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Autore: Miki_TR    08/11/2006    13 recensioni
Nella primavera del suo quinto anno a scuola, cominciò a notare che nessuno degli altri studenti guardava il mondo come faceva lei. Nessuno nel periodo natalizio si era fermato a controllare che non ci fosse un rametto di vischio infestato sulla sua testa prima di passare nel corridoio. Nessuno sussurrava nella serra per paura di svegliare gli spiritelli che approfittavano della terra umida per schiacciare un pisolino all'ombra delle margherite. E nessuno al tramonto si fermava a guardare il lago.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Luna Lovegood, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Dove il Salice incontra il Lago

Noticina introduttiva.
Questa storia si distacca parecchio da quello che di solito scrivo, sia come temi, che come stile.
L'idea è merito (o colpa) di una serata in MSN con Twinstar in cui per gioco la sfidai a trovare una trama per una Yuri, salvo poi cadere presa nella mia stessa rete, finendo incastrata a pensare all'ossatura di questa storia che non mi ha abbandonato finché non ha visto la luce.
Una buona raccomandazione penso sia quella di non prendere come una teoria questa storia, ma solo come un piccolo riflesso di luce che mi piaceva mettere nero su bianco.
Buona lettura.
Miki

 

Dove il Salice incontra il Lago

 

Nella primavera del suo quinto anno a scuola, cominciò a notare che nessuno degli altri studenti guardava il mondo come faceva lei. Nessuno nel periodo natalizio si era fermato a controllare che non ci fosse un rametto di vischio infestato sulla sua testa prima di passare nel corridoio. Nessuno sussurrava nella serra per paura di svegliare gli spiritelli che approfittavano della terra umida per schiacciare un pisolino all'ombra delle margherite. E nessuno al tramonto si fermava a guardare il lago.

Lei lo faceva sempre, invece. Era importante, le aveva insegnato sua madre, avere rispetto per le piccole cose. E suo padre le aveva spesso ripetuto che solo perché qualcosa non si vede non vuol dire che non ci sia. A volte è semplicemente troppo piccolo o troppo spaventato.

Gli studenti chiacchieravano di Quidditch, studiavano per gli esami come se fosse fondamentale, e avevano paura della guerra. Lei sapeva che il Quidditch era stato inventato dai Goblin per trovare un impiego per i Bolidi che uscivano di nascosto dalle miniere e che gli esami erano difficili solo se si aveva paura di loro.

E aveva combattuto quasi un anno prima un pezzettino di guerra che, per quanto piccolo, esisteva. Sapeva che nella guerra si moriva, ma che in fondo si restava sempre con le persone amate, e questo era l'importante.

In genere non si chiedeva il perché le persone non sapessero quello che lei sapeva. E nemmeno si preoccupava che la maggior parte non volesse impararlo, e che la chiamassero Lunatica. Prima o poi, diceva sempre suo padre, ciascuno a modo suo arrivava a capire la verità, quindi non aveva senso forzare la mano degli altri ragazzi. Avrebbero capito prima o poi, come prima o poi le cose che le nascondevano sarebbero tornate fuori. Bastava aspettare.

 

Quella primavera, comunque, osservando le piccole cose, fu l'unica a scoprire la strana persona che sedeva sotto il salice in riva al lago, in un angolo nascosto del parco della scuola.

Successe per caso, mentre stava osservando da lontano i raggi del sole che sfioravano la superficie del lago accendendola di arancio, al tramonto. All'inizio pensò che si trattasse di un fantasma malinconico che si godeva qualche minuto di tranquillità fuori dal castello, magari rimpiangendo con nostalgia i tempi in cui il vento che muoveva le fronde si era attardato qualche istante a scompigliargli i capelli. Poi si accorse che il vento scompigliava davvero i capelli della figura. Quindi si trattava di un fantasma molto strano. O, magari, di una persona vera.

Le sue compagne di dormitorio, si accorse, dovevano essere già rientrate a prepararsi per la cena. Era rimasta sola nel cortile, fatta eccezione per un gruppetto di ragazzini in lontananza che si dirigevano vocianti verso lo stadio del Quidditch, ignari di lei e della strana figura. Attratta più dal fantasma (o forse persona) che dall'idea di rientrare a scuola, le venne quasi automatico seguire lentamente la costa del lago, godendosi una passeggiata imprevista resa speciale dal rumore dell'acqua e dalla luce morente del sole. E dall'avvicinarsi a scoprire qualcosa della strana figura sotto il salice.

