Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Vivaldi    07/04/2012    0 recensioni
Robert sapeva bene di essere stato adottato. E non aveva idea di chi fossero i suoi genitori. Ma tutto quello che gli si stava dicendo era davvero assurdo e senza senso.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sbadigliò.
“Maqquantodurancora?”
Diede un’occhiata all’orologio da polso: mezz’ora e poi sarebbe finita. Ancora mezz’ora. Era troppo, non ce l’avrebbe mai fatta. Girò la testa verso Charlie, che aveva appena iniziato a dirgli qualcosa su un tizio che voleva vendere il suo Amstrad.
«Costerebbe meno di quelli nei negozi, ovvio, quindi se mettiamo assieme i soldi possiamo riuscire a procurarcelo. Che dici?»
«Beeeeeh, vedi se riesci a sa-»
«GAGE! FARADAY!»
Robert incassò la testa fra le spalle e rimase fermo com’era, con le braccia incrociate appoggiate sul banco e la testa rivolta verso Charlie. Quest’ultimo, invece, si raddrizzò e, con espressione innocente, disse: «Sì, professore?»
«Tacete una buona volta!»
«Ci scusi», intervenne Robert, «è che non avevo sentito cos’avesse detto, quindi lo stavo chiedendo a Charles».
«Oh, sì, ne sono sicuro Gage», disse il signor Davis lanciando loro un’occhiataccia, «Viste le tue difficoltà, allora, sarà meglio tu venga più avanti: che dici di far cambio con la signorina Eccles, qui?» e picchiettò il dito su un banco di fronte alla cattedra.
“Oh, fantastico.”
Raccolse libro e penna, per poi andare a sedersi dove gli era stato indicato. Diede un’occhiata all’orologio: nonostante gli fosse sembrato molto di più, erano in realtà passati solo qualcosa come cinque minuti, forse di meno. Così, rassegnato, si mise a fissare le pagine del libro di storia mentre le parole del signor Davis gli scorrevano nella testa senza lasciare alcuna traccia. Per tutto il resto dell’ora, pensò a quante possibilità avessero di riuscire effettivamente a comprare quel computer e realizzò che, considerando le sue finanze in quel momento, avrebbero potuto pagarlo solo se avessero svaligiato la banca.
Quando finalmente finì la lezione - e con essa la scuola, almeno per quel giorno -, Robert e Charlie poterono riprendere il discorso.
«Prima volevo chiederti il prezzo. Mica lo sai già?»
«Uuuuh... Non sono sicuro. In realtà so solo che è a meno».
Roberto corrugò la fronte. «Non è che sia un granché come informazione, eh. L’hai detto pure tu, che è ovvio. Ma dov’è, poi, che l’hai saputo?»
«Mio fratello. Senti, facciamo che vado a parlargli, eh? Anzi, aspetta... Oggi è il 27, vero?»
«Uhuh. Perché, non c’è?»
«No, anzi. È che domani parte, allora.»
«Oh! Me n’ero dimenticato. Sai già quando torna? »
«Sì: quando lo sbatteranno fuori, ecco quando. Ma a quanto pare è bravo. Anche se mia madre resta sempre preoccupata: sempre lì a dirgli che non può pensare di campare a far lo scemo su un palco e che rischia di rimanere senza niente e che non lo aiuteranno mica se poi succede davvero. Ma tanto lui va lo stesso ».
« Beh, salutamelo, già che ci sei. E fatti dire anche chi è, il tizio dell’Amstrad».
«Bene. Allora ci vediamo domani. Se riesco ti telefono stasera, ciao!» disse Charlie allontanandosi.
