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Autore: Nykyo    31/10/2006    11 recensioni
Quale rapporto lega Albus Silente e Severus Piton? Qual è la vera natura di Silente: è solo un abile stratega, un condottiero che muove le sue pedine sulla scacchiera della guerra, o è anche un uomo, capace di paterno affetto? La vicenda dei diciassette anni trascorsi da Piton e Silente, fianco a fianco, raccontata dal punto di vista di chi, come il Preside, ha fiducia in Severus Piton.
Questo racconto ha vinto il primo premio al concorso "Piton e la Giustizia" del Sotterraneo di Piton
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“Ho piena fiducia in Severus Piton”

“Avada Kedavra!”:

parole d’amore per un

padre severo.

Haiku per Severus - Nykyo.

PARTE PRIMA: La fiducia di Silente.

1. Ammissione di colpa.

“E’ davvero molto agitato, Albus” – ripeté Minerva McGranitt, lei stessa un po’ più accalorata del solito – “Non sembra nemmeno lui. Te lo ricordi com’era schivo e silenzioso? No, non sembra lui. Gli ho ricordato che è un brutto momento… con tutto quel che sta accadendo, con tutto quel che ‘Tu sai chi’ ha scatenato ultimamente, ma insiste per vederti subito e ho creduto che sarebbe svenuto per la tensione, se non fossi corsa ad avvisarti”.

L’alto mago canuto sembrava non aver prestato la minima attenzione alle parole dell’amica e collega. Voltato di spalle continuava ad armeggiare con qualcosa all’interno dello scaffale che troneggiava dietro alla sua scrivania.

Solo alla fine si girò, un guizzo negli occhi chiari schermati da lenti a mezzaluna, subito sopito, e poi annuì – “Fallo salire subito, allora Minerva, e grazie”.

Ma lo disse con calma imperturbabile e senza mostrare la minima curiosità.

Poi sedette ad attendere il giovane mago bruno.

Lo squadrò, quando entrò con passo nervoso, troppo pallido, perfino per il suo solito, i lunghi capelli neri che spiovevano a ciocche come serpentelli ritorti sul volto magro e affilato.

Ancora così giovane quel viso, eppure le iridi nere già segnate, incise in profondità da esperienze premature e orribilmente sbagliate. Esperienze che non avrebbero dovuto mai toccarlo.

Lo osservò con attenzione, eppure l’altro non se ne accorse, perché lo sguardo del vecchio non era stato insistente.

“Severus Piton” – disse, infine – “Non è passato poi molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti alla consegna dei diplomi… siedi ragazzo, ti ascolto” – e gli indicò una pesante sedia in cui tanti studenti di Hogwarts si erano accomodati negli anni.

Il mago bruno scosse il capo e rimase in piedi, esitante; muto.

“Come preferisci” – Silente si strinse nelle spalle e si lasciò andare sull’alto schienale del suo scranno di Preside.

“Devo parlarle… “ – riuscì finalmente a dire il giovane, poi si morse duramente le labbra, prima di continuare – “Io ho… ho commesso un imperdonabile errore, ma ora… ora… “.

Non riuscì a proseguire, era ovvio che tentava di dominarsi, ma non vi riusciva del tutto.

Il sudore che gli imperlava la fronte, le mani strette con troppa forza sui bordi del mantello, fino a far sbiancare le nocche nell’emergere delle ossa sporgenti, un piede che disegnava nette e lente linee inesistenti sul pavimento di pietra, lo tradivano inesorabilmente.

Ha ragione Minerva – pensò il Preside – E’ un fascio di nervi.

Immaginava il perché, ne era tristemente conscio, e nel contempo era lieto di ritrovarselo davanti.

Ancora una volta, aveva avuto ragione: perduto e poi ritrovato. Severus Piton non l’aveva deluso.

E, penso che non mi deluderà nemmeno in futuro – si disse, ma non parlò, non aiutò quel giovane uomo tormentato ad iniziare quella che, di certo, sarebbe stata una confessione.

Non sarebbe stato giusto. Se il male non fosse sgorgato da solo, profondo e doloroso, da quelle labbra esili, fino a trovare totale sfogo, sarebbe stato peggio.

Così, invece, il mago si sarebbe forse sentito meglio alla fine. Era giusto, come il pagamento di un pedaggio, e poi lui doveva sapere ogni cosa. Tutto era prezioso alla causa, anche ciò che Piton magari non avrebbe ritenuto tale; né era bene essere imprudenti.

