Titolo: Try.
Autore: braver
than nana
Rating: verde
Conteggio
Parole:
1511
Riassunto: E quindi
aveva negato tutto, anche dopo le evidenze della festa nel dormitorio
di quei
perdenti, dopo i baci e le effusioni, dopo gli sguardi innamorati e
delusi che
il più grande gli mandava dall’altra parte della
Sala Grande, e se qualcuno
chiedeva no, non c’era niente tra
lui e
quel Tomlinson.
Note:
AU!Larry. Hogwarts world. Sento che ci sono un sacco di
contraddizioni,
ma mi piace vedere Harry in condizioni disperante anche se si parla di
universi
alternativi, mi piace caratterizzarlo e spero di non essere andata
troppo fuori
carattere. E sì, Louis tira fuori le palle –solo
in senso figurato, purtroppo.
E sappiate che la #1, #3 e #5 drabble della raccolta che ho postato
prima sono
diciamo, collegate.
Try.
Don’t
try to leave me, try to stay.
Nella sala
grande dei
Slytherin c’era una strana atmosfera, c’era aria di
litigio, di amarezza. Il
perfetto prefetto del quinto anno, con in mano il libro di Rune Antiche
sbuffava
e prendeva appunti su una pergamena nuova quasi con violenza,
macchiando il
foglio con schizzi di inchiostro. Diede un pugno al tavolo sul quale si
era
appoggiato – e dal quale si erano alzati tutti sapendo come
potesse diventare
quel ragazzino se si svegliava con il piede sbagliato –
rovesciando una bottiglietta
sul legno intarsiato.
Porco
Salazar!
imprecò a denti stretti, prendendo la bacchetta per
pulire con movimenti frenetici.
Non riusciva a
stare calmo,
neanche studiare come un pazzo – aveva finito il tema di
cinquecento righi sull’effetto
del Veritaserum per pozioni in quindici minuti e aveva ripassato tutto
quello
che poteva essere ripassato di trasfigurazione – stava
riuscendo a rilassarlo e
questo non andava bene. La sua indole Slytherin gli diceva di non farsi
troppi
problemi, di restare indifferente a tutto quello che stava succedendo
nella sua
vita, di pensare e ragionare su quello che si era detto la prima volta
che
aveva deciso di iniziare quella strana relazione.
È solo un Gryffindor, niente di
importante.
Poi
però c’era stata quella
stupida scommessa, la coppa di Quidditch andata ai rosso-oro per il
secondo
anno di fila, e quel bacio davanti a tutta la scuola. I suoi compagni
lo
avevano massacrato, non solo si era fatto fregare il campionato in quel
modo
barbaro, ma frequentava anche uno sporco mezzosangue. E Louis aveva
anche
organizzato quella splendida serata nella stanza delle
Necessità, con il camino
e i loro colori per tutta la camera che si mischiavano in un modo quasi
poetico
e non ce l’aveva fatta più.
Si era fatto
scopare a
sangue e alla fine glielo aveva detto. Questa
cosa deve finire.
E quindi aveva
negato
tutto, anche dopo le evidenze della festa nel dormitorio di quei
perdenti, dopo
i baci e le effusioni, dopo gli sguardi innamorati e delusi che il
più grande
gli mandava dall’altra parte della Sala Grande, e se qualcuno
chiedeva no, non c’era niente tra
lui e quel
Tomlinson.
Perché
così era più facile,
perché così la notizia sarebbe arrivata sfumata
alla sua famiglia. Aveva anche
progettato un modo per farlo sapere a sua madre dalla sua bocca e non
da quella
di qualche genitore indignato o di qualche professore. Non poteva,
pensava di
potercela fare, a superare tutte le differenze, di poter essere
superiore alle
voci, agli sguardi schifati, alle parole sussurrate nei corridoi. Lui
provava a
fregarsene ma in realtà quello che dicevano gli altri lo
toccava, provava ed
essere forte, a fare la serpe come gli era stato insegnato fin da
bambino. Se bisognava
scegliere tra il cuore e l’orgoglio, doveva
scegliere l’orgoglio, mettere la maschera da superiore e
ignorare il varco che
si era creato al centro del suo petto.
Erano quasi le
nove di sera
e tutti iniziavano ad alzarsi per andare a cena, mandandogli sguardi
interrogativi e preoccupati – perché per quanto
tutti credessero che nella sua
casa fossero tutti degli stronzi doppiogiochisti, tra di loro si
volevano bene,
a modo loro – ma senza azzardarsi ad andargli vicino. Solo
Cher, l’unica del
suo anno che poteva considerare veramente sua amica, gli mise una mano
sulla
spalla.
«Andiamo
a mangiare?» gli stava
dicendo «ti si trasfigureranno gli occhi se continui a
studiare in questo modo.»
Harry allora
aveva alzato
uno sguardo furente sull’amica e aveva scrollato la sua mano
dalla sua spalla,
provando a ignorarla.
«Ti
ricordo che a giorni
avremo i GUFO» aveva semplicemente detto con un tono piatto,
mentre intingeva
ancora una volta la piuma nella boccetta, appuntando chissà
cosa in quella
strana lingua che la ragazza si rifiutava categoricamente di capire.
«E tu
prenderai Eccellente
in tutte le materie anche senza restare tutta la notte a
studiare.»