«A domani!», rispose Robert, per poi avviarsi verso casa. Attraversò Corry Square e proseguì per una ventina di metri, giungendo finalmente a casa. Gli aprì sua madre, una donna robusta e abbastanza alta, cosa che la rendeva temibile quando scopriva che il figlio aveva preso un brutto voto o la faceva arrabbiare in generale: in quei casi metteva le mani sui fianchi e pareva quasi diventare più grande, come un pavone che allarga la coda. Gli sorrise e lo fece entrare, chiedendogli come al solito se fosse andato tutto bene e cosa avesse fatto, e, come al solito, il figlio le rispose con un “sì” ed un “oh, il solito”. Poi andò nella sua stanza e si distese sul letto: si sentiva più stanco del solito ed un po’ inquieto. Pensò che quest’ultima sensazione fosse causata dall’idea di dover parlare al padre dell’idea di Charlie di prendere quel computer: non era sicuro che avrebbe reagito con un sorriso ed un “ma certo”, era invece più probabile che avrebbe assunto un cipiglio vagamente minaccioso per poi borbottare qualcosa contro i computer domestici in generale e su come fossero uno spreco di soldi. E poi avrebbe voluto sapere come andasse a scuola, per sapere se se lo meritasse. E avrebbe scoperto che, in effetti, non aveva voti propriamente brillanti. E non ne sarebbe stato affatto felice.
Fu con questi pensieri per la testa che si addormentò. Si svegliò per l’ora di cena: era alquanto confuso e ci mise un attimo a uscire dalla fase del “dove-sono-cosa-sta-succedendo-e-già-che-ci-siamo-sai-mica-anche-chi-sono”, fase che venne superata anche grazie all’aiuto della madre, che era entrata per chiamarlo a tavola.
«Ben svegliato, eh! Vieni che è pronto. Tra qualche minuto arriverà anche tuo padre e... ffpeho... havveho...», s’interruppe un attimo e, dopo essersi tolta la pinza dalla bocca ed essersela sistemata sulla testa per trattenere i capelli castano chiaro, riprese: «Dicevo, spero davvero che tu non avessi niente per domani».
Robert sbatté le palpebre un paio di volte e, nonostante gli sforzi, il meglio che riuscì a trovare come risposta fu un mugolio assonnato.
La madre sollevò un sopracciglio, poi sorrise, si avvicinò e gli diede una lieve pacca sulla schiena.
«Su!», disse, ed uscì.
Robert si alzò dal letto e si diresse verso il tavolo.
«Mani!», urlò la madre dall’altra stanza.
Robert deviò la rotta girando su sé stesso e si diresse in bagno. Poi, si diresse di nuovo a tavola e si sedette. Mentre si lavava le mani, si era anche rinfrescato la faccia ed ora era un po’ più sveglio.
Proprio mentre la madre stava uscendo dalla cucina con la prima portata, la porta di casa si aprì e richiuse, accompagnata da un sonoro: «Eccomi!» seguito da un piccolo botto, qualche imprecazione soffocata ed un: «Madge, quando li sposti ‘sti vasi‽ Son qui da settimane!»
«Se son lì da così tanto, ormai dovresti saperli evitare. E se me ne hai rotto un altro, lo reincolli tu, stavolta!», gridò a sua volta sua madre per farsi sentire. «Comunque, bentornato», aggiunse poi con tono normale, mentre il marito passava davanti alla cucina per andare in bagno.
Quando infine si sedette dopo aver salutato il figlio, iniziarono a mangiare. Robert passò tutta la cena a pensare ad un modo per dire al padre dell’Amstrad senza dover poi finire la serata cercando di evitare una ciabatta volante. Mentre sbucciava la sua mela, si decise infine per il non dir nulla: Charlie non aveva chiamato – aveva chiesto alla madre mentre stava praticamente ingozzandosi di patate arrosto, e lei gli aveva detto di svuotarsi la bocca prima di parlare e che comunque no, il telefono non aveva suonato quel giorno -, per cui non aveva senso rischiare di scatenare un attacco a base di calzature per una questione ancora incerta: magari il computer era già venduto, magari costava troppo, magari non c’era mai neanche stato un tizio che intendeva venderlo e Charlie aveva capito male. Così finì la serata senza oggetti volanti fin-troppo-identificati ed andò a dormire, ringraziando fra sé e sé di non aver compiti per il giorno seguente.

