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Autore: CrissiJane    11/04/2012    5 recensioni
"Era come svegliarsi da un incubo durato troppi anni: la sanguinosa saga di Red John e dei suoi seguaci era finita, ma lei aveva paura anche solo a pensarlo, come se improvvisamente dovesse essere stata tutta un’illusione. Ma non lo era. Era davvero finita."
Una one-shot (tutta Jisbon) su quello che io ho immaginato essere il finale della serie.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Negli uffici del CBI era tutto un vociare confuso, sui volti felicità mista a stupore in un clima leggero e armonioso... sereno finalmente.
Teresa fingeva di ascoltare il fiume di parole di Bertram che si congratulava con lei, con il team e con quel piantagrane di Jane e blaterava di una promozione.
Era come svegliarsi da un incubo durato troppi anni: la sanguinosa saga di Red John e dei suoi seguaci era finita, ma lei aveva paura anche solo a pensarlo, come se improvvisamente dovesse essere stata tutta un’illusione. Ma non lo era. Era davvero finita.
Vedeva le facce serene e sorridenti di Rigsby, Van Pelt, Cho e c’era anche Summer, che era stata preziosa nelle ultime settimane di tensione, prima della risoluzione. Parlavano concitati, uno sull’altro, e sorridevano.
Jane dov’era?
Girò lo sguardo e lo vide prepararsi il suo solito the. Lui alzò lo sguardo, come se avesse sentito che lei lo stava osservando, allargò un sorriso e le fece segno di vittoria, con la mano. Lisbon ricambiò il sorriso, ma sentì lo stomaco chiudersi e una strana sensazione di disagio la sorprese. C’era qualcosa di stonato, fuori posto, ma non riusciva a focalizzare cosa. “Sarà la stanchezza”, pensò.
- Devo andare, ho una conferenza stampa, non posso certo far aspettare i media... mi stai ascoltando, Lisbon? - chiese Bertram - Domattina vi aspetto, tu e Jane, nel mio ufficio. Ho grandi progetti per voi!
- S-si capo... va bene, a domani.
Teresa raggiunse il resto della squadra, a cui si era unito anche Jane con la sua tazza in mano. “Tu e la tua tazza di the: alla fine dei conti è solo un’ulteriore pretesto per tenere a distanza le persone che ti stanno intorno, non è vero?” pensò.
Si parlava di terminare la giornata con la pizza di rito, ma fuori dagli uffici, lontano dai luoghi del lavoro. Teresa era stanca, ma questa volta non sarebbe mancata, l’evento andava festeggiato. Guardò di nuovo verso Jane  e ancora una volta sentì quella stretta allo stomaco e quella sensazione di disagio: lo conosceva ormai bene, anche se lui aveva fatto di tutto in quegli anni per nascondersi dietro la sua corazza, troppo bene per non accorgersi che non c’era felicità in lui quella sera. Non c’era serenità, non c’era speranza. Poteva ingannare tutti gli altri, ma non lei. Piantò il suo sguardo negli occhi di lui e ci vide ancora una volta ombre e malinconia: una sensazione di vuoto.
- No ragazzi, dovete scusarmi – disse a un tratto Jane interrompendo i progetti per la serata – ma io sono esausto. E’ come se non dormissi da... 9 anni (lo disse con un po’ di imbarazzo) devo assolutamente... dormire!”.
Ovviamente nessuno osò opporsi, era comprensibile la sua reazione, dopo tutti quegli anni di caccia finalmente aveva ottenuto la sua vendetta, anche se non proprio come se la sarebbe aspettata.
- Ci spiace, Jane, ma ti capiamo. Organizzeremo qualcosa di grandioso quando le acque si saranno calmate- disse Van Pelt.
- Intanto però andiamo...- sortì Rigsby.
- ...pensi davvero solo a mangiare? - lo canzonò Cho.
- Andiamo ragazzi... ho una fame da lupi - disse Summer, e si avviarono verso l’ascensore.
Lisbon rimase un attimo ferma a fissare Jane che si allontanava, col suo sopracciglio alzato, ma poi si mosse anche lei verso il team.
- Lisbon - disse Jane.
Lei si voltò.
- Grazie, Lisbon.
Teresa non disse nulla, ma sentì dentro di lei salire un turbinio di emozioni che quasi le sembrò di soffocare. A stento dovette trattenersi dall’urlare: cosa le stava succedendo?
- Ragazzi iniziate ad andare, mi sono dimenticata di fare una telefonata urgente... Arrivo subito!
- Ok boss. A dopo - l’ascensore si richiuse.
Jane intanto si era lasciato cadere sul solito divano, la tazza in mano, il braccio sulla fronte, gli occhi chiusi.
