Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Hikari93    11/04/2012    15 recensioni
ATTENZIONE: Oneshot lunghetta, di circa 10000 parole. A vostro rischio e pericolo! x°D
E se Sasuke, giovane anbu di sedici anni, fosse incaricato di occuparsi del piccolo Naruto Uzumaki che combina solo guai?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Your dream is my dream

 

 
 
 

Immerso nel buio della sua solitudine, all’ombra di un demone che non sapeva di ospitare dentro di sé, Naruto Uzumaki piangeva al centro della minuscola cucina del suo appartamento, singhiozzando forte e strusciando con violenza e disperazione il braccio sul viso bagnato e sporco. Non lo avrebbe mai fatto davanti agli altri, perché era forte, necessitava di sentirsi tale davanti a quegli stessi altri che lo guardavano con un odio tale negli occhi da indurlo ad aver paura di se stesso, a disprezzarsi per una colpa che ignorava, ma che, sapeva, esisteva veramente.
Deve essere così, altrimenti perché…?
Si era sentito chiamare con l’appellativo di mostro più di una volta, a tal punto da aver prima accantonato, poi disintegrato addirittura l’idea di esserselo soltanto immaginato. Aveva visto porte sbattere violentemente, timorose, al suo passaggio, e occhi terrorizzati che, dal buio degli angoli più lontani – o erano vicini, in realtà? Quanto distavano da lui? Aveva perso il senso della misura – lo seguivano finché non si allontanava abbastanza. Lo avrebbero perforato e distrutto, quegli occhi senza anima, se avessero potuto colpirlo con frecce fatte di maledizioni – perché avvicinarsi era troppo… troppo come? Pericoloso? Ma perché? Perché? –, Naruto ne era certo.
Aveva ancora l’odore della pittura fresca addosso, quella che usava per imbrattare tutto quello che gli capitava a tiro, così per fare uno screzio ai grandi. Penetrava fin dentro al naso, nelle narici, poi nel cervello, gli ricordava che era diverso, solo, e che niente avrebbe potuto cambiare la situazione. Aveva le grida di rimprovero di quelli là nelle orecchie, nella testa, le sentiva persino quando tentava di addormentarsi. E spesso piangeva, spesso non era lui a volersi addormentare, ma erano le palpebre a non volersi riaprire più, tenute immobili dalle lacrime appiccicose. Erano gli occhi – rossi – che dolevano come se avessero il fuoco ardente al loro interno, che non volevano più vedersi intorno, che si rifiutavano di aprirsi. Perché faceva troppo male, erano gonfi e Naruto si accorse che bruciavano quasi quanto il suo petto.

 

E, intanto, con il senso di morte che gli aleggiava intorno come unico angelo custode, Naruto continuava a domandarsi perché. A risponderlo, soltanto il nulla, perché non c’erano parole umane per lui, né di conforto né di annientamento, ma solo il frastuono silenzioso delle lacrime che disegnavano cerchietti sul pavimento.
 
 
 

   *   *   *
    

 
 

Sasuke Uchiha era stato convocato per una missione. Non sapeva di che cosa si trattasse, ma da quanto gli avevano riferito doveva essere importante. Camminò piano fino a raggiungere l’ufficio dell’Hokage, posseduto da una calma innaturale: non era mai agitato prima di ricevere un compito specifico, sapeva che l’ansia avrebbe solo potuto depistarlo e condurlo al fallimento. Si era allenato molto per raggiungere quel livello di pace interiore.
Bussò più per rispetto della solita routine che per altro, ed entrò che il Sandaime Hokage ancora pronunciava il classico “avanti”.
“Mi avete fatto chiamare, Hokage?” domandò.
Altra formalità: era ovvio che se si trovava lì era per un ordine, non certo per sua spontanea volontà o voglia estrema di servire il paese in ogni momento della sua vita, senza pause.
Il vecchio annuì, grave, a Sasuke parve quantomeno preoccupato.
“Naruto Uzumaki” disse soltanto, e Sasuke capì subito di chi trattava.
Come non conoscerlo…
“E’ il ragazzino della Volpe” osservò.
“Esatto. Sasuke, quello che ti chiedo è di tenerlo d’occhio, di fargli compagnia, se ti è possibile, di stargli accanto per un po’ di tempo.” Sospirò, un unico sospiro che emetteva tutta la sua stanchezza e la sua frustrazione. “Gli abitanti del villaggio lo temono, si lamentano di lui in continuazione, non sanno da chi pretendere il risarcimento dei danni. Naruto è un combinaguai, ma non lo fa con cattive intenzioni…”
“Perché proprio io?” domandò Sasuke, atono. Che cosa potrebbe importarmene?
Non era solito discutere le missioni, ma le accettava tutte senza porsi troppi problemi, perché ognuna gli permetteva di mettersi alla prova. Ma non era di alcuna utilità, per lui, quell’incarico. Senza contare che si sentiva la persona meno indicata, visto il suo carattere chiuso. Come avrebbe potuto interagire con un bambino? Naturalmente, non espresse quelle sue perplessità a voce.
L’Hokage lo guardò fisso, con attenzione. “Se ci pensi, sono sicuro che dentro di sé lo sai.”
Che razza di risposta era quella? Che diavolo avrebbe dovuto sapere? Tutte cretinate…
“Non mi interessa il perchè” concluse allora, pacato. “Se questa è la mia missione, che sia.”
“Comincerai da domattina, se ti può andar bene.”
Sasuke, dopo essersi esibito in un lieve cenno di rispetto, una sottospecie di inchino, si voltò, aveva già sentito troppe chiacchiere. Uscì fuori velocemente, il cuore a mille e tanto caldo, bollore, si sentiva bruciare vivo.
Sapeva che Naruto si sentiva esattamente come si era sentito lui.
 
L’indomani mattina, Sasuke venne salutato da un cielo coperto di nubi e da una pioggerella fitta, che bastarono per definire la giornata pessima, o perlomeno cominciata alla peggio.
Fece in fretta a cambiarsi. Non si premurò di adeguarsi al luogo e ai parametri della sua missione: era pur sempre un compito ufficiale, che aveva ricevuto dall’Hokage in persona, perciò la divisa da Anbu che indossava in quelle occasioni andava più che bene. Al massimo, avrebbe evitato di mettersi quella maschera che nemmeno gli piaceva troppo.
Perse pochi secondi a guardarsi allo specchio: non aveva una bella cera. Il suo viso parlava da sé e per sé. Non dormiva bene da qualche tempo a quella parte, da quando erano ricominciati gli incubi collegati al massacro del suo Clan, all’uccisione della sua famiglia davanti ai suoi occhi da bambino terrorizzato, marmocchio che aveva preferito rimanere nascosto nell’ombra fino all’arrivo dei soccorsi, anziché uscire allo scoperto. Aveva rivisto tutto, da sua madre passata da parte a parte da quella spada che ancora era intrisa del sangue di suo padre, steso lì  a terra, morto, agli occhi vacui e vuoti di Itachi, il suo adorato nii-san, che era sì scampato allo sterminio, ma solamente per lasciarlo da solo, inerme, qualche mese dopo a causa di una malattia senza cura.
Stupidamente, Sasuke si domandò se mai fosse stato più coraggioso, se avesse avuto soltanto le basi per definirsi un vero ninja e un vero figlio, se i suoi genitori sarebbero stati ancora vivi, in quel momento.
D’istinto, tirò un violento pugno al muro che gli fece provare dolore fin sopra alla spalla, tanto fu violento l’impatto. Si sarebbe vendicato. Quei bastardi dell’Akatsuki che  gli avevano eliminato un’esistenza soltanto perché volevano il suo nii-san tra loro non l’avrebbero passata liscia. Sasuke si era allenato per raggiungere quello scopo, e ancora continuava a farlo senza sosta. Per quel motivo perdere tempo con un bamboccio gli sembrava la più grande cazzata che potesse fare. Ma era pur sempre una missione, si ripeteva, e stava a lui il compito di farla fruttare a dovere.
Si sciacquò la faccia, sperando che l’acqua fredda cancellasse il ricordo cruento del suo passato e lo aiutasse a vivere meglio almeno il tempo di un respiro profondo. Invece, avvertì soltanto il gelo nelle ossa e una forte smania di uccidere quei bastardi.
Strinse i denti e, preparatosi, si avviò verso casa di Naruto Uzumaki, sentendo il ticchettio violento delle gocce giganti di pioggia che piombavano come shuriken sull’ombrello.
Desiderava annullarsi nel suo desiderio di vendetta, non voleva pensare.
 
