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Autore: ProcrastinatingPalindrome    07/04/2012    1 recensioni
Mentre le relazioni America-Russia si scaldano nel 2010, America viene invitato alla Parata del Giorno della Vittoria di Russia per la prima volta. America procede ad agitarsi a tal proposito.
Genere: Comico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Russia/Ivan Braginski
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non mi appartiene è una traduzione dell'omonima storia di ProcrastinatingPalindrome (potete trovarla su Fanfiction.net). Non posseggo i personaggi qui utilizzati né il fumetto dal quale sono tratti. Questa storia non è a scopo di lucro.


America si schizzò dell’altro gel sul palmo della mano per cercare, per l’ennesima volta, di far stare giù quel suo ciuffo ribelle. Nantucket rimase obbedientemente al suo posto per tre secondi, poi balzò di nuovo in aria, meritandosi un gemito frustrato da parte di America. Persino lui doveva ammettere che si trattava di una causa persa. Normalmente i suoi capelli disordinati non gli avrebbero dato fastidio, ma oggi era un giorno speciale. Questa era la prima volta che Russia lo aveva invitato alla sua parata del Giorno della Vittoria. Era una cosa importante. Tutto doveva essere perfetto.

Lasciando stare i capelli, America puntò la sua attenzione sul resto del suo aspetto. L’uniforme era pulita e stirata, le scarpe lucide…sarebbe riuscito a mimetizzarsi perfettamente in mezzo agli altri soldati Americani che marciavano al suo fianco, se non fosse stato per quel ciuffo di capelli.

Considerò di uscire dalla stanza in cerca di un gel per capelli migliore, ma ci ripensò. Probabilmente non sarebbe mai riuscito a ritrovare la strada. Era gentile da parte di Russia lasciarlo stare in una delle sue molte stanze per gli ospiti, ma la casa del tizio era ridicolmente enorme. Per non parlare delle stanze che sembravano apparire e sparire a caso ogni volta che America cercava di esplorare il posto. Sembrava di trovarsi nella Twilight Zone.

“E va bene, asso.” Mormorò America al suo riflesso allo specchio cercando di sistemarsi il cappello sopra il ciuffo ribelle. “Puoi farcela. Puoi di certo occuparti di una parata. Sei un campione. Sei una fottutissima aquila calva. L’occhio della tigre, amico…it’s the thrill of the fight, rising up to the challenge of our-

Il bussare alla porta della sua stanza lo interruppe nel mezzo della canzone. America imprecò sotto voce e cercò di sistemare il cappello. “Arrivo in un secondo!” Gridò.

Quello che stava bussando o non lo aveva sentito o non gli interessava assolutamente niente di quello che aveva detto, dato che il bussare continuò. Presto i colpi cominciarono a seguire un ritmo, dopo qualche momento America lo riconobbe essere il tema musicale del Tetris. Come se non fosse stato abbastanza chiaro chi stava cercando di buttargli giù la porta.

“Trattieni i cavalli, sto arrivando!” Chiamò America, mettendo dritto il cappello e tirando per l’ultima volta l’uniforme. Non era perfetta, ma per il momento andava più che bene.

Il pugno di Russia era ancora alzato quando America finalmente aprì la porta. “Buongiorno!” Disse allegramente. “Stavo cominciando a pensare che stessi ancora dormendo. Ti stavo aspettando al piano di sotto da un bel po’.”

“N-nah, ero sveglio, stavo solo cercando di…mettere a posto i miei capelli…” Disse America. Russia aveva già addosso la sua vecchia uniforme della Seconda Guerra Mondiale. Santo Dio, America amava quella sua uniforme. Qualcosa in quei vestiti gli faceva diventare le ginocchia di gelatina. “Ti, uh…sei tirato a lucido. Hai un bell’aspetto, ragazzone.”

