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Autore: DebNightBlood    11/04/2012    0 recensioni
Claudia è una ragazza di venticinque anni, ha alle spalle una vita difficile, il divorzio dei suoi genitori quando aveva solo sei anni, il suicidio di sua madre un anno dopo, scappata di casa all'età di sedici anni, è stata costretta a vivere una vita triste, dura, senza l'appoggio di nessuno.
Finalmente dopo tante sofferenze trova una persona che la ama veramente, che fa di tutto per farla stare bene,Cristian.
Claudia crede di amarlo anche se è stata sempre incerta e titubante nell'esprimere le emozioni che provava....
Claudia si ritroverà ad affrontare il suo passato, i suoi sensi di colpa, i suoi scheletri nell'armadio, riaffonderà nell'oblio oscuro della sua anima, attraverso droga, sbando totale, sesso occasionale...
Riuscirà mai a ritrovare se stessa?...
Genere: Dark, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nessuna via d'uscita...


 

-Frammenti di speranze-



Era buio, stravaccata sul mio letto riflettevo, i miei pensieri girovagavano dietro un unico concetto un’ unica azione, che avevo fatto, che mi faceva stare in quel modo, ero stata io, da sempre la fautrice, succube delle mie azioni, succube di me stessa, continuavo a sfogliare pagine su pagine, rileggendo quel libro così consumato, il mio preferito, c’erano parole su cui riuscivo a soffermarmi spontaneamente, mi si raffiguravano nella mente, a caratteri cubitali, amore, vita, colpa, autocommiserazione, disprezzo, e cercavo di collegarli alla mia vita vedevo come in un film immagini, tempi, luoghi, stati d’animo, così da riuscir a rivivere tutto, tutti gli errori volontari che avevo fatto, le scelte sbagliate, i rimorsi, le persone che ero riuscita ad allontanare, le occasioni perdute; La mia vita mi scivolava davanti, si portava, si avvicinava a quel buco nero che prima o poi avrebbe distrutto tutto, era inevitabile e allo stesso tempo tutto scaturiva da me, ero stranamente consapevole di quell’autodistruzione eppure non trovavo ragione ne movente per fermarmi, per progettare la mia salvezza, per sentirmi finalmente sana, compatta, intera, ero spezzettata, ero stata ridotta in frammenti che fingevano di essere un unico oggetto, fingevo, mentivo, perché era più facile, perché sapevo che così non sarei stata costretta a scavare nel mio passato.
Una folata di vento che entrava dalla finestra mi riportò al presente, sentii brividi lungo il mio corpo, la maglietta che indossavo era troppo leggera, pensai, per quella fresca sera di primavera, mi alzai dal letto inciampando nella scarpa che mi ero sfilata un’ora prima per sdraiarmi sul letto con l’intento di riposarmi, imprecai a quell’ ipotetico dio che aveva avuto la brillante idea di mettermi al mondo, appoggiandomi con una mano alla persiana per non cadere, chiusi con forza la finestra e mi diressi in cucina, il mio appartamento non aveva nulla di speciale, anzi era insulso, spoglio, comune, non aveva niente in cui mi rispecchiassi o che mi facesse dire, “Finalmente a casa”, era un luogo come un altro in cui dormire e mangiare, non ero stata abituata e cresciuta con l’idea della “Casa dolce casa”, la mia famiglia era divisa, fallita, in affettiva, cruda e dannatamente reale, il riferimento Famiglia-Casa per me non era mai esistito, dopo il divorzio dei miei genitori quando avevo solo sei anni, il tragico suicidio di mia mamma un anno dopo non mi era rimasto molto, solo un’anziana nonna a cui far visita una volta al mese, ormai malata e morente, mio padre era in galera per spaccio di stupefacenti, no non credo che la mia fosse una famiglia "Normale", non aveva nulla di ordinario, dovevo lottare per sopravvivere, senza l’appoggio di nessuno e senza una profonda voglia di farlo.
Mi ritrovai seduta davanti a un fumante piatto pronto di spaghetti, non avevo molta fame come spesso mi capitava, una bottiglia di birra fresca da mezzo litro e la televisione accesa sul telegiornale, presi le posate e ingurgitai quella poltiglia di cibo che avevo a disposizione, sorseggiai la birra, sentii squillare il citofono, mi girai verso la porta, molto probabilmente doveva essere Cristian, mi alzai, poggiando la birra mezza vuota sul tavolo, dirigendomi verso la porta d’ingresso, guardai attraverso la fessura della porta, il mio volto cambiò espressione, si era proprio lui, la sua carnagione scura, i suoi occhi a mandorla verdi, il suo viso così famigliare, l’unica persona che volessi vedere, l’unico sorriso che mi facesse sorridere.
Aprii la porta velocemente, ritrovandomi con il suo viso di fronte al mio, mi prese in braccio, richiudendo con un calcio la porte dietro di se, il suo profumo, la sua voce mi facevano sentire al sicuro, mi portò fin al divano, appoggiandomi con dolcezza su di esso, ''So che non aspettavi ospiti questa sera, ma io non sono un’ospite vero?'' sorrise mettendo in risaltò la sua straordinaria bellezza, stava davanti a me, in piedi, mentre io lo guardavo attratta da lui, da quello che per me rappresentava,''No, in verità aspettavo il mio ragazzo, ma comunque tu vai bene'' gli feci l’occhiolino e risi ironicamente, il ragazzo si diresse in cucina con passo svelto, buttando gli spaghetti che non avevo finito e la birra nella spazzatura, tornò da me e si sedette accanto sul divano, mi guardò e mi strinse a se ''Ho affittato un film, Moulin Rouge, drammatico e romantico, bhe dovrebbe tirarti un po’ su''Sdrammatizzò e mi bacio, si alzò dal divano e inserì il dvd nel videoregistratore, alzo il volume della tv e si risedette vicino a me, il film iniziò e io non riuscivo a staccarne gli occhi dalla straordinaria bellezza degli attori delle scenografie, non amavo il musical, non l’avevo mai amato, ma quella storia che mi si raffigurava davanti, quel dolore costante e quell’impossibilità di poter vivere l’amore vero mi fecero sentire partecipe, il dolore della mia esistenza si mescolava con quello dei personaggi, una frase mi colpì, scaturì in me qualcosa''Perché vivere di sogno in sogno, temendo il giorno in cui i sogni finiranno?'' Non avevo mai vissuto un sogno, mai, piuttosto un incubo da cui risvegliarmi, ma da cui non mi ero mai risvegliata, ora guardando il mio amore, affianco a me, che mi stringeva a se mi chiedevo: perché avevo tutta quella paura che l’unico sogno che stavo vivendo, l’unica persona che mi faceva stare bene e che mi riusciva a capire potesse lasciarmi? , perché non riuscivo mai a vivere completamente e pienamente le emozioni con lui?, perché non gli riuscivo mai a dimostrargli quello che sentivo?, perché non riuscivo a dirgli semplicemente ti amo?; tutto questo, la morte della ragazza protagonista,Satine, provocò una reazione in me e mi fece pensare,  e se morissi ora e lui non sapesse che lo amo, che non posso fare a meno di lui, che non vivrei senza?; lo guardai e lui distolse lo sguardo dal film ormai concluso, mi avvicinai al suo viso baciandolo ''Io credo di amarti'', mi morsi il labbro, credo, quella dannata insicurezza sentimentale che mi aveva da sempre accompagnato nella mia vita, si ripresentò, guardai in basso distogliendo lo sguardo dal suo, mi alzò il viso con la mano, i suoi occhi luccicavano ed esprimevano dolcezza ''Non ho bisogno delle tue parole, mi bastano i tuoi occhi, lì vedo tutto, vedo quello che sei, quello che provi'' mi bacio appassionatamente, poi mi prese in braccio e mi porto in camera da  letto, si sdraiò vicino a me e mi tenne tra le braccia fino a quando non mi addormentai.

