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Autore: Sherry Jane Myers    14/04/2012    9 recensioni
"Si era recata lì a notte fonda, mentre le stelle scintillavano allo stesso modo del giorno in cui lui l’aveva lasciata, in quel modo bellissimo e luminoso, così magico che pareva quasi che anche loro volessero onorare la memoria del grande detective."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Forever our Destiny

The red wires: I fili rossi

Una ragazza camminava in silenzio fra le lapidi. Le avevano detto più volte che un cimitero non era il posto adatto a una ragazza, ma a lei non interessava. Ormai, tutti coloro che frequentavano o lavoravano al cimitero la conoscevano. Andava lì ogni giorno, con pochissime eccezioni, tanto che se non compariva per una volta, alla visita successiva si informavano sulla sua salute.

Arrivata alla “sua” lapide si fermò. Nuove lacrime, come ogni giorno, le rigarono il volto. Ancora non riusciva a crederci. Ogni volta che andava lì le sembrava tutto sbagliato. Tremendamente sbagliato. Quella lapide non doveva esistere. Si era recata lì a notte fonda, mentre le stelle scintillavano allo stesso modo del giorno in cui lui l’aveva lasciata, in quel modo bellissimo e luminoso, così magico che pareva quasi che anche loro volessero onorare la memoria del grande detective.

Guardò l’orologio. Il momento non era ancora arrivato.

Abbassò lo sguardo sulla lapide.

– Ciao, Heiji. –

Le sue parole si persero nella notte, mentre alla mente le tornava il ricordo dell’ultima volta che le aveva parlato, l’ultima volta che le aveva sorriso.


Il cielo stellato brillava sopra le loro teste. Era una sera davvero limpida e le stelle si vedevano bene nonostante tutte le luci. A quasi mezzanotte, solo chi, come loro era reduce dall’ultimo film della serata si vedeva in quella strada.

« Grazie, Heiji, grazie! Era un film bellissimo, grazie! »

Già. Quella volta niente a che vedere con gialli e misteri. “La leggenda del filo rosso” era un successo nazionale. E, incredibile a dirsi, era stato proprio Hattori a proporre quel film.

« Di niente, Kahzua, è stato un piacere.»

Ci stava prendendo gusto per quei film. Oh, che nessuno penasse male, continuava a trovarli totalmente stupidi, inutili ed esasperatamente esagerati. Ma sentire lei che gli si stringeva, piangendo sulla sua spalla, aveva qualcosa di particolare, diverso dal terrore con cui gli si aggrappava durante i film d’azione.

Camminarono per un po’, ma Heiji ad un tratto si fermò. Erano entrati nella zona dei mercatini, e non gli piaceva.

«È… troppo affollato. Vieni, andiamo via di qui».

La trascinò, malgrado le proteste, in un vicolo laterale.

«Heiji che hai? Lasciami!»

Lui obbedì subito. Kahzua non riuscì a capire cosa succedesse. Il volto del detective ormai ventenne era rosso come un peperone, nonostante la sua carnagione scura.

« Ti devo… dire una cosa».

Lei si bloccò. Quelle parole le aveva già sentite. Sì, già sentite. Nel film di pochi minuti prima.

« Cosa, Heiji?»

Il silenzio calò nuovamente, per altri interminabili secondi. Di nuovo la stessa domanda, che cadde ancora nel nulla. Il silenzio del ragazzo pareva infinito. Che la notizia non fosse così bella? Magari doveva trasferirsi per lavoro. O forse sarebbe stato via per anni. O forse…

«State fermi!» urlò una voce sconosciuta, spuntando dal buio del vicolo.

Un uomo, alto, pelato e con la barba si fece avanti. In mano aveva un coltellaccio, che puntò verso i due.

«Allontanatevi!»

Hattori, ripresosi dalla sorpresa, gettò uno sguardo preoccupato a Kahzua, per poi ubbidire.

«Ora datemi tutto quello che avete, forza!»

Heiji si voltò leggermente, nascondendo la sua tasca destra e ciò che quel rigonfiamento conteneva. Non doveva accorgersene assolutamente.

Kahzua non tardò a reagire, quando l’uomo le si avvicinò. Uno dei suoi calci e quello arretrò, verso la parete opposta del vicolo. Errore. Il rapinatore si diede la spinta contro la parete, scagliandosi di nuovo contro la ragazza, il coltello nella mano come un pugnale.

