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Autore: CBradbury    12/04/2012    2 recensioni
Sessanta secondi. Sessanta secondi in cui Kurt (Katniss), dice tutto quello che gli passa per la testa. Sessanta secondi in cui, desidera morire e vivere allo stesso tempo.
Sessanta secondi prima degli Hunger Games.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ho modificato un tantino la trama della storia, permettendo appunto che due ragazzi potessero essere dei tributi. In Hunger Games, come sapete, i tributi sono un ragazzo e una ragazza, ma alla fine modificare questo fattore, era essenziale per la one-shot.



 




Sessanta.

Mi guardo attorno e mi chiedo come in poco tempo la mia vita possa essere cambiata. Come io abbia dovuto lasciare la mia casa, i miei amici, il mio migliore amico, per fare la cosa giusta e salvare la vita del mio fratellino, Finn.

Cinquantanove.

Se mai qualcuno, un mese fa, mi avesse detto che sarei finito in questo posto, forse gli avrei riso in faccia. Sarebbe stato assurdo, e lo è tutt’ora.

Cinquantotto.

Il minuto più interminabile della mia vita. Il minuto più terribile e straziante di tutti. Non ho chiesto io di essere qua, lo ha chiesto il pubblico. Le persone che si divertono a vedere la morte di persone così giovani, su uno stupido schermo. Che non hanno nient’altro di meglio da fare che tifare tifare tifare, perché un loro tributo deve vincere.

Cinquantasette.

Mi chiedo se in questo momento Finn e mio padre mi staranno guardando sul piccolo schermo della nostra minuscola casa, magari insieme a Sebastian e sua madre, Rose. Forse insieme a loro potrebbe esserci anche Quinn, quella buona ragazza che ho imparato a conoscere nel corso degli anni. Mai giudicare male, la figlia del presidente Fabray.

Cinquantasei.

Per la prima volta dopo quegli interminabili secondi, mi do un’occhiata attorno, e noto l’enorme Cornucopia posta al centro dello spiazzo. L’erba verde si muove lentamente, a tempo con il vento che sfiora prepotentemente contro questa prigione di vetro, in cui sono rinchiuso. Prigione, ecco cos’è la mia vita.

Cinquantacinque.

Cinque semplicissimi secondi, e sento il sangue pompare velocemente nelle vene. Lo sento caldo, forte, pronto, ma anche spaventato, e pronto a sgorgare dal collo, dai polsi, dalle gambe, la schiena.

Cinquantaquattro.

Com’è possibile che il tempo sia così dannatamente lento, eppure troppo veloce? Vorrei solo che i numeri smettessero di essere pronunciati, e il tempo si fermasse, in modo da lasciarmi pensare in modo razionale, perché la mia testa non è qui, ma a casa.

Cinquantatré.

A volte mi domando cosa io abbia fatto per meritarmi questo. Ho ucciso in passato, lo so, e forse non caccerò mai più, forse dopo questa esperienza – se ci sarà un dopo -, non toccherò mai più il mio arco.

Cinquantadue.

Troppe volte una delle tante frecce è entrata negli occhi innocenti di qualche animale. E’ forse per questo che ora sono qui? Per aver ucciso? Per aver infranto la legge? Per tutti e due? Credo sia una sorta di punizione che devo scontare standomene zitto e tenendo i denti stretti.

Cinquantuno.

Ancora una volta i miei occhi vagano su tutto quel verde che mi circonda. Mentre le foglie ondeggiano silenziose, sposto lo sguardo sui concorrenti di fianco a me, di certo migliori di me, di certo più forti.
Per un attimo vorrei solo morire; ma morire subito, perché non potrei sopportare tutto quel sangue e quel dolore sparso per puro divertimento di Capitol City.

Cinquanta.

Devo vincere, devo farlo per Finn e per mio padre, che dopo tutto si merita un po’ di felicità. Dopo aver perso mamma, non è più lo stesso, e mi sento quasi in colpa di averglielo fatto pesare per tutti questi anni.

Quarantanove.

Quarantanove, che numero idiota eppure così malvagio. Quarantanove era il numero di usignoli imitatori che avevo visto in tutta la mia vita. Li avevo contati uno ad uno, ogni volta che avevo l’occasione di udire il loro meraviglioso canto.
Stringo la mia spilla un po’ più forte.

Quarantotto.

Mi concedo di non pensare a molto per un secondo della mia vita. Mi concedo di far vagare lo sguardo sul Ragazzo del Pane, e i suoi capelli scompigliati il giusto. Sulla sua pelle olivastra, il naso, la bocca carnosa. E poi il collo, la spalla, il busto, fino ad arrivare alle gambe snelle, ricoperte da quella tuta a dir poco orribile. Non è mai stato male, non dopo quella volta che ci salvò dal morire di fame, a me, e alla mia famiglia.

