Eccomi tornata con la seconda - e utlima - parte di questa flash commemorativa.
Innanzi tutto, vi ringrazio tutti per aver letto la prima parte, specialmente chi ha voluto lasciare un proprio commento, grazie davvero! A questa commemorazione ci ho sempre tenuto molto, infatti la sto preparando da svariate settimane. Come avevo preannunciato, ho creato un post sul mio blog personale per ricordare l'accaduto nei minimi dettagli, usando termini più tecnici e schematici che in una storia, comunque, starebbemo male. Per l'occazione, ho creato anche un video commemorativo, usando le immagini della nave del celebre film di James Cameron e le riprese del vero riletto. Come già detto, svariate volte, ho ideato questa storia - su questo fandom, soprattutto - perché ispirandomi alla storia d'amore di James Cameron, come filo conduttore per raccontare una storia ben più grande, non mi sembrava il caso di far spacciare per mia l'idea di un altro grande regista.
Prima di lasciarvi al capitolo, vi posto il link del post del blog e il video, che spero guarderete. (se pensate di vedere immagini d'amore tra Jack e Rose, non le troverete.)
Questo è il post: TITANIC - La fine di un'epoca
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Una data da ricordare :: RMS Titanic [ 15 Aprile 1912 - 15 Aprile 2012 ] from Marta89 on Vimeo.
Questo non è il mio canale, in quanto io ce l'ho, ma su YouTube.
Purtroppo, però, YT ha deciso che il video aveva contenuti che andavano contro il copyright, quindi ho creato questo canale "salvagente" su Vimeo.
Spero che la qualità del video resti ottimale.
Una data da ricordare
« Nella notte ci furono molti atti di coraggio,
ma nessuno è stato più coraggioso di quei pochi uomini che suonavano,
minuto dopo minuto,
e che hanno suonato come per rendere il proprio requiem immortale
ed il loro diritto ad essere iscritti sulle tavole della gloria eterna. »
Testimonianza di Lawrence Beesley, passeggero di seconda classe.
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I
giorni seguenti
si susseguirono in modo molto strano.
Cercai di evitare
Edward il più possibile; fortunatamente, non fu difficile.
Essendo un
passeggero di terza classe, non aveva libero acceso ai nostri ponti o
sale. Io,
dal canto mio, evitai di farmi trovare in posti
“pericolosi”.
― Allora, Isabella,
qual è il problema? ― domandò Esme,
improvvisamente.
Stavamo
passeggiando lungo il ponte privato della sua suite. Il sole, se pur
freddo, ci
colpiva senza indugio. Erano le sei del pomeriggio, del 13 Aprile.
― Nulla. ― risposi
in fretta. Forse, troppo in fretta.
― Isabella,
parlami. Sai che non sono come tua madre… Vengo da un
ambiente diverso, non
voglio giudicarti. Cos’è che ti affligge?
― Sul serio! Nulla,
Esme. Dico davvero.
― C’entra quel
ragazzo? ― domandò, stampandosi un piccolo sorrisetto sulla
faccia ― Edward.
Dico bene?
― No, ma certo che
no! ― ribattei, arrossendo visibilmente.
― E allora perché
sei diventata tutta rossa? ― chiese, fermandosi davanti ad un
finestrone del
ponte. Si appoggiò con i gomiti e cominciò a
guardare l’orizzonte.
Il sole che si
appoggiava sulla linea dell’oceano, era uno spettacolo
incredibile. L’acqua era
limpida, e il cielo aranciato si specchiava in esso.
― Non so più cosa
fare o cosa pensare, Esme. ― dissi, togliendomi un peso dal cuore.
― Qual è il
problema, cara?
― Come qual è il
problema? ― domandai allucinata. Stava forse scherzando? ― Sono
fidanzata,
Esme. Inoltre Edward è… è un
poveraccio! Alla mia famiglia prenderebbe un
colpo. Non voglio vedere morire mia madre di crepacuore; specialmente,
non per
colpa mia.
― Ti svelo un
segreto, cara. ― sussurrò, attirandomi a lei ― Io provengo
da una famiglia ricca,
a differenza di Carlisle che dormiva per strada. Mia madre era una
donna molto
esigente, con schemi prestabiliti in testa. Per lei tutto era bianco o
nero, i
colori, le sfumature, non erano accettati come alternative. Avevo
sedici anni
quando mi comunicò che, a breve, sarei diventata la moglie
di un tale
signorotto McCarty – non ricordo più neppure il
nome. Fatto sta, Isabella, che
non avevo la minima intenzione di essere piazzata come un premio in
palio per
unire due grandi dinastie reali. ― disse a voce più alta,
assumendo un’aria fiera
e decisa ― Una notte scappai di casa. È stato allora che
conobbi Carlisle. E da
quel momento non l’ho più lasciato… Mi
ero innamorata di lui dal primo istante
i cui i miei occhi si persero nei suoi azzurri… ―
sospirò sognante.
― E vostra madre?
― Mi ha diseredato!
― rispose, scoppiando a ridere. Era un’ilarità
tanto fresca e sincera che
contagiò anche me ― Ma a me non importava niente. Sai quel
era il mio
desiderio? Abitare in una cantina o soffitta polverosa, ma essere
libera! La
mia famiglia, è questo che mi ha sempre negato…
― …la libertà. ―
conclusi, al suo posto.
― Non permettere a
nessuno di metterti in catene, Isabella. Nemmeno alla tua famiglia. ―
la
osservai, notando in lei una sincera gentilezza.
Esme Cullen – donna
adulta, che come il marito non dimostrava affatto la sua
età, aveva dei
fantastici capelli castani, esattamente come i suoi occhi –
era l’eccezione
della classe alta. Non c’era superiorità nel suo
sguardo o nelle sue parole;
non vi era arroganza nei suoi gesti o nella sua postura; non ti
guardava
dall’alto in basso, facendoti sentire piccolo, un insetto da
schiacciare. Lei
era diversa, come tutta la sua famiglia. Ce n’erano poche di
persone come i
Cullen, nell’alta aristocrazia.
― Grazie, Esme! ―
urlai, baciandole una guancia di slancio ― Mi è stata
davvero utile. Grazie
infinte ancora! ― gridai, dirigendomi come una pazza in terza classe.