 

Sembrava una ragazza, o forse un ragazzino imberbe. I suoi lineamenti erano delicati, intonati in qualche modo alla luce arancione che filtrava tra le fronde ombrose del salice. Aveva capelli neri spettinati che incorniciavano un volto pallido, triste, con occhi chiusi che si potevano immaginare forse dello stesso verde delle foglie lunghe dell'albero contro cui poggiava la schiena. Non sembrava essere uno studente (di sicuro nessuno che lei conoscesse), e comunque non indossava la divisa della scuola, né qualunque oggetto potesse identificarlo come appartenente ad una casa. Il corpo non sembrava femminile, ma con la veste ampia e informe che portava era difficile dirlo.

Se ne stava semplicemente seduto, immobile, abbandonato con gli occhi chiusi contro quel tronco, come se si fosse addormentato fissando il centro del lago. Non si voltò quando il suono dei passi sulla ghiaia fine della riva si fece deciso.

Lei aggirò il salice, strascicando un po' i piedi per non cogliere la strana persona troppo di sorpresa, finché non si trovò di fronte al ragazzo, a pochi pollici dal suo piede destro. E allora il ragazzo aprì gli occhi.

Erano verdi. Un verde cupo e limpido, cerchiati di rosso come se avesse appena finito di piangere, ma sulle sue guance non c'era l'ombra di una lacrima. L'espressione sul viso del ragazzo, sempre triste come prima, si velò appena di curiosità alla vista della ragazzina seduta sui talloni davanti a lui. Lei si accorse che non sembrava infastidito dalla sua presenza.

-Stavi guardando il lago?- chiese, curiosa.

Il ragazzo sembrò pensarci un attimo, come se la domanda lo avesse sorpreso, poi annuì appena inclinando il capo di lato come se cercasse di vederla meglio.

-Cercavi di vedere le fate?- domandò ancora, incoraggiata dal fatto che il ragazzo le avesse, più o meno, risposto.

-Le... fate?- La voce dello sconosciuto era dolce e bassa, appena un po' insicura.

-Sì.- annuì lei, sedendosi più comoda a fianco del ragazzo, tornando a guardare lo specchio d'acqua luccicante. -Quando la luce del tramonto bacia il lago, lì nascono le fate. Non lo sapevi? Non le puoi vedere, perché sono troppo piccole, ancora. Ma facendo proprio molto silenzio, quando l'acqua è ferma, si possono sentire le loro ali che trillano quando volano la prima volta.-

Rimasero seduti qualche secondo, in ascolto. Ma era una serata ventosa, e gli unici suoni che si sentivano erano quelli delle foglie fruscianti e dello sciabordio ritmico sulla riva di piccole onde. Nessun trillo fatato giunse alle loro orecchie e dopo un paio di minuti, lei pensò che forse era meglio presentarsi allo sconosciuto.

-Io comunque sono Luna. Puoi chiamarmi Lunatica, se vuoi, tanto lo fanno tutti. Ma preferisco Luna. La mia mamma mi chiamava Piccola Luna, anche, ma nessun altro mi chiama così, nemmeno il mio papà.-

Aspettò speranzosa una risposta dallo strano ragazzo, che però se ne restò muto, gli occhi fissi nel centro del lago, lo sguardo un po' perso. Doveva essere davvero curioso di vedere le fate, pensò Luna.

-Tu non hai un nome?- chiese la ragazzina, ricevendo come risposta un altro minuto di silenzio. -Che brutta cosa non avere un nome. Scusa se te lo dico, ma la tua mamma doveva essere proprio molto distratta... Se vuoi posso dartene uno io.-

Per la prima volta, lo sconosciuto sorrise, un sorriso strano e triste, ma che a Luna piacque subito. Le ricordava un pochino quello di sua madre i giorni prima che morisse.

-Sarebbe molto divertente che tu mi dessi un nome.- rispose il ragazzo, guardandola negli occhi.

