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Autore: Mir al Mare    06/04/2012    5 recensioni
Alcuni direbbero che la nostra esistenza è dovuta a coincidenze, che le scelte che facciamo sono casualità, altri l’affidano al fato,  alcuni sono pronti a scommettere che la nostra vita sia già stata scritta, in un libro magari...
Lorelai è un'orfana di sedici anni che è costretta ad andare ad abitare nella villa di un ricco signore di cui non ha mai sentito parlare. Viene immersa in un nuovo mondo, un nuovo modo di vivere, ma i flashback l'assalgono ancora...perchè i suoi genitori sono morti? C'è ancora un segreto da svelare, un segreto portato avanti per centinaia di anni, un segreto che accomuna tutti e lega la nostra vita alla nostra esistenza. Da qui ha inizio questa avventura...
Genere: Fluff, Mistero, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Ciao a tutti. Questa è la prima storia che scrivo per cui sarei molto curiosa di sapere cosa ne pensate, accetto recensioni positive, neure e negative, che possono aiutarmi a migliorare. Spero che la storia vi piaccia! considerate questo capitolo come un prologo (è solo l'inizio per cui non ci sono grandi colpi di scena...).

grazie a tutti
e BUONA LETTURA


Alcuni direbbero che la nostra esistenza è dovuta a coincidenze, che le scelte che facciamo sono casualità, altri l’affidano al fato, alcuni sono pronti a scommettere che la nostra vita sia già stata scritta, in un libro magari, altri affermano che le nostre scelte sono consapevoli e cambiano radicalmente il nostro futuro. Io credo che tutto quello che è stato messo al mondo abbia uno scopo, una missione da portare a termine; ma allora perché sono qui? Secondo la mia teoria i miei cari avevano finito il loro incarico. Non c’era più uno scopo che li legasse alla vita terrena. Perché qualcuno giovane, vecchio o bambino dovrebbe lasciare questo mondo? Magari mi sbagliavo. Nessuno è qui per uno scopo, la mia nuova teoria? Siamo masse che vengono trasportate dalla corrente. Nulla di più.
Quando riaprii gli occhi dal finestrino non si vedeva altro che aperta campagna. Era strano vedere tanto verde per una ragazza che non era mai uscita dalla città. La città ti dava quel senso di sicurezza nelle cose di cui non si poteva fare a meno, era tutto sotto controllo, studiato nei minimi dettagli, ogni filo, ogni casa, ogni strada, tutto faceva parte di una sorprendente raccolta di progetti. Non si poteva dire lo stesso della campagna. Ma questi erano solo i miei pregiudizi.
Da quando ero salita sul taxi, l’autista non faceva altro che ascoltare pessima musica, quasi lo facesse a posta. Ma chi ai giorni nostri ascolterebbe “Ooh aah ... Just a little bit” di Gina G? Per non parlare degli Avenged Sevenfold. Fortunatamente mi ero addormentata lungo in tragitto.
Abbassai di qualche centimetro il finestrino. Lasciai che l’aria pulita di campagna mi liberasse dal fetore delle sigarette. L’autista mi squadrò dallo specchietto retrovisore:
«Buongiorno. Siamo quasi arrivati». Per fortuna. Non ne potevo più di stare rinchiusa in questa macchina. La campagna stava cominciando a diventare monotona.
«A quanto pare tuo padre ha lasciato un testamento». Sentivo ancora la voce di quel poliziotto echeggiare nella mia testa. Quel poliziotto che mi guardava, che guardava una ragazza vuota, privata di ogni essere: non aveva più mamma, non più papà. Quello che accadde nei giorni seguenti rimane un mistero. Non mi ricordo cosa feci dopo, cosa mangiai, chi vidi. Niente. Ero solo un corpo vuoto in cerca di un’anima da ospitare. Ero ancora nel modo dei sogni, in un modo dove a riscaldarmi la notte c’erano ancora i miei genitori. In un modo dove il mio punto di riferimento era la mia casa; ora dove mi trovavo?
La portiera si chiuse di botto. Scesi dall’auto. L’autista aveva già posato i miei bagagli sull’uscio di casa. Altroché casa, mi avevano detto che era una villa, ma questo era troppo. Una reggia da re. Ne avevo viste di ville dalle mie parti, ma questa le superava tutte: i muri color crema erano alti cinque piani, e si estendevano per metri e metri. Minuziosi ornamenti agghindavano ogni finestra. Roba da far concorrenza alle corti del XIX secolo. Era una vista mozzafiato. Niente da invidiare al giardino, pieni di fiori, di alberi, di…
«Attenta che a momenti sbavi». Il tassista si era piazzato davanti ai miei occhi. E si era acceso una nuova sigaretta. Mi scrutava dalla testa ai piedi. Che uomo rozzo e di poco gusto. Era alto quanto me, e non ero una stangona, mi ritenevo nella media fra le sedicenni. Oltre ad una voce roca da fumatore era grasso e puzzolente. Feci una smorfia, non credo che il tassista mi avesse visto perché fu distratto dall’entrata di una signora. Un’anziana signora per la precisione. Doveva essere per forza la governante di quella lussuosa villa: era alta e magrissima, un grembiulino bianco le cingeva la vitina, ma era il suo atteggiamento che indicava essere una governante. Quando scese le scale rimase altezzosa e retta, col capo sempre rivolto verso l’alto.