Andai a sbattere
contro diverse persone – sia di prima che di seconda classe
– finché non trovai,
finalmente, l’entrata per la terza classe.
Dopo qualche
esitazione, mi decisi a varcare la soglia. Mi ritrovai di fronte una
piccola
scala bianca, e scesi. Il pavimento era rivestito interamente dal
parquet. Per
tutta la lunghezza della piccola sala, facevano bella mostra parecchie
file di
panche, piuttosto larghe e lunghe. I bambini, seduti in cerchio
– al centro
della stanza – giocavano con piccoli ratti grigi. Trattenni
un urlo; non avrei
dovuto sorprendermi di trovarmi davanti tutta quella miseria.
― Signorina,
signorina! ― mi chiamò una bambina, tirandomi la gonna del
vestito.
― Ehi, ciao… ―
risposi, un po’ incerta. Con i bambini non sapevo farci per
niente!
― Lei è una
principessa? ― domandò, guardandomi con i suoi grandi occhi
celesti ― È così
bella, e il suo vestito mi piace moltissimo!
Non doveva avere
più di sei, sette, anni. Indossava un vestito piuttosto
malridotto, marrone,
con sotto una camicia di flanella bianca – tendente al
giallognolo. I lunghi
capelli neri erano crespi, se pur abbastanza puliti. Sul capo, poi, si
posava
una retina bianca – come quella che usava Jane, per capire
che non fosse una
nobile.
― Anche tu sei
molto bella. ― risposi, piegandomi sulle ginocchia ― Come ti chiami?
― Io mi chiamo
Bianca. E tu?
― Isabella Marie… ―
mi interruppi all’istante. Era solo una bambina, santo cielo!
― Bella, puoi
chiamarmi Bella. ― dimenticai Edward per qualche minuto.
Bianca era una
bambina dolcissima. Viaggiava sul Titanic con il padre, che era un
semplice
operaio. Avevano racimolato i soldi per il biglietto, così
da poter provare a
cercare la fortuna in America. A New York, inoltre, avrebbe rincontrato
sua madre.
― Bianca! Vieni
qui, ti porto da tuo padre. ― disse una voce alle mie spalle, che
riconobbi
essere quella di Jacob Black.
― Ciao Jacob. ―
dissi, tirandomi su ― Stavo cercando Edward, sai per caso
dov’è?
― Perché dovrei
dirvelo, signorina? ― domandò sfacciato ― Da quello che so
lo avete ignorato
tutto il giorno, ieri. Non è all’altezza delle
vostre ricche aspettative? ― mi
sentii accusata ingiustamente. Io non avevo mai pensato ad Edward come
qualcuno
di inferiore; come qualcuno di inferiore a me, soprattutto.
― Ma come osa? ―
replicai, visibilmente nervosa ― Lei non può permettersi di
giudicarmi, ha
capito? Lei non mi conosce!
― Ma conosco
Edward, signorina. ― rispose, sputando ai miei piedi ― E ha
già sofferto
abbastanza. Perciò voglio darle un consiglio: se
è qui per torturarlo ancora,
facendolo innamorare di un’illusione, beh…
sparisca! Se al contrario vuole
dargli una possibilità, classi sociali a parte,
può trovarlo sul ponte. ― mi
fece un inchino sarcastico, prese in braccio Bianca, e sparì
su per la scala
dalla quale ero venuta.
Seguendo le
indicazioni di Jacob, trovai Edward nel giro di pochi minuti. Come al
solito,
fissava l’oceano serio, ma anche in modo molto posato. Ero
una patita d’arte,
lo sapevano tutti in famiglia, ma nessun quadro comprato fino a quel
momento,
possedeva la sua bellezza. Indossava gli stessi abiti di quando lo
aveva
conosciuto: la maglietta nera, i pantaloni con le bretelle marroni, e
dei
mocassini piuttosto usurati. I capelli erano lasciati al vento,
sbarazzini come
al solito; gli donavano un’aria selvaggia, libera. Tra le
labbra, aveva una
sigaretta fumata a metà. Il fumo del tabacco acceso formava
delle piccole
nuvolette sul suo viso giovane e perfetto.
― Edward… ―
chiamai, avvicinandomi lentamente.
Lui si voltò di
scatto, come se fosse stato svegliato improvvisamente, nel cuore della
notte.
― Bella. ― sussurrò
lui, buttando la sigaretta in mare. Dopodiché
buttò fuori il residuo di fumo
che aveva in bocca. Era davvero affascinante.
― Ciao… Come stai?
― Cosa vuoi, Bella?
― domandò di slancio, senza neppure farmi finire la frase.
― Sapere come stai.
Non ci siamo visti per quasi due giorni e…
― Siamo su una
nave, Bella. ― disse, interrompendomi ― Se la gente non si incontra non
è a
causa dell’enorme spazio – anche se devo ammettere
che il Titanic ne ha da
vendere, di spazio –, ma della non
volontà di incontrarsi. Non credi?
― D’accordo, hai
ragione! ― urlai, stanca di fingere ― Ti ho evitato, ok? Ho fatto di
tutto per
evitare di incontrarti, per…
― Perché?
― Ma tu la gente
non la lasci mai finire di parlare?
― Perché? ― domandò
nuovamente, avvicinandosi a me con un paio di lunghe falcate.
In un battito di
ciglia, si era parato davanti a me. Le punte dei miei piedi toccavano
le sue, e
riuscivo a percepire il calore del suo corpo. I suoi occhi, poi, erano
due
magneti per i miei. Le mani sudavano, il cuore pompava così
tanto sangue da far
male… La respirazione, infine, era inesistente.
― Respira, Bella. ―
sussurrò, a pochi centimetri dalle mie labbra ― E rispondi
alla domanda. Allora,
perché mi hai evitato? ― ero arrivata al capolinea. Quella,
era l’ora della
verità.
― Oh, beh… Tu sei
così sfacciato! ― urlai, sottrandomi a quella situazione ―
Insomma, sono venuta
fin qui a cercarti e mi metti in agitazione!
― Ti metto in
agitazione? ― domandò, appoggiandosi con un gomito alla
balaustra del ponte ―
Interessante. Molto interessante,
aggiungerei.
― Non nel senso che
pensi tu!
― Perché, in che
senso pensi che io stia pensando? ― chiese con la sua solita
sfacciataggine.
