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Autore: Michelle Guns    13/04/2012    3 recensioni
Ciao a tutti! Allora, questa Fan Fiction di pochi capitoli è venuta fuori dopo un pomeriggio passato a pensare a Kurt e alla sua tragica morte. Così mi è venuta l'idea di scrivere una storia incentrata su di lui e su Alyson, quella che ho immaginato potesse essere la sua migliore amica. Parla degli ultimi giorni di vita di Kurt, visti con gli occhi di Alyson. Beh, spero che vi piaccia! :)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dico subito, questa sarà una FF piuttosto corta, avrà pochi capitoli ed è venuta fuori da una piccola idea che ho avuto, un pomeriggio...spero vi piaccia, e mi farebbe piacere ricevere delle vostre recensioni :)


- "Sto per diventare padre!" Mi disse lui, seduto sul mio letto sorridendo. Avevo ancora l'immagine fresca nella mia mente, come se fosse successo ieri. I capelli biondi gli cadevano leggermente davanti al viso, e il suo sorriso era pieni di gioia. Lo abbracciai forte, mi piaceva vederlo felice.

Ormai erano passati più due anni da quel giorno. Ripensando a quella scena mi infilai il cappotto, presi le chiavi ed uscii di casa. L'aria di quella sera aveva qualcosa di strano. Era il 1° Aprile 1994, eppure faceva freddo, lo stesso freddo che si percepisce alla fine di Febbraio. Erano le 23.50 circa, e il cielo nero ed era illuminato solo dai lampioni scintillanti del mio quartiere di Seattle. Non c'era un'anima in giro, ma non ero preoccupata, non era un posto pericoloso, quello lì. A differenza del mio migliore amico Kurt, io avevo sempre abitato in una zona di Seattle piuttosto tranquilla, quella in cui di solito ci abitano i ricconi snob insieme ai loro cani fastidiosi. Non fraintendetemi, amo gli animali, ma quando il barboncino della tua vicina inizia ad abbaiare alle 2 di notte e smette alle 5 di mattino beh, non è una cosa poi così piacevole. Comunque, stavo dicendo...mi ero trasferita a Seattle in primo superiore, poiché mio padre aveva voglia di un cambiamento, e diceva che Federal Way ormai gli stava stretta. Ci era cresciuto in quella città, gli piaceva, ma era ora di staccarsi dalle radici e crearsi una nuova vita. All'inizio non ero per niente contenta, avrei dovuto lasciare tutti i miei amici, cambiare scuola e mi sarei ritrovata in un posto nuovo, nel quale non conoscevo nessuno. Ricordo che il primo giorno di scuola fu un incubo. Io ero la nuova arrivata, quella che tutti guardano strano perché arriva da un'altra città, non sa come funzionano le cose a Seattle, e non ha amici, perciò se ne va in giro da sola come una depressa. Sì, depressa...Avrei voluto vedere loro nella mia situazione, le cose non erano così facili come sembravano. Dopo due giorni conobbi in una pizzeria un ragazzo di due anni più grande di me, che frequentava un'altra scuola. Mi si avvicinò vedendomi seduta da sola a un tavolo e iniziò a parlarmi. Mi sembrò così gentile, non capivo perché volesse tirarmi su di morale, ma non importava, perché ci stava riuscendo. E quel ragazzo non mi abbandonò mai, neanche dopo 10 anni, lui era ancora il mio migliore amico, nonostante le cose fossero cambiate parecchio. Nel 1987 mia madre si ammalò di Tubercolosi, e la malattia se la portò via in poco tempo. Mio padre dovette quindi provvedere da solo a me e a mia sorella Jennifer, di due anni più grande di me. Da qualche anno si era poi traferito in una città vicino a Seattle per motivi di lavoro, lasciando me e mia sorella a casa, da sole. Lo aveva fatto per noi, ci spediva quasi tutto ciò che guadagnava, e per lui teneva solo i soldi per l'affitto, le bollette e lo stretto necessario per vivere. Mi sembrava egoista lasciare tutta la fatica a lui, così mi cercai un lavoro come cameriera al Vincent Restourant, a pochi chilometri da casa, mentre mia sorella riteneva che i soldi che io e mio padre guadagnavamo sufficienti, e ciò la spinse a non cercare lavoro. Mio padre non le faceva pesare la situazione, ma Jennifer ormai aveva 27 anni, era grande ed era ora che iniziasse a lavorare. Inutile dire che mi ignorasse ogni volta che glielo dicevo. Quella sera c'era lo sciopero dei pullman, perciò invece che aspettare alla fermata più vicina, proseguii dritto, verso casa del mio migliore amico Kurt, quello del quale vi stavo parlando prima. Era divertente vedere le reazioni delle persone quando dicevo "Sì, lo conosco, è il mio migliore amico!" quando in TV appariva qualche video dei Nirvana. Kurt infatti era il cantante e chitarrista di una delle band più famose di quel tempo, e io ero così orgogliosa di lui...l'avevo visto diventare grande, fare carriera, salire su palchi con migliaia di persone davanti ad acclamarlo, e io ero felice...ero felice perché se lo meritava. Ma ultimamente non era più lo stesso...quando avevo 19 anni, e lui 21, iniziammo a farci la nostra dose giornaliera, e non potevamo farne più a meno. Non passò molto tempo quando mi accorsi che tutto quello che stavo facendo mi portava solo danni, così smisi. Provai a far smettere anche lui, ma la cosa fu molto difficile. Ormai era diventata un ossessione, si sa, la droga fa questo effetto, così lasciai perdere, ma ogni tanto cercavo ancora di persuaderlo. Da qualche mese si era trasferito a Seattle, di nuovo, perché aveva avuto problemi con la moglie, così decise di tornare nella sua città, ma non puntò in alto, non volle prendere un appartamento in un quartiere come il mio, si accontentò di una piccola mansarda in una zona piuttosto malfamata, in un palazzo cadente. E più i pensieri scorrevano nella mia mente, più le mie gambe accelleravano il passo. Ancora poche centinai di metri e sarei arrivata a casa di Kurt, il ché un po' mi rassicurava, ma un po' mi metteva paura, perché sapevo di trovarmi in un quartiere pericoloso, e tutto ciò che volevo era andare a casa del mio migliore amico, dove sarei sicuramente stata al sicuro. Passai davanti a un Motel malandato, con l'insegna luminosa alla quale mancavano alcune lettere. "Ci sono quasi..." mi ripetevo mentalmente, mentre contavo i palazzi che mi separavano dalla mia destinazione. Avevo fatto quella strada talmente tante volte che ormai quelle case erano ben impresse nella mia mente. Infilai una mano nella tasca del giubbetto ed estrassi la copia che possedevo delle chiavi dell'appartamento di Kurt. Mi aveva fatto fare un duplicato perché, come diceva lui, così avevo piena libertà di entrare in casa sua per qualsiasi mio bisogno, ma in realtà ho sempre pensato che lo fece per paura. Era ridotto piuttosto male negli ultimi tempi, e non era difficile credere che gli sarebbe potuto succedere qualcosa in casa, mentre era da solo. Così io, avendo le chiavi, sarei potuta andare a controllare in qualsiasi momento. Era stata una grande idea, e almeno così stavo più tranquilla. Aprii il portone d'ingresso e iniziai a salire le scale, fino ad arrivare all'ultimo piano. Infilai le chiavi nella serratura, e appena entrai in casa sentì subito una puzza di chiuso e di fumo.

