Povera
Bertha
“Povera
vecchia Bertha… ha una
memoria come un paiolo bucato e zero senso dell’orientamento.
Si è persa, ve lo
dico io. Un giorno d’ottobre ricomparirà in
ufficio, convinta che sia ancora
luglio”
[Harry
Potter e il Calice di fuoco]
L’aria
della taverna era densa di aromi. L’odore acre e un
po’ dolciastro della
Burrobirra si mescolava al sentore della polvere e una spessa coltre di
fumo di
pipa aleggiava bassa sugli avventori.
Bertha
sedeva da sola in un tavolino accanto alla finestra. Lo sguardo perso
nel
vuoto, osservava la pioggia infuriare sulle strade del villaggio. Amava
la
pioggia, da sempre. Scorreva in rivoli sottili e ripuliva le strade, le
anime.
Gonfiava l’aria con un odore fresco, come di vita nuova.
Ma
nella taverna il profumo della pioggia non si sentiva, schiacciato da
altri
odori più vecchi, più forti.
Bertha
avrebbe tanto voluto correre fuori e restare ferma sotto quello
scroscio
d’acqua, che ora diventava sempre più forte. Forse
la pioggia sarebbe riuscita
a lavare via la confusione che sentiva da un po’ di tempo.
Persino sua zia le
avevo detto che sembrava strana.
E
lei non le dava torto. Si sentiva strana. Era come se, agli angoli
della sua
coscienza, ci fosse qualcosa che reclamava attenzione, come un
impercettibile
movimento a margine del suo campo visivo; ma ogni volta che provava a
guardarlo, a prestare attenzione a quell’embrione di
pensiero, questo spariva.
Doveva
proprio ringraziare il signor Crouch per aver suggerito a Bagman di
darle una
vacanza, ne aveva bisogno. Aveva ancora una settimana- o forse erano
dieci
giorni? Non riusciva a ricordarselo, non aveva mai fatto troppo caso
alle
scadenze- prima di dover tornare in ufficio, e sperava che fosse
sufficiente
per riprendersi.
-Posso
sedermi?
Una
voce untuosa, leggermente tremolante, riscosse Bertha dai suoi
pensieri.
Sollevò lo sguardo verso il suo interlocutore, un ometto
basso, quasi calvo e
con una faccia da topo. Di nuovo, la sua memoria ebbe un leggerissimo
fremito;
le sembrava vagamente familiare. Ma la sensazione sparì
così com’era arrivata.
-Prego-
rispose, indicando la sedia di fronte a lei. –Io sono Bertha-
aggiunse.
L’uomo
si sedette.
-Io
sono Pe… Peter.
Qualunque
cosa potessero pensare di lei i suoi colleghi del Ministero, Bertha non
era
affatto stupida. Aveva notato l’esitazione
dell’uomo nel dirle il suo nome e
sapeva anche che probabilmente significava che era un nome falso o che
il suo
interlocutore aveva qualcosa da nascondere.
Il
buon senso le suggeriva che avrebbe fatto meglio ad alzarsi, pagare il
conto e
tornarsene da sua zia. Ma Bertha non era mai stata una persona dotata
di buon
senso. E in più continuava ad avvertire la strana sensazione
di doversi
ricordare di quell’uomo. Quindi rimase seduta e sorrise
quando lui le offrì da
bere.
-Sei
di queste parti?- le chiese Peter
-No,
sono in vacanza. Sono venuta a trovare mia zia. Vivo in Inghilterra, a
Londra.-
rispose Bertha sorseggiando il suo Whisky Incendiario.- Comunque
neanche tu mi
sembri albanese…
-Infatti-
sorrise Peter- sono londinese anche io. Con questo tempo, è
come essere a casa-
aggiunse sarcastico, gettando un’occhiata fuori dalla
finestra.
Bertha
vuotò il bicchiere e fece cenno al cameriere di portargliene
un altro. Era
piacevole bere in compagnia di quell’uomo, per la prima volta
da molti giorni
si sentiva di nuovo se stessa. La sua mente, benchè
leggermente annebbiata
dall’alcool, le sembrava più lucida del solito e
la sua passione per le
chiacchiere e i pettegolezzi era tornata a farsi sentire.
Così,
quando Peter le chiese di cosa si occupasse, cominciò a
parlare, la lingua resa
sciolta dal Whisky:
-Lavoro
al Ministero, Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici. Normalmente
è una
pacchia, abbiamo pochissimo lavoro e passo gran parte delle mie
giornate a
dormire sulla scrivania- scoppiò una forte risata, mentre
l’uomo le faceva
eco.- Ma questi mesi sono stati un vero inferno! Abbiamo dovuto
organizzare sia
la Coppa del Mondo di Quidditch che il Torneo Tremaghi. È
stato a dir poco
estenuante. Forse è per questo che ultimamente sono
così stanca: non sono
abituata a lavorare tanto- e scoppiò di nuovo a ridere.