-Va bene, allora! Sai, io non ho mai dato un nome a niente. Volevo darne uno al gufo di mio padre, ma lui ha detto che ai gufi non piace avere un nome come gli uomini, perché poi quando lo sentono chiamare non riescono a volare in alto. Quindi devo scegliere proprio un bel nome per te. Vediamo...-

Luna rimase qualche istante in silenzio, riflettendo sul nome più bello possibile per quel ragazzo tanto triste. Poi pensò che come sempre il posto in cui era doveva avere un significato importante, e decise.

-Ti chiamerò Salice, ti piace?-

Ci fu ancora un attimo di silenzio, poi quella voce dolce riprese a parlare.

-E' un nome molto bello.- rispose Salice.

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Non si erano precisamente dati appuntamento per rivedersi in quel luogo, Luna e Salice. Non avevano nemmeno parlato più quel primo giorno, dopo che Luna per la prima volta aveva dato un nome a qualcuno. Però si erano ritrovati spesso, in quelle giornate che accompagnavano la primavera dolcemente verso l'estate, sempre il quell'angolo e sempre al tramonto. Sembrava il posto giusto per vedersi, per passare insieme un po' di tempo appena e per condividere un po' di nostalgia.

Non avevano mai parlato molto, ma ogni piccola conversazione era fatta di cose importanti, e ormai sembrava che si conoscessero bene.

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-Salice, tu non sei uno studente, vero?-

-No.-

-Immaginavo. In genere i ragazzi della mia età pensano che io sia strana e mi evitano. Tu devi essere più grande, secondo me.-

-Sì, sono un po' più grande di te.-

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Nel silenzio già incrinato dal frinire delle prime cicale, dall'altra parte del lago qualcosa, nero e spettrale, si affacciò un attimo tra i cespugli. Una testa nera emerse, il muso allungato si voltò brevemente a destra e a sinistra, e poi un sinuoso corpo quasi equino seguì la testa fuori dai cespugli. La creatura si abbeverò per pochi secondi, prima di essere disturbata dal pigro movimento di un tentacolo della Piovra del lago, che infranse appena lo specchio dell'acqua. Aprendo rapidamente le ampie ali, il Thestral si alzò in volo, scomparendo pochi istanti dopo nella Foresta Proibita da cui era emerso.

Luna vide Salice osservare attentamente il punto in cui l'animale era appena scomparso, sempre con quello sguardo malinconico.

-L'hai visto?- gli chiese.

-Sì.-

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-Ti racconto una storia?-

Salice annuì.

-Me la raccontava la mia mamma quando ero piccola, però non è una favola. Sai che d'inverno le fate sono molto freddolose? Quando fa freddo si nascondono nei covoni di grano che i contadini lasciano per loro nei campi, e lì tra la paglia si scaldano le une con le altre. Quando nevica poi se ne stanno bene al sicuro, perché anche solo un piccolo fiocco di neve può congelare le loro ali, perché sono così sottili... Si riuniscono nei covoni, allora, al riparo, e non hanno mai paura del buio, perché fanno loro stesse delle piccole luci. E parlano per giorni interi, e ridono, perché non hanno niente altro da fare. Sai, parlano di noi, molto spesso. A loro sembriamo strani noi, sia i maghi che i Babbani, facciamo cose strane. Ad esempio, ci baciamo. Le fate non si toccano mai, nemmeno quando sono innamorate. Al massimo si sfiorano i capelli, o appena le ali le une con le altre, perché sono troppo fragili, hanno paura di farsi male. Così, a loro sembra strano vedere gli umani che si abbracciano e si baciano. Oppure a loro sembra assurdo il fatto che noi scriviamo. Loro quando nascono sanno sempre tutte le cose che sapevano quelle prima di loro, quindi non devono prendere appunti o leggere libri per imparare. E quando una fata scopre qualcosa, quelle che nascono dopo la sanno già, ed è per questo che le fate sanno quasi tutto. Possono rispondere a qualunque domanda, sempre che noi siamo capaci di capire il loro linguaggio.-

Da qualche parte, nel mezzo della storia, Salice si era addormentato, con la testa appoggiata sulla spalla di Luna. Faceva un po' caldo averlo così, abbandonato contro il suo fianco, ma lui non aveva più l'aria triste e i suoi occhi chiusi non erano rossi, e Luna era felice.

