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Autore: aniasolary    14/04/2012    5 recensioni
Missing moment di Destiny heart
Liz da bambina, Liz che cresce. Abbracci in cui si vorrebbe essere stretti per sempre.
I capelli rossi di mamma danno di fiori, come la camomilla che si prepara per dormire. La camicia di papà sa di menta, come il dentifricio sullo scaffale. Quando ha un po’ di barba la graffia, ma Lizzy ride perché le fa anche il solletico. Silvya dice un sacco di cose ma non si capisce niente di niente. Ridono tutti, e le risate sono come i rumori dei cucchiaini sui bicchieri di cristallo.
È come la musica.
Non vede l’ora di risentirla.

Perdite che segnano. Anche quelle per sempre.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga, Successivo alla saga
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MM 2 LIZ

In front of the sky

sono solo stasera senza di te,
mi hai lasciato da solo davanti a scuola,
mi vien da piangere,
arriva subito,
mi riconosci ho le scarpe piene di passi,
la faccia piena di schiaffi,
il cuore pieno di battiti
e gli occhi pieni di te. 

Jovanotti - Le tasche piene di sassi

 

Lo zaino pesa sulle spalle. Il venticello di aprile le fa muovere le trecce bionde, ogni tanto le finiscono sulle labbra.

Si siede sugli scalini, la cartella delle principesse Disney scivola vicino alle sue gambe. Stende le ginocchia, si vede il numero trentasei sul velcro delle scarpette.

«Se ne sono dimenticati?»

«No.» risponde ancor prima di capire chi le ha fatto la domanda. Tanto sa che quella è la risposta giusta.

Veronica Parker, della quarta A, porta una tracolla che sembra storcerla un po’. Fa un sospiro e anche lei la poggia sulle scale.

«Mia mamma chiude il bar fra dieci minuti.» Lizzy è andata un sacco di volte al bar della mamma di Veronica; la signora vende un gelato al fior di latte che le fa dimenticare tutti i dispetti di Ian.

Veronica si siede accanto a lei, i capelli neri e lunghi che le cadono sulle spalle, lisci.

«Forse mia mamma è andata a fare la spesa.» Lizzy si sistema la gonnellina a quadri. Lo stesso pomeriggio Waltie Water ha provato ad alzargliela, quello sbruffone. Menomale che lei è sempre pronta a proteggersi con l’album dei disegni.

«Vuoi?» Veronica le offre una barretta di cioccolato, quella con la carta rossa e bianca della pubblicità.

«Grazie.» Lizzy accartoccia la carta e la poggia sulle gambe. Oggi è il suo giorno fortunato, ha avuto un cioccolatino anche da Lucy, per la nascita del suo fratellino.

«È al latte, ti piace?»

«È… il mio pfefefito.»

Veronica ride, ride con gli occhi chiusi, le si separano tutte le ciglia.

«Pufe il mio!» È una risata rumorosa, assomiglia ai piatti che sbatte il maestro Wilkman nell’aula di musica.

«Ma tu sei Lizzy frizzy?»

Il sapore del cioccolato le pizzica la lingua, forte.

«Chi te lo ha detto?»

«Walter.»

«Waltie Water?»

«Sì! L’altro giorno era al bar della mamma e stava ridendo. Gli si vedeva tutto l’apparecchio.»

«È proprio stupido.» Il gusto del cioccolato sta per sparire, le dispiace tanto.

«Sì, si vede da lontano.»

«Mi chiama così perché alla festa di Dina… ho cercato di aprire la coca-cola e mi è andata addosso… »

«Ah-ah!»

«Almeno ci ho provato e non ho aspettato il cugino grande!» Lizzy si sistema la giacca blu, quella con le fatine sulla tasca laterale. Abbassa la voce, come se stesse dicendo un segreto. «Stava facendo dei versi strani dallo stanzino… con la baby-sitter.»

«Ve… Veramente?»

«Sì, doveva farci da baby-sitter anche lui, ma ha fatto tutto tranne quello.»

«Ma i maschi sono sempre così scemi?»

«Spero di no! Altrimenti non mi sposerò mai, nemmeno se quello che incontro è bello come quello del film della nave che affonda.»

«Jack?»

«Non si chiama Leo?»