Sbuffai, gonfiando il petto. Possibile che riuscisse sempre a rivoltare
la
frittata?
― Non riesco a
smettere di pensarti. ― ammisi, finalmente anche a me stessa. Con la
coda
dell’occhio, notai che il suo sorrisetto sghembo aveva
lasciato il posto ad
un’aria seria, attenta ― Da quando ti ho conosciuto, non
riesco a non pensare a
te. È più forte di me. È come la
gravità! Posso provare ad allontanarmi da te
quanto voglio, ma alla fine devo venirti a cercare. È come
se percepissi i tuoi
spostamenti, i tuoi respiri… Tu ti muovi ed io mi muovo con
te; come i magneti.
― Bella, cosa…
― Sto cercando di
dirti che mi piaci, Edward! ― sbottai, interrompendolo ― E non riesco
più a
capire cosa è giusto e cosa… ― non
lo è,
pensai. Ma non potei finire di parlare.
Le labbra di Edward
erano premute contro le mie, mentre le sue mani erano appoggiate alle
mie
guance. Di slancio, mi alzai sulle punte e gli allacciai al collo le
braccia.
Edward, dal canto suo, mi cinse le vita, rendendo il bacio unico e
passionale.
Dimenticai ogni cosa. Mi arresi a lui, a me stessa. Mi arresi alla
realtà, ma
anche al sogno. Mi arresi ai miei sentimenti, ma soprattutto ai suoi.
― È una pazzia. ―
mormorai, quando ci staccammo per respirare.
― Lo so, ma io sono
pazzo di te.
Passammo l’ora
successiva a baciarci, fin quando il sole non decise di sparire, dietro
alla
linea dell’orizzonte.
Eravamo tornati a
prua, seduti sulla stessa panchina che era stata il luogo del nostro
primo
incontro. Raccontai quello che avevo fatto il giorno prima, ed Edward
fece lo
stesso.
― Ti piacerebbe
suonare alla messa, domattina? ― gli chiesi, baciandogli le dita lunghe
e
affusolate.
― Come? ― domandò,
convinto di avere capito male.
― Hai capito. Il
signor Hale è molto amico del capitano Smith, se ti va di
omaggiare noi poveri
e comuni mortali di prima classe con le tue soavi note…
― Stai dicendo
davvero? ― chiese, scattando in piedi ― Vorresti davvero farmi suonare
un vero
organo? Accordato alla perfezione! E non il solito pianoforte rotto o
accordato
male?
― Esatto, l’idea
era proprio quella. ― affermai, sorridendo.
Gli occhi di Edward
diventarono almeno cinque volte più grandi del normale,
dopodiché urlò di gioia
e mi prese in braccio. Mi fece volteggiare sulla prua per almeno
mezzora, tanto
che alla fine avvertii un senso di nausea. Ma nulla mi avrebbe fatto
allontanare da lui. Restammo insieme tutta la notte.
Inventai una scusa
poco credibile con mia madre, un malessere improvviso. Dalla mia parte,
tuttavia, avevo due grandi alleate. Alice e Rosalie avevano capito
tutto,
perciò mi tennero il gioco. Passai l’intera notte
a festeggiare con Edward, in
terza classe.
Feci amicizia con
tutti – perfino con Jacob, organizzandogli un incontro con
una ragazza molto
bella dai capelli castano-rossicci e dagli occhi del color del
cioccolato. Le
persone che facevano parte di quel mondo erano fantastiche. A loro non
importava il denaro o l’apparenza; a loro importava la
felicità e la gioia, lo
stare bene insieme.
Sorrisi, pensando
ad una frase di Edward che, in quel momento, mi sembrava parecchio
azzeccata:
forse era vero, la cicogna aveva sbagliato indirizzo, con me.
Il
mattino dopo, mi
trovavo sul ponte privato della mia cabina. A farmi compagnia,
c’era Mike. Mi
sentivo a disagio con lui. Non lo amavo, era vero, ma mi sentivo sporca
nei
suoi confronti. Tutto sommato, però, poteva realmente essere
considerato
tradimento il mio amore verso un altro uomo?
― Tua madre mi ha detto che ti sei sentita poco bene, ieri sera. ―
disse,
leggendo il suo giornale ― Sono venuto a trovarti, stanotte, ma non mi
hai
aperto.
― Ero stanca, non
ti ho nemmeno sentito. ― risposi, sorseggiando il mio tea al limone ―
Inoltre,
mia madre te lo aveva detto che non stavo bene. Non capisco cosa tu sia
venuto
a fare.
― A controllare che
tu fossi realmente in camera. ― parlò duramente, mettendo
via il giornale ―
Visto che ti hanno vista tutti, o quasi, rientrare a mattina inoltrata
nelle
tue stanze, con quello squattrinato.
― Mi hai fatto
seguire! ― urlai, appoggiando la mia tazza sul tavolino in vimini ―
Assurdo, ma
tipico per te.
― Non oserai mai
più comportanti in quel modo. ― sibilò tra i
denti ― Sono stato abbastanza
chiaro, Bells?
― Non osare darmi
ordini! Non puoi comandarmi a bacchetta, mi hai capito? Sono la tua
fidanzata,
non uno dei tuoi sottoposti.
― La mia fidanzata?
― domandò calmo, per poi alzarsi di colpo e far volare il
tavolino dall’altro
lato della stanza ― Sì, lo sei,
sei anche
mia moglie! Praticamente lo sei, pur non essendolo ancora per legge.
Perciò mi
rispetterai. Mi rispetterai come si richiede a una moglie di rispettare
il
marito. Perché non farò la figura del pagliaccio,
Bells. Qualcosa non ti è
chiaro? ― rimasi lì ferma, impietrita. Il viso
di Mike era a pochi centimetri dal mio, mentre i suoi occhi mi
fissavano con
aria ostile, cattiva. Non lo avevo mai visto in quelle vesti.
― Rispondi,
sgualdrina! ― urlò, colpendomi alla guancia. Il rumore dello
schiaffo
riecheggiò per tutta la stanza, lasciandomi ancora
più impaurita e scioccata ―
È tutto chiaro, sì o no?
― S…sì.
― Fantastico! ―
strillò, ricomponendosi ― Con permesso. ― disse sorridente
ed uscì dalla
stanza.
