Elena saliva sulla corriera, prendeva posto e infilava le cuffie.
Sistemava lo zaino sopra le gambe, per coprire pancia e parte delle gambe.
Non parlava mai con nessuno, nemmeno con le sue compagne di classe.
Ogni tanto sorrideva, pensando alle canzoni.
Poi, raggiunta la sua fermata, si alzava goffamente e suonava il campanello, si dirigeva verso la porta e scendeva.
Camminava fino a casa tenendo le braccia conserte, facendosi da parte ogni volta che qualcuno percorreva il marciapiede. 
Infine, arrivata a casa, sfilava giacca, borsa, maschera, e tornava se stessa.

Non si sentiva sola, lei. 
Più che altro, pensava che le persone le facessero paura, quindi non le cercava.
Ecco la parola giusta: paura.
Elena aveva paura di tutto.
Di essere troppo o troppo poco.
Di non essere accettata e di essere amata.
Di essere ferita e di ferire.
Aveva adottato la strategia del 'tratta come vuoi essere trattato' da molto tempo, ma questo non cambiava il modo in cui le persone la guardavano.
E lei odiava essere guardata.
Aveva letto un libro di Chuck Palahniuk, qualche settimana prima, e aveva sottolineato una frase: 'se non posso essere bella, voglio essere invisibile.'
E lei sentiva di non essere bella, ma non potendo essere invisibile sceglieva di essere anonima.
Per intenderci, una di quelle persone di cui ti dimentichi appena distogli lo sguardo.
Non era 'la ragazza gentile', 'l'amica da invitare per prima'.
Lei era semplicemente Elena, quella che 'oh, non ti avevo notata.'.
Ma non lo sarebbe stata ancora per molto, sperava così segretamente da non rendersene quasi conto.