“Lo pensi davvero? Non mi sta come una volta-”

“No, stai…” Sei troppo sexy, vorrei saltarti addosso “veramente bene. E, uh…io come sto?”

Gli occhi di Russia lo squadrarono da capo a piedi, fermandosi brevemente al di sotto della sua cintura. “Stai molto bene. Sei bello, come sempre.”

America distolse lo sguardo cercando di non far vedere che stava arrossendo. “Finiscila, stai solo cercando di adularmi.”

“Io non adulo mai nessuno. Quando dico qualcosa la penso davvero. Ora, vorresti fare colazione? Abbiamo ancora tempo prima della parata…”

“Non ho fame.” Era quasi vero; uno stormo di farfalle nello stomaco di America gli stava facendo perdere l’appetito.

Russia corrugò le sopracciglia. “Non hai fame? Stai male? Hai mangiato del cibo guasto ieri sera? Ti avevo detto di mangiare con me invece di andare in un fast food-”

“Nonono, sto bene! Sono solo…” La voce lo tradì di nuovo.

“Solo cosa?”

“Niente. Non preoccuparti.”

Russia abbassò lo sguardo, rigirandosi fra le dita il bordo di una manica. “Non…non vuoi partecipare? Sei nervoso da quando sei arrivato, da? Mi hai a malapena parlato ieri sera, e ora non vuoi mangiare con me…”

“No! Non…dannazione, non è colpa tua, va bene? V-voglio partecipare, davvero.”

“Allora cosa c’è che non va?” Sbuffò Russia, frustrato, incrociando le braccia. “Perché non vuoi parlarmi? Siamo amici adesso, da?”

America dibatté per un momento. “S-sì. Siamo…amici.” Era bello poterlo dire di nuovo dopo così tanto tempo. Era ancora più bello sapere che era la verità. Il vecchio odio sembrava sciogliersi sempre di più con il passare degli anni, scoprendo qualcosa di caldo fra loro, qualcosa che avevano provato a dimenticare per la maggior parte del secolo passato…

“America? Ti sto chiedendo, perché non mi puoi dire cosa c’è che non va?”

“Sono…nervoso per la parata, va bene?” Disse di getto alla fine, arrossendo un po’ alla confessione.

Le sopracciglia di Russia si sollevarono. “Ma hai partecipato a molte parate in precedenza, da? Perché questa dovrebbe essere diversa?”

“Lo è e basta! È importante, e tutti saranno lì a guardare-”

“America è nervoso perché riceverà dell’attenzione? Questo è di certo un segno dell’apocalisse imminente.”

“Vuoi stare zitto? Cavolo, mi obblighi ad aprirmi e adesso mi prendi in giro…”

“Mi scuso. Solo che non capisco perché sei nervoso.”

America si morse l’interno guancia cercando di raccogliere i suoi pensieri. “Voglio solo che per una volta le cose vadano alla perfezione. Sento come se continuassi a…fare casini quando si tratta di te. E-e voglio che le cose continuino a migliorare fra noi, e non voglio incasinare tutto e riportare le cose a com’erano prima-”

“Cos’è che hai, ah, incasinato? Non credevo avessi fatto qualcosa di particolarmente orribile ultimamente…”

“Lo sai…roba tipo…quel bottone per il reset che ti ho dato. Quando ho fatto un casino è ho sbagliato lo spelling di ‘reset’ in Russo.”

“Ti sei preoccupato per quello?” Chiese Russia, incredulo. “È stato un errore carino. C’erano delle buone intenzioni dietro il tuo gesto. Questo è quello che importa per me, che davvero tu volessi cancellare tutti i nostri problemi in passato.”

“Sì, ma-”

“Deteriora le nostre relazioni ogni errore che faccio con l’Inglese?”

“Beh, no-”

“Allora perché dovrebbe essere diversamente con te?”

“N-non lo so. Ma voglio comunque che le cose vadano perfettamente oggi. Niente casini, neanche di quelli carini. So che la parata del Giorno della Vittoria è molto importante per te.”