Rimasi a fissare
quel disastro per diversi minuti. Possibile che non mi fossi mai resa
conto di
quanto Mike fosse mentalmente disturbato? Mi toccai la guancia
sinistra,
percependo ancora il calore dello schiaffo. Mi alzai a fatica,
scivolando sul
pavimento in ginocchio. Fu allora che cominciai a piangere. Era un
pianto
liberatorio, disperato. Diciassette anni troppo pesanti da portare
sulle spalle
da sola. Ero stufa della mia vita, stufa di tutto.
A fatica, cercai di
ridarmi un contegno. Mi alzai e mi diressi in camera per vestirmi. Era
Domenica
mattina, il 14 Aprile per l’esattezza, dovevamo recarci alla
messa. Edward sarà
lì…, pensai. Quella era
l’unica cosa che riusciva a darmi forza.
― Non dovrai più
rivedere quel ragazzo. ― disse mia madre, entrando nella mia stanza.
― Come, scusa? ―
domandai, mentre mi passavo un leggero strato di cipria sulle guance.
― Hai capito,
Bells. Te lo proibisco!
― Oh, mamma… ― mi
lamentai, voltandomi nella sua direzione ― Smettila,
o ti farai venire un’emorragia nasale.
― Isabella! ―
strillò, facendomi saltare per aria ― Questo non
è un gioco, intesi? La nostra
è una situazione precaria. Tuo padre ha perso tutto, la
nostra famiglia ha
perso tutto. Non abbiamo più denaro.
― Lo so, lo so. ―
risposi, annoiata ― Me lo ripeti tutti i santi giorni.
― Tuo padre è la
causa del suo interminabile elenco di debiti, celato dal suo buon nome.
E quel
nome è l'unica carta che ci rimane da giocare! Non ti
capisco. ― disse, scuotendo
il capo ― Tu e Newton siete una coppia perfetta. Questo
assicurerà la nostra
sopravvivenza.
― Come puoi
mettermi un tale peso sulle spalle, quando è visibile a
tutti la mia infelicità
nello sposare quell’uomo? ― le domandai, facendole notare il
rossore sulla
guancia ― Mi ha schiaffeggiata, questa mattina.
― Beh, te lo sei
meritato! ― urlò lei, spiazzandomi ― Cosa ti è
saltato in mente di fingerti
malata per… per… Isabella, come puoi essere
così egoista?
― Io egoista? ―
domandai, non credendo alle mie orecchie. Adesso ero io
l’egoista, qui?
― Vuoi vedermi lavorare come cucitrice?
―
chiese, cominciando a piangere ― È
questo
che vuoi? Vuoi vedere le nostre belle cose messe all'asta? I nostri
ricordi
buttati al vento? ― concluse, prendendo un fazzoletto
immacolato, che usò
per tamponarsi gli occhi.
― È così ingiusto.
― sussurrai, capendo che non c’era altra via
d’uscita.
Non avrei mai più
rivisto Edward; non avrei mai più potuto
vederlo. Ero tornata in gabbia. E i miei carcerieri non mi avrebbero
mai più
permesso di trasgredire alle regole. Alle loro
regole.
― Certo che è ingiusto.
― sussurrò,
accarezzandomi una guancia ― Siamo donne.
Le nostre non sono mai scelte facili. ― e detto quello, mi
lasciò sola per
qualche minuto.
« Protect them by Thy guiding hand / From
every peril on the land /
O spirit whome the Father sent / To spread abroad the firmament /
O wind of Heaven, by Thy might / Save all who dare the eagle's flight /
And keep them by Thy watchful… »
Tutta
la prima
classe era riunita nella grande sala, a cantare Eternal
Father, Strong to Save. L’inno era associato alla
Royal
Navy, ed era stato scritto da William Whiting di Winchester, in
Inghilterra,
nel 1860.
Alzai per qualche secondo
lo sguardo dal libricino che tenevo in mano e mi guardai in giro,
c’erano
tutti: dai fratelli Hale, alla famiglia Cullen al completo; Eric
Yorkie, la
maggior parte degli ufficiali e, perfino, il capitano Smith. Con la
coda
dell’occhio, poi, seguii la musica, fermando ad ammirare il
pianista. Notando
che mi stava fissando, però, tornai immediatamente a leggere
il libro che
tenevo in mano.
Finita la messa,
ognuno riprese i propri interessi. Io e la mia famiglia, ad esempio,
saremmo
andati a passeggiare sui ponti all’aperto. Il sole era alto
nel cielo,
l’atmosfera era perfetta.
― Bella! ― urlò
Edward, venendomi incontro. Cercai di evitare il suo sguardo il
più possibile.
― La signorina ha
smesso di interessarsi a lei, giovanotto. ― rispose Mike, al mio posto,
passandomi a mio padre – nemmeno fossi stata una valigia.
― Come, prego? ―
domandò Edward, visibilmente confuso ― Devo solo parlare un
momento con Bella.
― Isabella. ―
puntualizzò Mr. Corwley, dopo un cenno di Mike ― La
signorina Dwyer Swan,
comincia a non apprezzare più la sua insistenza. Mi ha
pregato, quindi, di
farle capire che non è più gradito in prima
classe né in qualsiasi altro posto
che lei frequenti.
― È vero, Bella? ―
domandò lui, rivolgendosi direttamente a me ― È
questo che vuoi?
― Ora basta! Tyler,
scortalo in terza classe. ― ordinò Mike ― Subito!
― Voglio solo
parlare un momento con Isabella! ― urlò Edward, facendo
voltare tutti gli altri
passeggeri che, come noi, stavano passeggiando sul ponte.
― Va bene, va bene.
― dissi, cercando la mia migliore maschera di risolutezza e
falsità ― Tutto
quello che ti hanno detto è vero, Edward. È stato
uno sbaglio… Tutto ciò che
hai capito, o frainteso, è stato un enorme sbaglio.
Apparteniamo a due classi
sociali diversi, non c’è alcun futuro per noi. Non
voglio vederti mai più,
Edward.
― Devo parlarti.
― No, Edward, no! ―
urlai, sapendo che l’unico modo per allontanarlo da me fosse
ferirlo ― Sono
fidanzata. Sto per sposarmi con Mike… Amo Mike.
― Bella, non sei
certo uno zuccherino, va bene? ― domandò, lasciandomi
spiazzata, come suo
solito ― Anzi, direi persino che sei una bisbetica viziata.