 
 

 

*   *   *
 
 
 

 

Naruto spalancò i grandi occhioni azzurri e tempestosi e velocemente si nascose dietro l’anta della porta. La mano attaccata alla maniglia, all’interno, nascosta, tremava. Che fosse per l’emozione di vedere qualcuno alla soglia di casa sua che non fosse il Sandaime Hokage o per la paura che quel tizio dagli occhi oscuri potesse fargli del male non lo sapeva. Lo osservò meglio, li osservò meglio, li studiò in una frazione di secondo, e si rese conto che erano diversi dagli altri, nascondevano altro.
“Che vuoi?” chiese subito, visto che quello non accennava a dir nulla.
“Mi è stata affidata una missione, devo tenerti d’occhio” rispose l’altro, non curandosi di essere stato un po’ troppo diretto. “Mi hanno detto che combini soltanto casini, per questo mi è stato ordinato di sorvegliarti.” Le parole erano pesanti, uscivano a fatica. Naruto capì che quello doveva odiare parlare.
“Non ti voglio in casa mia!”
Bugia, bugia grossa quanto la solitudine che sentiva dentro. Una menzogna che sperò venisse colta. E allora perché l’aveva detta? E che gli importava! La sua vita era piena zeppa di perché, tanto da far schifo. Uno in più che poteva cambiargli?
Il ragazzo lo guardò con sguardo severo. “Nemmeno io sono ent-”
“I tuoi occhi sono diversi dagli altri” osservò Naruto, fissandolo intensamente. “Non hai paura di me.”
Ma era veramente la paura a tener lontano da lui chiunque? Naruto non lo aveva ancora capito.
“Perché dovrei?”
Già, perché?
“Non mi odi come tutti gli altri?”
Il giovane anbu si abbassò sulle ginocchia, tanto da poterlo guardare direttamente negli occhi. A fatica, vincendo se stesso, alzò la mano e gli accarezzò i capelli, arruffandoglieli. Ma non parve esservi dolcezza in quella mossa, ma quasi compassione. “L’odio è un sentimento forte, non tutti ne capiscono il vero significato e lo riversano contro gli altri senza un reale motivo.” Naruto percepì, tra lo stupore che quel gesto gli stava facendo provare, un tremolio, ma qualcosa gli suggeriva che non si trattava di paura. “Comunque” continuò l’anbu, alzandosi “se non mi vuoi in casa non posso obbligarti, è pur sempre un tuo spazio. Ne parlerò al Sandaime e se ne occuperà lui.”
Naruto sentì gli occhi inumidirsi, una paura sconcertante impadronirsi di lui. Non voleva stare di nuovo da solo. A rallentatore, come se la sabbia del tempo non riuscisse più a scorrere fluidamente nella sua clessidra, il bambino vide il giovane anbu voltarsi e cominciare a muovere quei passi che l’avrebbero separato da lui.
Un passo, due passi, tre passi…
Aprì la bocca per parlare, ma non lo fece. Allungò il braccio minuto verso la schiena sempre più lontana – eppure… eppure aveva mosso pochi passi, perché era già così lontana la sua schiena? Lo sembrava o lo era? – ma afferrò soltanto l’aria umida. Infine corse. Non rifletté un secondo di più e corse sotto la pioggia che ancora non aveva smesso di cadere giù, bagnandosi tutto, rischiando persino di inciampare.
Eppure, la distanza era poca, perché a lui sembrava incolmabile?
Lo abbracciò alle spalle, tuffando la testa nella sua schiena. Stava piangendo, e non se ne era neanche accorto.
“Resteresti?” domandò dopo un po’, mordendosi le labbra per non singhiozzare.
Lui era forte, se non lo dimostrava prima agli altri, come avrebbe potuto convincere se stesso?
“Entriamo, ti stai bagnando tutto.”
 
 

 

 
*   *   *
 
 
 

 

Appena entrarono, il bambino corse via, scomparendo dietro una porta.
Sasuke si guardò intorno, e non rimase stupito dal disordine che trovò in quell’appartamento. Cartacce a terra in ogni angolo, scatolette di cibo che avevano seguito lo stesso destino, uno strano cappellino da notte gettato malamente sul letto ancora disfatto sebbene fossero quasi le undici.
Il bambino tornò poco dopo con un asciugamano non troppo pulito in testa. Lo teneva basso, così che il volto potesse essere coperto da eventuali sguardi. Era una specie di schermo, pensò Sasuke, una protezione, non voleva mostrare che aveva pianto.
“Stavi ancora dormendo?” domandò Sasuke.
Naruto, che gli aveva dato le spalle, mosse il capo in segno di diniego. “Non mi serve rifare il letto, visto che di sera devo tornare a disfarlo tutto” spiegò. “In giro ho sentito dire che bisogna far trovare tutto in ordine nel caso venga a trovarti qualcuno.” Fece spallucce. “Tanto questo problema io non ce l’ho.”
“Non è del tutto vero, sono venuto io, Naruto.”
Il ragazzino si voltò, sorpreso, lasciando che l’asciugamano scivolasse a terra, sulla polvere. Un sorriso stava per aprirglisi sul viso, ma venne stroncato sul nascere. “Ma sei qui soltanto per una missione, l’hai detto tu stesso, prima.”
“Non importa il perché, ci sono e basta.”
Già, ancora. Non importava il perché, non importava mai.
“Come ti chiami? Tu conosci il mio nome, io il tuo non lo so” disse Naruto.
“Mi chiamo Sasuke” rispose. Subito, però, volle distogliere l’attenzione da sé, non gli piaceva parlarne. “Tra poco, Naruto, comincerai l’Accademia. Sei entusiasta?”
Non c’era vera curiosità nel suo tono.
Il bambino parve rifletterci, quasi non sapesse se la risposta fosse sì o no.  
“Non lo so! Si studia molto?” chiese titubante.
“Abbastanza. Bisogna farlo, se vuoi diventare un vero ninja.”
Gli occhi di Naruto ritrovarono il loro colore splendente. “Tsk, io sarò un vero ninja, diventerò Hokage un giorno! Sostituirò il vecchio e sarò rispettato da tutti!”
Ci credeva veramente in quello che stava dicendo, a Sasuke fu subito chiaro. Rivedeva la sua stessa determinazione, la stessa frenesia e voglia di agire che si scatenava in lui quando ripensava alla sua vendetta.
“Non sarà semplice, lo sai?” domandò.
Naruto si passò il dito sotto al naso, convinto. “Odio le cose semplici, non hanno lo stesso sapore di quelle conquistate col sudore della fronte! E tu, Sasuke, hai un obiettivo?”
“No, niente di particolare fuorché sopravvivere” rispose enigmatico, sperando, di nuovo, di sviare l’attenzione da sé. Non poteva né voleva parlargli della sua vendetta. Quel bambino… Sasuke lo aveva capito non appena i loro occhi si erano incrociati, fuori, che quel bambino non era frivolo come tutti pensavano e come lui stesso si mostrava. Doveva pensare molto e in continuazione. Nascondeva la sua maturità forzata sotto uno strato fittissimo fatto di scherzi e dispetti.
“Sasuke, non preoccuparti. Te lo troverò io uno scopo!” gli disse, allegro,  ridendo.
E qualcosa suggerì al giovane anbu che quel ragazzino non stava affatto scherzando.
 
Mangiarono ramen a mezzogiorno.
A Sasuke non piaceva più di tanto ma neanche lo disgustava, un po’ come per altri cibi esclusi i pomodori. Naruto non lo aveva effettivamente proposto, ma aveva guardato fuori dalla finestra e, sospirando, aveva commentato molto silenziosamente: “Oggi avrei voluto mangiare ramen, ma piove troppo per andare a comprarlo.” Poi aveva abbassato ancora di più la voce, ma Sasuke avrebbe potuto giurare di avergli sentito dire “ombrello”.
Ed era stato così che si era offerto volontario per andarlo a comprare, più per desiderio di ritagliarsi un suo spazio che per altro – non era troppo male la compagnia di Naruto, ma, anche se avevano trascorso soltanto poco più di un’ora insieme, Sasuke sentiva la necessità di stare da solo almeno un po’, lontano da quegli occhi che lo scrutavano in continuazione.
E non erano solo quelli a indagare: Naruto aveva cominciato a parlare a raffica, una volta sciolto in ghiaccio, anche dopo aver mangiato. Gli poneva tantissime domande, voleva sapere di lui, dell’Accademia, di moltissime cose.
“Hai fratelli?” gli chiese più tardi, verso sera, una curiosità come un’altra, un’ennesima richiesta a cui Naruto si attendeva una risposta evasiva, com’era stato fino a quel momento.
Sasuke cercò di controllarsi, ci provò con tutto se stesso. Strinse il pugno, serrò i denti, si ricordò di trovarsi davanti a un bambino senza colpa, che non sapeva nulla. Sbatté il pugno sul tavolo, quello non riuscì a evitarlo.
“Si è fatto tardi, ci vediamo domani” lo salutò veloce, e andò via.
 