Se
Bertha non fosse stata così ubriaca – se non fosse
stata Bertha- si sarebbe certamente
accorta di come le risate di Peter
fossero finte e della luce avida che gli era comparsa negli occhi
quando lei
aveva parlato dei progetti del Ministero.
Ma
era Bertha, ed era ubriaca, quindi non si accorse di nulla. Non le
sembrò
neanche strano quando Peter le propose di uscire dalla taverna e fare
quattro
passi. Così vuotò quel che rimaneva del quarto- o
era il quinto?- bicchiere di
Whisky e seguì l’uomo fuori.
-Ma
sta piovendo!- esclamò, ancora sull’uscio del
locale- Dove vuoi camminare con
questo tempo?
La
lingua era impastata e le parole uscivano a fatica.
Peter
le mise un braccio attorno alle spalle e cominciò a
camminare, trascinandola
con sé:
-Non
preoccuparti- le sussurrò- non dovremo camminare molto,
è qui vicino.
Bertha
fece per protestare, voleva dirgli che non aveva intenzione di andare a
casa
sua, né tantomeno di andarci a letto, ma l’alcool
aveva annebbiato i suoi
pensieri e le parole faticavano ad uscire per cui si arrese di buon
grado e si
lasciò trascinare via, sotto la pioggia battente.
-Chi
mi hai portato, Codaliscia?
-Bertha
Jorkins, mio Signore. È del Ministero, è qui in
vacanza. Ho pensato che potesse
esserle utile.
Le
voci, estranee, fluttuarono attraverso le nebbie
dell’incoscienza e giunsero a
Bertha.
Socchiuse
piano gli occhi e si guardò intorno: non sapeva
né dove si trovava ne come ci
era arrivata. Per quello che poteva vedere era sdraiata
sull’erba, in un bosco
molto fitto. Davanti a lei stava Peter – si ricordava di lui,
avevano bevuto
insieme alla taverna- che stava parlando con qualcosa.
Doveva
essere più ubriaca di quanto pensasse perché
quello che stava vedendo non
poteva essere reale, non aveva senso. La cosa con cui Peter stava
parlando –
non poteva essere un essere umano- aveva l’aspetto di un
neonato scorticato,
fatto di qualcosa di poco più denso del fumo. Ma gli occhi,
malvagi, rossi,
furiosi, non avevano nulla in comune con un neonato.
Bertha
gemette, suo malgrado, e i due si voltarono verso di lei.
-Codaliscia,
porta qui la nostra ospite.
La
voce della cosa era sibilante, crudele e roca, come se non fosse stata
usata
per anni, come se parlare fosse uno sforzo immenso. Peter- Codaliscia,
come lo
chiamava quella cosa- le si avvicinò e la trasse in piedi
senza tante
cerimonie.
-Sai,
non devi essere molto sveglia- le sibilò, cattivo- Dovresti
diffidare dei morti
che ti invitano ad uscire.
Sembrava
che prenderla in giro desse a quel piccolo ometto la forza per
avvicinarsi al
suo signore, da cui evidentemente era disgustato. Le sue parole
comunque
avevano finalmente risvegliato qualcosa nella memoria di Bertha, che
finalmente
riconobbe l’uomo che aveva accanto.
-Peter
Minus- sussurrò.
I
due uomini risero.
-Codaliscia
mi ha riferito che il Ministero ha molti progetti
ultimamente… Perché non me ne
parli?
Bertha
era sempre stata una chiacchierona, spesso diceva molto più
di quello che
avrebbe dovuto e l’ultimo aggettivo che le si sarebbe potuto
dare era
coraggiosa. Eppure lì, in quel momento, di fronte a quella
cosa, Bertha fece
qualcosa di molto coraggioso, di molto stupido, di totalmente estraneo
al suo
carattere: scelse di non parlare.
Gli
occhi rossi di quell’essere trovarono e incatenarono i suoi.
Bertha
sentì il cervello esploderle, mentre quella presenza
orribile riempiva ogni
angolo della sua mente, strappandole via i ricordi…
-Bertha,
domani arriverà la
delegazione da Durmstrang per firmare gli ultimi accordi. Mi
raccomando, cerca
di non combinare pasticci. Il Torneo Tremaghi non si tiene da
più di 300 anni,
è un evento eccezionale…
-Hai
parlato con Simons,
dell’Ufficio Trasporti? Non è semplice organizzare
Passaporte in cinque
continenti, ma la Coppa del Mondo è imperdibile…
-Bertha,
vai a casa di Barty
Crouch, deve vedere immediatamente questa lettera di Madame Maxime. Se
Beauxbatons
si tira indietro tutto il lavoro di quest’anno
sarà stato inutile…
Improvvisamente,
così com’era cominciato tutto finì.