«Ah, boh!» Veronica scrolla le spalle. Ha l’uniforme rossa, come tutti i bambini di quarta elementare. «Comunque, tu sai come mi chiamo?»

«Sì, Veronica. Vai in quarta A.»

«No, per piacere, è *orribilissimo. Ronnie.»

«Va bene. Però tu non chiamarmi Lizzy frizzy.»

«Ovvio!»

Sorridono.

Ora stanno bene così, non sono sole. Se sono insieme, non lo saranno mai.

«Ma quello chi è?»

Un bambino ricciolino corre verso la parte della fermata del bus, veloce, senza trattenere l’affanno.

«Ah, è Peter della quinta C, oggi l’hanno messo in punizione, sarà per quello che l’hanno fatto uscire più tardi… oh, è arrivata la mamma!» Adesso il sorriso di Ronnie dà molta più luce dei lampioni lì vicino, soprattutto sulla sua carnagione dorata.

Ronnie alza la mano a mo’ di saluto; i fari della macchina grigia – sicuramente è una station wagon, l’ha visto in tv, nella pubblicità con la musica classica – si spengono all’improvviso. Una signora con i capelli scuri scende dall’auto, Ronnie le corre incontro.

 «Tesoro, aspetta un attimo.»

Lizzy non aveva mai visto la signora Parker senza grembiule. La sua voce è gentile, pacata, somiglia tanto a quella della sua mamma. Forse un po’ tutte le mamme si somigliano.

«È vero! Stavo dimenticando la tracolla!» Ronnie ritorna indietro, «Ciao, Lizzy.» le dice.

«Ronnie, un momento… tu sei Lizzy Audley, vero, piccola? La figlia di Annie?»

Gli occhi della signora sono lucidi e chiari, sembrano non aspettare altro che parli.

«Sì, sono io.» risponde lei.

Il sorriso della signora si spegne.

«Vieni, stasera starai a casa nostra, potrai giocare con Ronnie.»

Il sorriso ritorna, ma non assomiglia per niente a quello che aveva prima.

«Mia mamma deve venire a prendermi.»

«Non… non verrà, stasera.»

«E perché?»

«Ti spiegherà tutto tuo padre… e… Ronnie, di’ alla tua amica… sono buone le mie frittelle? »

«Sì! Sì, Lizzy, che bello! Vieni, sono buonissime.» Ronnie le prende la mano, sorridente.

Lizzy non ha tanta voglia di sorridere, le sembra tutto troppo strano, anche quando sale in auto e alla radio c’è una canzone che conosce a memoria. La mamma la canta sempre, ma è bella soprattutto se cantata dalla sua voce.

Dopo la serata a casa di Ronnie, Lizzy tornerà a casa e rivedrà la piccola Silvya, di quasi un anno.

Papà abbraccerà lei, la mamma e la piccolina; si sentirà un profumo buonissimo.

I capelli rossi di mamma danno di fiori, come la camomilla che si prepara per dormire. La camicia di papà sa di menta, come il dentifricio sullo scaffale. Quando ha un po’ di barba la graffia, ma Lizzy ride perché le fa anche il solletico. Silvya dice un sacco di cose ma non si capisce niente di niente. Ridono tutti, e le risate sono come i rumori dei cucchiaini sui bicchieri di cristallo.

È come la musica.

Non vede l’ora di risentirla.

 ***

Non sono mai tornata a casa.

Mia madre non è più venuta a prendermi da scuola, e nemmeno mio padre.

La porta cigolava, quando entrai nel salone, e non me ne ero mai accorta prima. C’erano tanti fiori, talmente tanti da far venire il mal di testa.

Era finito tutto.

Ronnie mi aveva tenuto la mano. Avevo sentito sua madre piangere al telefono, la sera in cui ero andata a casa sua. Le frittelle e le barbie mi avevano annebbiato il suono e la prova della morte di mia madre.

Quella non era più la mia casa.

Mio padre mi seguì, da dietro. Per poco non fece cadere il passeggino dove teneva Silvya, che dormiva beata, che non sapeva niente.

Si sbatté la porta alle spalle.