La mattina si svegliò presto, prima ancora che sua madre venisse a chiamarlo: sentiva ancora quello strano senso di inquietudine del giorno precedente, tuttavia questa volta non sapeva a cosa attribuirlo. Non aveva molto di cui preoccuparsi, scuola a parte, ma certo un po’ di ore di lezione da sopportare non erano mai state sufficienti a farlo svegliare prima del tempo, anzi: di solito tendevano a conciliare il sonno meglio della valeriana (per esempio, potevano farlo addormentare persino su un pezzo di legno duro e scomodo come, oh, diciamo un banco di scuola). Corrugò la fronte e si appallottolò su un fianco, sotto le coperte, pensando che magari era stato il freddo a svegliarlo: d’altra parte era febbraio, ed il clima non era certo caldo.
Non successe nulla di particolare per il resto della mattinata: dopo che sua madre era venuta a chiamarlo, s’era preparato ed era andato a scuola come sempre, accompagnato per un breve tratto di strada dal padre che si era fermato in Corry Square, dove si trovava la stazione della Royal Ulster Constabulary in cui lavorava. Arrivato a scuola, aveva incontrato Charlie, che si era scusato per non essersi fatto sentire il giorno precedente, dicendo che suo padre aveva stabilito che l’ultima bolletta era stata troppo cara e che quindi il telefono si sarebbe dovuto usare solo per cose importanti.
«Ti assicuro, ho provato a dirgli che mi ci voleva poco, ma lui mi fa “puoi dirglielo a scuola domani, anche se aspetta non muore!”, e così non son riuscito a far nulla. Sarei venuto da te, ma ha scoperto il mio ultimo voto di geografia e ora sono in punizione».
«E questo ti ha mai fermato?», chiese allora Robert, con un sopracciglio sollevato.
«Beh, no, ma non è quello il punto. È che se voglio che poi mi lasci comprare quell’Amstrad è meglio che ubbidisco».
«Massì, scherzavo: tanto anche se mi avessi chiamato, non ti avrei sentito. Ho dormito tutto il pomeriggio. Piuttosto, dimmi che ti ha detto tuo fratello su questo computer».
«Tutto il pomeriggio?», disse Charlie dilatando gli occhi, «Però! Non sembravi così stanco, quando ti ho salutato. In ogni caso, il computer. Lo vende a un terzo in meno del prezzo originale e-». Ma in quel momento entrò il professore ed i due dovettero interrompere il discorso per l’inizio della lezione, discorso che non riuscirono a riprendere fino alla fine della mattinata, in quanto quel giorno erano assenti, oltre ad alcuni altri, anche i due che di solito erano seduti di fronte a loro, cosicché si ritrovarono in piena vista dei professori.
Dopo la scuola rimasero per un po’ in un bar lì vicino a parlare di come pagare la cifra e conclusero che, tutto sommato, prima avrebbero fatto meglio ad ottenere il permesso di comprare il computer, così si salutarono (Charlie era convinto a rispettare gli orari imposti dal padre per la punizione) e Robert si avviò verso casa.
Mentre camminava lungo la solita strada, il senso d’inquietudine tornò a farsi vivo. Nonostante questa volta avesse di nuovo il pensiero di dover parlare al padre dell’acquisto che lui e l’amico intendevano fare, non era tanto sicuro di poterlo considerare la causa della sensazione. Alla fine, decise di ignorare la cosa e continuò a camminare, pensando a cosa avrebbe potuto dire.

«Roooooooooooob!»
L’urlo della madre lo riscosse dal lieve torpore che l’aveva accompagnato durante tutto il tempo che aveva passato a cercare di memorizzare date su date di guerre, nascite, successioni e compagnia cantante.