Ma Heiji non l’avrebbe permesso.

Si gettò davanti alla ragazza. Quando crollò a terra lanciò un urlo, rimanendo disteso sull’asfalto. L’uomo se la diede a gambe. Heiji aveva avuto ragione, non era preparato a quello.

«Heiji! Santo cielo, Heiji!» gridò terrorizzata la ragazza, precipitandosi da lui.

Lo girò sulla schiena, rivelando una profonda ferita all’avambraccio, da cui il sangue sgorgava copioso.

«Heiji, Heiji!» continuava a ripetere lei.

Lui riaprì gli occhi, guardandola.

«Beh… adesso perlomeno… siamo soli…»

Kahzua rapidamente estrasse il cellulare e, con la stessa velocità con cui messaggiava con Ran, chiamò un'ambulanza.

«Shh! Non ti affaticare…» fece lei, sciogliendosi i capelli.

Hattori lanciò un urlo, quando Kahzua strinse il suo nastro rosso poco sopra la ferita.

«Scusa, scusa! Devo fermare l’emorragia!»

Lui sorrise, anche se lievemente, riprendendo a respirare.

«Non… è… nulla…»

Lei lo fissò preoccupata. Gli occhi socchiusi del ragazzo tornarono ad aprirsi.

«Con i capelli sciolti… sei anche… più bella… del solito…»

L’affermazione colse impreparata la ragazza.

«Cosa?»

Il volto del ragazzo davanti a lei si faceva sempre più pallido, passando dal solito colore scuro di pelle ad un marroncino leggero, che si sarebbe scambiato per terra.

«Non me l’ero… immaginata così… la scena… ma… » fece un profondo respiro, troppo lungo per il cuore della ragazza. « Ti amo… Kahzua…»

Questa volta gli occhi di lei incrociarono i suoi, vedendoli per la prima volta in una luce diversa. L’aveva detto. Dopo tanti anni che attendeva quel giorno era arrivato. Sì, aveva ragione lui, non sé l’era mai immaginata così quel momento, ma andava bene lo stesso. Le sembrava quasi di udire delle sirene, in lontananza. Sarebbe andato tutto bene. Ma il ragazzo non aveva ancora finito.

«Kahzua… » disse, attirando la sua attenzione, più di quanto non stesse già facendo. 

«Zitto, Heiji, non sforzarti…»

Lui si sforzò ugualmente. Con il braccio sano s'infilò una mano in tasca, estraendone una scatolina, che Kahzua prese subito.

La aprì.

«Kahzua… vuoi… sposarmi?»

Un anello di brillanti luccicava al suo interno.

Lei tornò a guardare Hattori, con gli occhi lucidi di lacrime per la gioia.

«Sì, Heiji, con tutto il cuore, sì!»

Sul volto del ragazzo si dipinse un grande sorriso, poi chiuse gli occhi e con un sospiro appoggiò la testa di lato.

Kahzua sorrise a sua volta, guardando il volto beato del ragazzo. Ora le sirene erano vicinissime. Sì, tutto sarebbe andato bene. Quella pozza di sangue per terra sarebbe stata solo un ricordo.

Ma il sorriso presto si tramutò in una smorfia di orrore, riempiendosi di lacrime, non più di gioia ma di terrore, che le rigarono le guance.

«Heiji!»

Il detective non respirava più.



Nuove lacrime sulle sue gote. Spostò per un attimo lo sguardo dall’orologio all’anello che le scintillava sul dito e di nuovo all’orologio.

