Note autrice: il corsivo sta ad indicare un flashback.
CAPITOLO I:
“Come siamo finiti a ridurci così,
Tsunade?”
Jiraya la stava guardando dall’altra parte del tavolo,
sorseggiando un wisky invecchiato dieci anni, con le gote arrossate
dall’alcol
e dal caldo che invadeva la bettola in cui si erano rintanati.
L’altra non rispose, tormentandosi uno dei codini in cui
teneva stretti i suoi capelli biondi, perennemente in disordine; poi
ordinò
un'altra bottiglia di sakè e si versò quello che
rimaneva della prima nel
bicchiere.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo
incontrati?” Gli
rispose Tsunade, con un altro interrogativo.
La domanda cadde nel silenzio, entrambi persi nei loro
ricordi e nel torpore dell’alcol.
Si era ritrovata a
sedere su una lunga panchina, in mezzo ad altri due ragazzi della sua
età
circa.
Dalla porta alla sua
destra uscì
un funzionario che chiamo a
gran voce: “Jiraya Myoko.”
Il ragazzo alla sua
destra si alzò ed entrò nella stanza. Lo
osservò mentre percorreva il tragitto:
non era molto alto né magrissimo, con degli improbabili
capelli bianco,
sicuramente frutto di qualche decolorazione malriuscita a giudicare
dall’aspetto. Le vesti strappate e
qualche abrasione qua e là lasciavano intuire che si era
appena messo nei guai.
Il ragazzo –che evidentemente si chiamava Jiraya- si richiuse
la porta alle
spalle e lei tornò a dedicare l’attenzione
altrove.
Osservò attentamente
la sala d’aspetto in cui l’avevano portata: era
spoglia, poco accogliente e
disseminata di sedie e panchine scomode. C’erano due piccole
finestrelle, una
di fronte all’altra sui due muri opposti, con le inferriate
che bloccavano la
luce del sole del tramonto. Di fronte a loro il poliziotto si stava
sistemando
l’uniforme mentre lanciava – da dietro il vetro
dell’ufficio- diverse
occhiate a lei e all’altro ragazzino,
in modo da bloccare tempestivamente ogni problema che potessero creare.
La
scritta “Polizia” torreggiava sulle loro teste.
‘Diavolo, questo
maledetto sangue non si vuole fermare.’ si ritrovò
a considerare mentre
l’emorragia non accennava ad arrestarsi.
Si costrinse a pensare
ad altro e iniziò a osservare di sfuggita l’unico
occupante della stanza –oltre
a lei-. A differenza di quel Jiraya di prima, questo ragazzo era di
corporatura
magra, al limite della malattia si poteva tranquillamente affermare, e
i
capelli, che ricadevano composti lungo le spalle, erano di un nero
lucente.
Aveva lineamenti fini - quasi serpenteschi, a dirla tutta- e sembrava a
proprio
agio nonostante l’ambiente in cui si trovava. Non era bello
nel senso comune
del termine ma era strano, particolare, fuori dal comune. Era li, in attesa di essere interrogato, e
sembrava vivere in un mondo tutto suo, lo sguardo fiero, deciso ma
distaccato e
distante.
“Orochimaru Kusanagi.”
Il poliziotto era tornato: l’interrogatorio del ragazzo di
prima era finito.
Ora era il turno di quello moro.
Si sistemò meglio
sulla panchina. Finalmente l’emorragia era finita.
La seconda bottiglia di sakè era arrivata al tavolo e
Tsunade se ne versò un altro bicchiere.
“Eravamo proprio dei piccoli scapestrati ribelli..”
prese di
nuovo la parola Jiraya.
“Non sono io quella che ha quasi dato fuoco alla casa di un
professore..”
“Ma anche tu hai la tua dose di peccati, Tsunade.”
le
ricordò lui, finendo tutto d’un fiato il suo
wisky.
Si sedette sulla sedia
anonima che le aveva indicato l’uomo e
passarono
diversi minuti in cui nessuno dei due disse una parola.
“Ma hanno intenzione
di interrogarmi? Perché me ne torno a casa, se
no..” disse sprezzante e
infastidita dall’attesa.
“Ragazzina. Stai al
tuo posto e ringrazia di non essere interrogata da Ibiki
Morino.”
“Come mai no?”
domandò; tanto valeva parlare per ingannare il tempo, a quel
punto. E poi era
curiosa: la fama di Ibiki Morino, il poliziotto più temuto
dell’intero
Giappone, era vasta ed era arrivate alle orecchie di
tutti…persino alle sue.
“Non sono affari tuoi,
ragazzina.”
“Chi mi interrogherà
allora?”
“Il sovraintendente
Hiruzen Sarutobi. E ora smettila di parlare”
Lo sguardo severo
della guardia la convinse a tapparsi la bocca e dopo pochi minuti
entrò,
finalmente, il pezzo grosso della centrale.
Il peso dell’età
iniziava a farsi sentire: i capelli castani era striati di bianco
mentre alcune
rughe d’età gli circondavano il contorno occhi e
labbra. Nonostante questo
aveva due occhi marroni che guizzavano da una parte all’altra
della stanza,
raccogliendo e immagazzinando ogni informazione: aveva gli occhi di un
ventenne, pieno di vita, fiducia e aspettativa.. di un giovane che
già sa come
funzionano le cose e
cerca di cambiare
il destino.
“Allora..” iniziò a
parlare, con voce ferma e calma “Sei Tsunade
Senju?”