― Ma come osa? ― si
intromise mio padre, ma nessuno lo degnò di uno sguardo.
― Ma, sotto questa facciata sei la
più
fantastica, la più straordinaria, la creatura più
splendente che abbia mai
conosciuto. ― concluse Edward, fissandomi dritto negli occhi
che,
purtroppo, sentivo pungermi di lacrime ― Non
sono un idiota. So come funziona il mondo. Ho dieci dollari in tasca.
Non ho
niente da offrirti, e questo lo so. Lo capisco. Ma ormai ci sono troppo
dentro.
Io mi muovo, tu ti muovi, ricordi?
Non posso voltarti le spalle senza avere la certezza che starai bene.
Desidero
solo questo.
― Sto bene, Edward.
― risposi, pregando di non scoppiare a piangere ― Starò
benissimo. Dico
davvero.
― Non credo
proprio. ― replicò, spingendo via Mike e mio padre, e mi
afferrò il viso tra le
mani ― Ti tengono in gabbia, Bella! E morirai se non ti liberi.
― Non spetta a te salvarmi, Edward.
―
sapevo che quelle parole lo avrebbero ferito, ma dovetti pronunciarle
lo stesso
― Non te l’ho mai chiesto. Hai sempre fatto tutto da solo.
Non posso sognare davvero una vita
con te. Sei… sei un
poveraccio senza futuro. ― e ottenni quello che volevo.
I suoi occhi,
sempre brillanti e vitali, si spensero come fari colpiti dalla luce del
giorno.
Non vi era più alcuna traccia dello spensierato ragazzo che
avevo incontrato.
Lo avevo ucciso, annientato, distrutto… Esattamente come la
mia famiglia aveva
sempre fatto con me.
Le ore seguenti
passarono lente, interminabili. A pranzo non toccai cibo. Alice e
Rosalie, mi
chiesero più volte di andare con loro, anche solo a fare una
passeggiata, ma
rifiutai. Volevo punirmi, per questo decisi di passare
l’intera giornata con
mia madre, a parlare del mio imminente matrimonio.
Ci trovavamo nel
ristorante chiamato A la carte, un
ambiente esclusivo situato sul ponte B, decorato in stile georgiano.
Qui, i
passeggeri, potevano recarsi ad ogni ora, ed ordinare qualsiasi tipo di
piatto.
Il dirigente di questo ristorante era l'italiano Gaspare Pietro Antonio
Luigi
Gatti.
― Ha una figlia splendida,
Renée. ― disse Lady Lucille ― Davvero una discendenza
ammirevole.
― Deve
concedercelo, mia cara. ― disse Esme, lanciando diverse occhiate, forse
per
dirmi qualcosa ― È una donna molto fortunata.
― Lo so, signore. ―
rispose mia madre, esibendomi ancora una volta come un trofeo ― Lo so.
I miei occhi erano
vitrei, spenti. Cercavo di evitare lo sguardo altrui il più
possibile. Una
bambina, seduta al tavolo di fianco al nostro, però,
catturò la mia attenzione.
Doveva avere
pressappoco l’età di Bianca, ma a differenza sua,
quella che avevo davanti ai
miei occhi non aveva nulla di innocente. Ricordavo bene
cos’era stata la mia
infanzia… Interminabili giornate di studio, di buone
maniere… Di qualunque
idiozia che mi educasse ad essere una bambolina totalmente
accondiscendente ai
voleri altrui. Quello fu troppo.
― Basta. ―
sussurrai, attirando l’attenzione.
― Cosa hai detto,
tesoro? ― domandò mia madre, abbassando la sua tazza di tea.
― Ho detto “basta”.
― ripetei a voce più alta, alzandomi ― Sono stufa di questa
vita, mamma. Stufa
di te e di tutto il peso che mi avete sempre messo sulle spalle, sia tu
che
papà. Io non tollerò più Mike! Non
sposerò Mike. È un uomo violento che, per di
più, non amo; che mai amerò.
― Isabella!
― Isabella un
corno! ― strillai, facendo voltare tutta la sala ― E al diavolo anche
le buone
maniere! Sono una persona, mamma, non un premio in palio. Adesso, se
voleste
scusarmi.
― Non andrai da
lui. ― disse, in tono minaccioso.
― Prova a fermarmi.
― la sfidai. Dopodiché mi tolsi quelle odiosissime e
fastidiosissime scarpe e
cominciai a correre, seguita solo dalle urla della donna che,
nonostante tutto,
consideravo ancora una madre.
Quando vidi Jacob,
baciarsi con la ragazza che gli avevo trovato, mi fermai di colpo.
― Jacob! Dov’è
Edward?
― Ancora tu?
Sentimi un po’…
― Sentimi tu,
invece! ― dissi, interrompendolo bruscamente ― So già quello
che vuoi dirmi e
sì, hai tutte le ragioni del mondo! Ma ho mandato al diavolo
tutto, va bene?
Penso di essere appena diventata povera! Allora, adesso vuoi dirmi dove
si
trova Edward? ― il mio discorso spiazzò Jacob, lo capii dal
sopracciglio alzato
e dagli occhi sbarrati.
― Non so dove sia.
Prima era in camera, ma ora non c’è
più.
― Grazie lo stesso!
― dissi, ricominciando a correre. Dovevo trovarlo, a qualsiasi costo!
Un’ora e mezza
dopo, era ancora in cerca di Edward. Avevo perlustrato ogni singolo
angolo di
quella nave, cercando di non farmi beccare da tutte quelle persone che,
mandate
dalla mia famiglia, mi stavano cercando.
Una lampadina si
accese nel mio cervello. La prua!,
pensai. Io andrei lì, e anche lui.
Ne
sono certa! Corsi a perdi fiato, precipitandomi
dall’altra parte del
Titanic.
Esattamente come
avevo pensato, lo trovai lì. Aveva una sigarette tra le
labbra, mezza
consumata. Era sdraiato sulla solita panchina, con addosso una giacca
di lana,
e aveva gli occhi chiusi. Mi avvicinai a lui piano, davvero molto
lentamente.
Gli tolsi la sigarette e premetti le mie labbra sulle sue.
La reazione di
Edward fu molto divertente: si scansò velocemente, finendo a
terra; dopodiché
mi fissò con occhi sgranati.