Quarantasette.
E’ impossibile non pensare in una situazione del genere. E’ impossibile anche solo trattenere il respiro, perché in questa teca di vetro, sto esalando gli ultimi respiri non contaminati dalla paura.

Quarantasei.

 “Allora Blaine, ti dico una cosa: esci là fuori, vinci gli Hunger Games, e quando tornerai a casa non potrà che cadere ai tuoi piedi. Giusto ragazzi?” le parole mi ritornano in mente, facendomi odiare quell’uomo per averle pronunciate.

Quarantacinque.

“Grazie ma… non credo che nel mio caso siano molto d’aiuto”

Quarantaquattro.

“E perché no?”

Quarantatré.

“Perché lui è venuto qui con me”

Quarantadue.

Non voglio negare a me stesso che Blaine è un bel ragazzo, ma come sempre, sono convinto di voler vivere da lupo solitario. Niente amore, niente matrimonio né figli. Non posso neanche permettermi di pensare al mio futuro in una situazione del genere.

Quarantuno.

Ogni secondo vale come mille lunghissimi anni. Vorrei solo poter farla finita, chiedo troppo?

Quaranta.

Con la coda dell’occhio mi accorgo che Blaine sta guardando verso di me. Decifrare il suo sguardo mi risulta difficile, perché non sta sorridendo, ma non sembra neanche triste. Sembra solo scusarsi con me per tutto quello che non mi ha detto, e per tutto quello che farà nell’arena. Lo interpreto così, quello sguardo.

Trentanove.

I suoi occhi mi ricordano tanto quelli di Emma, prima che mi dicesse che era ora che io entrassi nell’arena. So che ora lei è lì, ancora sotto i miei piedi, e si starà chiedendo a cosa sto pensando e il primo passo che farò. Forse starà pregando che io non muoia subito ed è quello che vorrei tanto anche io.

Trentotto.

Amici. Chi mi starà pensando, oltre ad Emma, in questo momento? Forse Sebastian sarà seduto in mezzo ai boschi , assaporando qualche mora selvatica, ma soprattutto, assaporando un po’ di libertà. Io, fossi stato al suo posto, non sarei riuscito a guardare neanche per un minuto quello schermo, nella mia casa. Chi mai vorrebbe vedere il proprio migliore amico morire e non poter far nulla?

Trentasette.

A Capitol City ho avuto l’occasione di osservare tutto quel verde, quegli alberi, per qualche attimo, su un enorme schermo in camera mia. Pagherei per vedere il bosco ancora per un’ultima volta, l’illusione di una realtà che però, io ho sempre amato.

Trentasei.

“Sorridi solo quando sei nei boschi”  sono un po’ più felice mentre ricordo quello che il mio migliore amico mi ha detto poco tempo fa. Forse è vero, forse anche tra questi boschi, troverò una ragione per sorridere.

Trentacinque.

Solo io sento il cuore andarmi in fiamme? Potrebbe essere, visto che sono Il ragazzo di fuoco.

Trentaquattro.

Accenno un sorrido ripensando al soprannome che Emma mi ha accostato. Non è male, se ci ripenso, mi fa sentire più forte e coraggioso. Dovrei ricordarmi più spesso che anche io posso farcela, che quel soprannome non è solo per il meraviglioso vestito che Emma ha realizzato per l’intervista, ma perché dentro, possiedo la forza di milioni di scintille.

Trentatré.

Sono così vicino alla morte, che il solo ripensare a questa mattina, mi fa contorcere lo stomaco. Forse non riuscirò a fare come Sue mi ha consigliato. Forse non troverò un fonte d’acqua. Forse uno dei tanti tributi mi ucciderà, prima che io possa anche solo sfiorarlo. Forse forse forse. Forse sono stufo di tutto questo pensare.

Trentadue.

Accarezzo appena la superficie di vetro che mi circonda, e se avessi un ultimo desiderio, vorrei rimanere in quella situazione di stallo. Senza dover combattere tra vita e morte.

Trentuno.

Blaine sembra in uno stato di trans, appena mi volto per guardarlo. Sta fissando la pedana al di sotto dei suoi piedi. Penso che come me, stia ripensando a tutto quello che non potrà mai fare, solo perché Capitol City ha bisogno di uno “spettacolino” prima di andare a dormire.
Anche lui la pensa come me, anche lui disprezza quelle persone, ma è un ragazzo troppo per bene, per ammetterlo veramente.

Trenta.

Le mie mani sono ancora ferme sulla superficie liscia, e le osservo attentamente, con minuziosità. Le cicatrici che mi sono procurato nei boschi ormai non ci sono più. Opera di Emma e di quegli strambi individui di Capitol City. Mi hanno messo in tiro per andare a morire, che cosa stupida, proprio come loro, del resto.

Ventinove.

Come ci siamo arrivati al ventinove? Troppo in fretta. Ho bisogno di tempo.