Era un giorno d’aprile e pioveva,  si sentiva l’acqua scorrere sulle finestre. Mio padre aveva gli occhi gonfi, arrossati, indossava un abito elegante come al matrimonio di zia Bonnie. Si passò una mano sulla fronte, e in quel momento mi accorsi di quanto potesse sembrare vecchio… con i capelli biondi, gli occhi azzurri, e un viso con delle rughe che non gli avevo mai visto. Il suo viso, quello che io mi divertivo a tirare da ogni parte e lui rideva e ridevo anch’io.

«Hai fame?»

Mio padre tossì, forte.

«Papà…»

Ci sono io con te, papà. Ci sono io. Hai solo sonno, è per questo che hai questa voce. Ce la faremo, basta mettere le brioches nel forno la mattina, il latte in quello piccolo che si chiama microonde, no? La mamma lo chiamava sempre così.

«Forse… forse abbiamo degli avanzi de… dell’altro giorno.»

«Ci siamo noi.» Corsi contro le sue gambe, mi aggrappai alla stoffa liscia dei suoi pantaloni, l’odore di tabacco, cuoio e menta.

«Lizzy…»

«Papà, ci sono io, c’è anche Sil. E la mamma…»

Lo sentii sospirare, abbassarsi. Abbracciarmi ancora.

Era buono, l’odore di mio padre.

Era tutto quello che avevo.

Voltò lo sguardo e lo fissò nei miei occhi per pochissimo tempo, quel tempo che mi fece desiderare di non esserci mai stata.

Perché mi guardò come se avesse visto qualcosa di brutto.

«La mamma è morta.» disse.

Morta.

Che parola è? Non la conosco, papà. Perché la dici? Non la dire, mi fa stare male. Vuoi che stia male? Papà, perché non dici più niente? Perché? Le brioches vanno nel forno, il latte in quello piccolino che si chiama microonde, ti posso aiutare… Ma non lasciarmi da sola, ti aiuto io. Silvya piange poco, è buona. Saremo buone ma tu resta. Ho paura del buio, lascia la luce accesa. Ma resta.

In quel momento, a otto anni, sentii qualcosa di incredibilmente pesante sulle spalle, molto più pesante di uno zaino con libri e quaderni.

Mio padre era malato, ed io non potevo guarirlo.

Riuscii a prendere in braccio mia sorella, anche se si lamentava spesso. Dovevo stare attenta a salire le scale e a non farla cadere, la prendeva sempre in braccio la mamma quando andavamo al piano di sopra.

L’avevano messa in una cosa di legno, nella sua stanza da letto, non mi ricordavo come si chiamava, era solo la cosa di legno con cui avevano messo sotto terra mia madre. Lei aveva dei graffi lungo le braccia… l’incidente l’aveva uccisa sul colpo.

Il giorno del funerale mio padre coprì la mamma con un velo bianco… poi si accasciò sul letto, la foto del matrimonio di fronte a lui: mia madre con il vestito bianco, lui che la stringeva, Annie e Frank sposi – Seattle 1989

Vidi le sue spalle incurvarsi, le sue spalle diventare sempre più curve… credeva che non ci fosse nessuno ma c’ero anch’io.

Corsi via. Lizzy, non correre. Dove vai? Voci, voci di tante persone.

Piansi. Piansi con la nonna, piansi con Ronnie che era troppo piccola per capire, piansi chiusa in cameretta, davanti alle bambole con il sorriso disegnato in faccia.

Era mia madre, e non si svegliava.

Più nessuno a raccontarmi le fiabe la sera. Cenerentola perde la scarpetta e poi il principe la ritrova. Più nessuno a rimboccarmi le coperte, a darmi il bacio sulla guancia la sera. Ma non mi importa se ci viene qualcun altro, voglio la mamma.

Non si svegliava più.

Qualche settimana dopo mio padre ricominciò a parlare e ad andare a lavoro, ma non mi guardava mai.

I miei capelli stavano cominciando a scurirsi. Ero proprio davanti allo specchio, quando lo sentii parlare al telefono. Mio padre disse di sì dopo nemmeno trenta secondi.

Uscii dalla stanzetta con le treccine un po’ storte, avevo imparato a farle da sola.

Mio padre partì qualche settimana dopo per l’Alaska. Sarebbe ritornato solo due volte l’anno.

