Carezza. Sciroppo. Esperimento.
La
coppia perfetta è uguale al corpo umano.
Una persona
è il cervello, l'altra il cuore.
Qualche
volta sono completamente opposti ma non potrebbero vivere l'uno senza
l'altro.
And
if I show you my dark side will you still me hold tonight?
And if I open my heart to you and show you my weak side
What would you do?
The
final cut – Pink Floyd
John Watson ancora non poteva credere che il suo migliore amico fosse
ritornato da lui dall’oltretomba.
Insomma, aveva espresso quel desiderio davanti alla sua tomba quando
non vedeva più nessuna via d’uscita e tutto
sembrava volerlo soffocare e renderlo debole, fragile, ma mai, mai si
sarebbe immaginato che potesse seriamente tornare da lui.
Eppure lo aveva fatto e la prova stava su quel divano, con tre cerotti
attaccati al braccio e gli occhi chiusi. Sembrava pregasse e si chiese,
in un momento di confusione, come sarebbe stato se Sherlock avesse
confidato tutti i suoi pensieri a John rendendolo partecipe del
tumultuoso chiasso che doveva esserci nel suo cervello.
« Sei tornato. » Sherlock aprì gli occhi
di scatto e lo guardò a lungo, le buste della spesa che
ancora ciondolavano dalle mani di John.
« Sta piovendo. » « Quale grande prova
dell’ovvio. » John alzò gli occhi al
cielo, sorridendo appena. La grande difficoltà del suo
recente ritorno era che non riusciva ad arrabbiarsi
minimamente con lui.
Certo, lo faceva ancora irritare da matti e alcune volte avrebbe voluto
sbatterlo al muro, ma c’era sempre quella
morbosità nello sguardo di John, quell’abbraccio
che non era avvenuto, quelle parole che non erano state pronunciate e
quei gesti che non erano mai stati compiuti da entrambe le parti. John
aveva sempre pensato che gli abbracci simboleggiassero la
ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno ed era questo quello
che aveva bisogno di sentire. Sherlock, vivo, intatto e sano nella sua
vita, di nuovo.
« Hai comprato il latte? » chiese Sherlock dal
salotto, mentre John posava i sacchetti fradici sul tavolo per smistare
la spesa. « Certo Sherlock, mi hai mandato messaggi per tutto
il tempo. » « La memoria umana è assai
minima per la gente comune, dovresti saperlo. Ti ho solo fatto una
gentilezza. »
Se lui definiva gentilezza tartassarlo di messaggi per tutto il
tragitto da Baker Street al supermercato e poi da lì fino
all’uscita da esso, solo per del misero latte in un
altrettanto banalissimo cartone, allora non c’era davvero
speranza per John Watson di vedere sviluppato in un qualche altro modo
il loro rapporto.
« Certo Sherlock, come potrei non definirla tale. »
Quando finì di sistemare la pasta nello scaffale di legno
che era riuscito a salvare tra la marea di bottigliette, fiale e altre
robacce di cui non voleva sapere provenienza e genere, si
preparò una tazza di the e ritornò
nell’altra stanza, appoggiando il bicchiere sul basso
tavolino per poter prendere il computer e sedersi sulla sua poltrona.
Quando rialzò lo sguardo la sua amata tazza era nelle mani
sbagliate.
« Ti sei dimenticato di mettere lo zucchero, John!
» John si impose di rimanere calmo e fece un grosso respiro,
in modo da non far uscire la risposta sarcastica e pungente che
risiedeva sulla punta della lingua.
« Sherlock, quello è il mio the. »
« Era, John, era il tuo the. » Continuò
a sorseggiarlo indisturbato, lo sguardo di ghiaccio che si perdeva
fuori dalla finestra e poi oltre.
« Sei…sei insopportabile, davvero. Avevo un
dannato bisogno di qualcosa di caldo con questa pioggia. »
« Sono cervello, John, ed il mio cervello aveva bisogno di
the. E’ un ragionamento semplice anche per te. »
John si chiese se a Sherlock piacesse dire il suo nome, visto che lo
ripeteva così tante volte. Non che a lui dispiacesse, il
tono con cui lo chiamava aveva avuto sempre il potere di affascinarlo,
come un canto di sirena. John aveva sempre immaginato, fin dal primo
incontro, Sherlock Holmes come un grande cervello che restava vigile e
sveglio ventiquattro ore su ventiquattro. Soltanto un cervello, una
macchina.
Eppure in quel momento, dopo tutto quello che era successo e,
pensò con un brivido, dopo tutto quello che sarebbe potuto
succedere, poteva davvero comprendere quanto il suo coinquilino potesse
essere cervello al cento per cento.
Sherlock era il cervello sinistro. Era uno scientifico, era un
matematico. Amava la consuetudine. Categorizzava, era accurato,
lineare, analitico e strategico. Era pratico e freddamente logico.
Amava il controllo, era padrone di parola e linguaggio, realistico.
Sherlock Holmes sapeva esattamente chi era e non aveva certo bisogno di
ulteriori incentivi per dare la prova della sua intelligenza.