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-Come fai a sapere tutte queste storie sulle fate, Luna?- le chiese Salice un altro giorno.

-Me le raccontava sempre la mia mamma. Il mio papà dice che anche lei era quasi una fata, che era diventata una donna per errore, qualcuno si è sbagliato da qualche parte. L'ultima cosa che mi ha detto è che è per questo che io sogno tanto, perché in me c'è qualcosa di una fata.-

-Che belle cose che dice tua madre. L'ultima cosa che mi ha detto la mia è stato di mettere in ordine la mia stanza.-

-Oh, mi dispiace. Anche la tua mamma è morta? E' per questo che sei triste?-

Salice la guardò un attimo confuso.

-No, scusami, non avevo capito... Me lo ha detto qualche giorno fa, quando sono andata a casa. Mi dispiace per tua madre.-

Salice era arrossito appena, mentre parlava, confuso dalla gaffe. Luna gli sorrise.

-E' sempre vicina a me, la mamma. Sono triste solo ogni tanto.-

-Mi dispiace, Luna.-

-Non essere triste.-

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-E' per via della mia mamma, sai, che io vedo i Thestral.-

Salice la guardava, silenzioso. Curioso, in quei giorni, più che triste.

-E tu?-

-Io cosa?-

-Chi hai visto morire, per vedere il Thestral, quel giorno?-

-Oh. Mio cugino.-

Luna pensò di dire qualcosa, ma Salice aveva distolto lo sguardo, e di nuovo guardava il lago.

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Un giorno, quando ormai le ombre erano più delle luci, e la sera incombeva, Luna si alzò per rientrare a scuola, spolverandosi la gonna dalla sabbia fine che le era rimasta attaccata agli abiti. Il salice alle sue spalle sembrava quasi più curvo del solito, e gli occhi di Salice ancora più tristi. Senza dire niente, Luna lo salutò baciandolo piano sulla bocca, un bacio leggero e deciso. Perché qualunque cosa le avesse raccontato sua madre, Luna non era una fata. Non del tutto, almeno.

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-Io non sono un uomo, Luna.- le disse Salice il giorno dopo.

-Lo so. L'ho capito da un po'.-

Salice la guardò come se non lo credesse possibile, ma quella sera c'era qualcosa di nuovo nei suoi occhi, ad accompagnare l'abituale malinconia.

-E sono innamorata. Di un uomo.-

-Avevo capito anche questo.-

-Allora... perché?-

-La mia mamma mi ha insegnato tante cose quando ero piccola. Non solo sulle fate. Mi ha anche insegnato che un bacio è sempre qualcosa di bellissimo da regalare a qualcuno a cui si vuole bene.-

Salice rimase qualche minuto pensieroso.

-Nessuno mi aveva mai baciata, lo sai?-

-Nemmeno l'uomo di cui sei innamorata?-

Salice rise appena, una risata amara. -Lui non mi vuole.-

Luna era sinceramente stupita di questo. -Perché? Sei così bella!-

-Bella? No. Lui di sicuro non lo pensa. Sono sempre goffa, rovino sempre tutto... non sembro nemmeno una donna.-

-Invece sei bellissima. E non è vero che non sembri una donna. Si vede benissimo che lo sei.-

-Questo non è il mio vero aspetto, Luna.-

-Lo so. Guarda che mi c'è voluto un po', ma l'ho capito chi sei, Ninfadora.-

Per un attimo, Salice rimase a bocca aperta, stupito. Luna si trovò a guardalo e a riflettere su come quel nome che aveva appena pronunciato per la prima volta le suonasse strano. Non meno giusto di Salice, ma, ancora, non adatto alla persona che lo portava, che ancora, chiaramente, si sentiva a disagio nella sua pelle e nel suo nome.

-Sei una ragazza piena di sorprese, Luna.-

Luna annuì. Non aveva mai pensato di esserlo, ma nemmeno si era mai sentita Lunatica.

-Ti sembrerebbe brutto se ti baciassi di nuovo, Salice?- gli chiese, incerta. Lei di sicuro aveva voglia di farlo. Sua madre aveva ragione quando le raccontava che un bacio è una cosa bellissima.