- "Kurt? Hey, dove sei? Sono Alyson!"

Niente, nessuna risposta. Entrai in salotto, ma ancora niente, lui non c'era. In compenso però c'erano oggetti sparsi per tutto il pavimento, vestiti sporchi e piatti da lavare. Dio mio, quella casa era ridotta ancora peggio dell'ultima volta. Continuai a chiamarlo, senza ricevere una risposta, finché non entrai in camera e lo vidi. Seduto in un angolo, testa appoggiata al muro, occhi chiusi e una siringa a terra. Si era drogato, di nuovo. Non ne potevo più, non riuscivo più ad entrare in quella casa e vederlo in quelle condizioni, non capiva che si stava facendo solo del male? Mi avvicinai a lui con l'aria di chi ha appena visto ciò che più non voleva vedere, lo scossi un po', giusto quel che bastava per fargli aprire gli occhi, poi sussurrò "Oh, Alyson...sei qui...!"

- "Sì, Kurt, sono qui. Ti ho anche chiamato, ma ovviamente non mi hai risposto..." dissi, afferrando la siringa e gettandola in un sacchetto. "Non credi che sia ora di smettere?"

- "Sai che non ci riesco..."

Aveva ragione, ci aveva provato, ma aveva fallito. Lo guardai attentamente, e, come la casa, era messo peggio dell'ultima volta. Gli occhi rossi, i capelli biondi scompigliati, la barba ispida. Indossava dei jeans stracciato e una canottiera bianca, ai piedi delle pantofole blu.

- "Da quanto ti sei fatto?" chiesi.

- "Mezz'ora, credo...no...di più...un paio d'ore..." mi guardò con sguardo supplicante. "Ho finito l'Eroina..."