 
 

 

*   *   *
 
 
 

 

“Che cosa ho fatto di sbagliato?” si disse.
La voce sbatté contro le pareti, rimbombò tutt’intorno. Per Naruto pensare non era troppo diverso dal parlare, visto che mai nessuno avrebbe potuto ascoltare ciò che si confidava.
Sbuffò, si lasciò cadere sul letto – che Sasuke aveva insistito per rifare… aveva detto che le cose non andavano fatte per gli altri, ma per se stessi. Affondò la testa nelle coperte.
“Naruto, ma perché non tieni mai la tua boccaccia chiusa?” Agguantò un lembo del lenzuolo tra i denti. “Anche se non era il caso di prendersela per così poco, gli ho chiesto solo se ha dei fratelli” biascicò. “Uffa, certo che il vecchiaccio avrebbe potuto mandarmi qualcuno di più socievole, invece di uno silenzioso e scontroso come Sasuke!”
Affondò di nuovo la testa tra le coperte, stavolta nascondendo un sorriso. In realtà Sasuke gli andava benissimo, perché sapeva ascoltarlo, lo lasciava parlare quanto desiderava, e anche se per la maggior parte delle volte – se non sempre – aveva lo sguardo fisso da tutt’altra parte, Naruto sapeva che non perdeva una parola di quella fiumana che gli usciva di bocca. E, soprattutto, Sasuke sembrava capirlo. Non era come gli altri. Per quello, Naruto sperava che non si fosse offeso troppo e che fosse ritornato il giorno seguente.
Sapere di non essere più solo gli metteva una tale allegria addosso da farlo agitare tutto e da togliergli persino il sonno. Ma doveva dormire, perché solo così il tempo sarebbe trascorso alla svelta, e lui avrebbe, quindi, potuto rivedere Sasuke.
“Inoltre, non può non tornare più, gli ho promesso che gli avrei trovato un obiettivo!”
Anche se Naruto ne aveva già uno pronto, uno che non avrebbe mai confessato all’anbu, perché lo riteneva troppo stupido.
 
Sasuke tornò l’indomani mattina e lo fece anche i giorni successivi. Non si scusò mai con Naruto per la semplicità con chi era uscito fuori, dileguandosi, dopo quel pugno sbattuto sul tavolo che, per un istante, aveva messo paura al ragazzino, né mutò quel lato incomprensibile del suo carattere, che lo rendeva, però, ancora più affascinante.
Era trascorsa già una settimana dal loro primo incontro, e Naruto aveva capito che Sasuke lo affascinava. Era intrigante, faceva di tutto per non farsi capire, riusciva a sviarlo con qualche frase apparentemente buttata lì a caso, ma che poi conduceva il discorso da tutt’altra parte.
Quel giorno si trovavano in camera, Naruto era steso a pancia in giù sul letto, il mento poggiato completamente sulle mani strette in due pugni. I piedi, dietro, sventolavano, muovendo l’aria.
“Sasuke” lagnò, con quel tono a cantilena che solo i bambini sapevano fare alla perfezione “perché non parli anche un po’ di te?”
“No, preferisco ascoltarti. Mi piace.”
Naruto arricciò il labbro e aggrottò le sopracciglia. “A chi credi di farla, eh? E’ una bugia grossa quanto una casa! E che fai quando non sei in missione?” domandò allora.
“Sono costantemente in missione, visto che sono con te, non credi?”
Il ragazzino si rabbui, ma durò soltanto un istante. Avrebbe voluto domandargli se lo faceva soltanto per la missione, se gli voleva bene anche soltanto un poco, ma non ne aveva il coraggio. Per cui, lasciò cadere il discorso, premurandosi di riportarlo a galla, prima o poi.
“Sasuke, è difficile essere anbu?”
“Ogni cosa è difficile, se la si prende con troppa leggerezza. Non è essere anbu che è complicato, ma lo è sapersi adattare a tale posizione. Alla fine, i gradi ninja sono molto più importanti di quello che sembrano. Dimmi, preferiresti essere un genin o un jonin?”
Sasuke gli aveva parlato, una volta, dei gradi ninja, e quindi ora Naruto non dovette neanche pensarci per rispondere. “Jonin, ovviamente. Ricorda: io voglio diventare Hokage!”
L’anbu ghignò, come se se la fosse aspettata, quella risposta. “E’ vero che le missioni vengono assegnate in base alle proprie abilità, ma se fallisci una missione come genin, il massimo che puoi ricevere è una bella strigliata, o qualche graffio, un taglio più o meno profondo. Un jonin, come un anbu, rischia la vita continuamente. Il fallimento non è tollerato, potrebbe causare dei problemi ben più gravi persino della sua morte. La missione non è uno scherzo, Naruto, e nemmeno essere Hokage lo è. Si muore, si rischia in continuazione, anche e soprattutto quando meno se lo si aspetta. L’Hokage, inoltre, è il primo a dover intervenire. Sulle sue spalle grava la vita di tutti gli abitanti del villaggio, abitanti che vanno protetti. E tu sei pronto a rischiare tanto per una stupida fantasia? Sei pronto a proteggere loro?”
Naruto aveva ascoltato con sempre maggiore attenzione il discorso fattogli da Sasuke. A ogni parola, aveva sentito qualcosa agitarsi nello stomaco, pesare, intorpidirlo. Sarebbe riuscito a proteggere coloro che lo destinavano a una vita di solitudine e sofferenza? Non riuscì più a sostenere gli occhi di Sasuke addosso e abbassò la testa, finendo per osservare le coperte stropicciate. I piedi non dondolavano più.
“E’ il mio sogno, Sasuke” mormorò dopo un po’. “Se mi nego anche questo, non avrò più di che vivere. E allora che differenza ci sarebbe nel rischiare di morire ogni giorno ed essere già morto dentro?” Con un colpo di schiena si mise a sedere sulle ginocchia. “Forse è vero che non capace di voler loro bene, ma dovrò imparare, perché ne varrà della mia vita! Io diventerò Hokage, te lo giuro!”
Sasuke ghignò di nuovo, ma stavolta non con presunzione, come aveva fatto prima. Non si era sbagliato. Quel moccioso era davvero una testa dura, e nemmeno la morte lo spaventava, non riusciva ad allontanarlo nemmeno di un passo dai suoi obiettivi.
Tutto sommato, Sasuke si era sbagliato: non era un bamboccio qualunque, e forse forse avrebbe anche potuto imparare qualcosa da lui. Magari non le arti ninja, anzi, quelle no di certo, e nemmeno avrebbe potuto perfezionare qualche sua tecnica, però, e lo sentiva, tutta quella storia, nata un po’ per caso, alla fine lo avrebbe condotto a un traguardo ben delineato.
Si alzò dal davanzale della finestra su cui si era accomodato. “Ebbene, Naruto, vuoi diventare Hokage? Vediamo un po’ come te la cavi contro di me.”
“Che cosa?” chiese sbalordito.
“Il nostro futuro Hokage rifiuta la sua prima sfida ufficiale?”
Naruto mosse appena appena la testa, fu l’unica cosa che riuscì a rispondergli. A elettrizzarlo era soprattutto il fatto che Sasuke non sembrava scherzare. Nel suo tono non c’era divertimento, tantomeno arroganza. Sembrava veramente una sfida, di quelle che facevano i grandi, i gradi ninja, di quelle da cui dipendevano le sorti del villaggio.
“A-accetto!” rispose a gran voce, ancora intontito da una smania febbricitante.
Dopotutto, sarebbe stato un ottimo allenamento in occasione dell’Accademia ninja che sarebbe iniziata la settimana seguente.
“Seguimi sul tetto, allora.”
Naruto indossò gli occhiali verdi, ormai diventati quasi indispensabili, una specie di sua caratteristica, come se fosse il coprifronte di Konoha, e seguì il ninja, che già si era diretto al luogo dello scontro, veloce più di un fulmine.
 
