Ceallach correva, correva forte, inguaribilmente affamato di bellezza: non gli bastava mai, per lui non esisteva il momento di fermarsi. Era velocissimo ma elegante nella propria agilità, a tratti perfino maestoso. In parte ne era consapevole, certo, e tale consapevolezza lo rendeva felice, orgoglioso di contribuire, a modo proprio, alla diffusione della bellezza ovunque gli capitasse di andare. Ecco apparire ora un maestoso albero secolare, testimone immobile di chissà quante vicende, ora un piccolo ma grazioso fiore nel bel mezzo della macchia, ora un fresco ruscello cui si abbeveravano gli animali del bosco: la bellezza era ovunque, compariva a poco a poco nello sguardo di Ceallach mentre questi correva, ma chissà quanta ancora ne restava da scoprire! No, non si poteva proprio esser lenti: così tanta bellezza costituiva un tale nutrimento per il cuore che temporeggiare sarebbe stato un delitto, avrebbe significato rinunciare a... vivere.
Corse e corse, senza curarsi del tempo che passava, delle direzioni che prendeva o di quelle che trascurava, perché l'importante era correre, non vi erano altre priorità. Alla fine stabilì tuttavia di aver appagato la propria sete di bellezza, almeno per un poco: qualcuno lo attendeva, era giusto tornare.
Pur senza sapere con precisione dove fosse, come al solito riuscì a ritrovare Damhnait; quando la raggiunse lei lo abbracciò, lo baciò sulla guancia e gli tirò uno schiaffo, al quale Ceallach reagì divertito. Lui le raccontò quante e quali bellezze aveva potuto vedere; lo fece perché condividerne il racconto con lei lo rendeva ancora più felice di averle viste. Damhnait aveva il potere di amplificare la sua felicità, d'elevarla all'ennesima potenza, ed egli ne era perfettamente consapevole: si chiedeva in che modo avrebbe potuto fare a meno di lei. No, non poteva neanche immaginarsi il mondo senza di lei: per quanto ancora bellissimo, avrebbe perso troppo significato per meritare di viverci ancora. Assetato di bellezza com'era, Damhnait costituiva un tale elemento di pace interiore da rappresentare per lui una divinità... la più importante in assoluto.
Erano fatti così, la vita per loro era un gioco in cui si poteva soltanto vincere. Si nutrivano di bellezza e potevano permettersi di sostentarsene: il loro mondo era troppo vicino alla perfezione per richieder loro di desiderare altro.
Ceallach la prese per mano e la guardò negli occhi, sorridendo. Lei ricambiò, con sguardo espressivo, poi assieme, mantenendo la presa, ricominciarono a correre tra gli alberi.