― Sei stata tu?
― Già. ― risposi,
mordendomi il labbro inferiore ― Ti devo delle scuse. Io non penso
quello che
ti ho detto, davvero credimi. Ma Mike mi ha schiaffeggiata questa
mattina e mia
madre aveva scoperto di noi e…
― Cos’ha fatto,
quel verme?! ― gridò, scattando in piedi.
― Non è successo
niente, Edward. Sono qui, adesso. Se mi vuoi ancora.
― Se ti voglio
ancora? ― domandò, accarezzandomi la guancia, dolcemente ―
Io ti vorrò sempre,
Bella. ― affermò con decisione, prima di attirarmi a
sé e baciarmi con foga.
Non seppi dire se
era il nostro bacio a fare da sfondo al tramonto, o se fosse il
tramonto a fare
da sfondo al nostro bacio. Ma una cosa era certa: quella
fu l’ultima che il Titanic vide la luce del giorno.
Restammo a goderci
il panorama per diverse ore, ma l’aria stava cominciando ad
essere davvero
fredda. Viaggiavamo sull’Atlantico, dopo tutto, come poteva
essere altrimenti?
Erano su per giù le
nove di sera, quando convinsi Edward ad accompagnarmi in camera mia,
per
prendere un soprabito. Indossavo un abito piuttosto leggero, di sera
lilla,
intero. I capelli erano sciolti, senza alcun fermaglio o cianfrusaglie
varie.
― Mare piatto come
una tavola, capitano. ― sentii dire dal secondo ufficiale Charles
Lightoller.
― Non tira nemmeno
un soffio di vento. ― ribatté il capitano Smith. Quando mi
dive, mi sorrise,
accennando un debole inchino.
― Conosci proprio
tutti, eh? ― sussurrò Edward, baciandomi il collo.
― A quanto pare… ―
risposi, senza “staccare le orecchie” dalla
plancia.
Da quello che avevo
capito, il capitano Smith, aveva ordinato di tenere rotta e
velocità,
nonostante l’oceano fosse fin troppo calmo per avvistare
problemi.
* * *
Mi
riscossi da quei
pensieri, quando un uomo mi venne addosso. Non mi ero neppure accorta
che era
cominciato a piovere. Forse era questa la commemorazione del
cielo… Forse gli
angeli stavano piangendo, ricordato ciò che era avvenuto
dieci anni prima.
Durante il processo
che seguì quella disgrazia, molte persone vennero chiamate a
testimoniare, e
tra quelle c’ero anche io. Era tutto totalmente
assurdo… Come poteva essere
accaduto realmente, quello sfacelo, quel disastro?
Alle dieci di sera,
il primo ufficiale Murdoch subentrò a Lightoller, dal quale
ricevette gli ordini
del comandante. Mezz'ora più tardi, Murdoch rispose ad un
messaggio per mezzo
di una lampada morse proveniente dal piroscafo Rappahannock,
che incrociò il Titanic alle dieci e mezza, nel quale
lo informava di essere appena uscito da una banchisa circondata da
iceberg. Lo
stesso Murdoch ordinò al lampista di chiudere i boccaporti
sul castello di
prua, in modo che la luce non ostacolasse la visuale delle vedette,
senza però
risolversi a ridurre la velocità della nave – in
condizioni normali, infatti,
una massa di ghiaccio era visibile grazie alle onde che si increspavano
alla
sua base. Tuttavia, con un mare assolutamente piatto come in quel
momento, il
margine di sicurezza era molto ridotto.
Per anni mi chiesi
come era stato possibile tutto quello. Ancora oggi, dopo svariati anni,
mi
domandavo perché il capitano Smith non avesse cambiato gli
ordini, facendo
diminuire la velocità del Titanic. Ma la risposta era sempre
la stessa. C’erano
ventisei anni di esperienza che lavorano contro di lui. Era convinto
che avrebbero
virato in tempo, non appena avrebbero avvistato qualcosa di voluminoso.
Ma il
timone era troppo piccolo per una nave di quella stazza. Non era in
grado di
virare in tempo… Tutte le sue informazioni era semplicemente
errate.
Mi asciugai le
lacrime che, irrimediabilmente, erano sgorgate come un fiume in piena.
Mi
strinsi nella giacca e mi preparai per il ritorno a casa.
I ricordi,
tuttavia, non avevano alcuna intenzione di lasciarmi stare…
* * *
―
Si gela stasera.
― disse Edward, abbracciandomi da dietro. Stavamo tornando sul ponte.
― Siamo
sull’Atlantico, genio. ― lo stuzzicai, dandogli una gomitata.
― Quindi sei una
poveraccia, adesso.
― Credo di sì, ma
sai che è una fantastica sensazione? ― chiesi, notando Mr.
Crowley ― Scusi, sa
dirmi l’ora? ― domandai al primo signore che incontrai,
solamente per voltarmi
di spalle e nascondermi tra lui ed Edward.
― Certo, signorina.
Sono le undici e trenta.
― Grazie mille. ―
afferrai Edward per il polso e lo trascinai via ― Corri!
C’è la guardia di
Mike! ― lo informai, mentre stavamo già correndo per i
corridoio.
― Tu sei pazza!
― Cosa?
― Sei pazza! ―
ribadì, scoppiando a ridere. Ed io lo seguii a ruota.
Ci ritrovammo sulla
poppa, invece che nel posto dal quale eravamo partiti.
― Credo che abbiamo
sbagliato lato. ― mormorai, stringendomi nel suo abbraccio.
― E allora? Guarda
che panorama! È fantastico. ― disse Edward, guardando
l’oceano piatto e scuro dinanzi
a noi ― Ti va di ballare?
― Come?
― Hai capito. ―
ribadì, allontanandosi da me e mi fece un ampio inchino ―
Vuoi ballare con me?
― Ma non c’è la
musica.
― Andiamo, Bella!
Seguiremo quella del nostri cuori, che battono insieme. ― lo guardai di
sottecchi, ma mi avvicinai a lui senza esitazione.
Edward strinse la
mia mano destra nella sua sinistra, e posò la sua destra
sulla mia schiena, per
attirarmi a sé. Io appoggia la sinistra sulla sua spalla e
cominciai a seguirlo
in quella follia.