“L’unica arma consentita sarà il proprio corpo, soltanto le arti marziali” enunciò Sasuke. “Non ci sono regole specifiche, a parte l’uso di kunai e di jutsu è tutto possibile. Intesi?”
Naruto annuì.
Aveva cominciato inispiegabilmente a tremare, forse perché Sasuke sembrava serissimo. Niente smentiva l’importanza che stava dando a quel loro scontro, né la sua espressione, né le sue parole. Inoltre, indossava anche la divisa da anbu – sempre, non l’aveva mai visto senza… quella cosa gli ricordava sempre che Sasuke era missione e che per questo era lì, non per qualche altro motivo, non perché…
Scosse la testa e si riconcentrò sul suo avversario.
Per un istante infinito, Naruto ebbe paura. Non sapeva perché, ma lo aveva colpito la sensazione, nonché una folgorante intuizione, che Sasuke avesse puntato a quello fin dall’inizio. Che non l’avesse guardato con disprezzo soltanto per guadagnarsi la sua fiducia, poi sfidarlo e infine ucciderlo. Ma no, non poteva essere, si disse. Avrebbe potuto farlo fuori in ogni momento, non era necessario architettare un piano.
Eppure, una goccia di sudore scese dalla sua fronte.
“Che ti prende, hai paura?” domandò Sasuke.
Naruto ostentò una sicurezza che gli stava scivolando via dai pori sempre più velocemente. “No, fatti pure sotto!”
Anzi, fu proprio lui a lanciarsi contro Sasuke a tutta velocità, le gambe che per muoversi necessitavano del doppio dell’energia, visto che sembravano pietrificate dalla paura. Se Sasuke avesse voluto fargli del male, nessuno lo avrebbe aiutato. Anche se avesse gridato a squarciagola, chi sarebbe corso in suo aiuto?
Sasuke approfittò di quella sua distrazione per colpirlo allo zigomo con un pugno e scaraventarlo giù a terra, tra le pozzanghere d’acqua che la pioggia incessante di quei giorni aveva formato. Naruto si tastò la guancia, all’angolo della bocca gli usciva un po’ di sangue.
“Su, alzati, non vorrai già arrenderti.”
“Non di certo, non ti andrà di lusso!”
E si lanciò di nuovo all’attacco. Più cercava di colpire Sasuke e di velocizzare i suoi colpi, più la rapidità con cui l’anbu si scansava cresceva. Naruto, osservando il suo avversario scartare i suoi colpi sempre allo stesso modo, prima a destra e poi a sinistra, si rese conto che il suo modo di attaccare era troppo prevedibile, troppo ripetitivo: difatti, scagliava un pugno destro, poi uno sinistro, poi uno destro ancora, secondo una sequenza che pareva infinita.
Comprese. Cercava solo di aumentare la velocità e la potenza dei colpi, non la loro traiettoria. Ma avrebbe rimediato all’istante e avrebbe sconfitto quell’antipatico di Sasuke.
Sorrise.
Non distolse lo sguardo da Sasuke né si spostò di un millimetro, mentre alzava la gamba per tirare un calcio al suo avversario.
Non se l’aspetterà mai, lo manderò a tappeto!
Ma Sasuke parò, e non si limitò soltanto a quello. Gli tenne ferma la gamba, così che Naruto non si trovasse in una posizione comoda che gli consentisse di starsene in equilibrio, e, dopo che il ragazzino ebbe chiuso gli occhi spaventato, gliela lasciò e lo spinse a terra, facendo pressione con l’indice sul suo addome.
“Credo possa bastare” sentenziò.
Naruto, a terra, si morse le labbra. Ovviamente, non si era mai aspettato veramente di riuscire a battere un ninja tanto più potente di lui – che non era nemmeno uno shinobi, poi –, però sperava almeno di riuscire anche solo a sfiorarlo, a dargli un colpo. Niente, era troppo lontano da Sasuke.
Sasuke parve indeciso su cosa fare. Rimase a guardarlo per un po’, mentre, tutto bagnato, tentava di rimettersi in piedi. Rischiò persino di scivolare su una pozza d’acqua, e fu lì che l’anbu lo agguantò per i vestiti e lo riportò dentro, sempre tenendolo sollevato per la maglietta.
Naruto si dibatté, leggermente imbarazzato, perché lui sapeva camminare da solo, non aveva bisogno della balia, e perché anche se lo aveva battuto non significava che poteva permettersi di trattarlo come un bamboccio incompetente.
Eppure, dentro di sé sorrideva sereno come non lo era mai stato. Era felice di quel semplice gesto, felice di aver conosciuto Sasuke, quella settimana prima. Ora che ci pensava, gli sembrava di conoscerlo da una vita.
Si domandò perché si fosse legato a lui tanto velocemente. Non si curò della risposta: era soltanto un ennesimo perché irrisolto.
Quella sera, poi, stanco morto, anche se aveva combattuto per pochissimo tempo, si addormentò che Sasuke era ancora lì con lui. Tra veglia e sonno, tra il buio delle palpebre serrate e la luce della sua stanza, lo vide avvicinarsi, prenderlo in braccio e sistemarlo a letto.
Per la prima volta, Naruto dormì un sonno tranquillissimo, da persona amata.
 
Era trascorsa un’altra settimana circa.
“Sasuke, sai che domani comincio l’Accademia?” trillò Naruto, saltellandogli intorno.
“Me lo hai già detto ieri e anche l’altro ieri, testa quadra. E non dirmi che hai intenzione di sfidarmi di nuovo, perché è meglio per te che non ti azzardi nemmeno a domandarmelo.”
Da quando Sasuke gli aveva proposto quello scontro, infatti, Naruto non aveva fatto altro che chiedere altre sfide. Per migliorarsi, diceva, per essere pronto come lo sarebbero stati gli altri.
“Uffa, che antipatico che sei!” sbottò. “No, non è questo il punto!”
Per alcuni secondi, l’unico suono che si sentì fu il tamburellare della dita di Sasuke sul tavolo che si univa al chiasso festoso tipico degli abitanti di Konoha.
“E allora qual è il punto?” tagliò corto Sasuke, visto che l’altro non voleva saperne di spicciare parola.
“Promettimi che non ridi.”
E Sasuke, a quella battuta, avrebbe riso per davvero. Se, appunto, ne fosse stato capace. “Non rido” lo rassicurò un po’ scocciato.
Naruto strinse i pugni e chiuse gli occhi. “Mi accompagneresti alla cerimonia d’apertura di domani?” chiese rapido, le parole che quasi non si capivano perché si sovrapponevano, tanto che erano state dette velocemente. “Vedi, non ho i genitori, e… e da solo non ce la faccio a sopportarli.”
Sasuke aveva capito che quel sopportarli non era riferito ai futuri compagni di classe o ai sensei o a qualcosa del genere. Naruto intendeva gli sguardi altrui, quelli a cui ancora non si era abituato, che ancora temeva e che ancora lo facevano sentire male.
Sasuke sospirò. “Credo che per l’Hokage non ci siano problemi. E… nemmeno per me. Va bene, Naruto.”
Naruto non poteva credere di aver ricevuto un sì come risposta. Impulsivamente, si lanciò contro Sasuke e lo abbracciò, saltandogli direttamente al collo, travolgendolo.
“Ohi, Naruto, scendi, non appiccicarti come una piovra!” Ma le risate del ragazzino coprivano la sua voce.
“Posso chiamarti onii-chan?” chiese entusiasta.
“Non provarci nemmeno!”
“Sasuke onii-chan!”
“Finiscila!”
“Ti voglio bene, Sasuke onii-chan” disse infine Naruto, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, per non farsi vedere.
Avrebbe tanto voluto saperlo, ma non glielo avrebbe chiesto.
E tu mi vuoi bene, Sasuke, o è ancora la missione a farti stare qui?
 
 
 

 

*   *   *
 
 
 

 

Aveva appena finito di parlare con il Sandaime dell’Accademia, e fortunatamente non c’erano stati problemi. Però, l’Hokage aveva sollevato un’altra questione, un inghippo che Sasuke, fosse dipeso da lui, avrebbe lasciato sepolto lì dove stava.
Quanto tempo ancora?
Ebbene, l’Hokage gli aveva chiesto per quanto tempo ancora pensava di rimanere al fianco di Naruto. Sasuke, agitatosi al sol pensiero, aveva saggiamente evitato di far notare al Sandaime che la sua era una missione – anche se non riusciva più a considerarla tale – e che il termine avrebbe dovuto deciderlo lui. Si era limitato a essere vago e a suggerire un “fin quando dovrò.”
Doversi separare da Naruto dopo quelle due settimane intense gli creava dei pensieri contrastanti, delle emozioni in lotta tra loro. Da un lato, significava riprendere la sua normale attività di ninja, ritornare a partecipare – finalmente – a missioni che avrebbero potuto migliorarlo fisicamente e permettergli di raggiungere il suo obiettivo, quello scopo che conosceva lui e lui soltanto. D’altro parte, però, abbandonare Naruto significava straziargli il cuore, afferrare con le unghie quel corpo di bambino e gettarlo nuovamente tra le fauci dei suoi aguzzini che non avevano nomi né fattezze, ma solo minacce silenziose e odio. Semplicemente, si ripeteva, non poteva agire in quel modo, illudendolo dopo che si era fidato di lui. Tuttavia… aveva un clan da vendicare, aveva la sua famiglia da riscattare.
“Posso chiamarti onii-chan?”
La sua famiglia, quella che non esisteva più se non dentro al suo cuore… doveva uccidere quei criminali, solo allora sarebbe stato libero di poter respirare senza che il petto sembrasse schiacciato da un macigno impossibile da sollevare.
Dicevano che la vendetta portava solo altro dolore e che non risolveva nulla. Quindi, secondo quella logica, avrebbe dovuto abbandonare il motivo della sua esistenza e abbracciare una vita diversa, diventare, magari, l’ancora di salvezza di un bambino come lo era stato anche lui, che, pur volendo, non avrebbe saputo contro chi vendicarsi, contro chi scatenare la sua rabbia? Invece, Sasuke, alogicamente, preferì il rischio, l’incertezza di una vita futura probabilmente fatta di agonia o, peggio, di morte, piuttosto che la felicità che avrebbe potuto trovare in quel moccioso che gli aveva detto di volergli bene.
Aveva deciso: gradualmente si sarebbe allontanato da Naruto.
 