– Ecco. È passato esattamente un anno da quando te ne sei andato. Me lo ricordo ancora, sai? La voce atona e fredda di quel medico che dettava agli altri l’ora esatta del decesso. L’ho odiato. Poi però si è accucciato accanto a me e mi ha consolata, ma io non l’ho neanche sentito. Davanti a me c’eri solo tu. Continuavo a dirti di non fare scherzi stupidi, di riaprire gli occhi.
Non potevo crederci. Eppure io sono qui, mentre tu sei sotto due metri di terra.
Già, sono qui, a un anno dalla tua morte, a tirare le somme della mia vita senza di te. Tutto è cambiato da quando non ci sei più.
Alcune cose sono cambiate dentro di me, come il fatto che non porto più i capelli legati, che il nastro rosso che ho usato per tentare di fermare il sangue è finito dentro il mio amuleto, che adesso posto sempre vicino al petto, con me.
Altre, tante, cose sono cambiate nella mia vita. Adesso mi sembra di vivere in un mondo… piatto. Come se tutto girasse sempre in un modo o nell’altro, senza quella seconda scelta che davi tu. Non ho più nessuno da svegliare la mattina, nessuno a cui preparare il pranzo quando sua madre non c’è, nessuno da chiamare per le lunghe biciclettate per Osaka. Tutte quelle sfumature della mia vita non ci sono più, scomparse insieme a te. Ho ancora degli amici, certo, ma non potrò mai avere altri amici d’infanzia come te. Quel posto era sempre stato tuo, unicamente tuo.
Sai, tutti hanno pianto per te. Ran è scoppiata in lacrime, perfino Shinichi ha iniziato a piangere senza ritegno. Anche Sonoko, te la ricordi? Anche lei ha pianto un sacco, anche se più volte ti aveva definito irritante. Tutti, persone coinvolte nei tuoi casi, familiari, amici. Tutti hanno pianto per te. Avevi questa capacità di farti amare da chiunque.
Al funerale c’era anche lui. Quello che ti ha ucciso. Lo avrei riconosciuto fra mille. Mi sono alzata e, nel bel mezzo della cerimonia, sono andata da lui. L’ho sbattuto contro questo stesso albero, tenendolo per la gola. –

Altri ricordi la sommersero, come un'onda di piena.


Rimase scioccata nel vederlo. Il suo volto non l’aveva mai dimenticato. Solo, totalmente rimosso. Ma ora era lì, lo avrebbe riconosciuto in tutto il mondo. In un lampo lo aveva spinto contro il tronco dell’albero, sotto lo sguardo dei presenti.

«Tu!» aveva urlato. «Osi anche venire qua?» aveva gridato, con gli occhi lucidi.

Lo afferrò per la gola.

«Hai una più pallida idea di cosa hai fatto, eh? Lo hai ucciso! È morto mentre mi chiedeva di sposarlo, ti rendi conto? Sei solo un lurido, misero…»

«Calmati Kahzua, ti prego!» aveva esclamato Shinichi. All’uomo iniziava a mancare l’aria, così aveva mollato un po’ la presa su di lui.

«Come puoi dirmi di stare calma? L’ha ucciso e viene anche qui, come se nulla fosse… Lo ha ucciso! Merita di…»

«Nessuno lo merita, Kahzua. Heiji, pensi che Heiji sarebbe stato felice di avere un’assassina per ragazza? Adesso lascialo andare»

Heiji. Era bastato il suo nome per farla cadere in ginocchio, mollando la presa, continuando a ripetere il suo nome fra i singhiozzi.

«Mi dispiace» erano state le ultime parole dell’uomo mentre veniva portato via.


– Non l’ho mai potuto perdonare per quello che ha fatto. Non ci sono mai riuscita. –

Fece una pausa, mentre cercava di nuovo il fiato necessario per parlare.

– Dopo il funerale mi sono chiusa in camera mia. Non sono andata a scuola per giorni. Aspettavo che tu venissi a chiedermi come stavo, aprendo la porta come facevi sempre. Ma non sei mai venuto. Non è colpa tua, certamente, ma non sei mai venuto. Mi hai lasciata. –

Guardò persa l’albero di ciliegio lì affianco.

– Già… il ciliegio… Alla fine Shinichi me l’ha detto. La storia del tuo primo amore e tutto il resto. Ho voluto io che tu fossi seppellito qui. Sai, non riesco ad abbandonare un solo ricordo tuo. Ogni tanto mi sembra ancora di vederti, a fare il tifo per me ai tornei, con la coda nell’occhio mi pare di scorgerti compiere i piccoli gesti a cui non avevo mai fatto caso… la mia vita è un dejà vu continuo, ormai. Ma il ricordo che più di tutti non riesco a lasciare è quello di quella sera. Lo rivedo di notte, nel mio letto. Ti vedo tirare fuori la scatolina, porgermela… e mi chiedo il perché.


Guardò perduta l’orizzonte per un tempo vago, lunghissimo.