Ma John era certo ormai che Sherlock non fosse solo quello. Era anche
cervello destro. Era creatività, spirito libero. Era
passione, desiderio, Sherlock era il suono ruggente di chi ride, era il
gusto. Era la sensazione della sabbia sotto al piede nudo,
così bella da dare i brividi. Era movimento, colori
brillanti. Era immaginazione senza limiti, arte, poesia, intuizione. Il
cervello destro era tutto quello che Sherlock Holmes avrebbe voluto
essere.* Ed era, forse, proprio di questa metà della quale
John si era preso una cotta vertiginosa. Quella sotto gli strati,
quella dentro al suo sguardo.
Quando John capì che Sherlock non avrebbe parlato per molto
tempo, si alzò e appoggiò il portatile al suo
posto.
Cullato dal silenzio rassicurante della casa, salì i gradini
che portavano al piano superiore ed entrò in camera sua. Si
tolse la camicia leggera e si mise il suo maglione preferito, quello a
righe bianche e nere, leggermente largo e confortevole.
Fatto quello ritornò giù, dove trovò
Sherlock perso dietro ad un libro di chimica che si era comprato pochi
giorni addietro. Alzò appena lo sguardo dalla pagina mentre
John riprendeva il possesso del computer.
« Devi uscire? » Disse Sherlock, dopo un attimo di
silenzio.
Probabilmente non era la serata ideale per aggiornare il suo blog ma la
giornata giusta per fare quattro chiacchiere con il suo coinquilino,
pensò John, stupito da quell’improvvisa voglia di
dialogare che compariva raramente in lui.
« No, affatto. Perché? » «
Quello è il maglione che indossi quando devi uscire con
qualche ragazza sulla quale vuoi far colpo. » «
Avevo semplicemente freddo. » « Mh, ok. »
John ci mise più tempo del previsto a distogliere lo sguardo
dalla figura di Sherlock o più precisamente dai suoi
capelli, leggermente più lunghi del normale. Avrebbe davvero
voluto riuscire a far colpo su Sherlock con la semplicità
con la quale ci riusciva con le ragazze. Un maglione rassicurante, un
paio di sorrisi, battute e carinerie. Ricordava ancora quando si
autoconvinceva di non essere gay e che non provava alcuna pulsione
verso il suo migliore amico.
Eppure c’erano stati
quegli sguardi troppo prolungati sulla sua camicia e la voglia di
baciarlo nei momenti meno opportuni. John Watson, nonostante non fosse
un genio, capiva perfettamente di essere troppo comune per
Sherlock Holmes. Un amico, niente più. Di certo non
all’altezza dell’espansiva Irene Adler.
John ritornò alla realtà, spostandosi tra un
aggiornamento e l’altro e leggendo l’ultimo
commento che aveva lasciato sua sorella Harry sotto un post di molti
mesi prima: "Non c'è nessuno a cui non sia concesso di amare
un'altra persona”. Lì per lì
l’aveva presa come una battuta di poco gusto
perché, diamine, non era affatto gay, ma poi ci aveva
riflettuto più del dovuto e si era incastrato con le sue
stesse mani.
« John, posso farti una domanda per puro scopo scientifico?
» John ritornò a dare attenzione a Sherlock,
nascosto nel buio che stava facendosi spazio fuori dalla finestra.
« Dimmi… » Le domande che Sherlock gli
poneva a beneficio della scienza era quanto di più
imbarazzante e allo stesso tempo fanciullesco John avesse avuto il
piacere –o la sfortuna, di sentire.
« Che definizione daresti al sentimento
dell’affetto? » Sherlock era dannatamente serio, le
mani intrecciate che sfioravano il naso e gli occhi fermi su John.
« Definizione? Non è una formula di fisica, non si
dà una definizione ai sentimenti. » Sherlock
storse la bocca, infastidito.
« Si ha una definizione per tutto. I sentimenti sono solo
effetti chimici del nostro organismo, quindi anch’essi devono
contenere logica e definizione. » John sbuffò,
spazientito dalla cocciutaggine dell’altro.
« Il voler bene non si compra, non si vende e non si impone
con la minaccia, non si può evitare…il voler bene
succede e basta. » « Mi è difficile
crederlo. »
« Perché tu sei un paradosso vivente, Sherlock.
Non riesci ad accettare che ci siano cose che non hanno alcun bisogno
di spiegazione, vanno vissute e basta. » Sembrò
ragionare attentamente sulle parole di John, o almeno così
sperò lui. L’unico desiderio che aveva dalla sua
ricomparsa era stato di poter fargli finalmente capire cosa provasse
lui. Ma John si trovava davanti ad un muro ogni volta e aveva una
maledetta paura di scavalcarlo. Quando tornò a scrivere sul
suo blog, John lasciò perdere tutti i suoi sentimenti e i
suoi pensieri confusi su Sherlock, preso in una minuziosa descrizione
su alcuni avvenimenti dei casi irrisolti.
John non si accorse nemmeno dello spostamento silenzioso di Sherlock
fino a quando non sentì la sua mano tra i capelli. Non
riusciva a capire più nulla, c’era solo quella
sensazione che sommergeva tutte le altre.