Non ero mai stata
così vicina ad uomo, in ogni senso. Quello che era sbocciato
tra me ed Edward
era un qualcosa di travolgente, di devastante. Non volevo rinunciarci.
― Quando la nave
attraccherà, io scenderò con te, Edward.
― Ma è da pazzi!
― Lo so. ― ammisi,
accarezzandogli il viso ― Come noi. Per questo sono convinta che sia la
cosa
più giusta da fare. ― non appena conclusi la frase, tornai a
sentire le sue
labbra premute contro le mie. Era il paradiso… Non sapevo
che a breve ci
saremmo trovati all’inferno.
― Iceberg! ― urlò
qualcuno, improvvisamente ― Dritto davanti a noi! ― il resto, accadde
tutto in
fretta. Qualcuno, come me, pensò che fosse arrivata la fine.
Invece, era solo
l’inizio della fine. Davanti a noi, c’era
un’enorme montagna di ghiaccio.
― Oh, mio Dio. ―
sussurrai, atterrita.
L’iceberg strisciò
tutta la fiancata del Titanic a destra, provocando moltissimi sussulti.
I pezzi
di ghiaccio, staccatisi dall’enorme massa ghiacciata, si
scagliarono sul ponte,
colpendoci quasi in faccia.
― Attenta! ― urlò
Edward, spingendomi indietro.
Tutta la gente
fuori dalle proprie cabine, corse sul ponte. Mi accorsi, solo qualche
momento
dopo, che era soprattutto persone del terza classe. Ovvio,
pensai sarcastica, fa
troppo freddo per quelli di prima.
― Stiamo imbarcando
acqua. ― sussurrò Edward al mio orecchio.
― Cosa? ― gli
chiesi, preoccupata.
― Dobbiamo trovare
Jacob, vieni con me! ― disse, afferrandomi la mano e mi
trascinò via con lui.
Correndo per i
corridoio, notai molte facce che conoscevo, recarsi nella stanza del
capitano
Smith. Vidi Carlisle dirigersi con Emmett sul ponte, in signor Yorkie
correre
in vestaglia e pantofole, seguito dai fratelli Hale.
― Qualcuno ha già
constatato i danni? ― disse il signor Hale, parlando con qualcuno
davanti a sé
― Quanti compartimenti stagni sono allagati?
― Quando potremmo
riprendere la navigazione? ― domandò, quasi nello stesso
istante, in signor
Yorkie.
― Aspetta! ― urlai,
affinché Edward si fermasse.
― Cosa c’è?
― Vieni, e sta’
dietro di me. Voglio capirci qualcosa. ― lo avvertii ― Voglio scoprire
quant’è
grave tutto questo. ― affermai decisa, e seguii il signor Hale.
Tutti erano troppo
presi dal caos generato dall’iceberg, per accorgersi di due
giovani spioni come
noi.
― Sono già cinque i comportamenti
allagati.
― disse il signor Hale, parlando col capitano Smith ― Può
sopportare uno squarcio e rimanere comunque a galla con quattro
compartimenti allagati, ma non cinque. Non cinque. Mentre affonda a
prua,
l'acqua passerà sopra le paratie del ponte E, arrivando fino
a poppa. E non c'è
alcun modo di impedirlo. ― quel discorso mi fece venire la
pelle d’oca.
― Le pompe. ―
replicò calmo, il capitano Smith ― Se apriamo le paratie,
possiamo…
― No, no! ― lo
interruppe il signor Hale, disperato ― Le pompe fanno sì
guadagnare tempo, ma
solo pochi minuti. Da questo momento, qualunque cosa facciamo, il Titanic affonderà.
― Ma questa nave
non può affondare. ― controbatté il signor
Yorkie, come un bambino a cui
fossero state appena negate le montagne russe.
― È fatta di ferro,
signore. ― rispose il signor Hale ― E le assicuro che può
affondare.
― Quanto tempo
abbiamo? ― domandò il capitano Smith, guardando il vasto
oceano intorno a sé –
intorno a tutti noi.
― Un’ora, due al
massimo. ― rispose il signor Hale, accasciandosi sulla sedia.
Restammo lì, in
silenzio, l’una stretta all’altro, per diversi
minuti. Il Titanic sarebbe
affondato. Quanto era ironico tutto quello, oltreché
tragico? Un brivido mi
percorse la schiena, rendendomi conto di quello che aveva detto il
signor Hale,
qualche giorno indietro. Le scialuppe era abbastanza solo per la
metà dei
passeggeri, l’altra metà sarebbe morta.
― Andiamo da Jacob,
poi andiamo a cercare i miei genitori.
― No, andiamo prima
dai tuoi genitori, poi scendiamo da Jacob. ― disse Edward, alzandosi
per poi
aiutare me a fare lo stesso.
Nessuno dei due
parlò per tutto il tragitto.
Eravamo
frastornati, ammutoliti, atterriti. Era quella, la fine che avremmo
fatto? Il
nostro amore, sarebbe nato e morto su quella stessa nave? Non avevo mai
pensato
alla mia morte. Nonostante tutto, però, non mi pentivo delle
scelte fatte. Se
fossi morta quella stessa notte, non avrei avuto alcun rimpianto. Avevo
amato
ed ero stata amata davvero, per quella che ero. Avevo avuto la fortuna
di
trovare un uomo, degno di quel termine, che mi aveva regalato emozioni
uniche,
speciali. Indimenticabili. Salire sul Titanic era stata la cosa
più intelligente
che avessi fatto in vita mia, perché mi aveva portato ad
Edward.
― Bella, siamo
arrivati. ― disse Edward, risvegliandomi dai miei pensieri.
Non risposi, ma
annuii, aprendo la porta della nostra suite. Ritrovai davanti a me
tutti quei
volti che, fino a qualche ora prima, volevo abbandonare, convinta che
la mia
vita senza di loro sarebbe stata migliore. Ma lo pensavo ancora,
adesso? Li
detestavo, era vero. Mi avevano tenuta in gabbia, segregata, ma non per
questo
volevo la loro morte.
― Dio santo, Bells!
― disse mio padre ― Dove ti eri cacciata? E perché sei con
quel tipo?
― Papà, non è il
momento. ― lo bloccai subito ― È successa una cosa
gravissima…
― Già! ― disse
Mike, interrompendomi ― Te ne sei andata con quello straccione! Mi hai
fatto
fare la figura del fesso. Hai ridicolizzato la tua famiglia, Bells.