Il giorno dopo, Naruto lo salutò con allegria all’entrata. Sasuke lo trovò con le guance tutte rosse e una strana luce negli occhi. Era pimpante come non l’aveva mai visto in quelle due settimane, la sua forza vitale era talmente tanta che pareva potesse realmente divenire Hokage all’istante.
“Non vedi l’ora di farti prendere a botte dagli altri ragazzini?” lo sfotté.
Naruto si portò una mano sul fianco, e rispose con quel fare da finto arrogante misto all’ironico che tutti conoscevano ma nessuno comprendeva veramente. “Che scherzi, Sasuke onii-chan? Ho avuto un maestro niente male, sarò sicuramente il migliore!”
“Bastasse finire tre o quattro volte al tappeto per essere i migliori te ne darei pure ragione. Coraggio, sbrighiamoci.”
“Antipatico!”
A Naruto fu sufficiente sbattersi la porta alle spalle per mutare del tutto umore.
Sasuke poté osservare in diretta quel suo lento cambiamento, leggendogli il viso, lanciandogli qualche occhiata di finto interesse.
A ogni passo che muoveva, infatti, Naruto si sentiva sempre più sperduto, sempre meno convinto di sé e più vulnerabile. Come se stesse percorrendo le ultime settimane della sua vita a ritroso, come se, invece di partire da solo e di ritrovarsi con un amico, avesse cominciato quel cammino con qualcuno pronto a proteggerlo e, voltandosi, avesse visto, al traguardo, soltanto il nulla.
“Testa quadra, non sei obbligato ad andarci.”
Sasuke non sapeva che cosa l’avesse spinto a parlare, a dire una cosa tanto idiota che, probabilmente, non era nemmeno permessa. Si stava solo rendendo conto di cominciare a odiare Konoha per l’atteggiamento di quei cocciuti degli abitanti, quei cretini totali che se la prendevano con un bambino innocente che aveva l’unica colpa di contenere il mostro che aveva fatto razzia di mezzo popolo, che aveva sterminato senza pietà chiunque gli fosse capitato a tiro. Ma era stato, appunto, il Kyuubi, non Naruto. Naruto non era il Kyuubi, eppure era semplice da capire, dannazione!
Naruto rallentò il passo e, sebbene sembrava volesse farlo, non si fermò. “No, onii-chan, devo. Onii-chan, sei stato tu stesso a chiedermi se fossi preparato a difendere anche loro, e, beh, io ti risposi che, anche se li odiavo, avrei imparato ad amarli col tempo. E’ ora di cominciare, suppongo.” Si strinse nelle spalle. “Se loro non vogliono avvicinarsi a me, sarò io, allora, ad andar loro incontro. Per tutto questo tempo, mi sono chiesto costantemente cosa spingesse gli abitanti di Konoha a… a odiarmi? Temermi? Non lo so cosa sentono verso di me, ma mi chiedevo perché lo provassero, qualunque cosa fosse. A ogni modo, non ho mai dato importanza a quel perché, pensando che non vi fosse una vera risposta. Ma” e guardò Sasuke con un nuovo sorriso, anche se ancora un po’ forzato “sono giunto alla conclusione che ogni cosa succeda per un motivo ben definito, e non per caso. Infatti” arrossì un po’ “sono certo che ti ho incontrato affinché tu mi aiutassi a capire questo, affinché tu mi dessi la spinta per uscire dalla mia solitudine. Non lo so nemmeno io, ma credo fosse necessario che ci incontrassimo” concluse, ancora più imbarazzato di prima.
“Allora c’è qualcosa in quella tua zucca. Non sei così scemo come sembri” rimbeccò Sasuke, dandogli uno scappellotto dietro la nuca. “A ogni modo, siamo arrivati: ecco l’Accademia ninja. Sicuramente i tuoi compagni di corso sono quelli, meglio se vai da loro.” Indicò un gruppetto di bambini, più o meno della stessa altezza di Naruto, che ascoltava le direttive di Iruka – un chunin che Sasuke conosceva, nonché l’insegnante dell’Accademia –, ordinanti loro di disporsi in un certo modo.
Naruto annuì, e pian piano prese ad allontanarsi da Sasuke. Per quanto volesse sembrare sicuro di sé e un poco spavaldo, non riuscì a non voltarsi a ogni due passi per verificare che l’anbu fosse ancora lì e non se ne fosse andato via.
 
Sasuke non ascoltò il discorso del Sandaime Hokage, tutto sommato quanto poteva essere diverso da quello che aveva ascoltato lui quando aveva cominciato l’Accademia? In ogni caso, diverso o meno, era l’ultimo dei suoi pensieri.
Al contrario di Naruto.
Quel ragazzino riusciva a sorprenderlo, ne cacciava una ogni giorno. Non si era affatto sbagliato, dunque, quando, a prima vista, aveva subito supposto che quel mocciosetto, che tutti credevano scemo, fosse, in realtà, molto più attivo mentalmente di quanto si credesse. Quello che diceva poteva sembrare il frutto di desideri infantili e stupidi, di quei sogni nel cassetto che avevano più o meno tutti i bambini, ma Naruto non aveva forse smesso di essere un bambino ancor prima di cominciare? Non gli era stato concesso, anche la più piccola parte della sua infanzia gli era stata completamente negata. Non ne aveva avuto nemmeno un assaggio.
Sasuke si guardò intorno spinto da uno strano senso di protezione che non riusciva a non provare ma riusciva a nascondere. Nessuno badava a Naruto, né in positivo né in negativo, ma ognuno era concentrato sul proprio figlio o figlia.
Eppure, Sasuke continuava a non spiegarselo: erano genitori, tutti quelli avevano un bambino della stessa età di Naruto e non lo capivano neanche un po’. No, semplicemente Sasuke non si spiegava il perché.
 
Trascorsero i giorni molto velocemente da allora.
Naruto passava la maggior parte della giornata in Accademia, e Sasuke aveva ripreso le sue missioni.
Tutto alla normalità.
L’anbu era stato anche chiamato dal Sandaime, che aveva dichiarato chiusa la sua missione di custodia nei confronti del piccolo Uzumaki, perché, visto che ora frequentava la scuola come gli altri, era più facile tenerlo d’occhio, senza che qualcuno lo pedinasse o gli stesse col fiato sul collo dal sorgere del Sole al suo tramonto. Sasuke, di quella storia, non ne aveva fatto ancora parola col ragazzino, limitandosi a qualche visita di sera. Non era nemmeno necessario che chiedesse com’erano andate le cose, che mostrasse, dunque, interesse, perché era Naruto stesso a ciarlargli della sua giornata, raccontandogliela per filo e per segno.
E dopo giorni e giorni – chissà quanti… Sasuke ormai non lo ricordava più – di quella tiritera, si accorse che c’era un particolare che non andava in tutta quella faccenda: Naruto gli parlava del Maestro Iruka, dei suoi compagni di corso, dell’altalena su cui amava starsene in pace – o in solitudine? –, ma quei diversi tasselli non erano quasi mai collegati l’un l’altro.
Glieli elencava tutti, i suoi compagni di classe, ma il suo nome non compariva mai tra quelli.
Nonostante tutto, perlomeno in quel po’ di tempo che trascorreva con lui, Naruto gli sembrava tutto sommato felice.
 
“Onii-chan, come mai ieri non sei venuto?” gli domandò una volta.
I loro incontri erano ridotti sempre di più, proprio come Sasuke aveva pensato di fare diverso tempo prima. Per quanto avesse cercato di agire con calma e di non strappare subito il legame che aveva cucito, Naruto se ne era reso conto.
Non era stupido, se lo ripeté.
“E hai anche un graffio in faccia” notò il ragazzino, e allungò un dito per toccarlo. “Che sta succedendo?”
“Niente. Sono un anbu e devo svolgere le mie missioni.”
“Uffa, lo so! Lo so che sei in missione qui da me, ma non era questo che ti avevo domandato!” sbottò. E sbuffò un altro paio di volte, prima di capire. “La tua missione qui è finita?” chiese stupito.
“Esattamente.”
Naruto si alzò velocemente dal letto e scattò verso Sasuke. Gli poggiò le mani sulle spalle e lo guardò con gli occhi che già gli si erano riempiti di lacrime. “Te ne vai? Ora che hai finito te ne vai, onii-chan?”
“Non me ne andrò” gli disse atono, ma lui non ne era convinto.
“E’ una bugia, lo so” disse allarmato. “Non avresti più motivo di stare con me, lo hai sempre detto anche tu che a mantenerti qui era soltanto la missione!” urlò, piangendo di già.
Sasuke lo lasciò fare per un po’, poi glielo disse: “Testa quadra, la mia missione è terminata già un mese fa.”
E Naruto spalancò gli occhi e la bocca, incredulo. Realizzò ciò che le parole dell’anbu significavano e pianse ancora, di gioia, però. Gli si buttò al collo con tanta violenza che per poco non caddero entrambi dalla sedia.
“Sei cattivo, onii-chan, avresti anche potuto dirmelo prima!”
Ti voglio bene.
E ora soche anche tu ne vuoi a me.
 
