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Autore: LivingTheDream    10/04/2012    1 recensioni
"I treni sono crudeli.
Si portano via le storie come se ne avessero tutto il diritto, come se le avessero fatte loro."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'After all, I miss you anyway.'
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I treni sono crudeli.

Si portano via le storie come se ne avessero tutto il diritto, come se le avessero fatte loro.

Ti ritrovi dietro una fottuta linea gialla che sai bene di non dover attraversare, le mani in tasca ed una vetrata appena sfondata nella testa, solo che poi i pezzetti di vetro continuano ad esplodere per conto loro e ti sembra di non poter fare nemmeno un passo in alcuna direzione senza sentire l'ennesimo crack.

È proprio quello, un crack.

Rimani immobile mentre dallo stomaco parte qualcosa che inizia a mangiarti e ti taglia a metà, i tuoi occhi fissano il finestrino del vagone davanti a te, immobili proprio come il treno.

Sei divisa.

Spezzata a metà.

Tipo il vetro che hai in testa, solo che tu fai meno rumore.

Da una parte continui a vedere le porte aperte e le gambe fanno male dallo sforzo di non correre lì sopra, fermare tutti, tirare su quel passeggero e riportartelo a terra, abbracciartelo così che vada di nuovo tutto bene – aspetti solo che la voce metallica della stazione, quella che sembra sempre pre-registrata, dica proprio che quel treno non potrà partire mai mai più, e che i passeggeri devono scendere e tornare da chi li sta aspettando a terra, che è meglio.

Dall'altra parte lanci occhiate al capotreno.

Speri.

Ti ritrovi seriamente a sperare di sentire un fischio e di vedere il treno che si allontana, che se ne va, un taglio netto che fa male ma almeno è una speranza che non lascia spazio ad altre congetture strane.

E poi arriva.

Ti volti e non avevi nemmeno notato che le porte si erano chiuse.

Il fischio.

E il treno parte.

E le mani scivolano fuori dalle tasche, si sporgono in avanti, vorrebbero attaccarsi ai finestrini, agli ultimi secondi, ma sanno che non si può. Non adesso.

Le mani scivolano fuori dalle tasche, i ricordi scivolano fuori dalla testa, aiutano a sfondare tutte le vetrate, insieme con le carrozze ti passano davanti una risata, una canzone, carezze, un brivido ed una coperta, saliva e pelle, una domanda e la relativa riposta, ti passano davanti un bacio e due mani che si allontanano così lentamente da sembrare legate da un filo di cotone rosso che non va spezzato per nulla al mondo, ma poi un signore con un cappello troppo piccolo per la sua testa lo spinge e finisce tutto.

E ti ritrovi giù.

E ti ritrovi spalle ai binari vuoti.

E ti ritrovi a portare la tua storia a testa alta tra le storie della gente, solo che la tua piange e si strofina gli occhi e si rovina il trucco correndo via.

E ti ritrovi in macchina, le cuffie nelle orecchie ad annuire a discorsi inutili che tanto nemmeno stai ascoltando.

E ti ritrovi a casa.

Vuota.

La casa, ma un po' anche tu.

Ti ritrovi delle caramelle familiari in bocca, quelle che a condividerle diventano ancora più dolci, con un cuscino umido tra le braccia.

Ti ritrovi tra le mani la solita vecchia tastiera, amica e stronza.

L'unica cosa che non ritrovi è la sagoma che si alzava perché da quella parte era la stazione che ti stava tirando lontano, era la terra che si muoveva e scappava, ed era un'altra vetrata che si rompeva ed altri ricordi che scivolavano a terra, si rialzavano, correvano e cadevano, portati via da un treno che, ancora, non aveva il diritto di partire così velocemente.

 

 

 

 

 

 

Ma il punto sapete qual è?

Che si piange per le cose che non si hanno più, mica per quelle che non sono mai state nostre.

Uno ci prova, prima, quella cosa la vuole tanto, ma non si piange per davvero, se non l'abbiamo mai avuta.

Io non piangevo. Guardatemi ora.

Ma almeno piango felice. Non di gioia, ma felice.




Nda: a una persona, forse due, che aspettavano questa storia.




 

   
 
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