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Autore: Eikochan    05/04/2012    2 recensioni
Tsunade è cresciuta segnata dalla tragedia più grande della sua vita; precipitata in un torpore emotivo e interiore non riesce a dare una svolta alla sua vita... finché un'evento non le darà questo opportunità. Ma non tutte le scelte sono giuste e alcune volte la serpe si nasconde proprio tra i tuoi amici. E' davvero necessario vendicarsi?
Dal primo capitolo:
“Pensi di essere una dura?”
Gli rispose con un sott’inteso, muto, cenno d’assenso.
“Allora dimmi cosa spinge una tredicenne a pestare a sangue due ragazzi.”
L’altra stette in silenzio per qualche minuto, sotto lo sguardo inquisitore del sovraintendente.
“Se una persona mi fa un torto, e chi deve punire essa non fa niente, non è forse lecito farmi giustizia da sola? Occhio per occhio, dente per dente”
Per Tsunade era sempre stato un vizio rispondere ad una domanda con un’altra domanda.

{Coppia principale: Tsunade/Orochimaru}
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Note autrice: il corsivo sta ad indicare un flashback.

CAPITOLO I:

 
“Come siamo finiti a ridurci così, Tsunade?”
Jiraya la stava guardando dall’altra parte del tavolo, sorseggiando un wisky invecchiato dieci anni, con le gote arrossate dall’alcol e dal caldo che invadeva la bettola in cui si erano rintanati.
L’altra non rispose, tormentandosi uno dei codini in cui teneva stretti i suoi capelli biondi, perennemente in disordine; poi ordinò un'altra bottiglia di sakè e si versò quello che rimaneva della prima nel bicchiere.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?” Gli rispose Tsunade, con un altro interrogativo.
La domanda cadde nel silenzio, entrambi persi nei loro ricordi e nel torpore dell’alcol.

 

Si tastò il labbro gonfio tentando di tamponare alla bell’e meglio  il sangue che le sgorgava a fiotti, cercando sempre di non posare lo sguardo sul liquido rosso: non era proprio il momento di svenire.
Si era ritrovata a sedere su una lunga panchina, in mezzo ad altri due ragazzi della sua età circa.
Dalla porta alla sua destra  uscì un funzionario che chiamo a gran voce: “Jiraya Myoko.”
Il ragazzo alla sua destra si alzò ed entrò nella stanza. Lo osservò mentre percorreva il tragitto: non era molto alto né magrissimo, con degli improbabili capelli bianco, sicuramente frutto di qualche decolorazione malriuscita  a giudicare dall’aspetto. Le vesti strappate e qualche abrasione qua e là lasciavano intuire che si era appena messo nei guai. Il ragazzo –che evidentemente si chiamava Jiraya- si richiuse la porta alle spalle e lei tornò a dedicare l’attenzione altrove.
Osservò attentamente la sala d’aspetto in cui l’avevano portata: era spoglia, poco accogliente e disseminata di sedie e panchine scomode. C’erano due piccole finestrelle, una di fronte all’altra sui due muri opposti, con le inferriate che bloccavano la luce del sole del tramonto. Di fronte a loro il poliziotto si stava sistemando l’uniforme mentre lanciava – da dietro il vetro dell’ufficio-  diverse occhiate a lei e all’altro ragazzino, in modo da bloccare tempestivamente ogni problema che potessero creare. La scritta “Polizia” torreggiava sulle loro teste.
‘Diavolo, questo maledetto sangue non si vuole fermare.’ si ritrovò a considerare mentre l’emorragia non accennava ad arrestarsi.
Si costrinse a pensare ad altro e iniziò a osservare di sfuggita l’unico occupante della stanza –oltre a lei-. A differenza di quel Jiraya di prima, questo ragazzo era di corporatura magra, al limite della malattia si poteva tranquillamente affermare, e i capelli, che ricadevano composti lungo le spalle, erano di un nero lucente. Aveva lineamenti fini - quasi serpenteschi, a dirla tutta- e sembrava a proprio agio nonostante l’ambiente in cui si trovava. Non era bello nel senso comune del termine ma era strano, particolare,
fuori dal comune. Era li, in attesa di essere interrogato, e sembrava vivere in un mondo tutto suo, lo sguardo fiero, deciso ma distaccato e distante.
“Orochimaru Kusanagi.” Il poliziotto era tornato: l’interrogatorio del ragazzo di prima era finito. Ora era il turno di quello moro.
Si sistemò meglio sulla panchina. Finalmente l’emorragia era finita. 