Ero certo che saresti venuto, Severus. Ti aspettavo. Ma devo essere comunque cauto, non è tempo di rischiare.

Si limitò ad assumere un’aria più grave e fargli cenno di continuare, agitando in aria una mano ossuta, in un gesto inconfondibilmente suo.

Piton deglutì, poi un’esplosione, roca e secca come lo spezzarsi di una lastra di ghiaccio ancora troppo sottile su cui sia stato caricato un peso eccessivo – “Sono diventato un Mangiamorte, un servitore dell’Oscuro Signore!”.

La manica che veniva arrotolata con violenza, lo strapparsi sonoro della stoffa e il Marchio Nero fissò le sue vuote orbite pulsanti sul vecchio mago canuto.

“Questo è il simbolo con cui ci ha marchiati tutti. Il segno che siamo i suoi schiavi” – sibilò il giovane.

Ma Silente non degnò di uno sguardo il grande teschio dalla lingua di serpente, pur comprendendo quanto era costosa quell’esibizione per il disperato ventenne ritto dinnanzi a lui.

Disperato, sì. Devi essere davvero giunto al limite, ragazzo per piegare il tuo orgoglio a questo. Ti conosco, Severus, ti ho osservato più di quanto tu non creda nei tuoi anni di scuola. Quanto in basso sei caduto per essere qui ora? Eppure, vorresti risalire, lo sento.

Ma tacque, ostinatamente, attendendo che Piton incidesse da solo il suo cuore per lasciar sgorgare tutto il veleno che gli colmava il petto.

Severus chinò il capo, vinto da quel silenzio. Non era avvezzo ad un simile tipo d’umiltà, tanto in contrasto col suo usuale orgoglio, ma Voldemort gli aveva insegnato a duro prezzo quel gesto.

Lo compiva con disgusto, anche verso se stesso, ogni volta che era al cospetto del Lord. Ora, però, fu solo spontaneo segno della vergogna, per ciò che era diventato.

Con stupore si accorse che gli importava davvero del giudizio di Silente. Non era solo l’unico mago che, forse, avrebbe ancora potuto tendergli una mano e salvargli l’anima, era soprattutto – solo adesso Severus se ne rendeva conto, anche se l’aveva sempre saputo – un uomo profondamente retto e integro, come lui non poteva più definirsi ormai.

“Mi sono lasciato accecare dai miei sogni, da ideali assolutamente folli” – mormorò. I suoi occhi guizzarono per un istante, come nere fiamme, a perdersi in quelli azzurri del Preside, cercandovi condanna.

“Sono diventato un assassino… “ – un ulteriore sibilo, quasi strozzato; il braccio sinistro ricadde inerte, senza che il teschio dalla lingua di serpente cessasse di irriderlo.

Dannazione, cosa sono venuto a fare qui? Cosa spero da questo vecchio mago che ha solo motivi per biasimarmi? Che non mi condanni, che mi dica che posso salvarmi? E come, come, quando non merito che di pagare il prezzo per aver buttato via la mia anima? Ma forse… se solo Silente potesse intervenire, fermare almeno quest’ultima pazzia…

“Lo so, o meglio, lo temevo, ragazzo” – fu, infine, la risposta pacata del Preside.

Lo temevo da tempo è non ho potuto far nulla per impedirlo, Severus. Perdonami, ho tentato, ma ho anche io le mie colpe, perché non ci ho mai messo abbastanza impegno. Non potevo. Non lo ritenevo giusto.

Ciascuno deve seguire la sua strada, quella che sceglie e costruisce, eppure, a differenza di te, io sentivo che stavi entrando nelle tenebre, ma non eri privo di luce. E’ in questo il mio sbaglio: se avessi pensato che eri senza speranza, perché non lasciarti andare? Cosa sarebbe cambiato? Invece, Severus, tu eri forse l’unico che avrei potuto fermare in tempo, sull’orlo dell’abisso.

Erano aguzzi i sassi che ti hanno spezzato, incrinandoti il cuore, come mi mostra il tuo sguardo? Sì, lo erano e io ti ho lasciato cadere sul fondo del baratro.

Ho anche io le mie colpe, verrà anche il mio tempo. Intanto ho compreso; non accadrà mai più.