«Sì?», disse, affacciandosi alla porta.
«Sono le sei ed un quarto, va’ a chiamare tuo padre, ché non è ancora tornato».
«Va bene», rispose lui: era felice di avere una scusa per uscire un po’ di casa ed allontanarsi da tutti quei fatti che si ostinavano a non entrargli in testa.
Messosi scarpe e giacca, si avviò verso la stazione di polizia, cercando di ricordarsi ciò che aveva finito di leggere una manciata di minuti prima, ma senza troppo successo. Sperava davvero che il giorno seguente Davis non interrogasse proprio lui, ma era quasi certo che l’avrebbe fatto, dato che la lezione prima aveva beccato lui e Charlie a parlare. Realizzò anche che non avrebbe avuto tempo di chieder nulla al padre, quella sera: si era del tutto dimenticato che era giovedì e che quindi quella sera ci sarebbe stato quello spettacolo a cui sua madre voleva tanto assistere. Era così entusiasta che era riuscita a coinvolgere anche il marito, che di solito preferiva starsene a casa la sera. Tuttavia, Robert, che non aveva proprio voglia di andare ad assistere ad un’opera, era riuscito a svicolare con la scusa dello studio.
Fu mentre era assorto in questi pensieri che aprì la porta dell’ufficio del padre, schiudendo la bocca per dirgli di venire a casa. S’interruppe però di colpo quando si rese conto che nella stanza, seduto di fronte al genitore, stava seduto un tizio vestito in modo un po’ insolito, con un mantello di... velluto? Strano.
«Oh, lui è mio figlio, signor Delany. Lo scusi per l’interruzione».
«Ehm, buonasera, signor Delany», disse Robert, imbarazzato, «Io, uh, aspetto fuori. Scusate.» ed uscì chiudendosi la porta alle spalle.
“Ooops. Ma chi sarà, poi, quello?”
Si appoggiò ad un muro ed iniziò ad aspettare. Diede un’occhiata all’orologio, che segnava le sei e mezza circa: sua madre non sarebbe stata troppo contenta se fossero arrivati in ritardo. Fissò per un po’ la targhetta col nome del padre: le lettere che formavano le parole “Thomas Gage” erano un po’ rovinate, ma comunque chiare, in parte anche perché venivano ripassate a pennarello di tanto in tanto anche da Robert stesso, quando si accorgeva che iniziavano a non vedersi più bene. Il padre non ci pensava neanche, anzi, for-
BOOOOM.
Un’esplosione tremenda fece tremare l’edificio e Robert cadde a terra, mentre pezzi d’intonaco gli piovevano addosso: non aveva idea di cosa fosse successo, ma era terrorizzato: sembrava decisamente qualcosa tipo una bomba. Entrò di corsa nell’ufficio del padre, fermandosi di colpo quando vide che quest’ultimo giaceva inerme sulla sedia, con gli occhi spalancati. Il signor Delany stava dritto in piedi, come se l’esplosione non lo preoccupasse affatto.
«I- Cosa... è... Oddio», balbettò Robert, mentre correva incontro al padre, per capire come stesse. Intanto fuori dalla porta si sentivano delle urla. Altre esplosioni stavano seguendo la prima.
«Non preoccuparti», disse il signor Delany con un tono tranquillo, «Lui è vivo. Tuttavia, tu ora devi venire con me».
«Co-No! Non posso! Cos’è successo? Lei lo sa, vero? È stato lei?», Robert aveva pronunciato ogni frase più forte della precedente, finendo così per urlare.
L’uomo sospirò, come fosse un po’ irritato, poi sollevò minacciosamente verso il ragazzo un braccio che reggeva una... un... un pezzo di legno? Robert lo fissò perplesso, arrabbiato e sconvolto.
«Stupeficium!» gridò allora l’uomo.
Robert fece appena in tempo a vedere un lampo di luce scarlatta prima di svenire.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Vivaldi