“Lo è.” Disse Russia con voce dolce. “Molto importante. Ma non stiamo onorando solo la mia gente, lo capisci? Per questo ti ho invitato, e Inghilterra e Francia e gli altri. La guerra non è stata combattuta e vinta solo da una nazione.”

“Certo che no. Una guerra mondiale non è esattamente condotta da un uomo solo.”

Un sorriso sognante comparve sul volto di Russia. “Ti ricordi quando ci siamo incontrati nel mezzo della guerra?”

“Come potrei dimenticarlo?” Sorrise America. “Mi hai quasi sparato la prima volta che ci siamo incontrati in Germania.”

“E mi sono scusato più e più volta a riguardo. Ma ero stanco e non ti ho riconosciuto all’inizio. Quando ho visto arrivare le tue truppe ho pensato che foste Tedeschi-”

“Anche se ti stavo urlando dietro e ovviamente non stavo parlando in Tedesco o altro-”

“Ho detto che mi dispiace. E ti ho dato delle sigarette per sdebitarmi.”

“Che sapevano di merda bruciata, perciò alla fine di ho dato un pacchetto delle mie Luckies perché mi dispiaceva che tu dovessi fumare quelle schifose sigarette.”

“Mi dispiace che il tuo palato sia troppo delicato per le mie sigarette. Dovrò ricordarmi di fare scorta di qualcosa più da signore per te.”

America tirò un calcio, scherzosamente, allo stinco di Russia. “Idiota.” Probabilmente mise fin troppo affetto in quella parola. “Vedrai se ti faccio di nuovo un favore.”

“Oh, come farò a sopravvivere?” Sospirò Russia muovendo drammaticamente la mano.

“Dovrai combattere in solitaria, ragazzone. Buona fortuna.”

“Mi hai spezzato il cuore.”

“Boo hoo hoo.”

Russia riuscì a restare serio solo per qualche momento prima di ritornare a sorridere come sempre. “Ecco, sei tornato normale, da? Niente più inutili preoccupazioni?”

America riuscì a sorridere lievemente. “Immagino di no. Voglio dire, qual è il peggio che possa accadere?”

“Mm, potresti inciampare. Quello sarebbe un male.” America fece una smorfia al pensiero, e Russia aggiunse rapidamente, “Ma non rovinerebbe la relazione che abbiamo ora. La Guerra Fredda è finita. Le cose fra noi non sono più così fragili, da? Prima era tutto difficile, certo, ma ora…ora non siamo nemici, e posso di nuovo chiamarti amico. Anche tu sei stato importante nella guerra, e ora voglio celebrare questo giorno…con te.” Fu il turno di Russia di distogliere lo sguardo.

America sentì il calore salirgli al volto e cercò di ridere. “Ma non è che sono l’unica nazione che hai invitato alla parata di quest’anno, giusto? Hai invitato Inghilterra e Polonia e un sacco di altri.”

“Ah, ma tu sei l’unico che è rimasto a casa mia.” Disse Russia con un sorriso riservato. “Ammetto che in parte è perché non posso fidarmi del fatto che Polonia non vada a intrufolarsi nella mia scorta di liquori mentre non sto guardando per sostituire tutto con della vodka Polacca, ma sto divangando.”

“Oh. Un trattamento s-speciale per me, huh?”

“Forse.” Mormorò Russia, rigirandosi di nuovo fra le dita la manica. “Ma gli altri stanno in degli alberghi davvero carini, più carini di casa mia, quindi forse preferiresti-”

“Affatto! Sto bene qui! Certo, c’è un po’ di corrente e la casa è stupidamente enorme e le stanze continuano a spostarsi come se fossi nella Twilight Zone-”

“Te l’ho già detto, è la tua immaginazione.”

