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Autore: LaMicheCoria    07/04/2012    2 recensioni
Gli occhi, però, sono come quelli di un porcello, che si strizzano tanto da infossarsi nell’orbita e tirare dalla loro parte, in quel risucchio di pelle, anche un angolo della bocca, che si piega e si torce fino a spiaccicarsi sulla faccia nell’espressione tipica del maiale che, invece di tenerla in bocca, la mela se l’è ingoiata intera.
A dirla così, ad America fa impressione, però, in qualche piega mal spolverata del cervello, un tarlo gli pizzica il neurone a ribadire come, in un indefinito tempo prima, quell’accartocciarsi della faccia di Russia non fosse così grottesco, ma quasi…
carino.
Carino? Ma da dove gli è uscito, quell’aggettivo? Quando mai Russia è stato carino?

[RusAme]
[A Rota e Cry Benihime]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cold War Pair [OTP]'
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Ijalidr

Disclaimer: I personaggi di Hetalia: Axis Powers non mi appartengono
Ma sono di proprietà d Hidekaz Himaruya ©
Se fosse il contrario…
Ahrrrrrrr <3

 

 

 

 

 

 

 

 

A Rota perché erano secoli che le avevo promesso una RusAme ~

A Cry Benihime perché senza le sue traduzioni non sarei mai riuscita a sbloccarmi ~

 

 

 

 

 

 

 

.: I Just Act Like I Don’t Remember :.

 

-Ma sei sicuro che regga?-
America si appoggia al cemento e inizia a giocherellare con l’accendino che tiene in mano: lo accende, fa ballonzolare un po’ la fiammella e poi lo spegne, chiudendolo con uno schiocco. La quiete stagnante si frantuma ripetutamente a causa di quei fastidiosi clack.

Clack. Clack. Clack.
Sembrerebbe lo scatto di un grilletto se America non si trovasse nell’irritante situazione di non poter mettere mano a quel bel pezzo di artiglieria made in USA a riposo sulla scrivania. La cosa che un po’ lo rassicura e gli tira su il morale è che anche il nasone è costretto nello stesso casino. Ah-ah. Incassa e taci.
Si diverte a ricordarglielo e si diverte ancora di più nell’immaginare la sua facciotta bonacciona che si gonfia e si comprime, le labbra che si arricciano e si appiattiscono nella perfetta imitazione di un’anatra bella grassa.  Gli occhi, però, sono come quelli di un porcello, che si strizzano tanto da infossarsi nell’orbita e tirare dalla loro parte, in quel risucchio di pelle, anche un angolo della bocca, che si piega e si torce fino a spiaccicarsi sulla faccia nell’espressione tipica del maiale che, invece di tenerla in bocca, la mela se l’è ingoiata intera.
A dirla così, ad America fa impressione, però, in qualche piega mal spolverata del cervello, un tarlo gli pizzica il neurone a ribadire come, in un indefinito tempo prima, quell’accartocciarsi della faccia di Russia non fosse così grottesco, ma quasi…carino.
Carino? Ma da dove gli è uscito, quell’aggettivo? Quando mai Russia è stato carino?
Il tarlo deve aver studiato musica davvero bene, vista la sinfonia di ricordi che adesso gli sta propinando, manco fosse membro insostituibile dell’orchestra newyorkese: strimpella i dendriti con una sicurezza che neanche Springsteen, e gli assoni rispondo alle note con le stesse urla e la stessa flemma delle gente strafatta di roba a Woodstock.
Diciamo che forse, forse, Russia poteva rientrare all’ultimo posto della categoria dei pazzi sovietici che probabilmente, in un sistema di riferimento altamente ipotetico e del tutto irreale, potevano risultare non poi così orribili.
Sì, insomma, adesso che ci pensava, c’era stata una volta, in Alaska, in cui aveva pensato che Russia non fosse poi così male: fuori c’era la neve –che caso- e dentro la catapecchia in cui si erano rifugiati faceva un freddo becco.
Russia aveva tirato fuori dal cappotto una bottiglia di Vodka e la nottata era passata così, tra un sorso e l’altro –non avevano bicchieri e al solo ripensarci America si umetta le labbra, come a ricercare il contatto con quel sapore lontano-, tra una canzone gracchiata fuori da gole arse dal liquore e graffiate dal gelo e un’occhiata al di sopra della luce incerta del fuocherello sempre in procinto di suicidarsi in uno sbuffo di cenere. No, non l’aveva trovato affatto male quella volta, col naso pizzicato dal rossore dell’alcool e le guance chiazzate di porpora dove l’aveva morso il vento. Solo le labbra erano rimaste livide e incolori e America ricordava vagamente che la cosa gli era dispiaciuta un sacco e infatti si era avvicinato per dirglielo che gli dispiaceva che fossero così bianche, mentre tutto il resto portava i segni di un calore rosso e…

