Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: ProngsPadfoot    06/04/2012    2 recensioni
Questa, gente, è la prima storia di cui vado molto fiera.
E' stata scritta sulle note di "Le tasche piene di sassi".
Ringrazio coloro che recensiranno o che leggeranno soltanto.
Prongs}
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dedico questa storia alla mia grandissima amica Sara, che pazientemente ascolta ogni storia che la mia mente perversa partorisce;
alla mia migliore amica Federica, detta Pad  
e alla mia scrittrice preferita di Fanfiction : Muffin alla Carota. 
<3

 

«Corri, ti prego. Vieeni quii!» disse una voce quasi distante, strascicata e debole. La persona dall'altra parte della cornetta sembrava scossa da singhiozzi.
«Dove sei?» dissi con voce roca, facendomi apparire molto assonnata: cosa che in realtà ero, dato che le lancette del mio orologio segnavano le quattro e mezza del mattino.
«All'oosspedale. Ti prego, Em. Corri.» 
Misi giù la cornetta del telefono.
Avevo sentito abbastanza. Il mio cuore si era fermato già alle prime due parole.
Non avevo tempo di vestirmi con abiti decenti, così presi dal mio armadio, giusto la mia giacca e mi catapultai in camera dei miei genitori.
Dormivano entrambi, ma a me serviva mio padre.
«Papà! Psst... papà!» cominciai a scuoterlo, finchè non aprì piano gli occhi e,mettendomi a fuoco, li assotigliò pericolosamente.
«Che ora son... Le quattro e mezza! Ma ti rendi conto?!? » disse poi, con maggior enfasi della voce, avendo notato che, sì, era molto presto.
«Alice sta male. Sta all'ospedale e mi ha supplicato di correre subito da lei» gli spiegai velocemente. Non c'era tempo da perdere.
Papà rizzò subito a sedere: per lui, Alice era come una seconda figlia.
«Cosa... cosa ha?» chiese, notevolmente in agitazione.
«Non ne ho idea... ma dobbiamo correre, papà. Dobbiamo correre.»
Dopo circa 10 minuti eravamo arrivati davanti all'enorme edificio bianco.
Cominciai a correre verso lo sportello Informazioni, tenendomi i pantaloni del pigiama decisamente troppo larghi che continuavano a preferire il contatto con il pavimento.
La signorina quasi scoppiò a ridere davanti alla mia figura: pallida, con pantaloni calanti, giacca sgualcita, occhi rossi dalla stanchezza, capelli spettinati e trucco sbavato.
«Invece di giudicare, mi dica in quale stanza si trova Emmeline Princh. » le dissi in un sussurro, quasi un ringhio, a dirla tutta.
La signorina decise che continuare con uno scambio di battutine non era una scelta molto saggia, così, dopo essersi informata mi disse dove mi dovevo recare.
Secondo piano, stanza 5 A.
Secondo piano, stanza 5 A.
Secondo piano, stanza 5 A.
Continuai a ripeterlo come un mantra, finchè non fui arrivata.
Lo spettacolo che mi si parò davanti gli occhi era a dir poco raccapricciante.
La mia migliore amica aveva cinque aghi conficcati sulle braccia ed era veramente pallida.
«Ehi, Al! Eccesso di overdosi?»chiesi, ma il mio tono non era canzonatorio o ilare, al contrario era teso, quasi quanto una corda di violino.
Lei accennò appena ad un risolino, ma poi tornò a guardarmi con quegli occhi incavati, le labbra quasi del colore grigio-perla e i capelli molto corti, da come me li ricordavo.
«Cosa ti è successo, Al?»le chiesi, avvicinandomi a lei e abbracciandola forte, come se fosse la mia unica ancora di salvezza.
Esalò appena una parola, che bastò per far cedere tutte le mie considerazioni, i miei concetti, la mia intera vita.
«Cancro»
Quella mattina quell'ambiente angusto, quell'odore fastidioso venne ovattato fino all'inverosimile dal dolore che entrambe provavamo, dai singhiozzi e dalla lacerazione che i nostri cuori stavano ricevendo.
Quella mattina saltai la scuola, fregandomene così del compito in classe di greco.
 
 
Dopo cinque mesi, la speranza di una ripresa da parte di Alice si era affievolita fino a scomparire del tutto.
Le dottoresse avevano cominciato ad essere più cordiali con me, perfino quella stronza dell'ufficio Informazioni aveva iniziato a sembrarmi più simpatica.

 
Erano le nove e stavo in classe, aspettando pacamente un'illuminazione per la versione di latino.
«Professoressa, mi scusi. John deve uscire.»
Alzai di scatto la testa dal mio foglio, puntandolo sulla professoressa.
La guardai quasi come supplicandola, perchè no, non poteva davvero uscire. Perchè dovevo consegnare assolutamente quel compito, perchè la mia media faceva davvero pena.
Lei, non parve scossa dal mio CHIARO segnale di aiuto, anche se, l'assenza di Alice, una delle più brave alunne del nostro corso, la doveva aver segnato tanto. Ma si sa: il lupo perde il pelo, non il vizio.
La sua stronzaggine era rimasta, dato che guardandomi mi disse: «Hai sentito John. Consegna, prepara la cartella ed esci.»
Mi appuntai mentalmente di ucciderla, mentre quando consegnai in bianco, una scintilla di ilarità le segnò gli occhi.
 
«Papà! Cosa è successo? Insomma... ho dovuto consegnare il comp....»
«Non c'è tempo, Em. Devi venire in ospedale con me, subito.»
 
Sussultai improvvisamente.
Cosa?!? Cosa le era potuto accadere? Ieri avevamo mangiato dolci, scherzato e visto il nostro film preferito per tutta la sera.
Se le era successo qualcosa e io non fossi stata lì con lei, non me lo sarei mai perdonata.
 
Arrivai davanti all'ospedale, con le lacrime che cercavano di uscire a forza dagli occhi.
Lacrime che cercai di cacciare indietro, perchè no, mi dissi, non le era successo niente.
Cominciai a correre fino alla stanza 5A. Mi fermai di botto quando vidi un ammasso di persone davanti alla porta.
La mamma di Alice appena mi vide, mi abbracciò così forte, che pensai che un paio di costole mi si erano frantumate.
Ma non importava più ormai. Non mi importava più niente in quel momento.
«Non ce l'ha fatta, Em. Non ce l'ha fatta.»
Tutto il mio mondo cadde con un tonfo secco.
Il respiro mi si mozzò in gola.
No! Era impossibile!
No! No! No!
Non avevo neanche la forza di urlare.
Allontanai quella signora, ormai irriconoscibile e corsi forte via.
Via da tutto.
Dal dolore, dalla malattia, dalle persone, dal mondo.

 
Un biglietto sulla sua tomba giaceva ormai ingiallito, a causa delle intemperie e per via degli anni trascorsi.
Feci fatica a leggere quella scrittura.
La mia attuale era completamente cambiata.
Si era fatta più fitta ed elegante, mentre quella che segnava la carta era larga, c'erano parecchie cancellature e sbavi, causati dalle lacrime che quella sera, la sera di venti anni fa, avevano rigato imperterrite le mie goti:
"Sono sola stasera senza di te,
mi hai lasciato da sola davanti al cielo
vienimi a prendere,
mi vien da piangere,
arriva subito,
mi riconosci ho le scarpe piene di passi,
la faccia piena di schiaffi,
il cuore pieno di battiti
e gli occhi pieni di te."
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: ProngsPadfoot