Se mai dovessi un giorno osservare un’altra anima in bilico, mi ricorderò di te, ragazzo, e tenterò, se appena scorgerò la speranza. Tenterò di evitarle di precipitare, a qualunque costo.

Il giovane mago lo fissò incredulo, gli occhi nerissimi colmi di confusione che si sommava all’angoscia.

Silente sapeva? Oh, quel vecchio conosceva sempre ogni cosa in anticipo. E, ovviamente, non c’era alcun timore nelle iridi chiare che incontravano apertamente le sue.

Nemmeno gli aveva domandato di consegnare la bacchetta. Certo, chi era mai lui, Severus Piton, sciocco ragazzino appena fatto uomo e già bruciato per sempre, per poter anche solo lontanamente pensare di incutere paura o preoccupazione in un mago potente ed esperto come Albus Silente?

Si sentì piccolo; non solo troppo sciocco, sbagliato e giovane, dinnanzi a quello stregone serio, già carico d’anni, ma veramente insignificante e minuscolo. Meschino, depravato e inutile, con tutte le sue paure e con i rimorsi che lo tormentavano soltanto per colpa della sua stessa incosciente follia.

Gli sembrò vano essere andato lì, a Hogwarts, a chiedere aiuto.

Aiuto per cosa? Per salvarsi la vita? Per non marcire per il resto dei suoi giorni ad Azkaban, come per altro meritava?

No, no, solo perché finisca. Perché non accada di peggio, per non dover lacerare oltre la mia anima, se ancora esiste. Io non ce la faccio da solo. Io devo rimediare. Io devo sfuggire all’oscurità che mi soffoca; devo fermare quel pazzo. Non ne posso più! Non ce la faccio più, basta, basta, basta!

Le sue pupille dilatate lo gridavano ossessivamente.

“Mi dispiace, ma non mi sorprende affatto” – aggiunse Silente, con una certa dolente dolcezza, senza condanna, solo come un’amara constatazione.

Quelle parole colpirono il giovane Piton come una frustata.

Dispiacere? Solo questo? Come ci si rammarica bonariamente con un bambino che ha rotto una suppellettile, anche se era stato avvertito di non toccarla? Io ho ucciso, ho spezzato vite. Io sono diventato un mostro!

“Le dispiace?” – la voce del mago bruno risuonò stridula e irosa, eccessivamente acuta, ancora troppo immatura, mentre le parole gli sgorgavano di bocca, irrefrenabili – “Dispiace? Ho…io ho commesso colpe atroci. Ho le mani sporche di sangue, non lo vede? Io sì, io lo vedo anche adesso. Continuo a vederlo perfino se chiudo gli occhi” – sollevò le mani al viso; ora tremavano incontrollabili, contro ogni sua volontà.

“Lo vede anche lei?” – continuò, fissandosi le dita, ma senza realmente osservare più niente, perduto nell’abisso della propria coscienza – “Come fa a non urlare di disgusto? Come fa a posarmi gli occhi addosso senza che la nausea la sconvolga? Io… io non riesco più nemmeno a guardarmi allo specchio… “.

Silente si alzò e sospirò rumorosamente, mentre si sporgeva verso di lui, imponente nel corpo esile che non poteva nascondere l’emanazione di uno spirito forte, potente, e assolutamente superiore.

“Mi dispiace” – ripeté, ostinatamente paterno – “Ma ne ero al corrente, o meglio lo immaginavo e temevo da tempo che sarebbe successo. Eppure, sapevo anche che non eri realmente perduto. Ti aspettavo, certo che prima o poi saresti venuto. Ne ho visti di giovani maghi come te, rovinati dal proprio nome, o dall’ambizione, oppure solo dalla loro crudeltà e pochezza. Ho provato a mostrarvi quali valori contano davvero, ma evidentemente non è bastato a tenervi lontani dall’orrore. Però, sapevo che tu avresti capito. Mi dispiace che sia accaduto solo ora, immagino che sarebbe stato meglio per te e soprattutto per coloro che hanno incrociato la tua strada, se tu non avessi mai commesso un così terribile sbaglio. Ma sei qui, ora. Ti ascolto, ragazzo”.

Il giovane mago bruno si lasciò cadere sulla sedia che poco prima aveva rifiutato, spossato, disarmato.

Prese fiato e aprì la bocca, ma poi la richiuse, serrando il labbro inferiore tra i denti, ferocemente.

