scocciò e tentò di forzare la serratura, ma la porta era aperta. Entrò piuttosto confuso e sovrappensiero, tanto che per poco non prese un infarto quando il gatto nero dell'allieva soffiò alla sua vista rizzando tutto il pelo. Si guardò attorno: era una casa di una famiglia benestante, ma una cosa lo rattristò molto: sembrava la casa di una coppia senza figli. Non c'erano foto di Emily in giro, né tanto meno il segno che lei vivesse lì. Scosse la testa e si diresse verso le scale e le salì talmente di fretta che per poco non cadde di faccia. Arrivato al secondo piano si guardò intorno: c'erano quattro porte di cui tre aperte. Due erano i bagni e la terza una camera: quella di Emily. Il cuore iniziò a battere talmente forte che lui pensò che il gatto potesse sentirne il rumore. Avanzò verso la porta e quando si trovò sulla soglia della stanza sentì che le gambe non l'avrebbero più retto in piedi: l'allieva era lì, sul letto, morta. Con le lacrime che gli bruciavano gli angolo degli occhi, si avvicinò al letto per guardarla: i capelli, ormai tornati vermigli, erano tutti scompigliati e le coprivano in parte il volto che era rilassato, molto di più di quanto non lo fosse quando Emily era ancora viva. Gli occhi chiusi, sereni, e le labbra serrate in un lieve sorriso. Indossava una maglietta nera e un paio di pantaloncini dello stesso colore, era scalza e aveva numerosi lividi su braccia, gambe e anche sul viso. Si guardò intorno:le pareti erano bianche e ricoperte di poster di cantanti metal e attori famosi, nell'angolo opposto a quello del letto vi era un piccolo armadio che non doveva contenere molti indumenti; sotto la finestra, c'era la scrivania con una lampada da tavolo e numerosi fogli sparsi sopra: disegni, fotografie...ma anche un foglio scritto. Lo prese in mano mentre le lacrime gli rigarono il volto e lesse.

Ok, le ho disobbedito. Però l'ho fatto per una buona causa: chiami la polizia e dica loro di smontare l'ultimo cassetto della scrivania nella camera dei miei genitori. Li ci sono prove più che sufficienti ad incastrarli. Mi dispiace, c'erano un sacco di cose di cui avrei dovuto ringraziarla. Mi perdoni, non ce l'ho fatta a sopportare quest'ultima tempesta.

Grazie di tutto. Le voglio bene.

Emily”

Lasciò andare il foglio e cadde in ginocchio davanti al letto abbracciando il cadavere della ragazza.

-Avresti potuto aspettare qualche ora per rivedere il Sole...

   
 
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