Teresa con passo deciso gli arrivò accanto e con il ginocchio gli diede un colpetto. Jane trasalì e si mise a sedere, era un po’ stranito, non si aspettava di trovarsela di fronte.
- Cosa c’è Lisbon? Non dovevi fare una telefon...
Non lo lasciò finire.
- Lo chiedo a te, che cosa c’è. Ancora ti tieni a distanza dalla squadra, dopo tutto quello che abbiamo passato... dopo tutto ciò che abbiamo fatto per te! - la voce le usciva strozzata e piena di rabbia.
- Ti stai sbagliando. Sono solo tremendamente stanco. E a quanto pare anche tu... Insomma che vuoi? Ti ho anche detto grazie! - si allungò all’indietro e chiuse di nuovo gli occhi.
- Te lo puoi anche riprendere il tuo “grazie”, per quello che vale!
Che cosa le stava succedendo? Le parole le uscivano dalla bocca quasi senza controllo. Avrebbe dovuto andarsene e lasciarlo lì, solo, come aveva già fatto tante altre volte, quando lui si chiudeva così in se stesso. La vecchia Lisbon lo avrebbe fatto. Si rese conto di quanto fosse cambiata. Ciò che si era tenuta dentro per tutto questo tempo stava venendo fuori tutto insieme, non sarebbe più riuscita a smettere finchè non si fosse tolta questo peso dallo stomaco.
- E non ti lascerò dormire. Adesso mi guardi... e mi ascolti - lo colpì sulla spalla.
Jane aprì gli occhi e la guardò. Teresa vide smarrimento nei suoi occhi: forse stava riuscendo finalmente a scuoterlo, a toccarlo nel profondo, lui, così irraggiungibile.
- Non è giusto quello che ci stai facendo: ci... mi allontani ancora una volta...! E’ possibile che nonostante sia tutto finito, tu non riesca ancora a... - la voce le si strozzò in gola –...a fidarti. Perchè non ti fidi di me?
Jane era davvero scosso: quella reazione lo aveva spiazzato.
- Lisbon, non è colpa tua, sono io. Io sono quello sbagliato, non tu. Non la squadra. Sono così, prendere o lasciare. Dovresti già conoscermi. - la voce era calma, ma il suo respiro accelerato.
- No, Jane. Ti ricordi quando abbiamo fatto il gioco della fiducia? Io mi sono lasciata andare. E da allora quante volte ho affidato alle tue mani e ai tuoi giochetti la mia carriera... la mia vita? E anche la squadra lo ha fatto tante volte. Ma tu no. Mai una volta sei uscito da quel tuo nascondiglio che ti sei costruito... palazzo della memoria? E’ una fortezza inespugnabile in cui non nascondi solo le informazioni, ma anche i tuoi sentimenti, le tue paure, la tua rabbia.
Lui finse quasi indifferenza e avvicinò la tazza di the alle labbra. Lisbon gliela strappò di mano e la lanciò contro il muro, mandandola in pezzi.
- Ehi, il mio the...
- Smettila di fare il buffone! – urlò. Ormai la sua esasperazione era incontenibile... come sarebbe andata a finire? -  E’ ora di smetterla di nasconderti...
- Io non mi nascondo... - Jane era diventato serio e la fissava.
- Tu ti nascondi: ti nascondi da una vita... da ancor prima di conoscere tua moglie...
Jane scattò in piedi a pochi centimetri da lei, quasi minaccioso, senza distogliere il suo sguardo.
- Tu... non puoi... - cercava di trattenersi, ma ormai lei poteva vederlo senza barriere. Era sconvolto, stava per cedere.
- Ti nascondi dietro la tua facciata di persona arrogante, supponente, self-made man... credi di bastare a te stesso, non hai bisogno di nessuno....
- No, ti stai sbagliando....
- Basta maschere, Jane. Dentro di te c’è ancora un bambino impaurito... il Magnifico Ragazzo Paranormale e ancora lì dentro che urla... non lo senti?
- Devi smetterla... subito, capito? - Jane urlò e le afferrò con forza la giacca, a due mani, minacciosamente – Stai zitta, Lisbon, non permetterti...
Lei si ammutolì per un istante, stupita della reazione che aveva provocato, ma poi continuò, con voce più tranquilla.
- Non lo senti urlare, dentro di te, Patrick, quel ragazzino che chiede solo di essere amato per quello che è: non un bambino prodigio, ma un normalissimo ragazzo come tutti gli altri... con le sue paure, i suoi fantasmi...
Silenzio. Solo il ritmico sussurro dei loro respiri. Lisbon si sentiva sollevata, più leggera. Jane invece respirava pesantemente a fatica. Le sue mani stringevano ancora la sua giacca.