Sherlock Holmes, quel Sherlock Holmes, stava passando la propria mano
di sua spontanea volontà tra i capelli di John Watson.
Nel black out totale John si domandò come una semplice
carezza potesse fargli questo effetto e come sarebbe stato, allora,
essere baciato da lui.
La morte più dolce, probabilmente.
Come arrivò, però, quel momento sparì
molto presto, lasciando un senso di vuoto nello stomaco di John che lo
fece decidere a smuovere lo sguardo dallo schermo fino a incontrare la
schiena coperta dalla vestaglia blu di Sherlock. Era diviso a
metà tra la curiosità morbosa che aveva creato
quel gesto in un tipo come Sherlock e la paura di una sua risposta
brusca.
« Come mai questo… -si schiarì la gola,
quasi certo di voler interrompere lì quella domanda
inopportuna- gesto? » « Mi serve dello sciroppo.
»
Fu la sua risposta mentre spariva in cucina in un vortice di blu e
ricci.
Sciroppo.
John non riusciva ancora a capirlo dopo quasi due anni di convivenza e
vedeva remota la possibilità che un giorno potesse davvero
farcela in quell’impresa.
« S-sciroppo? Ti senti male? »
Urlò John, sentendo il suo animo da dottore prendere sempre
più spazio in lui.
« Non dire sciocchezze, John! E’ per un
esperimento! »
Carezza. Sciroppo. Esperimento.
John non riusciva più a capirci nulla.
« Un esperimento che riguarda me? » Chiese,
confuso, alzandosi dalla poltrona.
« John, seriamente, stai diventando paranoico. E’
per la scienza, un esperimento illuminante, assolutamente. »
Sherlock continuava a borbottare, entrando e uscendo dalla cucina e
sorridendo all’aria. Un pazzo sociopatico, ecco
cos’era.
« Sì, ma…Sherlock? Sherlock!
» John riuscì ad afferrargli il braccio nel suo
folle andirivieni. Sembrò solo in quel momento ricordarsi
della presenza di qualcun altro nella stanza. Quegli occhi
così azzurri e così vicini e quegli zigomi
così pronunciati,caspita dovrebbero essere illegali!,
tutto Sherlock lo aveva preso alla sprovvista, mandandolo completamente
alla deriva.
« Vorrei una spiegazione. » Disse John, cercando di
non imbarazzarsi in modo eccessivo. « Non
c’è tempo per le spiegazioni. Mi servono sciroppo
e caffè. Hai comprato il caffè? Ne ho bisogno.
»
John scosse la testa, cercando di frenare l’entusiasmo che
aveva pervaso Sherlock in maniera quasi comica.
« No, non su quello. Voglio una spiegazione su quello prima.
» Le sopracciglia corrugate di Sherlock fecero intendere a
John che non era arrivato al punto della situazione.
« Alla carezza, Sherlock. Sulla mia testa. »
« Oh, quello! » Quello.
John non sapeva se essere ferito, confuso o prenderlo a pugni. Decise
per un folgorante silenzio.
« Pensavo ti potesse far piacere. Insomma, non ci vuole un
cervello come il mio per arrivare ad una deduzione tanto banale.
» « Santo cielo, Sherlock, parla chiaro! »
Lo aveva baciato. Senza un perché, senza un come o un cosa.
Aveva lasciato un piccolo sbuffo e aveva posato le sue labbra su quelle
di John come se fosse la cosa più naturale del mondo. E lo
era, lo era davvero.
Un bacio a stampo, nulla di più, un bacio da bimbi che
valeva come un bacio da adulti e molto di più.
Perché era un bacio da Sherlock e John sapeva quanto questo
potesse valere. Quando Sherlock si staccò dalle sue labbra,
un tempo che John non era riuscito a contare, tornò con il
cipiglio da consulente investigativo strambo di sempre.
Incominciò ad aprire tutti gli armadietti fino a trovare il
caffè e trasportare decine di chicchi sul tavolo.
John era ancora immobile, la mano all’altezza del cuore,
appesa nell’aria come a catturare quell’attimo fino
a renderlo concreto.
Carezza. Sciroppo. Esperimento. Bacio.
« Sher…lock? » « Mh?
»
John sentiva l’emozione pulsargli nelle orecchie. «
Posso restare qui con te? » Sherlock sembrò
soppesare la domanda di John, forse comprendo il reale valore di quelle
parole. « Certo, puoi restare qui con me. » John
sorrise, sentendosi alle porte di un nuovo inizio. Con Sherlock,
insieme a Sherlock, appartenendo a Sherlock, in tutti i sensi in cui
una persona può sentirsi legata ad un’altra.
Carezza. Sciroppo. Esperimento. Bacio. Sherlock e John.
Io ti
regalerò ogni singolo risveglio la mattina
e poi lascerò i capelli scivolarmi fra le dita
ti regalerò ogni singola carezza quando è sera
ho imparato già ad amarti senza più riserva
alcuna.
Senza riserva
– Annalisa
Prompt usati: Caffè
– Sciroppo – Maglione – Alla deriva -
"Non c'è nessuno a cui non sia concesso di amare un'altra
persona".
*Frase tratta da una foto trovata su internet.