– Già… Perché? Perché mi hai lasciato? Ogni tanto però ripenso alle parole di quel dannato medico. “È un miracolo che sia vissuto tanto con una ferita come quella”. E allora penso con quanta forza volevi sentire la mia risposta, quanto volevi sentire quel sì, tanto da morire poco dopo… e mi chiedo ancora il perché.
Di chi è la colpa? A volte penso che sia tua. Se non mi avessi portato a quel film a quell’ora, se non mi avessi trascinato in quel vicolo, se non fossi stato così timido da metterci tanto a chiedermelo… però poi penso che non sia giusto dare la colpa a te.
Tu non volevi morire, hai lottato per vivere… e allora penso che sia colpa mia.
Se ti avessi impedito di andare in quel vicolo, se avessi dato un calcio più forte a quell’uomo, se avessi stretto di più quel nastro… forse ora saresti vivo.
Ma altre volte penso che non potevo farci niente, allora do la colpa a quell’uomo, al filo rosso che non ti ha tenuto stretto a me e altre ancora penso che sia stato di nuovo tu, che se non ti fossi buttato davanti a me forse io al posto tuo sarei sopravvissuta, che se mi avessi ascoltato non sforzandoti troppo sarebbe andato tutto bene, che se non avessi perso tempo a fare discorsi saresti vivo…


Sospirò. Era già quasi l’alba.

– Ma poi ho capito che l’hai fatto proprio perché sei tu, ed è per questo che ti amo.
E ripenso alla tua dichiarazione, io che ero tanto invidiosa di quella che Shinichi aveva fatto a Ran, e capisco che mi hai fatto la miglior dichiarazione del mondo.
Perché ogni parola ti costava fatica, ogni gesto dolore, ma hai continuato. E ora io sono qui, a parlare con una tomba, ma non perché abbiamo sbagliato qualcosa.
E ancora, mi chiedo se per te è cambiato qualcosa, se ti ho delusa, ma poi capisco.


Chiuse gli occhi, tranquilla. Nulla poteva cambiare le cose, e lei le aveva appena accettate, così com’erano.

– Capisco che se ci fossimo comportati diversamente non saremmo stati noi. E allora era destino che tu morissi?
No, ma non dipendeva solo da noi.
Perché i nostri destini si sono incrociati a quelli di tutte le persone del mondo e il nostro filo rosso si intreccia con i loro, veniamo trascinati dagli altri e gli altri da noi.
Ogni tanto mi sembra di vederlo, quel filo, e so che non si è spezzato, perché tu mi stai aspettando ancora oggi. E sebbene più volte abbia pensato di farla finita e di raggiungerti, oggi so che sarebbe sbagliato, più di qualunque altra cosa, perché tu non lo vorresti mai.


In quel momento, sentì Heiji con lei, a darle la forza di continuare. Strinse la mano come se si aspettasse di trovare quella del ragazzo.

– Su questo mondo il mio ruolo non è ancora finito, ho ancora dei compiti da svolgere. Però, un giorno sarò con te, e allora non ci lasceremo mai più, perché ogni destino ha un lieto fine, e presto o tardi anche il nostro giungerà. –

E allora lo seppe con tutto il suo essere. Stava facendo la cosa giusta e lui sarebbe stato con lei, fino alla fine. Sentì il suo cuore alleggerirsi, uscire dalla fossa dov’era finito e tornare nel suo petto.

– Perciò quello che ti chiedo è questo, Heiji: aspettami ancora un po’, perché un giorno, quando avremo compiuto entrambi il nostro destino, staremo insieme. Per sempre. –

Alzò lo sguardo verso l'alba e, per la prima volta da un anno, sorrise sapendo che anche Heiji stava sorridendo con lei.
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*By Sherry Myano*
Allora... ok, devo proprio divertirmi ad attirare le ire dei vari fan. A mia discolpa posso dire di essere un accanitissima Heiji♥Kahzua e che non intendevo fare nulla di male con questa fic.
Non ho idea di come mi sia venuta in mente. Però l'ho trovata adatta alla coppia, più a loro che a Shinichi e Ran. Probabilmente questa fic è ambientata dopo la lotta con l'organizzazione, tanto che ho voluto aggiungere la specifica che Heiji era un ventenne (Un sedicenne che pensa al matrimonio era poco adatto).
Beh, che posso dire, anche solo per dirmi che sono una scema e che devo smettere di scrivere cose come queste commentate in tanti!



  
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