«Buongiorno. Sono la signora Ailke, la governante» eh già, come avevo detto io. Mi fulminò con lo sguardo quando (per sbaglio, si intende) mi scappò un risolino: aveva un buffissimo accento tedesco.
«Lei dev’essere la signorina Erroi. Prego mi segua». La seguii all’interno della villa, ovviamente il tassista fu felice di ricevere un bel gruzzoletto di soldi. La signora Ailke mi fece togliere le scarpe: ”Non bisogna in alcun modo sporcare. Le verranno date delle scarpe apposta”. Mi ero già persa: ero qui da qualche minuto e avevo attraversato minimo sette stanze, una più bella dell’altra.
«Signorina Erroi, questa è la vostra stanza…». Con una mano spinse la porta. Trattenni per un attimo il fiato. Era la camera da letto più bella che avessi mai visto: come quella di una principessa. La carta da parati era perfetta, crema con decori di color caramello. Il letto alla francese era enorme, ricoperto di cuscini. In camera da letto avevo perfino un divano, oltre ad una scrivania ed un armadio. E avevo perfino un bagno tutto mio con tanto di vasca. Nemmeno nei miei sogni potevo immaginare di ricevere una camera simile.
«…le consiglio di riposarsi. Tra breve riceverà le sue valige». Finalmente sola! Mi buttai di slancio sul letto facendo cadere un paio di cuscini. E mi addormentai.
Mi svegliai solo quando la signora Ailke bussò alla mia porta.
«Signorina Erroi, la cena è pronta». Non era sola, una paffuta signora sulla cinquantina si mise ai piedi del mio letto e raccolse i cuscini che avevo fatto cadere.
«Questa è Babeth, d’ora in poi si occuperà di te». Quando Ailke se ne andò, scesi dal letto. Con mia sorpresa trovai le mie valige, qualcuno doveva esser entrato mentre dormivo. Sbadigliai.
«Ci saranno anche i signori Loffredo a cena?»
«Come scusa?», non era possibile. «Signorina stia calma, suvvia non è mica una tragedia…». Le lacrime mi irrigavano il viso. L’uomo di fronte a me mi supplicava di smettere, ma come potevo. «…i signori Loffredo sono brava gente, suo padre chiese specificatamente di loro». Mi ricorderò per sempre quel lunedì pomeriggio, mi cambiò la vita. Avevo perso in un battibaleno entrambi i genitori, la mia vita, la mia città, i miei punti di riferimento. Tutto in un pomeriggio.
«No signorina. Il signor Loffredo è in viaggio per affari. La padrona e il signorino hanno già cenato». Strano. Erano appena le sei e mezzo, a casa mia si mangiava perfino alle nove (a volte).
«Sarò sola quindi?».
«Si signorina». D’accordo. Ormai mi ero abituata a stare sola.
Finita la cena tornai in camera mia (chiesi a Babeth di lasciarmi sola). Quando chiusi la porta (sfortunatamente non c’era la chiave), mi precipitai sulle mie valige. Scaraventai un paio di maglie qua e là prima di riuscire a trovarlo: il cellulare. “Ma che ca…”: era scarico. Scaraventai altre felpe e magliette. Staccai dalla presa un lampada e ci attaccai il caricabatteria. Sette messaggi non letti.
- Ehi sei già arrivata?-
- Com’è la campagna?-
- Devi aggiornarmi, mi raccomando-
- Fai delle foto così posso vedere tutto-
- Ma mi rispondi?-
- Va beh dai, informami però-
- Notte bella. Mi manchi-
Sempre la solita Naomi. Io e lei eravamo migliori amiche da quando avevamo sei anni. È stata dura lasciarla. Prima di risponderle misi tutto in ordine. Svuotai le valige e le nascosi sotto al letto. I vestiti li ripiegai nell’armadio, tranne il pigiama. A questo punto mi spogliai, mi misi il mio pigiama azzurro di Minnie e mi rintanai sotto le coperte.
- Ciao. Non so da dove iniziare. Non ho avuto modo di guardare attentamente la campagna (mi sono addormentata), per fortuna, perché il tassista era proprio rozzo. Che dire, la villa è stra-bella e grande e ho una camera pazzesca. Per le foto aspetto domani a farle, quando c’è più luce. Buona notte Naomi, mi manchi anche tu-.
Il sonno tardava a venire, come dargli torto, erano solo le otto e avevo già riposato in auto e prima di cena. Scesi dal letto e mi preparai un bagno caldo. Mentre la vasca di riempiva diedi un’occhiata ai prodotti. C’erano almeno una decina di bagnoschiuma diversi: al pepe nero, al muschio bianco, al pino, vaniglia e acerola, tè e cedro, iris, olio di argan, ginestra, lavanda, da farti girare la testa, scelsi il bagnoschiuma alla rosa e ne versai un po’ nell’acqua. E la stessa cosa dovetti fare con lo shampoo e il balsamo. Mi ci voleva un bagno. Ero più rilassata e tranquilla ora. E per fortuna mi ero tolta l’odore di sigaretta dalla pelle. Quando uscii dall’acqua mi rimisi il pigiama e andai a letto.

  
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