Nubi, nebbia, non vedevo niente solo un mano in lontananza ''Avvicinati Claudia, avvicinati'' una strana voce, limpida bassa, mi chiamava, la sensazione di leggerezza che provava mi faceva stare bene, una forza che non potevo controllare, mi avvicinava a quella voce, ora era più chiara, la sentivo e la riconoscevo, era la voce della protagonista di Moulin Rouge, Satine, all’improvviso, ormai quando stavo quasi per prenderle la mano, la nebbia scompari e mi ritrovai vicino ad una sporgenza rocciosa, poco più lontano sul bordo c’era Satine che mi guardava, triste, cupa ''Aiutami Claudia'' sussurrò, le scese una lacrima, la nebbia tornò, nessun rumore, solo nebbia, all’improvvisò scompari di nuovo, la figura sul bordo del precipizio, non era più Satine, mi avvicinai cercando di capire chi fosse, era mia madre, mi guardava, era lei, triste come la ricordavo, con le lacrime agli occhi, mi porse la mano cercando di prendere la mia,avrei voluto abbracciarla, farle delle domanda, mi avvicinai sempre più a lei per prenderla, ma si buttò all’indietro, senza urlare, senza dirmi una parola, solo una sua lacrima mi scese sulla mano, mi sporsi dal burrone, dovevo aiutarla, dovevo salvarla, perché non ci ero riuscita, era tutta colpa mia, ero stata io ad ucciderla, lei si era sposata solo ed esclusivamente perché era incinta di me, non era felice della sua vita, di niente, la nebbia tornò e le mie urla riempirono quel silenzio.
 
  
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