Oggi ho quindici anni, è un normale giorno di aprile; mio padre non è venuto per anniversario di mamma, anche se aveva promesso. Guardo il cielo verso la finestra, piove proprio come quel giorno.

Ho dato il mio primo bacio due mesi fa al gioco della bottiglia e la prima cosa che mi viene in mente da dire è appiccicoso.

Sì, quello lì – com’è che si chiama? Ian? Mi faceva i dispetti alle elementari – può anche essere carino ma bacia male.

Mia nonna ha fatto la pizza e Silvya sta guardando “Il re leone” nel DVD di casa. Va tutto bene, in fondo. È passato tanto tempo e i suoi capelli rosso fiamma – ondeggiano al sottofondo di “Hakuna matata” – sembrano quelli di mamma.

La sento sempre con me: la sento nei fiori alla camomilla, nelle risate di Silvya, nei centimetri di altezza che cresce.

Va tutto bene.

«Allora, cosa faccio?» La voce di Ronnie mi arriva alle orecchie, squillante. Non è il momento di guardare “Il re leone”.

«Come cosa fai? E me lo chiedi!»

«E che ne so! Sei tu quella che deve consigliarmi.»

Sospiro, senza trattenere un sorriso. Ronnie mi dà sempre tanto a cui pensare.

«Tu gli piaci, lui ti piace… »

«… Sesso? »

«Così presto?» Scoppio a ridere, mentre Ronnie soffoca nella sua stessa risata, gli stessi capelli neri, lo stesso sorriso bianco e la stessa carnagione dorata.

«Dai, chiamalo… andrà alla grande.»

«Dici?»

«Peter mi sembra un tipo a posto.»

«Ed è così… bello. E simpatico… lo sai che sa suonare la chitarra?»

«Me l’hai detto cinque volte.» Prendo in mano il cordless e faccio segno di darglielo.

«Quindi? » fa lei.

«Chiamalo.»

«Mi vergogno.»

«Ma scema.»

«Scema tu.»

«Compongo io il numero?»

Ormai lo so a memoria, l’ha ripetuto così tante volte che potrei scriverlo con gli occhi chiusi.

«Lizzy, Lizzy, aspetta… Ma che dico? »

«Come che dici? Lui ti ha detto: “Vuoi uscire con me Venerdì sera?”. E tu rispondi :“Sì, Peter, voglio uscire con te”. »

«Ah.»

«Eh.»

«Oh.»

«Vuoi dire tutte le vocali?»

«Acida.»

«Non è vero, lo sai.»

«No.»

Ronnie ci ha messo due ore per chiamare Peter, il bambino con i capelli ricci che avevo visto correre verso la fermata del bus.

Oggi è uno dei ragazzi più carini della scuola; non è un tipo che se la tira, no. O forse sì.

È strano come si intreccino i percorsi di tutte le persone. Il mio segue una linea tutta sua, non so ancora chi mi farà inciampare. Spero solo di non ferirmi, quando succederà. Spero di avere sempre la forza di rialzarmi.

A capodanno Ronnie ha mischiato Vodka e aranciata, se l’è trovata sotto il naso il fratello. Il piccolo Tyler ha cominciato a cantare la sigla dei pokèmon a squarcia gola, nessuno capiva cosa gli fosse preso. Ronnie è corsa in bagno, è diventata tutta rossa per le risate ed io con lei.

Poi però diventa timida all’improvviso, come quando deve chiamare un ragazzo per dirgli che vuole uscire con lui.

«Visto? Era così difficile?»

«Devo trovarti un ragazzo.»

«Buonanotte.»

«Che ne pensi di Mark?»

«È solo un amico e non è il mio tipo.»

«Non devi fidanzarti per forza con Leonardo Di Caprio.»

«Ma in “Titanic” è così… bello!»

«Intendi scopabile?»

«È un artista!»

«… povero.»

«Il ragazzo non lo cerchi, il ragazzo ti trova.»

«Filosofica.»

«Realista.»

«Ah-ah! Tu?»

«Sì, io.»

«Mi mollerà la prima sera.»

Peter le ha lasciato un foglietto nell’armadietto con due biglietti per il cinema.