Aveva appena concluso un nuovo incarico quando gli capitò di muovere i suoi passi proprio nei pressi della chiassosa Accademia ninja. Le grida dei bambini, le loro risa, si elevavano in alto, unendosi agli allegri cinguettii degli uccellini.
La fine dell’inverno era prossima, e presto la primavera avrebbe fatto il suo trionfale ingresso.
Per quanto si sforzasse di trovare un’alternativa allettante, che lo costringesse ad andarsene a casa o a fare qualunque cosa che lo portasse lontano da quel posto, Sasuke fu vinto da una strana forza che non provava da tantissimo tempo e, rapidamente, si posizionò sull’albero che dava sul cortile, celandosi tra le foglie.
Quando i primi raggi solari cominciavano a imbrattare il terriccio e i visi, il Maestro Iruka teneva fuori le sue lezioni. Ed era proprio quello il momento a cui Sasuke stava assistendo.
Il Maestro, al centro dello spiazzo, teneva in mano una cartella – che a Sasuke ricordò vagamente le cartelle cliniche dell’ospedale – e chiamava davanti a sé due bambini per farli combattere tra loro. In quel preciso momento, stava terminando lo scontro tra una ragazzina dai capelli innaturalmente rosa e un’altra bambina bionda. Erano sì piccole, ma a Sasuke non parvero granché. O forse, si disse, era lui a essere semplicemente troppo duro sia con se stesso che nei giudizi per gli altri.
“Kiba Inuzuka e Shikamaru Nara” chiamò Iruka, non appena le due ragazzine si rimisero al loro posto.
L’anbu sbuffò d’istinto.
Era normale che lui non potesse essere tanto fortunato da beccare proprio lo scontro di Naruto. Non aveva pazienza, non gli piaceva troppo aspettare, eppure non si mosse di lì, e attese. Per sua fortuna, la cosa non durò molto: a quanto pareva, le due personalità a confronto erano proprio opposte, e l’Inuzuka non ci mise troppo a surclassare il piccolo Nara con la sua vitalità ed energia. Tuttavia, a occhio, Sasuke capì che quel Shikamaru aveva grandi possibilità per il futuro.
“Naruto Uzumaki e Toshiro Hatsuhane.”
“Che sfiga, proprio con lui” sentì bisbigliare da alcuni, che parlottavano tra loro.
Li aveva uditi perché il suo era un orecchio allenato, ma probabilmente a nessun altro – se non forse a Iruka – era arrivata quella voce.
“Vediamo se farai la figuraccia di ieri, Uzumaki!” urlò quello, la voce estremamente sicura di sé.
Naruto subito strinse i pugni e s’imbronciò. “Non credo proprio! Fatti avanti!”
Quando lo vide lanciarsi contro quel Toshiro, Sasuke non riuscì a riconoscerlo.
Avevano combattuto altre volte, lui e Naruto, e di certo l’Uzumaki sapeva fare molto di meglio. Era distratto, si fece atterrare quasi subito e non fu in grado di rialzarsi se non dopo qualche secondo in più del dovuto. Poi, corse contro il suo avversario, determinato, ma qualcosa lo bloccava, l’anbu se ne era accorto. Alzò un pugno per colpirlo in piena faccia, ma la mano non arrivò mai a destinazione e Naruto capitombolò nuovamente a terra, colpito da un calcio nello stomaco.
“Volevi ucciderlo, mostro, vero?” gridò uno dei ragazzini che seguivano lo scontro. “Ho visto come lo guardavi!”
Sasuke alzò un sopracciglio, si fece attento.
“Anche mia mad-“
“Fuu, smettila” lo rimproverò Iruka. “Piuttosto, sei il prossimo a dover scendere in campo. Muoviti e smettila di litigare con Naruto, su.”
Litigare? Sciocchezze, erano tutte idiozie, quelle…ma colpivano come chiodi sui polpastrelli, conficcati nella carne e lasciati lì a far provare dolore. E Naruto li teneva tutti dentro, quei chiodi.
Non aveva urlato, né stava piangendo. Non aveva risposto, forse non ne aveva avuto il coraggio, probabilmente non sapeva come scagionarsi, non aveva capito quale fosse l’accusa. Si era limitato a far cadere il discorso – abbandonandolo a se stesso, abbandonandosi – un po’ come aveva fatto lo stesso Iruka – anche se Sasuke sapeva che vi era stata cattiveria: l’argomento era segreto, al villaggio –, e, a testa bassa, si era diretto sull’altalena che spesso gli citava a casa. Quella sì che compariva sempre insieme a lui, nei suoi discorsi.
Nonostante tutto, sebbene sentisse una strana sensazione alla bocca dello stomaco, non intervenne, e si limitò a osservare l’incontro che si stava svolgendo, con finto interesse. Si accorse solo dopo un po’ – volle accorgersene soltanto dopo – di avere un pugno stretto e le sopracciglia più aggrottate del solito.
Lanciò un’occhiata di sbieco a Naruto, e quello che vide non gli piacque per niente.
Non si era mai illuso a tal punto da credere di riuscire a colmare tutto il vuoto che quel ragazzino provava – a dire il vero non era mai stata nemmeno sua intenzione –, però avrebbe almeno voluto non vederlo più piangere.
Sei brutto quando frigni, Naruto.
 
Quando arrivò a casa di Naruto, quella sera, lo trovò seduto sul pavimento, rattristito. Non si fece sentire sulle prime, così da poterlo osservare meglio, ma infine, ritenendolo più giusto, gli comparve davanti come sempre, con la stessa aria disinteressata.
“Onii-chan, mi hai fatto spaventare!” trillò Naruto, scattando in piedi. Poi si grattò la testa, imbarazzato. “I miei sensi da ninja non sono ancora come i tuoi, ma presto, continuando ad allenarmi, sarò in grado di sentirti anche quando sarai a chilometri di distanza da me!” rise.
Sasuke si sistemò sulla sedia, come sempre, e sentì Naruto ridere, come sempre.
Si diede dello stupido perché soltanto allora si era reso conto che Naruto rideva sempre, ma non perché era felice. Sì, probabilmente era contento di vederlo lì, ma soltanto perché la sua presenza poteva fargli dimenticare quella degli altri. Per andare avanti, era necessario nascondersi in qualcosa che celasse il proprio malessere fino ad annullarlo del tutto, fino all’annullamento proprio dell’individuo, e Naruto aveva trovato nel sorriso quel qualcosa che lo avrebbe aiutato.
Ma la maschera, alla fine, scivolava dal volto di tutti e finiva rovinosamente a terra.
“Onii-chan, sei stranamente silenzioso, stasera. Ti è successo qualche cosa?” azzardò Naruto, timoroso, sporgendosi verso di lui. “Ti ha lasciato la ragazza?” ridacchio. “Hai un brutto caratteraccio, onii-chan, è normale!”
“Che cosa hai fatto oggi all’Accademia?”
Naruto spalancò occhi e bocca. “Deve esserti successo qualcosa di grave, se arrivi anche a farti i fatti miei. Proprio tu, tu, onii-chan, che non mi chiedi mai nulla! Sì, sei strano.”
“E’ una domanda come un’altra, sarebbe potuta essere qualsiasi altra cosa” chiarì Sasuke.
“Onii-chan, ti ho già detto, un po’ di tempo fa, che secondo me le cose casuali non esistono” sorrise mesto. “Sai, credo di aver capito a cosa ti stia riferendo adesso.” Si girò di spalle, e dirigendosi verso la finestra, sospirò, guardando il cielo tendente al blu notte.
“Onii-chan” riprese, poi. “Tu conoscevi i miei genitori? Il Sandaime mi ha sempre detto che sono morti in un incidente quando ero ancora troppo piccolo, perciò non ne ho ricordi.”
“Perché me lo chiedi?”
“Alcuni miei compagni di classe mi hanno detto che, in realtà, loro mi hanno abbandonato perché non mi volevano. Perché ero, anzi, sono un mostro e li ho spaventati.”
Parlava a fatica, piangeva.
“Sono tutte cazzate, Naruto.” Sasuke non era riuscito a trattenersi. “Mostro? Quale genitore potrebbe definire suo figlio un mostro? E’ un ragionamento stupido che va contro ogni logica.”
“E tu, onii-chan? Tu mi consideri un mostro?” chiese intimorito.
“Naruto, ricordi quando ti dissi che. Differentemente da quel che pensavo, ne avevi di sale in zucca?”
Il ragazzino annuì.
“Non farmi ricredere.”
Naruto arrossì di colpo, si sentiva strano. Sentirsi amato, avere a fianco qualcuno che ogni giorno, anche se a modo suo, gli dava la conferma che veramente provava affetto era una sensazione talmente bella da essere indescrivibile. Se avesse dovuto descrivere un poco poco quel che provava si sarebbe focalizzato su quel tenue torpore che avvertiva al petto.
“Gr-grazie.”
Scese di nuovo il silenzio tra loro.
Naruto, però, era ancora agitato e si vedeva che aveva altre cose da dire.
Sasuke non ci teneva a saperle, o meglio, non voleva sentirle se Naruto non aveva voglia di raccontargliele. Sapeva che a volte era meglio tenersi tutto dentro e permettere ai numerosi quesiti che facevano venire il mal di testa di finire nel dimenticatoio e di non essere più portati a galla. Ma alcuni difficilmente volevano entrarvici, e rimanevano sempre, vaganti, nella mente, e quando sbattevano contro la testa, per farsi sentire, facevano molto male. Per lui, un esempio era la sua vendetta.
Però, se in tutto quel tempo aveva veramente capito una cosa, Naruto era il suo esatto opposto.
“Sasuke onii-chan” domandò, infatti “prima non mi hai risposto. Hai mai conosciuto i miei genitori? Sapevi chi erano? Com’erano? Chi dei due aveva gli occhi azzurri e chi i capelli biondi? A chi assomiglio fisicamente e a chi caratterialmente? Ho sempre voluto saperlo, ma il Sandaime non mi ha mai detto nulla. E quante cose ci sarebbero ancora che vorrei domandare…”
Sasuke sospirò e si alzò dalla sedia. “Non so nulla di questa faccenda” disse, con una calma tale da risultare falso.
“Oh, avanti, è possibile che nessuno voglia dirmi niente? Ma perché? Perché, diamine?” Naruto aveva cominciato a urlare. “Non sono stupido, capisco le cose, sai, onii-chan? Qui tutti sanno le cose su di me, ma io non so mai niente di loro! Quelli che mi indicano, che confabulano tra loro quando passo davanti ai loro negozi… cosa sanno loro che io non so? E ho capito anche un’altra cosa, poi! Tutti mi guardano male, con odio, e sai per quale motivo? Perché sono orfano! Sono solo, non ho nessuno al mondo, nessuno, e quindi ricevo gli sguardi e le accuse degli altri perché sono diverso!”
“E’ una cosa insensata quella che stai dicendo” commentò Sasuke, a mezza voce.
“E tu che ne sai, onii-chan? Non puoi capirmi nemmeno tu! Per quanto ci tenga a te, tu non sei nella mia stessa situazione, non è la stessa cosa. Non la vivi e non puoi capire! Tu non sei diverso dagli altri, t-”
“Sono orfano anch’io, Naruto.”
Non più una parola si udì. Trascorsero degli intensi istanti di stupore e di vivo silenzio, nel quale Sasuke poté percepire perfettamente, senza che nemmeno lo guardasse, lo sgomento e la vergogna di Naruto. Nonché, un profondo rammarico.
“Un tempo avevo la mia famiglia, anche per un piccolissimo istante l’abbiamo avuta tutti, te compreso. L’ho persa, e non mi resta altro da fare che riscattarla come posso. Non è piangendomi addosso che riuscirò a portare alto il suo nome, il nome del mio clan, delle persone che mi erano care.”
Naruto tirò su col naso, dispiaciuto sia per Sasuke che per se stesso. “Ma io non sono in grado di fare come te, di riscattarla. Chi lo sa, forse, in qualunque posto si trovino, se mai mi stanno guardando, sono già stati delusi dal mio modo di fare. E, forse, potendo tornare qui, tra i vivi, non mi vorrebbero neanche.”
“Sei uno sciocco, Naruto”. Sasuke gli si era avvicinato e gli aveva messo una mano tra i capelli. Diversamente da com’era successo tempo prima, stavolta Naruto sentì qualcosa in quella mano, come calore. “Credimi, io davvero non so chi siano i tuoi genitori, ma di una cosa sono certa, e non voglio ripetertela mai più: avrebbero voluto rimanerti accanto con tutto il cuore. Anche adesso avrebbero voluto esserci.”
“E allora perché non ci sono?” domandò piangendo.
“E’ dura da accettare, però una volta che sei finito tra le sue grinfie, la morte non ti lascia andare per nessun motivo al mondo.”
Naruto si accoccolò contro di lui. “Però io non voglio sapere molto, solo chi erano, magari vedere una loro foto. E’ troppo?”
No, non era troppo. E’ soltanto un suo diritto.
Sasuke avrebbe voluto parlarne con l’Hokage, ma se questi non ne aveva fatto parola col bambino, probabilmente qualche motivo doveva esserci.
Qualunque fosse, non ha importanza. Non esiste una ragione valida per privarlo persino del ricordo fittizio, costruito, dei suoi genitori.
“Come vuoi riscattare la tua famiglia?” chiese Naruto.
“Questo non posso dirtelo.”
Naruto si strinse nelle spalle, la testa sempre pressata contro Sasuke. “Va bene.”
Non c’era collera nella sua voce, ma soltanto comprensione.
Un giorno gli parlerò di Itachi. Me l’aveva chiesto in fondo… nii-san…
“Ah, Naruto, non farti più mettere i piedi in testa come oggi, all’Accademia. Ricorda il tuo sogno e ricorda quello che mi hai detto.”
Lo sentì annuire.
 