 
La seconda bottiglia di sakè era arrivata al tavolo e Tsunade se ne versò un altro bicchiere.
“Eravamo proprio dei piccoli scapestrati ribelli..” prese di nuovo la parola Jiraya.
“Non sono io quella che ha quasi dato fuoco alla casa di un professore..”
“Ma anche tu hai la tua dose di peccati, Tsunade.” le ricordò lui, finendo tutto d’un fiato il suo wisky.

 

“Tsunade Senju.”la chiamò il solito, odioso, poliziotto. Gli lanciò un sguardo di sfida mentre lo oltrepassava per entrare nella stanza degli interrogatori.
Si sedette sulla sedia anonima che le aveva indicato l’uomo e  passarono diversi minuti in cui nessuno dei due disse una parola.
“Ma hanno intenzione di interrogarmi? Perché me ne torno a casa, se no..” disse sprezzante e infastidita dall’attesa.
“Ragazzina. Stai al tuo posto e ringrazia di non essere interrogata da Ibiki Morino.”
“Come mai no?” domandò; tanto valeva parlare per ingannare il tempo, a quel punto. E poi era curiosa: la fama di Ibiki Morino, il poliziotto più temuto dell’intero Giappone, era vasta ed era arrivate alle orecchie di tutti…persino alle sue.
“Non sono affari tuoi, ragazzina.”
“Chi mi interrogherà allora?”
“Il sovraintendente Hiruzen Sarutobi. E ora smettila di parlare”
Lo sguardo severo della guardia la convinse a tapparsi la bocca e dopo pochi minuti entrò, finalmente, il pezzo grosso della centrale.
Il peso dell’età iniziava a farsi sentire: i capelli castani era striati di bianco mentre alcune rughe d’età gli circondavano il contorno occhi e labbra. Nonostante questo aveva due occhi marroni che guizzavano da una parte all’altra della stanza, raccogliendo e immagazzinando ogni informazione: aveva gli occhi di un ventenne, pieno di vita, fiducia e aspettativa.. di un giovane che già sa come funzionano le cose  e cerca di cambiare il destino.
“Allora..” iniziò a parlare, con voce ferma e calma “Sei Tsunade Senju?”
“E se anche le dicessi di no mi crederebbe?”
“No. Ho la foto del tuo documento d’identità qua sotto gli occhi.” E le indicò il fascicolo posato sul tavolo.
“E allora cosa me lo domanda a fare? Le parole non vanno sprecate.”
“Pensi di essere una dura?”
Gli rispose con un sott’inteso, muto, cenno d’assenso.
“Allora dimmi cosa spinge una tredicenne a pestare a sangue due ragazzi.”
L’altra stette in silenzio per qualche minuto, sotto lo sguardo inquisitore del sovraintendente.
“Se una persona mi fa un torto, e chi deve punire essa non fa niente, non è forse lecito farmi giustizia da sola? Occhio per occhio, dente per dente”
Per Tsunade era sempre stato un vizio rispondere ad una domanda con un’altra domanda.
Anche Sarutobi stette zitto per un minuto, quella ragazza era diversa dalle solite scapestrate ribelli che si trovava a gestire.
“No. Invece non è meglio porgi l’altra guancia?”
“Se applicassi questo proverbio ora mi ritroverei senza famiglia e affetti.”
“Cosa vorresti dire?”
L’altra si torturò un altro po’ le pellicine delle unghie prima di rispondere.
“Quei bastardi mi hanno tolto le persone più importanti della mia vita e sono ancora in libertà. E lei mi dice che non dovevo provare a staccargli almeno qualche arto?”
“Spiegami.”
“Akito Mitsuri e Hisaki Nakayama...” disse semplicemente la ragazza.
“Me li ricordo. Lo scorso aprile furono indagati per omicidio colposo ai danni di due...”
“...ragazzini.” lo interruppe. “Nawaki Senju e Dan Kato. Rispettivamente mio fratello minore e il mio fidanzato, oltre che migliore amico. E sapete, voi piccole teste di cazzo cosa avete fatto? Li avete rilasciati per contaminazione di prove; perché non sapete nemmeno fare il vostro lavoro.”
“E per questo hai rotto, a uno, entrambe le gambe e all’altro hai provocato un trauma cranico e un’operazione alla cornea?”
“Almeno in ospedale avranno il tempo per pensare a quello che hanno fatto,
spero.”
Il sovraintendente non pronunciò una sola parola, ma fece un segno alla guardia.
Venne condotta fuori e fatta risedere in sala d’attesa.