Si sono baciati alla terza uscita. Subito dopo Ronnie è corsa a casa mia, mi ha abbracciato e mi ha detto: «Ti farò una statua, Elizabeth Elle.»

«Esagerata.»

«Ti voglio bene.»

«Anch’io… Veronica.»

«Non chiamarmi così, scema!»

«Scema tu!»

Aveva già cominciato a camminare sulle nuvole e mi ha portato con sé.

 ***

Non ci credo.

Ronnie sognava di fare la ballerina, e entrare nella squadra delle cheerleader le avrebbe dato punti per entrare alla Juliard. Per gli ultimi due mesi ci siamo sentite sempre meno, gli allenamenti la impegnavano tanto e quelle streghe non facevano altro che assillarla. Secondo lei erano molto più brave ed esperte, ma Ronnie era sempre stata la migliore. Sono anche uscita con loro, qualche volta; mi sono anche convinta che potessero essere simpatiche. 

Che cosa non si fa per le amiche?

Alla fine della stagione dello sport e degli allenamenti saremmo ritornate a correre al parco, a mangiare il gelato alle fragole e al cioccolato insieme… e a cantare le canzoni di Brian Adams per strada, con Peter che ci guardava male e poi rideva con noi. Di solito ci incontrava con Waltie Water – Walter – Dina, Mark e Lucy. Peter dava un bacio sulla guancia a Ronnie e poi se ne andavano insieme.

Non ci credo.

Io e Peter abbiamo visto insieme il suo ultimo saggio di danza. Ronnie si era già fatta le meches arancioni; aveva un vestito bianco, quasi trasparente.

Sembrava una fata.

«Sta benissimo, vero?» ho detto io.

«Sì.» Peter si è voltato verso di me, gli occhi marrone cioccolato a illuminare il buio. «È splendida.»

Ronnie era in segreteria, con tanti moduli in mano, una matita posata sull’orecchio. «Ehi, Ronnie, oggi vieni a casa mia?» Mi ha sorriso.

«Ma certame…»

«Ronnie, oggi ci sono gli allenamenti, non vuoi mancare, vero?» Le si è avvicinata Cassie, con una gonna che sembrava solo un pezzo di stoffa appiccato sul basso ventre. Ronnie mi ha guardato, senza trattenere un sospiro di amarezza.

Non ci siamo mai più riviste.

Ho ancora il suo ultimo messaggio, me l’aveva mandato qualche ora dopo.

Devo dirti una cosa importante. Domani ci vediamo per forza, allenamenti a quel paese. Mi manchiiii.

Peter è partito due mesi dopo la sua scomparsa, dopo il diploma.

Non ho più saputo niente di lui.

Ho perso.

Ho perso di nuovo.

Non ci credo.

Mi tremano le mani.

Ho diciassette anni ed è un piovoso giorno di aprile. Siamo nel garage di Kyle e Jake mi tiene stretta, mi accarezza i capelli, mi tocca il viso.

Io tengo gli occhi chiusi, sto ancora tremando.

L’immagine del lupo rosso che taglia l’aria davanti a me potrebbe essere quella di un sogno. Invece è quello che ho visto solo mezz’ora fa. E questa è stata una mezzora piena di parole, cose impossibili e voci spezzate.

L’interrogatorio della polizia è stato sufficiente a togliermi il sonno la notte insieme al pensiero che a Ronnie fosse successo qualcosa di orribile. All’inizio pensavo che avesse fatto qualche cavolata con Pete, ma lui non sapeva niente; non riusciva a parlare senza voltare il viso con le parole che gli affogavano in bocca. I giornalisti erano sempre davanti alla scuola. Mi hanno chiesto quando l’avevo vista l’ultima volta, io sono scappata…

Peter non ci è riuscito. Peter era maggiorenne e appariva in televisione proprio com’era. Il sorriso da sono il ragazzo figo schiacciato sotto i piedi. Una domanda, due domande e gli si rompeva la voce.

«Eri innamorato, vero?» Peter metteva la mano davanti alla telecamera.

Lo hanno visto tutti.

Non ci credo.

Il sonno è ritornato… forse per tutta la stanchezza di quei mesi. E di notte mi ha salvato l’oblio, che mi faceva dormire senza sogni né incubi.