Sasuke non era un tipo stupido.
All’Hokage no aveva chiesto alcun tipo d’informazione, anche perché preferiva cercarsele da sé. Non gli sembrava nemmeno un’impresa troppo ardua, ora che ci pensava.
I tasselli si mettevano insieme l’uno dopo l’altro, a rifletterci.
Quando aveva visto Naruto per la prima volta non ci aveva ragionato, ma la somiglianza era evidente. Tra una missione e l’altra, in quei giorni Sasuke aveva avuto modo di riflettere spesso e di ripensare alle parole di Naruto. Il ragazzino aveva parlato di capelli, occhi, somiglianze. Inoltre, anche il cognome Uzumaki non gli era del tutto nuovo.
E, come già detto, mettendo insieme i singoli frammenti, il mosaico era stato completo.
Era partito dal giorno dell’attacco del Kyuubi, e subito, come prima ipotesi, aveva considerato lo Yondaime Hokage, dai capelli e occhi decisamente molto simili a quelli di Naruto. Vedendone la fotografia, poi, gli era parso di trovarsi di fronte un Naruto adulto.
 Per il cognome Uzumaki ci aveva messo giusto un po’, poi se ne era ricordato.
Minato Namikaze, Yondaime Hokage, era sposato con Kushina Uzumaki, una delle migliori amiche di sua madre.
Aveva risolto la questione in meno tempo di quello che pensava, ma, adesso, avrebbe dovuto dirlo a Naruto? Fosse dipeso soltanto da lui, l’interrogativo non si poneva nemmeno: era giusto, Naruto meritava di saperlo. Ma l’Hokage non era un imbecille qualunque, e se non ne aveva fatto parola, si ripeteva, un motivo doveva esserci.
Sasuke faceva sempre quello che era giusto, ma non era uno sprovveduto.
Nii-san, che cosa avresti fatto tu?, chiese al cielo.
Sospirò: avrebbe atteso, e poi al momento opportuno avrebbe detto tutto. Sperava soltanto di non dover attendere per sempre.
 
 
 

 

*   *   *
 
 
 

 

Non se ne accorsero nemmeno, né Naruto né Sasuke se ne resero conto.
Quel che era stato prima un bambino, poi un ragazzino scalmanato, adesso era a un passo dal diventare genin – avrebbe trovato il modo. Gli occhiali verdi erano pronti a venir sostituiti dal coprifronte del villaggio – sperava.
Tutto sommato, Naruto non poteva desiderare altro… tranne una cosa.
“Onii-chan, sei tornato!” urlò a pieni polmoni, dirigendosi verso le porte del villaggio, dalle quali Sasuke stava appena rientrando.
“Mhf, sei tu, testa quadra.”
“Sei stato fuori parecchio, stavolta.”
“Quanto è stato necessario.”
Naruto s’imbronciò. “Che vana speranza è la mia quando immagino che un giorno, ritornato da qualche missione, tu possa essere un tantino più socievole.” Avvicinò l’indice al pollice, facendoli combaciare quasi del tutto. “Ma anche di tanto tanto così!”
Sasuke s’incamminò, come se non lo avesse sentito.
Naruto lo seguì. “Ehi, onii-chan, aspetta! Dove stai andando?”
“Ho un rapporto da compilare, testa quadra. Tu, invece, non dovresti allenarti? L’Accademia è quasi finita, ormai.”
“Eh già, si entra in scena del tutto! Comunque, prima del rapporto non potresti venire a mangiare del ramen con me? Magari offri tu, già che ci sei…” propose Naruto, continuando a inseguire un Sasuke che, a quella richiesta, aveva buffamente accelerato il passo.
“Non se ne parla.”
“Sei un tirchiaccio, lo sai?”
“Il massimo che ti concedo è di passare da me più tardi, nel pomeriggio, così vediamo che cosa hai imparato a fare in questi anni. Probabilmente, eri più in gamba da ragazzino.”
Naruto, ormai, aveva imparato alla perfezione il modo d’essere di Sasuke, e non si offendeva né ribatteva piccato a qualche sua osservazione alquanto pungente od offensiva. Semplicemente ci rideva su, e gli piaceva pure farlo.
“Tsk, vedremo, tu stai pur sempre invecchiando, onii-chan.”
Sasuke ghignò. Naruto non poté vederlo, visto che era di spalle, ma lo seppe con estrema sicurezza, perché l’anbu non aveva più segreti per lui.
Almeno così credeva.
“Vedremo oggi pomeriggio, moccioso.” E sparì.
 
 
 

 

*   *   *
 
 
 

 