- "No, Kurt, NO. Io non andrò a comprartela, sia chiaro! Devi smetterla!!"

- "Per favore...ne ho bisogno..."

- "No, ti stai distruggendo con le tue stesse mani, e io non ti aiuterò a farlo!" Sbottai.

Lui continuava a guardarmi con uno sguardo rassegnato. Sapeva che avevo ragione, era grato per quello che stavo facendo, ma non poteva comunque farne a meno. mi alzai in piedi e lo osservai dall'alto. "Da quanto non mangi?"

- "non lo so...non mi ricordo..."

Sbuffai. Raccolsi il sacchetto nel quale avevo buttato la siringa e iniziai a gettarci dentro ogni tipo di scartoffia che trovavo sul pavimento. Ci misi venti minuti buoni, ma almeno ora si riusciva a camminare. Aprii una finestra per far ossigenare la casa. Non usciva da giorni ormai, e dal momento in cui si chiuse la porta, le finestre non erano mai state aperte. Poi mi riavvicinai a lui e gli tesi entrambe le mani, aiutandolo ad alzarsi.

- "Rimani qui a dormire?" Mi chiese con un filo di voce.

- "Sì, Kurt. Non ti lascio da solo in queste condizioni." poi mi diressi verso la cucina per preparargli qualcosa da mangiare. Il frigo era praticamente vuoto, non c'era niente degno di un pasto fatto bene. Solo della birra, un po' di Coca Cola, qualche yogurt e della frutta andata a male. "Perfetto..." pensai. "Ora che gli faccio mangiare?". Girata verso il lavandino non mi accorsi che Kurt si stava avvicinando a me. Mi cinse i fianchi con le mani e mi diede un bacio sulla guancia. In quel momento mi parve di tornare a quando lui ancora non aveva sua figlia Frances, quando stava tutto il tempo a casa mia e la gente ci scambiava per una coppia per quanto eravamo affiatati. Poi era arrivata quella Courtney, che piano piano lo allontanò sempre di più da me, e lo portò all'autodistruzione. Non dico che fossi gelosa, anche se, lo ammetto, ero innamorata di lui, ma lei non era affatto il tipo di donna che doveva stare al suo fianco. Kurt meritava di più, meritava di essere veramente amato, e meritava qualcuno che gli facesse capire che ci sono cose al mondo per le quali vale la pena vivere. Ma lei non era così, no, gli aveva anche portato via Frances così, da un giorno all'altro, e lui quella sera venne da me quasi piangendo. Fu in quel momento che decise di tornare a Seattle. Mi voltai verso di lui, che accennava un sorriso, poi mi disse "Lascia, faccio io..." aprendo degli sportelli in alto, nei quali si trovavano un po' di barattoli con del cibo. Io intanto andai in salotto, dove trovai alcuni fogli scritti. Sì, giusto, lui scriveva sempre. Sfacciatamente mi permisi di leggerne uno.

"Non ce la posso più fare, sono due giorni che la chiamo, e la risposta è sempre quella: Non ho tempo. Non ho tempo...lei non ha mai tempo, non l'ha mai avuto, specialmente per me. Se morissi non avrebbe tempo per venire al mio funerale, come ora che ho bisogno di lei, non ha tempo per stare con me. Che stronza...ho bisogno di aiuto, e sono qui, solo, senza nessuno che riesca a capirmi..."

Leggere quelle parole mi fece male. Com'era possibile, si sentiva così e non mi aveva avvisato? Perché? Cos'è, aveva paura di disturbarmi? Non potevo crederci, avevo visto la sua vita arrivare al top, e l'avevo anche vista cadere velocemente, e tutto ciò era inaccettabile. Sentii il rumore dei suoi passi, così mi alzai e tornai in cucina. Lui mi spostò indietro una sedia facendomi sedere, poi si sistemò davanti a me. Mi porse un piatto.

- "Tieni, prendi anche tu..." mi disse con fare premuroso.

Gli sorrisi teneramente, vedendo in lui un padre ancora bambino. "No, mangia, ne hai più bisogno di me."

Mi guardò dritto negli occhi, poi mi sorrise e iniziò a mangiare. Sembrava essersi ripreso, ma sapevo che non era così. Aveva bisogno di altre ore per riprendersi del tutto, ma avrebbe continuato a cercare la droga...a meno che io non glielo avessi impedito... Con aria sognante, poggiai la mia testa tra le mie mani, e cominciai a pensare ai bei vecchi tempi, quando ancora il mio migliore amico aveva il pieno controllo delle sue azioni...

  
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