Poi è arrivata la rassegnazione. Un comportamento che non ha spiegazioni e che fino a questo momento aveva quasi retto.

Come da quel giorno di maggio, al progetto di scienze per le terze e quarte classi, ora non mi rimane che guardare un banco vuoto, freddo. Qualche cuore scritto con un pennarello indelebile.

R &L. «Ronnie, aggiungi “Mitiche” sotto.»

Sospiro rumoroso. «Scrivilo tu.»

«E dammi la penna!»

«Si è scaricata!» Risate.

«Vedo che la fotosintesi vi fa ridere, signorine.» Scuse sussurrate.

È un posto che nessuno ha ancora il coraggio di occupare anche solo per pochi minuti o comodità.

Il suo.

La mamma di Ronnie ha chiuso il bar un mese dopo, solo da cinque mesi è stata rimessa dalla clinica in cui era stata ricoverata per depressione. L’altro giorno l’ho vista al supermercato, lei ha evitato il mio sguardo.

«Liz?»

Ronnie è morta.

Morta.

Lei ha offerto la cioccolata, lei mi ha abbracciato al funerale, lei mi ha aiutato in ogni momento triste, io ho aiutato lei ogni volta che aveva bisogno di aiuto.

«Liz, per favore…»

Jacob.

Il ragazzo del parcheggio. Capelli neri, sorriso.

Chi sei?

Il ragazzo per cui mi sono presa una cotta. Pelle scura, occhi liquidi.

Il ragazzo che mi ha detto la verità. Manto rosso, lo stesso sguardo.

«Non te ne andare.»

Vampiri, leggende… che cos’è tutto questo?

È un incubo.

Adesso siamo legati per sempre?

Non lo so. Non so niente.

«Liz, se vuoi che rimanga resto.»

«Resta.»

Sto ancora tremando, sto ancora piangendo.

Non ci credo.

«Ma… Perché? » dico. «Come… com’è possibile…»

«Non lo so.»

Ronnie, capelli neri, sorriso, meches arancioni.

L’hanno presa, morsa alla gola, tre giorni di dolore.

Risveglio, esercito, mostro.

Sangue, mesi, morta.

È finita così.

«Non lo so, Liz.»

Sospiro, voglio aprire gli occhi, voglio guardarlo. Perché c’è tanto buio, qui?

Jacob mi guarda, ci separano solo pochi centimetri.

Ora c’è la luce.

«È tutto uno sbaglio… » Si alza, mi lascia.

«No.» La mia voce è rotta. «Tu non vuoi che io… tu ed io…»

«Cazzo, non voglio metterti in pericolo.»

«Ci pensi adesso? »

«Non volevo più nascondermi.»

«Non ti nascondere.» Dio, non riesco a parlare. Prendo un respiro profondo. Non posso perdere tutto, non posso perdere anche lui. Anche se è un muta-forma, anche se il suo compito è uccidere i vampiri. «Io voglio… voglio sempre la verità.»

E se quella sera avessero preso me? Se fossi andata io a casa di Ronnie? Sarei stata trasformata e ora sarei morta e…

Jacob mi viene incontro all’improvviso, passa un secondo e sono di nuovo aggrappata a lui, ora non tremo più.

«Ti amo.» La sua voce è roca, mi fa venire i brividi sulla pelle.

Sto per rispondergli.

Jacob mi prende il viso fra le mani, mani ruvide, grandi.

Mi bacia, mi bacia come non mi ha mai baciato prima. Sento il suo corpo premere contro il mio, le gambe intrecciate, il fiato che non basta più, la lingua, la lingua nella mia bocca, giorni di pioggia, giorni passati, giorni che arriveranno.

Un altro ragazzo avrebbe fatto finta di niente, io sarei rimasta la fidanzata che crede che sia tutto normale quando tutto è il contrario.

Le mani, le labbra, i sospiri.

Non voglio credere in qualcosa che non esiste, e lui esiste davvero.

Lui è qui con me.

«Anch’io ti amo.»

Mi passo una mano fra i capelli, mi fanno male gli occhi.

Non so cosa avrei voluto. Non so se avrei voluto credere che Ronnie stesse bene, ovunque fosse, e che un giorno sarebbe tornata a casa.

Penso a mia madre.