Ventotto.

“Credo che qualcuno ci segua” ricordo di aver detto all’addestramento, un po’ di tempo a quella parte.
“Penso si chiami Beth” mi aveva risposto Blaine, in tono sommesso.

Ventisette.

Mi volto di scatto verso la mia sinistra, e poche pedane più in là, vedo la piccola Beth, che si tortura le sue stesse mani. Non dovrebbe farmi pena, ma in qualche modo mi ricorda il mio fratellino, Finn, e vorrei solo poterle dire che andrà tutto bene, anche se so che non sarà così.

Ventisei.

Quale persona con un cuore, potrebbe mai uccidere una ragazzina così piccola? Vorrei che qualcuno la uccidesse prima di me, perché non sopporterei dover fermare il battito di quel suo piccolo cuore.

Venticinque.

Gli altri tributi sembrano dei titani in confronto a me, Beth, Blaine. Hanno passato la loro vita preparandosi a questo, e sanno che io sono uno dei primi bersagli a cui dovranno puntare. Siamo del Distretto 12, io e Blaine siamo etichettati come i più deboli dal principio.

Ventiquattro.

Ventiquattro come siamo noi, ora. Ventiquattro ragazzi che sperano ancora di poter avere una vita al di fuori di quest’arena, ma solo uno potrà avere questo privilegio. La vita è una cosa che dovrebbe esserci stata regalata, giusto?

Ventitré.

La vita per gli abitanti di Capitol City non conta nulla.

Ventidue.

“Finché riuscirai a trovare te stesso, non morirai mai di fame” quasi riesco a sentire nella mia mente, come se mia madre volesse parlarmi. So chi sono, so che ce la potrò fare, per lei, papà, Finn, per Sebastian. Ma devo farlo anche per me.

Ventuno.

Il numero ventuno rimbomba nell’aria sbattendomi ancora una volta in faccia quello che sta succedendo. L’aria dentro quella gabbia di vetro sta diventando insopportabile. Come questi stupidi giochi. Come la mia vita. Come ogni cosa, sta diventando insopportabile.

Venti.

Tra quattro anni avrò vent’anni. Ce li avrò perché riesco ad immaginarmi seduto nella mia casa, al Villaggio dei Vincitori, mentre mangio al tavolo con Finn e papà. Penso che sentirò ancora il peso di aver ucciso tutte quelle persone, ma lo dovrò fare, perché Finn ha bisogno di me più di chiunque altro.

Diciannove.

Ecco, ci siamo, i numeri con l’uno d’avanti. Sono i peggiori, perché ti ricordano che manca poco.

Diciotto.


Fossi arrivato ai diciotto anni senza essere estratto, forse avrei vissuto la mia vita in un modo normale. Avrei continuato a cacciare insieme a Sebastian, e a vendere gli animali al Foro. Forse sarei riuscito a trovarmi un lavoro, e le cose negli anni, sarebbero migliorate.

Diciassette.

Un anno, e sarei arrivato ai diciassette.

Sedici.

Sedici anni di sopravvivenza, non vita.

Quindici.

Trattengo il respiro. Il quindici mi fa irrigidire i muscoli delle braccia e i pugni mi si stringono forte. Cinque secondi, e il conto alla rovescia vero e proprio avrà inizio.
Non sono pronto.

Quattordici.

La paura di morire si fa sempre più forte e la testa inizia a pulsare dolorosamente.
Mi guardo attorno, in cerca dello sguardo fermo e calmo di Blaine, che in questo momento è tutt’altro che rassicurante.

Tredici.

Per un attimo sembra che il mondo si fermi, ma è come se questa teca di vetro mi stia facendo impazzire. Sono pazzo, o forse lo diventerò.

Dodici.

Come i Distretti, o l’età della piccola Beth. Troppo, troppo piccola per essere su quel piedistallo.

Undici.

Sento la terra mancarmi sotto i piedi.

Dieci.

Quinn.

Nove.

Finn.

Otto.

Papà.

Sette.

Mamma.

Sei.

Casa.

Cinque.

Sebastian.

Quattro.

Tre.

Due.

Uno.

Blaine.
 
 
“Signori e signore, che i 75esimi Hunger Games abbiano inizio!”


***
 


Angolinoinoino!

Volevo approfittare di questo spazio, per pubblicizzare dei miei amici.
Lusio, che ha appena pubblicato questa magnifica fic ispirata a Moulin Rouge!
_hurricane, che ha pubblicato questa raccolta di Missing Moments ispirata alla sua fic Let me be your sun.
E infine, ma non da meno, Noth, che ha aggiornato la sua fic Nobody said it was easy.

Un ringraziamento a chi leggerà questo mio sclero su Hunger Games! Ne avevo bisogno ahah
Alla prossima! Un bacione! :)

 






  
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