“Ma qui ci sei tu, quindi la cosa si equilibra.” Gli occhi di Russia si spalancarono, e America realizzò all’improvviso quanto era andato vicino a dire qualcosa di fin troppo onesto. “P-perché puoi…um…farmi da guida dopo la parata!”

“Sei già stato a Mosca. Più di una volta.”

“S-sì, ma non è che mi ricordi tutte le strade. Devi portarmi in giro e mostrarmi della roba. Non ti sentiresti idiota se mi perdessi perché mi hai lasciato solo?”

“Sarei un pessimo ospite se ti abbandonassi.”

“Esatto, quindi è un appuntamento. Tu ed io, dopo la parata. Voglio andare a vendere il Castello di Caramelle.”

Russia incrociò le braccia e fece finta di essere contrariato. “Lo sai che quello non è il suo vero nome.”

“Mi piace chiamarlo Castello di Caramelle. È tutto colorato.”

“Ma sai qual è il suo vero nome. Voglio sentirtelo dire.”

“Dobbiamo per forza giocare a questo gioco?”

“Hai cominciato tu.” Quando America non cedette, Russia mostrò la sua faccia da cucciolo intristito. Era un vero capolavoro, perfezionato con anni di pratica. America non aveva nessuna speranza.

“Va bene, hai vinto.” Disse America roteando gli occhi. “Non si chiama Castello di Caramelle. È la Cattedrale di San Basilio.”

“Molto bene!” Cominciò Russia, ma America lo interruppe prontamente.

“E,” continuò “è stata costruita nella…um, aspetta…metà del XVI° secolo? Sì, quando Ivan il Terribile era il tuo capo, per commemorare…merda, non dirmelo. Per commemorare quando i tuoi avevano sconfitto…i Tartari?”

“Ora sono stupito.” Rise Russia.

“A sì?” Sogghignò America. “Ti eccita il fatto che io abbia fatto delle ricerche sui tuoi monumenti? Sì, sono andato su google per quella roba. Fico, huh? Ho usato Wikipedia è tutto.”

“Molto da studioso da parte tua. Dobbiamo davvero farci una visita, visto che hai fatto i tuoi compiti per casa da bravo bambino. Ma prima, la parata.”

“Sì, sì.” Sospirò America. “Mi ricordo.”

La mano di Russia si appoggiò pesantemente alla spalla di America. “Andrà tutto bene! Ti stai preoccupando per niente. E ricorda, potresti cadere, o…o marciare nella direzione sbagliata, o strapparti i pantaloni, o svenire, o-”

“Smettila, così mi spaventi!” Gemette America, tirandosi i capelli pieni di gel.

“O qualsiasi altra cosa terribile, e io sarei comunque tuo amico. Cose del genere non cambierebbero nulla.”

America guardò Russia. Russia lo fissava, con così tanto calore e sincerità che America quasi dimenticò la Guerra Fredda, dimenticò tutte le cose brutte che c’erano state fra loro. Poteva quasi immaginare che il suo vecchio amico del XIX° secolo non fosse mai cambiato. Forse era questo che si intendeva per ‘andare avanti’.

“Beh, lo stesso vale per te!” Disse, tirando fuori il suo sorriso più fiducioso. “Potresti cadere faccia a terra nel mezzo della parata e saremmo comunque amici. Infatti, puoi venire da me per un cerotto se dovesse succedere. Probabilmente avresti una gran bella ferita al naso se dovessi cadere di faccia. Adesso andiamo, sarà meglio fare colazione così da avere un sacco di energie per la parata e il Castello di Caramelle.”


Note Storiche:
Nel 2010 per la prima volta le truppe Americane vennero invitate a marciare nella Parata del Giorno della Vittoria a Mosca il 9 Maggio. Il titolo si riferisce al fatto che lo spelling della parola ‘reset’ venne sbagliato nel pulsante del 2009 che doveva simbolizzare il riavvio delle relazioni fra America e Russia, e al nuovo trattato START firmato di recente.

 
  
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