Prologo
Rosso sangria
Da
quando era uscito suo padre, erano passate due ore.
“È
finito il sangria. Vado a comprarlo al negozio”, aveva detto davanti alla porta
con l’impermeabile scolorito sottobraccio. Eppure il negozio era a pochi metri
da lì, di solito ci metteva mezz’ora prima di tornare a casa, nel loro piccolo
appartamento a tre stanze – un bagno, un soggiorno che fungeva da sala da
pranzo, cucina e camera da letto e infine lo studio di suo padre – all’ultimo
piano di un edificio grigio, sporco e pericolante. L’unica finestra che avevano
si affacciava però sulla visuale della chiesa di Notre-Dame e su gran parte dei
tetti dei palazzi antichi. Nonostante la sporcizia e il tanfo di piscio, a lei
quel posto piaceva; spesso suo padre la rimproverava di non sporgersi dalla piccola
finestrella tonda per godersi quel panorama. Proprio a quella finestra teneva
lo sguardo fisso sulle strade acciottolate per riconoscere una figura, un
impermeabile color caffè a lei familiare.
Invece
niente, le strade erano deserte, silenziose.
E
aveva iniziato a piovere.
Forse
il negozio era chiuso ed era andato dall’altra parte della città, forse si era
fermato a chiacchierare con il venditore – ex ritrattista anche lui –, forse
aspettava dentro il negozio che smettesse di piovere. Forse, forse, forse…
Forse
gli era successo qualcosa mentre tornava a casa. E lei era lì, con il viso
appiccicato al vetro della finestra, a struggersi al pensiero che gli fosse
capitato un incidente. I creditori, di quegli ultimi tempi, lo avevano lasciato
finalmente in pace e avevano smesso di seguirlo fino a casa o di aspettarlo
davanti alla porta, sotto lo sguardo inquisitorio di Madame Dubois,
portinaia settantenne del palazzo. Ma forse uno di loro, uno di quelli
agguerriti, non si era arreso e lo aveva fermato in strada, trascinandolo a
forza in una via poco frequentata e…
Basta!
La
pioggia cadeva fitta, rendendo ancora più miserabili i profili della chiesa e
dei palazzi sotto quel cielo carbone, inghiottito dalle nuvole. Eppure,
nonostante la precaria visibilità, vide una piccola macchia cappuccino che si
distingueva palesemente dall’uniformità di grigio e nero in quelle strade. Una figura
che correva trafelata sotto la pioggia verso il portone scrostato del loro
palazzo.
Il
suo cuore ebbe un tuffo.
Alcune
ombre, però, accompagnavano quella figura a pochi metri di distanza. Ombre
indistinte, piccole, capaci di insinuarsi fra le tenebre che grondavano come
sangue da quella città bella e maledetta.
Il
suo cuore, stavolta, perso un battito.
È finito il sangria. Vado a
comprarlo al negozio.
Fu
questione di pochi secondi e lei era già fuori dalla porta del loro
appartamento, coperta da una misera mantella bianca e a piedi nudi,
ricordandosi solo più tardi che fuori pioveva. La porta sbatté alle sue spalle
e lei si gettò giù per le scale, scendendo gli scalini tre alla volta, con il
cuore in fermento e la paura dipinta negli occhi.
A
quell’ora non c’era nessuno nel palazzo e la confusione che lei stava creando
non sarebbe stata notata, nemmeno da Madame Dubois.
Nella foga di scendere pensò a suo padre, al suo lavoro che a malapena li
faceva arrivare a fine mese, ai suoi quadri che sembravano dipinti da una mano
divina, ai suoi ritratti. Al suo ritratto.
Un piccolo quadretto privo di cornice appoggiato vicino al suo letto la
osservava ogni volta che stava per coricarsi, con quello sguardo immobile e
lontano che sembrava vedere cose a lei sconosciute. Occhi che non conosceranno
mai la vecchiaia.
Suo
padre era un genio, ma nessuno lo considerava tale e nemmeno lui si atteggiava
a genio incompreso. E lei lo amava per questo. Ma lui non avrebbe mai voluto
che la sua unica figlia prendesse la strada dell’artista, come aveva fatto lui
da adolescente.
Odiava
quando diceva così, ma faceva solo il padre.
Questi
pensieri le fecero mettere male il piede e lei scivolò sugli ultimi tre
scalini, storcendosi il piede e atterrando con un sonoro tonfo nell’ingresso.
Si trascinò a gattoni fino alla porta che dava sulla strada, pregando il suo
cuore di non abbandonarla proprio in quel momento.
Si
alzò facendosi forza solo sul piede sano e strinse la mano tremante sul pomo
della porta. Il silenzio dall’altra parte la inquietava sempre più e il fatto
che suo padre non fosse ancora entrato la faceva cadere in uno stato di ansia
sempre più abissale. Respirando a pieni polmoni l’aria fetida dell’ingresso,
girò il pomello e aprì completamente la porta.
Gocce
di pioggia le sferzarono il volto, facendola rabbrividire, e il silenzio delle
strade parigine la avvolse nel suo manto oscuro. Zoppicò insicura fuori,
tenendosi stretta al petto la mantella, e si guardò intorno: niente. Solo ombre.
Poi
rivolse lo sguardo in basso e la gamba sana cedette. Non sentì subito le
lacrime, forse perché si confondevano con la pioggia che imperversava sempre
più. Non gridò nemmeno. Non un sussurro uscì dalle sue labbra.
L’impermeabile
color cappuccino era steso a terra, coprendo un corpo freddo dal quale uscivano
degli effluvi densi e neri. Una chiazza di un colore a lei familiare si
estendeva lì sotto e si univa alle pozzanghere formatisi, tingendo l’acqua di
rosso.
Il
tubetto di sangria doveva essersi aperto. Proprio sotto il corpo di suo padre.
Si
era aperto e si era diluito con l’acqua, pronto per essere usato. Usato da lei.
E
lei, la figlia del pittore, caduta in uno stato di trance, intinse le sue dita
nella pozzanghera rossa e cominciò a disegnare sulla fredda pietra della
strada. Quelle ombre nere, le ombre che forse avevano aperto il tubetto di
sangria, erano ancora lì, appostate nel buio. Enormi occhi gialli la fissavano,
bramando qualcosa.
La
bambina, con gli occhi sgranati e vuoti, terminò il disegno e rimase a
osservarlo a lungo, inebetita. La pioggia doveva lavarlo via, ma invece rimase.
Un
cuore. Quello che lei non sentiva più.
E
un nome.
Cassia.
Questo
era tutto ciò che le rimaneva, insieme a un tubetto di rosso sangria.
Spazio
dell’autrice:
Allora,
premettendo che questa storia mi è venuta in mente dopo aver visto il ritratto
di Xehanort (è una fanart
oppure c’è davvero nel gioco?) e premettendo che sono un’ignorante nello studio
dei colori, ma mi affascina comunque, questo è ciò che è venuto fuori. Forse è
una cosa stupida, insignificante, ma ci sto mettendo “letteralmente” (XD) il
cuore nello scriverla… Speriamo solo di non rovinare il personaggio di Xehanort!
Questo
è solo il prologo, spero che resterete con me fino alla fine… Con questo, vi
aspetto al prossimo capitolo!
See you again!