“E se anche le dicessi
di no mi crederebbe?”
“No. Ho la foto del
tuo documento d’identità qua sotto gli
occhi.” E le indicò il fascicolo posato
sul tavolo.
“E allora cosa me lo
domanda a fare? Le parole non vanno sprecate.”
“Pensi di essere una
dura?”
Gli rispose con un
sott’inteso, muto, cenno d’assenso.
“Allora dimmi cosa
spinge una tredicenne a pestare a sangue due ragazzi.”
L’altra stette in
silenzio per qualche minuto, sotto lo sguardo inquisitore del
sovraintendente.
“Se una persona mi fa
un torto, e chi deve punire essa non fa niente, non è forse
lecito farmi
giustizia da sola? Occhio per occhio, dente per dente”
Per Tsunade era sempre
stato un vizio rispondere ad una domanda con un’altra
domanda.
Anche Sarutobi stette
zitto per un minuto, quella ragazza era diversa dalle solite
scapestrate
ribelli che si trovava a gestire.
“No. Invece non è
meglio porgi l’altra guancia?”
“Se applicassi questo proverbio
ora mi ritroverei senza famiglia e affetti.”
“Cosa vorresti dire?”
L’altra si torturò un
altro po’ le pellicine delle unghie prima di rispondere.
“Quei bastardi mi
hanno tolto le persone più importanti della mia vita e sono
ancora in libertà.
E lei mi dice che non dovevo provare a staccargli almeno qualche
arto?”
“Spiegami.”
“Akito Mitsuri e
Hisaki Nakayama...” disse semplicemente la ragazza.
“Me li ricordo. Lo
scorso aprile furono indagati per omicidio colposo ai danni di
due...”
“...ragazzini.” lo
interruppe. “Nawaki Senju e Dan Kato. Rispettivamente mio
fratello minore e il
mio fidanzato, oltre che migliore amico. E sapete, voi piccole teste di
cazzo
cosa avete fatto? Li avete rilasciati per contaminazione di prove;
perché non
sapete nemmeno fare il vostro lavoro.”
“E per questo hai
rotto, a uno, entrambe le gambe e all’altro hai provocato un
trauma cranico e
un’operazione alla cornea?”
“Almeno in ospedale
avranno il tempo per pensare a quello che hanno fatto, spero.”
Il sovraintendente non
pronunciò una sola parola, ma fece un segno alla guardia.
Venne condotta fuori e
fatta risedere in sala d’attesa.
Tsunade era al terzo
bicchiere di sakè e l’alcol iniziava a
contaminare i suoi riflessi. Incurante se ne versò
dell’altro e riempì anche il
bicchiere dell’amico.
“Si può dire che quel tardo pomeriggio di fine
dicembre sia
stato la salvezza per tutti noi..” constatò Jiraya
sorseggiando il suo drink.
“In un certo senso si può dire di
si…” lo assecondò.
“Questo è l’ultimo bicchiere, Tsunade.
Poi ce ne torniamo a
casa.”
“Orochimaru
Kusanagi, Tsunade Senju, Jiraya Myoko.”
La guardia era uscita di nuovo e ora li stava chiamando a
rapporto,
tutti e tre insieme.
In una breve e lenta
processione sfilarono davanti al poliziotto e rientrarono nella sala
degli
interrogatori. Sarutobi li guardò sedersi e prendere posto,
li osservò tutti e
tre negli occhi e si convinse di aver preso la scelta giusta.
“Vi ho convocati di
nuovo qua” iniziò “per proporvi un
compromesso..”
I tre lo guardarono,
stupiti, e Hiruzen lesse nell’espressione di
Tsunade la forza e la sicurezza in sé, in
quelli di Jiraya la determinazione e la risolutezza mentre in quelli di
Orochimaru, la scaltrezza e l’ambizione. Decisamente aveva
trovato proprio una
buona soluzione.
“Un compromesso?”
domandò Jiiraya.
“Certo. Io evito di
portare la denuncia al tribunale dei minori e di assicurarvi un
biglietto per
il riformatorio e voi, in cambio, mi assicurate di seguire il mio corso
di
polizia per ragazzi e di entrare nelle forze
dell’ordine.”
“Io ci sto.” disse
subito Jiiraya, contento di sfuggire al riformatorio.
“E dove sta la
fregatura?” domandò, invece, Tsunade. Orochimaru
aveva ancora da aprire bocca.
“Nessuna fregatura.”
assicurò il sovraintendente, sorridendo.
“E se per caso, fra
qualche tempo, decidessimo di abbandonare il corso?”
“In quel caso,
Kusanagi, dovrete rispondere dei vostri reati davanti al
tribunale… come
sarebbe dovuto accadere.”
Tutti e tre
ammutolirono, ognuno perso nelle proprie elucubrazioni mentali.
“Io accetto.” disse
infine Orochimaru.
“Io anche.” asserì
Tsunade.
“Splendido. Domani
pomeriggio alle quattro vi voglio trovare qua per la prima
lezione.”
Detto questo spero che il primo capitolo vi abbia incuriosito, tengo
molto a questa fanfiction dato che è totalmente e
assolutamente un'esperimento: non ho mai scritto AU non scolastica,
nè polizieschi, nè ho mai trattato i personaggi
di Tsunade, Jiraya e Orochimaru. Quindi aspetto con ansia i vostri
commenti e i riscontri!
Al prossimo capitolo, Eikochan.