Salice sembrò incerto. -Anche se sai chi sono?- chiese.

-Perché so chi sei.- rispose Luna.

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Quello era stato un bacio vero. Il primo bacio di Luna, oltre che di Salice, anche se lei non lo aveva detto. Luna capì che quando si bacia una persona, è facile sentire se questa persona sta sorridendo. Salice non sorrideva, all'inizio del bacio, e le sue labbra morbide erano tese. Era stato un bacio un po' goffo, all'inizio, perché quando una ragazza immagina il suo primo bacio pensa che venga tutto automatico, ma non sempre si prendono bene le misure pensando anche al naso, e non sempre si è pensato bene a cosa si provi ad avere un contatto così intimo con una persona da sentire il suo respiro sul volto, la tensione nelle sue spalle e la sua lingua che sfiora umida la tua. Che ogni primo bacio è così incerto e speciale e ricco di emozioni diverse, Luna lo avrebbe imparato negli anni a venire. Che ci sia un piccolo istinto che ti suggerisce quando chiudere gli occhi e come respirare e quando staccarsi appena per dividere un piccolo bacio affettuoso, Luna lo capì quella sera. Quando il bacio finì, quando i baci di quella sera finirono, e lei e Salice si guardarono negli occhi, la luce del sole era già scomparsa dietro la foresta a illuminare un altro luogo, l'acqua del lago era argentea, senza fate, e Ninfadora sorrideva.

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La rivide qualche giorno dopo, dopo l'attacco, col suo vero aspetto. Notò i suoi capelli rosa al funerale e sorrise fra sé, pensando che se anche nessuno avesse capito, se anche qualcuno avesse parlato di cattivo gusto, Silente lo avrebbe sinceramente apprezzato. Non si smette di essere se stessi quando qualcuno parte per una nuova grande avventura. Anche se ci manca.

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La vide per l'ultima volta quell'anno la sera prima di prendere il treno per tornare a casa. Non tutte le sue cose erano ancora ricomparse nel dormitorio, ma ugualmente volle fare un'ultima passeggiata in riva al lago nell'ora in cui nascono le fate. Non aveva sperato di trovarla, invece Salice era lì, appoggiata al tronco dell'antico albero, in attesa. Le si avvicinò silenziosa e le si sedette di fronte. Gli occhi aperti che la fissavano da sopra il sorriso erano di un verde splendente e luminoso.

-Non hai più bisogno di Salice.- disse Luna. Non sapeva bene se era una domanda.

-Sono venuta a salutarti.- rispose lei, e poi -No, credo di non averne più bisogno.- continuò.

-E con lui?- chiese Luna.

-Non lo so. Non so cosa succederà. Le cose non sono cambiate molto, ma adesso sono sicura che non dipende dal fatto che non sono una donna.-

-E che non sei bella.- concluse Luna per lei.

Salice sorrise. -Questo è un po' più difficile... continuo a vedermi come una brutta cornacchia goffa, ma ti prometto che lavorerò su questo aspetto.- scherzò.

-Brava. E se avrai bisogno di parlare, l'anno prossimo io sarò qui, va bene?-

Salice la guardò attentamente. -L'anno prossimo potrebbero chiudere la scuola.- le ricordò.

Luna si strinse nelle spalle. Le sarebbe dispiaciuto, ma non era una cosa del genere che poteva fermarla.

-Allora in un posto simile. Cercami dove il Salice incontra il lago.-

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Mentre Ninfadora si allontanava nella luce del tramonto, salutandola con la mano, Luna rimase seduta a pensare. A come era bella la sua mamma quando le raccontava le storie, e a quanto avesse imparato da lei. A come Salice le avesse tenuto compagnia in quei mesi, e a come fosse stata la prima persona ad ascoltare le sue parole e a crederci. A come fosse stata capace in quei mesi di vedere le piccole cose. Al primo bacio che le aveva dato, a come ricordasse perfettamente la sensazione e a quanto una cosa così semplice e bella fosse servita.

E nel silenzio di quella giornata dall'aria ferma, mentre rifletteva, sentì chiaramente per la prima volta in vita sua il tintinnare delle ali delle fate appena nate che si alzavano in volo per la prima volta, tutto attorno a lei, sotto i rami del salice.

  
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