- Non devi farmi questo...
Lisbon cercò di abbracciarlo, per tranquillizzarlo, ma lui si irrigidì.
- Non puoi farmi questo... fa troppo male - i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma le sue mani non riuscivano ad aprirsi, anzi, stringevano sempre di più come a voler trovare un appiglio per non lasciarsi trascinare via dalle emozioni travolgenti che lo stavano invadendo.
- Patrick, nessuno può vivere da solo.
Jane avvicinò lentamente il suo viso, ormai rigato dalle lacrime, al petto di Lisbon e iniziò a singhiozzare. Era un pianto che sgorgava dal profondo, da un luogo così recondito e nascosto che neppure lui sapeva più di avere.
Le forze gli mancarono ed entrambi caddero all’indietro, sul divano, ma lui non si staccò neanche un secondo da lei, continuò a piangere tutte le sue lacrime con la testa affondata nella sua camicetta, le mani strettamente afferrate alla sua giacca, mentre Lisbon gli aveva cinto le spalle con un braccio, e con la mano gli accarezzava i capelli con profonda tenerezza, quasi come farebbe una madre col proprio bambino.
Rimasero così per un tempo indefinito: minuti o forse ore, non avrebbero saputo dirlo. Finchè Jane lentamente mollò la presa, il suo respiro si fece più regolare e tranquillo, e si addormentò.
- Dormi. Finalmente sei libero – sussurrò Teresa – sapevo che ce l’avresti fatta.
Con delicatezza prese un cuscino e glielo pose sotto il capo facendo attenzione a non svegliarlo, si alzò in piedi, si stiracchiò. Si sentiva bene, come non le accadeva da anni. Sentì un leggero languorino... chissà se i ragazzi l’avevano aspettata, o se Rigsby aveva ingurgitato tutto ciò che era rimasto. Sorrise e si diresse verso il bagno per darsi una rinfrescata, non prima di aver ancora lanciato uno sguardo dolce e pieno di sentimento verso il suo “collega consulente”.
 
“Andiamo Teresa, lo stomaco reclama...”, pensò schiacciando il pulsante di chiamata dell’ascensore. Fu in quell’istante che si sentì afferrare la mano. Istintivamente si voltò di scatto, pronta a difendersi (poliziotto nel DNA) ma rimase bloccata, senza fiato, quando si trovò gli occhi di Jane puntati dritti nei suoi. Erano ancora arrossati dal pianto. Teresa non riusciva a respirare per via della sorpresa... o forse perchè lui era così vicino a lei, a pochi centimetri dal suo viso.
- Questo “grazie” è sincero.
Teresa si sentì venir meno e la stanza intorno a loro cominciò a girare vorticosamente. Vedeva solo più il suo viso, i suoi occhi così vicini, così sinceri. Sentì il suo cuore battere all’impazzata, o era il cuore di Patrick, o erano entrambi che battevano all’unisono, sempre più vicini, come le loro labbra, fino a sfiorarsi in un tenero bacio. Le sembrò di essere sospesa nel vuoto, ma lui la stringeva a sè e lei si abbandonò completamente al suo abbraccio, insieme dolce e forte. Non vedevano più nulla, gli occhi socchiusi, erano emozione pura: mai un tocco più delicato li aveva portati ad assaggiare così profondamente l’altro. Il mondo intorno a loro non esisteva più. Solo i loro cuori, le loro labbra, i loro respiri.
 
DLIN. L’ascensore era arrivato al piano, le porte si aprirono e le voci allegre della squadra ruppero improvvisamente l’incanto. Ma si ammutolirono subito e sui loro visi apparve un chiaro imbarazzo. Summer ruppe il ghiaccio:
- Vedo che anche qui c’è stata una festa! - disse maliziosa, e si avviò verso gli uffici.
- Noi... emh... pensavamo di portarvi qualcosina da man...gia...re - balbettò Van Pelt e seguì Summer senza neanche alzare lo sguardo.
- Pizza coi peperoni per te, capo - disse Rigsby fingendo di non essere imbarazzato. Cho non si scompose, ma seguì l’amico senza dire una parola, solo accennando un sorriso.
- Hai rotto la mia tazza - disse Jane guardando Teresa negli occhi.
- Beh – sorrise lei alzando le spalle - tanto con la pizza si beve la birra - e raggiunse il resto della squadra.
Patrick sorrise: i nostri peggiori nemici non sono fuori di noi, ma ce li portiamo dentro. Finchè non incontriamo qualcuno di speciale. Qualcuno che supera le nostre impenetrabili barriere e caccia via i fantasmi. Qualcuno che conosce il lato peggiore di noi. E che ci ama ugualmente.
   
 
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