Clack.
Questa volta il suono sembra davvero quello di un proiettile tanto che persino America si stupisce della forza che ha messo nel proprio gesto.
Ecco, pensare a Russia lo fa arrabbiare peggio che trovarsi senza senape nell’hot-dog. E lui va matto per la senape, nell’hot-dog. Tanta, tanta senape. Senapa giallastra e sugosa, grondante da ogni lato…
-L’ho costruita io, Amerika. Dubiti della sua resistenza?-

Che maledetto sovietico pieno di sé, pensa America e le labbra si sollevano in un ghigno divertito.
Certo, perché Russia può tutto, no? Glielo aveva detto tante di quelle volte da fargli venire la nausea, anche se Russia gli faceva sempre venire la nausea. Ecco, diciamo che quando si metteva a fare i suoi proseliti, gli faceva venire ancora più nausea: gli passava persino la voglia di mangiarsi un hot-dog grondante di senape, pensa un po’.
Quello che diceva Russia era solo un garbuglio di parole appallottolate insieme a qualche frase fatta priva di senso e avvolte in carta di sproloqui di partito tutti spiegazzati. Spazzatura per piccole menti deviate e rimpicciolite in serie da quel suo regime rosso del cavolo.
Non aveva mai pensato che le parole di Russia potessero essere belle o degne di essere ascoltate. Quindi, tarlo, taci. Sei tenuto a tornartene nel tuo angolino rancido a catalogare quel putridume di ricordi di cui non sente il bisogno di riportare a galla. Non li vuole rivedere, ecco. Non vuole pensare di nuovo alle mani di Ivan che, seduto in un prato dal verde tanto intenso da essere incandescente, accarezzavano il dorso di un libro, alle dita –per una volta si era tolto i guanti- che andavano alle labbra, la lingua rosea che saettava dalla bocca schiusa e bagnavano il polpastrello, il braccio che si abbassava lentamente, gli occhi che si alzavano un istante a guardarlo, un accenno di un sorriso, e la pagina che veniva voltata col fruscio crocchiante degli alberi di sottofondo.
È un’immagine così vivida che l’afflusso di sangue improvviso dà il capogiro ad America –e se fosse solo alla faccia potrebbe anche chiuderla lì ed imputare la colpa alla digestione.
Perché diavolo quel giorno il corpo sembra essersi coalizzato contro di lui? È tutta colpa di quel maledetto cosacco.
Cioè.
Non tutto tutto. Dalla cintola in su. Perché se fosse anche dalla cintola in giù –le ginocchia che tremano, solo le ginocchia che tremano, soltanto le ginocchia che tremano- ad imputargli la colpa gli si darebbe pure una certa importanza a quel nasone.
Giammai.