Qualcosa
aveva indotto il mostro ad interrompere il contatto. Ansimando,
cercando di
riprendere fiato, Bertha sentì il terreno umido sotto la
guancia e si rese
conto di essere caduta per terra. Il dolore bruciante si stava
lentamente
ritirando, lasciandola tremante e spaventata.
-Cosa
stai cercando di nascondermi?
Sibilò
minaccioso quell’essere.
-Il
Torneo Tremaghi…- sussurrò Bertha. Non voleva
più essere coraggiosa, non se
questo significa dover di nuovo provare quella sensazione terribile.
Avrebbe
parlato.
-No!-
la voce risuonò come una fucilata. – Quello
l’ho visto. Cosa è successo da
Crouch?
Cosa?
Da Crouch? Bertha non ricordava neanche di esserci mai
stata… di nuovo la sua
memoria fremette; di nuovo quella sensazione di un qualcosa di
ricordato a
metà.
-Mio
Signore…- intervenne timidamente Minus.
-Non
ora, Codaliscia. Un Incantesimo di Memoria…-
sussurrò la cosa tra sé.
Poi
puntò deciso la bacchetta contro Bertha, che chiuse gli
occhi, cercando di
proteggersi.
-Crucio!!
Un
dolore lancinante la colpì, come se ogni muscolo del suo
corpo fosse in fiamme.
In mezzo alla marea oscura del dolore sentì
quell’essere forzare di nuovo la
sua mente.
Brandelli
di pensieri, di ricordi, si affacciavano alla mente di Bertha e
venivano
distrutti dalla furia avida di quel mostro.
Più
e più volte le scagliò contro la Maledizione
Cruciatus, e più e più volte forzò
la sua mente, rubandole ricordi, strappandole per sempre le emozioni.
Il
suo primo giorno di scuola, lo Smistamento, il primo bacio,
l’assunzione al
Ministero… il mostro si prese tutto, distruggendolo per
sempre, facendo proprio
tutti quei momenti finché, quando ormai della sua memoria
rimaneva poco o
nulla, Bertha udì uno schianto terribile in un angolo della
sua mente, come di
un muro che crolla all’improvviso, e le immagini che per
tanto tempo le erano
sfuggite, quelle che il mostro stava cercando, le invasero la mente.
-Padron
Barty deve mangiare. Non
faccia così, pensi a sua madre…
La
porta della cucina era socchiusa
e un filo di luce filtrava nell’ingresso, insieme alla voce
di Winky, l’elfa
domestica. Curiosa, Bertha spiò nella stanza.
L’elfa
stava parlando con qualcuno
che lei non vedeva, forse nascosto da un incantesimo.
-Sua
madre l’ha tirata fuori da
Azkaban, non l’ha lasciata morire… vorrebbe che
lei mangiasse. La prego, Padron
Barty, solo un cucchiaio.
Bertha
indietreggiò di scatto al
suono della porta d’ingresso che si apriva. Voltandosi, si
trovò di fronte
Barty Crouch. Ormai non aveva più dubbi su chi fosse
l’interlocutore dell’elfa.
-E
così il perfetto Barty Crouch ha
aiutato suo figlio a evadere e lo tiene nascosto…
Barty
impallidì, mentre l’elfa,
terrorizzata si affacciava dalla cucina, dalla quale provenivano le
urla di
Crouch Junior
-Non
potete trattenermi qui. Devo
ritrovare il mio Signore, aiutarlo a riconquistare il potere…
-Winky,
torna in cucina. Fallo
stare zitto e resta di là.- disse a denti stretti Crouch
Senior. Poi si rivolse
a Bertha, che rideva sprezzante.
-Oh,
immaginati la faccia dei tuoi
colleghi al Ministero, tutti convinti della tua
incorruttibilità e integrità.
Chissà come saranno sorpresi!- lo schernì la
strega.
-Tu
non racconterai niente a
nessuno!- urlò Crouch stravolto, con gli occhi fuori dalle
orbite. Levò la
bacchetta e la puntò contro di lei. Bertha non fece in tempo
a prendere la
propria.
-Oblivion!
Una
risata folle e crudele riportò Bertha alla realtà.
-Mio
Signore, cosa…
-Oh,
Codaliscia, neanche immagini quanto questa strega mi è stata
utile. Ora so cosa
devo fare per riacquistare un corpo, e tutti i miei poteri.
Bertha
era a terra, stremata.
Della
sua memoria non rimaneva quasi nulla, a stento la consapevolezza di
sé. L’unica
cosa di cui era certa era il dolore.
Senza
riuscire a capire cosa fosse successo, cosa stesse accadendo,
osservò l’essere
terrificante che aveva di fronte levare la bacchetta e puntarla contro
di lei.
Lord
Voldemort la osservò brevemente negli occhi, come a
ringraziarla di tutte le
informazioni che aveva fornito e poi:
-
Avada
Kedavra!