E in quel
momento,
sospirando e borbottando Stupida Lloyd
tra i denti, non fece nessuna resistenza quando il libro fu chiuso con
un tonfo
e si alzò, evitando che l’altra lo prendesse da
sotto le ascelle per convincerlo
a seguirla nella Sala Grande. Proprio non aveva fame e poi non aveva
nessuna
intenzione di incrociare gli occhi troppo azzurri di Louis, che non
facevano altro
che cercarlo, e giudicarlo e conquistarlo.
Non si accorse
però della
massa di persone che si erano radunate nei sotterranei fino a quando
non sbatté
il naso contro la schiena di un ragazzone del sesto anno che gli
impediva di
vedere cosa stesse succedendo. Il rumore era assordante, i suoi
compagni di
casa si lamentavano a gran voce perché, da quello che
riusciva a sentire nella
confusione, qualcuno stava ostruendo il passaggio per le scale.
Poi successe
qualcosa di
strano.
«Sono
un prefetto, fatemi
passare» aveva gridato per cercare di ottenere un
po’ di silenzio, visto che i
caposcuola non sapevano assolutamente fare il loro lavoro. Tutti si
girarono
nella sua direzione, fissandolo con sguardi allarmati e divertiti, e il
ragazzone davanti a lui lo prese praticamente di peso sorridendogli e
mettendolo su quello che sembrava un palco nel centro dei suoi sotterranei. Louis si trovava ai
piedi di quella struttura
improvvisata, con una luce strana negli occhi.
«Se
questa è una tua
trovata, Tomlison giuro che… »
aveva
iniziato a dire, poi Silencio disse
il Gryffindor e persino lui fu messo a tacere.
«Sono
terribilmente
arrabbiato con te Styles, la cosa che però mi diverte
è che quello più
arrabbiato se tu, con te stesso. Ora, » pronunciò
salendo le scalette che lo
portavano a pochi passi da lui, e sistemandosi elegantemente i capelli
con un
gesto delle mani rovinate dal Quidditch che gli fece tremare le
ginocchia «sono
qui perché da bravo Gryffindor non faccio le cose a
metà, non so come
funzionano le cose tra voi serpi, ma noi, se vogliamo lasciare una
persona
glielo diciamo in faccia.»
«Tra
noi non c’è mai stato
nulla, Tomlinson.»
«Certo
baby, e tu sei un
piccolo e tenero Hufflepuff. Se mi permetti però vorrei
finire.» si fece
qualche passo più vicino, sfiorando piano il naso sul suo
collo «la cosa che mi
disturba in questo momento non è la tua negazione, posso
benissimo passarci
sopra, ma la tua mancanza di rispetto nei miei confronti.»
Gli mise le
mani attorno
alla vita, stringendo un poco ma senza mai abbassare la voce, quasi
urlando
nelle sue orecchie affinché tutti potessero sentire. I suoi
compagni di casa
erano tutti là, si guardavano e parlottavano a voce
bassissima e ridevano di
lui perché si stava facendo sottomettere in quel modo,
perché contro quell’atteggiamento
così rude e sensuale e inusuale del più grande
non poteva niente.
«Voglio
citare uno dei
nostri più grandi presidi della nostra scuola, Styles. Soon we must all face the choice between what is
right, and what is easy,
io te l’ho detto subito, questo non è
né giusto, né facile, ma se mi sono innamorato
di te un motivo deve pur esserci. » poi lo aveva baciato. Non
gioiosamente come
aveva fatto dopo la finale, né dolcemente come era solito
fare nelle loro piccole
fughe da tutto e tutti, non paurosamente o timidamente come nei loro
primi baci
rubati, quando ancora lo temeva nonostante la differenza di
età. Quello era un
bacio disperato, che sapeva di aspettativa e di bisogno.
«A te
la scelta, Harry» e
il modo in cui pronunciava il suo nome, con ancora nella gola la sua
saliva e l’affanno,
era la cosa più sconvolgente che le sue orecchie purosangue
avessero mai
sentito. E avrebbe anche potuto mandarlo a quel paese, mettere le mani
sul suo
petto e continuare a fingere, urlare come sapeva fare, incolparlo di
aver
traviato la sua mente con chissà quale incantesimo che
insegnavano a quei
pervertiti della sua casa, avrebbe potuto far uscire dal suo repertorio
tutti i
peggiori insulti contro i Gryffindor, raccolti in anni e anni di
esperienza ad odiare, avrebbe
potuto salvare la sua
reputazione ma Cher era sotto il palco, la guardò per un
istante mentre
sorrideva e un altro ragazzo alle sue spalle aveva sul viso
un’espressione
schifata e lo vide sussurrare qualcosa ad un suo amico, così
decise.
«Che
Merlino me la mandi
buona.»
E
infilò mano nei capelli
lisci e profumati di Louis, stringendoselo contro. Che quelle gente
andasse a
farsi fottere, ci aveva provato a far finta di nulla, che tutti
andassero a
farsi fottere, non ne aveva più voglia. Non voleva
più essere arrabbiato con il
mondo solo perché odiava sé stesso, non voleva
più dover guardare da lontano il
ragazzo più bello che avesse mai incontrato. Non voleva
più farsi governare da
quello che pensavano gli altri, e forse scegliere il cuore
era poco Slytherin ma neanche rimanere sottomesso a regole
che altri gli imponevano.
Avrebbe fatto
come diceva
lui. Mise la mani sul sedere perfetto del suo ragazzo e rise quando lo
sentì
gemere, quando tutti lo sentirono gemere.
«Stai
arrossendo,
Tomlinson? Prima fai tutto questo e poi arrossisci?»
La risata di Louis era la
cosa che, in assoluto, gli era mancata di più.