Clack. Clack. Clack.
-Trattalo bene quell’accendino, Amerika- lo riprende la voce di Russia –Non vorrei che lo rompessi-
-E perché ti importerebbe tanto di questo accendino?- domanda America, inarcando un sopracciglio e scuotendo la testa.
Russia dall’altra parte non può vederlo, ma America ne è sicuro che il commie sa benissimo quale siano i suoi gesti, dalla minima ruga d’espressione alla più tenue sfumatura di emozione.
Solo perché, ovviamente, quel maledetto cosacco passa la sua intera esistenza a spiarlo e non ha un minimo di vita sociale.
Mica perché non c’era stata volta in Crimea che, girandosi, si era ritrovato con lo sguardo di Russia fisso addosso. E quando gli aveva chiesto cosa avesse da osservarlo in quel modo quanto mai…esplicito, Russia gli aveva risposto con tutto il candore della sua terra immonda e infinita: “I tuoi occhi sono il cielo che i fumi della guerra non avranno mai la forza di soffocare”.
Maledetto tarlo, non ti avevo detto di tacere? Dovevi catalogare i discorsi di Russia, non ricordare quanto fossero mostruosamente ridicole e melense le sue parole –e pateticamente belle.
-Perché te l’ho dato io, ricordi?-
Berlino, nella notte intessuta di quiete flaccida, con la luna suicida e le stelle che sbattevano pigre le ciglia filamentose. Non c’era più nessuna bandiera marrone a sventolare, solo il rosso della steppa lontana quanto il suo ideale; non un rumore se non i corpi enfi degli ufficiali tedeschi che cozzavano tra loro, così appesi a qualunque cosa avessero trovato per porre fine alla follia. Non un rumore, se non i lamenti di Germania sulla tomba del fratello, se non i pianti dell’Italia intera in un luogo non meglio precisato oltre l’orizzonte.
Russia era seduto a terra e aveva gli occhi rivolti al cielo, come voler negare il declino della terra; America l’aveva raggiunto e gli si era messo accanto, fissando i rimasugli di macerie che intasavano la strada divelta.
Erano rimasti così tanto in silenzio che America aveva sentito la voce fiaccarsi nella gola; allora, tanto per far qualcosa, aveva tirato fuori un pacchetto di sigarette, salvo scoprire che l’accendino gli era caduto chissà dove. Nell’esatto momento in cui si era girato per rimettersi in piedi si era trovato con la mano di Ivan sotto il mento e una fiammella ad accendere il tabacco. America aveva tirato il fumo e l’aveva soffiato via in un refolo grigiastro, per poi passare la sigaretta a Russia; questi l’aveva presa e se l’era portata alle labbra.
“Penso di odiarti” gli aveva detto America, senza guardarlo.
Russia non aveva risposto, si era limitato a piegare la testa sulla spalle e a fissarlo come se lo vedesse per la prima volta.
“Anche io penso di odiarti, Amerika” aveva risposto “Ma non so perché”
“Forse lo scopriremo”
“Forse”
C’era stato un po’ di silenzio, intervallato dal crepitare della sigaretta ancora accesa. Poi America si era girato e si era messo a cavalcioni su Russia, le mani strette alla sua gola; aveva cercato di serrare la presa, per vedere fin dove si potesse spingere quell’odio che sentiva ribollire all’altezza dello stomaco.
Russia l’aveva guardato di nuovo e aveva compiuto il medesimo gesto con la mano che non teneva la sigaretta; America aveva potuto sentire il sangue incrostato sui guanti scuri contro la pelle.
“Vuoi uccidermi, Amerika?”
Ah, bella domanda. America ci aveva dovuto pensare un po’ prima.
“No” aveva risposto alla fine, scivolando via dal bacino di Russia e sedendosi di nuovo accanto a lui “Non stasera”
Russia aveva accolto la cosa facendo spallucce e aveva intrecciate le dita alle sue; America non aveva opposto resistenza e si era lasciato scivolare con la testa contro la spalla del russo. Era stato strano rimanere così, come a cercare di forzare qualcosa mentre altri cercavano di forzare loro a non mantenerlo quel qualcosa.
“Vuoi fumarti un’altra sigaretta, Amerika?
“No. Non ho l’accendino”
“Prendi il mio, da
“Eh? E poi quando te lo ridò?”
“La prossima volta che ci vediamo”
“E allora te tieniti la sigaretta”
“Perché?”
“Così anche tu hai qualcosa da restituirmi la prossima volta che ci vediamo, no?”
-No- risponde secco America –Non lo ricordo affatto-

Clack. Clack. Clack.
Ora al suono dell’accendino si è aggiunto quello delle scarpe di America che battono sul selciato. Russia rimane zitto, il tarlo dichiara la sua sconfitta.
Dietro la schiena di America un grumo di solido cemento sovietico, arpionato alla terra. Sopra la testa, fumo grigiastro di una sigaretta ormai spenta, appeso al cielo berlinese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Finali

Sono tipo secoli che cerco di scrivere una RusAme che non mi risulti ributtante. Ma le parole non mi uscivano mai come volevano, anzi, mi sembravano un’accozzagli di segni buttati lì a caso.
Forse mi mancava l’ispirazione, forse avevo perso interesse verso questo OTP ed Hetalia, fatto sta che oggi nel leggere le fan fiction di
 ProcrastinatingPalindrome egregiamente tradotte da Cry Benihime (E, no, questo non è un messaggio sublimale. E’ un ordine: LEGGETELE), le parole sono tornate.
Come avete visto, è come un flusso di coscienza. Un intrico di sensazioni e ricordi negati. Di vecchie alleanze e nuovi odi.
Spero possa piacervi.  E spero che si capisca che il presente è ambientato davanti al Muro, ecco.
Il titolo è ripreso da un verso della canzone "The River" di Bruce Springsteen.
Grazie a tutti voi.
Ci vediamo su questi schermi!
*Collassa sul letto*

   
 
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