Provò, ancora ed ancora, ma le parole non volevano lasciare la sua gola.

Infine riuscì. Chiuse gli occhi e lasciò andare il dolore, il rimorso, la disperazione, la paura; ogni singolo orrore e ricordo, serbando solo una delle sue colpe, quella che più lo affliggeva. Quella che l’aveva convinto, oltre il suo giovanile terrore di Voldemort, a recarsi a Hogwarts.

Non riusciva ancora a parlarne, ma non celò nient’altro al Preside.

Si accusò a lungo. Sillabe pesanti come macigni che graffiavano il suo petto, trafiggendogli il cuore, prima di diventare finalmente suono.

Il vecchio l’ascoltò in silenzio, traendo spesso lunghi sospiri di disapprovazione, inscindibilmente mescolata a comprensione.

L’ascoltò, fino a che le parole non tornarono a morire dietro alle esili pallide labbra del mago più giovane.

Eppure, c’è ancora qualcosa che non mi hai detto, Severus. Qualcosa che non riesci ancora a buttar fuori e ti annoda le viscere. Aspetterò, è proprio quella la cosa che più di tutte desideri confessarmi, lo sento.

Attenderò, e tu me la dirai, non appena sarai pronto.

Infine, si volse e trasse dallo scaffale un pesante bacile piatto di pietra istoriata, deponendolo con delicatezza sulla scrivania, come se fosse estremamente leggero. Era evidente che era abituato a maneggiarlo.

“Bene” – disse col tono più cupo che avesse usato fino ad allora – “Sai cos’è questo, Severus?”.

Ancora accasciato, come svuotato anche del fiato, il mago bruno scosse il capo. Qualunque cosa fosse quello strano catino, come poteva avere a che fare con ciò che era appena riuscito a confidare al Preside e con quel che ancora gli bruciava in gola non detto?

“E’ un Pensatoio, ragazzo” – continuò Silente, impugnando la propria bacchetta – “Dovresti sapere a cosa serve e come funziona. Sei sempre stato uno che ama conoscere ogni cosa”.

Piton annuì – “Non mi crede? Vuole i miei ricordi per verificare se le ho mentito? Li prenda pure, se ha davvero il coraggio di immergersi in un simile inferno, anche se non vedo a cosa possa servirle. Vedrebbe solo i miei gesti, ma senza i miei pensieri cosa le darà la certezza che ho detto la verità e sono realmente pentito?”.

“Me la darai tu” – sentenziò il vecchio, asciutto – “Sarai tu stesso, a fornirmela”.

Il giovane mago rabbrividì, in un lampo atroce di comprensione.

No, no, questo no. Non ho già sufficientemente piegato me stesso? Non avrà mai fine questa tortura? Ricordare è terribile, ma rivivere ogni cosa… no, non voglio, non posso!

“Vuole che io entri con lei nei miei stessi ricordi?” – voleva essere una domanda distaccata, ma fu quasi un grido di dolore – “No, non me lo chieda, mi domandi qualunque altra prova, qualunque altra cosa… “.

Oh, so cosa ti sto imponendo, ragazzo. Se davvero, come credo, il tuo è pentimento sincero, se realmente è così doloroso per te guardare a ciò che sei diventato, sarà una tortura, ma ho i miei motivi ed è giusto.

Se hai ancora luce in te, come io penso e spero, questo sarà il primo prezzo da pagare.

Anche io, a volte, posso solo essere spietato. Ci sono occasioni in cui devo esserlo.

“Sei venuto qui perché desideri il mio aiuto” – gli rispose severo – “Benissimo, ma detto io le condizioni. Non voglio ferirti o umiliarti, ma devo sapere ogni cosa; entrare in te realmente. Vuoi prenderti carico delle tue colpe, non è così? C’è sicuramente voluto coraggio per venire fin qui, ora mostra di averne a sufficienza per affrontare quel che hai fatto fino in fondo”.

Poi fissò la finestrella dai vetri policromi e aggiunse, col tono di chi non ammette repliche – “E’ l’alba, dirò a Minerva McGranitt che non desideriamo essere interrotti. Non importa quanto tempo ci vorrà, sei giovane e resistente. Quanto a me, ho visto cose ben peggiori di quel che possono essere i tuoi ricordi”.

Uscì svelto, per rientrare poco dopo pronto ad esigere il suo tributo.

   
 
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