Naruto quel giorno non si presentò.
Sasuke lo aveva aspettato per tutta la giornata, sperando persino di vedere spuntare quella testa bionda e spettinata al buio, perché, magari, aveva tardato per un suo motivo che nemmeno gli interessava conoscere.
E, invece, non era andato.
A Sasuke non venne nemmeno la più assurda idea di cercarlo, in fondo non si era mai, né voleva cominciare a farlo in quel momento, mostrato troppo preoccupato per quel ragazzino, anche se, magari, dentro un po’ di ansia si era fatta sentire.
Era l’una di notte quando si addormentò, ed era da poco sorto il Sole quando, all’alba, Sasuke si recò all’Accademia ninja – passava di lì per caso, era stato il suo corpo a muoversi autonomamente, lui non c’entrava, non era stata sua volontà.
Trovò Iruka che, di buona lena, era già pronto a una nuova giornata di scuola.
L’ultima, esattamente, quella in cui venivano formati i diversi team.
“Buongiorno, Sasuke” lo salutò Iruka, allegro.
Si affezionava ai suoi allievi, quindi dover dir loro addio – ovvero affidarli a un altro sensei – non doveva essere una sensazione troppo piacevole. Anche se si leggeva sul suo volto la felicità per i suoi allievi che, finalmente, avrebbero potuto cominciare la carriera di veri ninja.
“Buongiorno.”
“Naruto si è salvato appena appena” commentò il Maestro, divertito.
“In che senso?” domandò Sasuke.
Era curioso, soprattutto voleva sapere per quale motivo Naruto non si fosse presentato, e a quanto pareva Iruka ne sapeva qualcosa.
“Per la promozione a genin, intendo.” E gli spiegò anche di un certo Mizuki, dei danni che aveva fatto, di come avesse confessato a Naruto qual era il motivo per cui tutti lo avevano chiamato mostro – e alcuni continuavano a farlo –, e di come Naruto stesso si fosse battuto per sconfiggerlo e per difendere Iruka. Inoltre, concluse dicendo che in quel modo Naruto era riuscito a guadagnarsi il coprifronte che altrimenti non gli sarebbe spettato. “Alla fine, mentre stavamo mangiando il ramen, è corso via per cercarti… è strano che non ti abbia raccontato nulla…”
“Non è venuto, in realtà” spiegò Sasuke, rapido come al suo solito e senza una particolare sfumatura nel tono di voce.
Iruka se ne sorprese: ormai, volente o nolente da parte di Sasuke, tutti sapevano del forte legame che si era formato tra Sasuke e Naruto, anche se il primo non lo dava a vedere. Quindi, era molto strano che l’Uzumaki non si fosse fiondato da quello che ormai chiamava onii-chan e che non gli avesse dato la notizia della sua promozione.
“Probabilmente pensava di disturbarti, non prendertela” gli disse Iruka.
Prendersela? Chi, lui?
Perché avrebbe dovuto? Aveva già capito il perché di quel comportamento. Poteva quasi dire di aver visto crescere Naruto, e interpretare quello che diceva o faceva era abbastanza semplice.
Non è un tipo troppo complicato, del resto.
“Va bene, Iruka, ti saluto.”
Iruka parve dispiaciuto, non voleva che Sasuke ne avesse troppo a male di quella faccenda. “Buona giornata” gli augurò soltanto.
 
Si appostò sul tronco di un albero che dava sul viottolo che conduceva all’Accademia ninja. Alcuni futuri genin passavano per quella stradina tutti sorridenti, e tra loro Sasuke riconobbe quelle due bambine che aveva visto diversi anni prima.
Era già consapevole che avrebbe dovuto aspettare come minimo che passassero tutti, compresa qualche vecchietta che andava a fare la spesa, prima di vedere spuntar fuori lui.
E, infatti, Naruto, sbucò fuori d’improvviso, correndo come un forsennato e urlando a squarciagola che stava tardando, aiutandosi con dei rumorosi “pista, pista!”
Avrebbe voluto parlargli in quel momento, quasi si sentisse in dovere di farlo – cominciava a capire suo fratello Itachi… –, ma pensò fosse meglio attendere il suo ritorno.
Tanto, da quando aveva incontrato Naruto, attendeva soltanto.
 
“Per quale motivo non me l’hai detto?”
Sasuke era spuntato fuori all’improvviso, non appena Naruto aveva messo piede fuori dalla porta dell’Accademia, tutto gongolante per quel nuovo coprifronte che sfoggiava.
“Sa-Sasuke-san!” mormorò, sorpresa, quella ragazzina dai capelli rosa.
Sasuke non la considerò più di tanto: non dava troppa confidenza a nessuno, nemmeno a quelli che conosceva, figurarsi gli altri. E si rivolse nuovamente a Naruto, che aveva un’aria colpevole sul viso, che lo incastrava ancora meglio di se avesse confessato di sua spontanea volontà.
“Parliamone altrove, onii-chan, ti va?” balbettò. “Scusami, Sakura-chan, torno tra un attimo! Dillo tu a Sai.”
Ma lei non gli diede troppo ascolto, troppo impegnata com’era ad ammaliare Sasuke.
 
“E allora?” incalzò Sasuke, quando furono più in là.
“Mi spiace di non esser ve-“
“So già perché non l’hai fatto, non spiegarti. Ma perché non mi hai detto della tua promozione?” Naruto divenne di innumerevoli colori tutti in un unico istante. “Me l’ha detto Iruka.”
“Maestro Iruka, ma lei mai che si facesse gli affaracci suoi, eh?” sussurrò Naruto, imbronciato, lo sguardo rivolto in basso. Simulò un colpo di tosse quando si accorse di avere gli occhi di Sasuke puntati addosso. “Uffa, pensavo saresti stato deluso da me!” urlò a pugni stretti. “Onii-chan, che figura avrei fatto con te? Fosse dipeso da me, non te lo avrei mai detto.”
Sasuke, per la prima volta, si intenerì, perché Naruto aveva risvegliato in lui, con quelle semplici parole, le emozioni di quando anche lui era bambino, e temeva di deludere le aspettative di Itachi e di suo padre.
Si abbassò e fece una cosa che non avrebbe mai pensato di riuscire a fare, a riprodurre. Stava condividendo un pezzo del suo passato molto importante, e mai avrebbe creduto che potesse essere possibile: colpì Naruto con un buffetto sulla fronte, e in quel momento si sentì tanto come il suo nii-san.
Naruto aveva reagito allo stesso identico suo modo: prima aveva chiuso gli occhi, temendo un ceffone, un pugno o semplicemente una strigliata coi fiocchi, e poi ne era rimasto felicemente sorpreso; conosceva qualcosa di Itachi, Sasuke qualche volta gliene aveva parlato, anche se alla fine lui aveva preferito sviare il discorso, visto che aveva compreso che l’onii-chan provava dolore nel far riaffiorare determinati ricordi. Per quello, sapeva quanto quel gesto dovesse significare per Sasuke.
Non lo ringraziò per quello, non c’erano parole adatte per farlo. Però, un grazie glielo doveva ugualmente: “Onii-chan, ho saputo del Kyuubi, so che cosa c’è dentro di me, adesso.” Si guardò la pancia. “Ti ringrazio per, boh, non lo so, avermi preparato a questo momento?” Si grattò la testa, rossissimo in volto. “Probabilmente, se non avessi saputo di averti al mio fianco, sarei stato preso dallo sconforto più totale, quando Mizuki mi ha detto del mostro che c’è dentro di me. Grazie… ora credo di dover andare, i miei compagni di team mi aspettano.”
“Volevo avvisarti che partirò per una nuova missione, e starò via per un po’ di tempo.”
“Un po’ quanto?”
“Un po’ molto.”
“Ah” commentò soltanto Naruto.
“Bene.”
“A-aspetta, onii-chan!” lo chiamò, prima che sparisse. Lui si voltò. “Alla fine ho trovato il tuo obiettivo. Te l’avevo detto che era una promessa! Quando diventerò Hokage, dovrai riuscire a battermi!”
Sasuke inarcò le labbra. “Sei troppo sicuro di sé. E se tu non dovessi farcela?”
Naruto mostrò il pollice. “Tranquillo, è l’unica cosa che so di certo: è il mio sogno. E ora lo dovrò realizzare anche per te, altrimenti non potrai perseguire il tuo scopo. Inoltre, al tuo ritorno c’è anche una cosa che voglio dirti!”
Ce ne erano di cose non dette, Sasuke lo sapeva: dell’Akatsuki, dei suoi genitori… Sasuke non gliene aveva fatto ancora parola, ancora in attesa di quel decantato momento giusto.
Naruto si strinse nelle spalle. “Beh, ti ho mai mentito, onii-chan? Ti ho mai deluso?”
“Non mi hai mai deluso” spiegò Sasuke, e Naruto sarebbe stato l’unico a vedergli quel sorriso senza preoccupazioni sul viso. “Dimostrami che puoi realizzare il tuo sogno e sarò fiero di te, otouto.”
 

 
 
 
 



 







 
 
FINE!
 
Non ce l’ho fatta a spezzarla, mi si spezzava il cuore! *^*
La long più long che abbia mia scritto *sniff sniff*
Non so, a voi la scelta: se volete vederla come una SasuNaru, prendete pure le ultime frasi di Naruto “poi c’è una cosa che devo dirti” come una specie di premessa per una dichiarazione (potrebbe esserci un seguito SasuNaru, se volete, avrei già mezza idea… anche perché gli elementi ci sono tutti (volevo metterceli qua, ma diventava una cosa troppo LONG XD)), altrimenti, può essere vista come un semplice legame che da debole, frivolo e casuale è diventato duraturo e solido.
Vedete voi, ve l’ho detto! :D
Non ho altro da aggiungere, ventiquattro pagine di word bastano.
Un saluto a tutti, grazie per aver letto!
 
P.S. Non so dell’OOC, credo che se ce n’è è giustificato un po’, non lo so. Come sempre: ditemi e io faccio.  

EDIT 12/04/2012
Due piccole precisazioni da fare! *^* 1-) Ci ho riflettuto, e penso che sia molto meglio lasciarla così questa storia, ci sarà tempo per altre SasuNaru. Facciamo così, il finale è sempre a lbera interpretazione, e questa è la mia: Naruto è maturato, no? Ebbene, ha capito che quella di Sasuke è una missione pericolosa, ha capito che in missione si muore e, perciò, dicendo a Sasuke che ha qualcosa da dirgli, vuole intendere che lui DOVRA' per forza ritornare! ;)
Non ho letto la doujinshi che alcuni di voi recensori hanno citato, ma lo farò sicuramente al più presto! *___*
E' tutto, baci! <3

   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Hikari93