Non so se c’è un paradiso, o se l’anima si reincarna o se tutti finiremo nello stesso posto. Voglio solo che lei e Ronnie stiano bene.

«Liz… Liz, è la cosa più pericolosa che possa esistere.»

«Non dirò niente a nessuno.»

È un segreto. È un segreto che era solo suo e che ora è anche mio.

Adesso è nostro.

«Non permetterò che ti succeda mai niente. Non starai mai male per questo, mai più.» Quasi trema, lo sento nell’abbraccio in cui mi stringe.

Gli accarezzo il viso, non so dove guardare: perché se il mio sguardo cade sugli occhi mi gira la testa e se finisce sulle labbra potrei perdere quel poco di ragione che mi è rimasta.

«Non succederà.» Mi appoggio a lui, gli occhi chiusi, il fuoco dentro. Sento le sue mani scendere sulla mia vita. «Non succederà.» 

***

Lo guardo allontanarsi fra gli alberi della riserva contro un cielo bianco di nuvole e scuro di tempesta, sento ancora la scarica elettrica dell’ultimo bacio che ci siamo dati.

È arrivato un altro giorno di pioggia.

Si volta un attimo, sono alla finestra. Intrappolata in una morsa invisibile che mi fa soffocare.

Tornerò.

Leah guarda i ragazzi allontanarsi. Non voleva fare altro che combattere ed è costretta a restare qui con me ed Emily. Il mio riflesso si distorce nel vetro. Forse ama Brian a tal modo da rinunciare a una cosa così importante solo perché gliel’ha chiesta lui.

Il tempo non passerà mai. E il pensiero di Jake, dei Volturi e del pericolo sarà sempre nella mia mente. Da giorni non fa altro che bucarmi il cervello.

Mi siedo e sfoglio quel vecchio libro della tribù di Opstead; è come se le pagine scorressero a rallentatore, il tempo passa e io tremo. Non trascorrerà senza farmi sentire sul punto di accasciarmi a terra per il terrore.

Leah si versa un po’ di caffè e la caraffa le scivola dalle mani. Sussulto, ormai è fin troppo facile. Emily le si avvicina. «Ti aiuto.»

«No.» Il caffè sporca il tappeto fra i pezzi di vetro.

Devi stare calma.

Non ci riesco.

Andrà tutto bene.

Non ci credo.

Comincio a leggere qualcosa verso il centro del tomo, respirare in modo normale è un obbiettivo ancora lontano; Emily sbatte la porta del bagno, la sento piangere.  La parola “Imprinting” mi si intrufola nella testa.

Non ne uscirà mai più.

*

*


last kiss

Salve gente!

*Ania offre cioccolatini per tirare su di morale*

Grazie mille per aver letto. C'è anche un'anticipazione di quello che succederà nei prossimi capitoli di DH :D (la faccina sorridente forse non è molto appropriataxD )

Ringrazio tantissimo Postergirl84 che ha letto questa storia prima di tutti e mi ha dato la sua benedizione, passate a leggere L'inizio di sempre <3 

Virgy, se ti piace è tutta tua. Non vedo l'ora di commentare uno ad uno i capitoli di Moonglow quando la riposterai <3 Non smettere mai di scrivere <3

*orribilissimo: so che in italiano non esiste, ma ho sentito dei bambini parlare ed è scappato queto aggettivo XD è una licenza poetica, diciamo :D

Per quello che succede: chi ha letto DH si ricorderà di Ronnie, mi dispiace di non poter inserire il link del capitolo in cui appare per un problema. Penso che la prossima settimana non riuscirò ad aggiornare, mi dispiace. Vi ringrazio tanto per il vostro sostegno <3  

So che S. Meyer ha scritto un libro su Bree, la vampira neonata che viene uccisa dai Volturi in Eclipse, ma io non l'ho letto. Non so se la storia di Ronnie è simile alla sua, ma questo è esattamente quello che è successo. E' probabile che in fututo ne sapremo di più.

Ci sono sempre dei ringraziamenti speciali da fare, perché ho delle persone bellissime che mi vogliono bene. So che loro sanno quanto sono importnati per me. Grazie a tutti voi che leggete, se volete potete lasciarmi due parole. 

Grazie davvero.

Un bacio

Ania.

   
 
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