 

Tsunade era al terzo bicchiere di sakè e l’alcol iniziava a contaminare i suoi riflessi. Incurante se ne versò dell’altro e riempì anche il bicchiere dell’amico.
“Si può dire che quel tardo pomeriggio di fine dicembre sia stato la salvezza per tutti noi..” constatò Jiraya sorseggiando il suo drink.
“In un certo senso si può dire di si…” lo assecondò.
“Questo è l’ultimo bicchiere, Tsunade. Poi ce ne torniamo a casa.”

 

Era di nuovo seduta sulla panchina di prima, ancora più imbronciata e inviperita dalla conversazione appena avuta.
“Orochimaru Kusanagi, Tsunade Senju, Jiraya Myoko.” La guardia era uscita di nuovo e ora li stava chiamando a rapporto, tutti e tre insieme.
In una breve e lenta processione sfilarono davanti al poliziotto e rientrarono nella sala degli interrogatori. Sarutobi li guardò sedersi e prendere posto, li osservò tutti e tre negli occhi e si convinse di aver preso la scelta giusta.
“Vi ho convocati di nuovo qua” iniziò “per proporvi un compromesso..”
I tre lo guardarono, stupiti, e Hiruzen lesse nell’espressione  di Tsunade la forza e la sicurezza in sé, in quelli di Jiraya la determinazione e la risolutezza mentre in quelli di Orochimaru, la scaltrezza e l’ambizione. Decisamente aveva trovato  proprio una buona soluzione.
“Un compromesso?” domandò Jiiraya.
“Certo. Io evito di portare la denuncia al tribunale dei minori e di assicurarvi un biglietto per il riformatorio e voi, in cambio, mi assicurate di seguire il mio corso di polizia per ragazzi e di entrare nelle forze dell’ordine.”
“Io ci sto.” disse subito Jiiraya, contento di sfuggire al riformatorio.
“E dove sta la fregatura?” domandò, invece, Tsunade. Orochimaru aveva ancora da aprire bocca.
“Nessuna fregatura.” assicurò il sovraintendente, sorridendo.
“E se per caso, fra qualche tempo, decidessimo di abbandonare il corso?”
“In quel caso, Kusanagi, dovrete rispondere dei vostri reati davanti al tribunale… come sarebbe dovuto accadere.”
Tutti e tre ammutolirono, ognuno perso nelle proprie elucubrazioni mentali.
“Io accetto.” disse infine Orochimaru.
“Io anche.” asserì Tsunade.
“Splendido. Domani pomeriggio alle quattro vi voglio trovare qua per la prima lezione.”

 

NOTE AUTRICE:  

Questa long doveva particapare al bellissimo contest di Falsa dea molto adorata (Crack Pairing! Una lettera, un numero, e che la fortuna vi guidi..) ma, purtroppo, sono stata costretta a ritirarmi per mancanza di tempo (infatti non ho ancora finito gli ultimi capitoli).
Detto questo spero che il primo capitolo vi abbia incuriosito, tengo molto a questa fanfiction dato che è totalmente e assolutamente un'esperimento: non ho mai scritto AU non scolastica, nè polizieschi, nè ho mai trattato i personaggi di Tsunade, Jiraya e Orochimaru. Quindi aspetto con ansia i vostri commenti e i riscontri! 
Al prossimo capitolo, Eikochan.

   
 
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