― La nave sta
affondando! ― urlai, per attirare l’attenzione e farli
smettere di sparare
stronzate. Edward, dopo la mia rivelazione, fischiò.
― Cosa stai
dicendo? ― domandò mia madre ― Siamo sul Titanic, cara. E
questa nave è
inaffondabile!
― Non è così,
mamma! Dobbiamo piantarla con questi discorsi assurdi. Dobbiamo andare
tutti
alle scialuppe di salvataggio, avete capito?
― Stiamo davvero
affondando? ― domandò mio padre, livido in volto.
― Sì, papà. E dobbiamo
sbrigarci…
― Le scialuppe
saranno divise per classi? ― domandò mia madre,
improvvisamente.
― Che mi venga un
colpo. ― borbottò Edward, al mio fianco.
― Cosa hai detto,
mamma?
― Mi chiedo se le
scialuppe siano divise per classi. ― continuò lei ― Saranno
molto affollate?
Non vorrei stare troppo stretta.
― Mamma, mamma, ma
sta’ zitta! ― urlai, indietreggiando schifata ― Non capisci? L'acqua è gelida e non ci
sono scialuppe a sufficienza:
bastano appena per una metà. L'altra metà della
gente che è su questa nave
morirà.
― Non la metà che
conta. ― disse mio padre, guadagnando l’assenso di Mike.
― Mi fate schifo. ―
affermai, afferrando la mano di Edward e lo trascinai via.
La mia corsa durò
poco, perché una mano mi afferrò il braccio,
costringendomi a voltami. Non
impiegai molto tempo per capire a chi appartenesse. Una presa
così violenta,
poteva essere sola di Mike.
― Dove credi di
andare?
― Lasciami!
― Non ti azzardare
a toccarla!
― Non sto parlando
con te, pidocchio! ― urlò Mike, spingendo a terra Edward.
― Sei forse
impazzito?
― Non ci credo, hai
scelto davvero lui? ― mi chiese, fissandomi negli occhi ― Per fare
cosa? La
puttana di un topo di fogna?
― Preferisco essere la sua puttana piuttosto
che tua moglie. ― sputai fuori quelle parole, e mi sentii
più leggera.
Mike, purtroppo,
non apprezzò quella verità. Notai la sua mascella
contrassi e, prima che
potessi sottrarmi alla sua presa, percepii l’urto della sua
mano sulla mia
guancia. Usò una tale forza che mi sbatté a
terra, sotto lo sguardo incredulo di
diversi ufficiale che, purtroppo, dovevano pensare a cose ben
più gravi.
― Lurido verme! ―
urlò Edward, alzandosi, e si gettò addosso a
Mike, dandogli un pugno in faccia
― Questo è per lo schiaffo di stamattina! ―
gridò, dandogliene poi un altro ―
Questo è per quello di adesso! ― disse ancora, facendo
accasciare Mike a terra.
Gli sferrò un calcio nello stomaco e sibilò
infine ― E questo perché mi stai
semplicemente sulle palle da quando ti conosco. ― gli sputò
sulla giacca e
tornò vicino a me.
― Stai bene? ― gli
domandai, afferrando le sue mani.
― Dovrei
chiedertelo io. ― replicò sorridente ― Tutto a posto? ―
annuii, stringendomi a
lui.
― Andiamo a cercare
Jacob. ― dissi, prendendogli la mano ― Addio, mamma; addio,
papà. ― sussurrai,
prima di correre verso l’ascensore.
Scendemmo giù, dal
ponte B fino al ponte F, dove si trovavano le cabine di terza classe.
L’ascensorista
non volle scortarci per nessun motivo, così fummo costretti
a fare tutto da
soli. Arrivati in terza classe, però, venimmo investiti
dall’acqua gelida.
― Cazzo! ― urlò
Edward, aprendo i cancelli neri dell’ascensore ― Stiamo
già imbarcando acqua!
Bella, sbrighiamoci! Dobbiamo trovare Jacob e tornare subito sul ponte
lance. ―
mi afferrò il polso e riprendemmo a correre.
Era una totale
corsa infinita contro il tempo. Avevamo due ore – o forse
poco meno, adesso –
per salvarci la vita. Tra poco, tutto quel ben di Dio, si sarebbe
ritrovato sul
fondo dell’oceano Atlantico.
A differenza dei
corridoio di prima e seconda classe, che erano totalmente vuoti, quelli
di
terza erano stracolmi di persone. Come mai questa gente non saliva?
Perché non
tentava di mettersi in salvo?
― Jacob?! ―
continuava a chiamare Edward, ma del suo amico non c’era
alcuna traccia.
― Bianca! ― urlai,
riconoscendo la bambina ― Dov’è tuo padre? E
Jacob? ― lei non parlò, ma ci
indicò un punto col dito. Era visibilmente assonnata, e
quando si passò le manine
sugli occhietti mi fece una tenerezza unica.
Seguimmo la sua
indicazione e, nel giro di pochi minuti, ci trovammo davanti ad un
cancello –
quello che collegava le scale, per salire sui ponti, e quindi alla
salvezza. Il
problema, però, era che fosse totalmente chiuso a chiave.
― Mettete il
salvagente. ― ordinò qualcuno, dalla parte opposta delle
sbarre nere ― E state
indietro, avete capito bene? Quando il capitano darà
l’ordinò aprirò, ma
dovranno passare solo le donne e i bambini!
― Ci stai togliendo
la possibilità di metterci in salvo! ― urlò
qualcuno, un uomo sulla sessantina.
― Faremo imbarcare
donne e bambini sulle scialuppe, ma non potete tenerci chiusi qui! ―
urlò
quello che, dalla voce, riconobbi come Jacob ― Ci state condannando a
morte!
― Jacob! ― urlammo
sia io che Edward, costringendolo a voltarsi.
Non appena ci vide,
lasciò la sua postazione e corse verso di noi. Ci
abbracciò, entrambi,
tenendoci stretti a lui.
― Vi ho cercati
dappertutto! ― disse, una volta staccatici.
― Eravamo dai
genitori di Bella. ― rispose Edward, guardandosi intorno.
― Abbiamo visto
l’iceberg. ― sussurrai, evitando di fomentare il panico ― E
abbiamo sentito il
signor Hale parlare col capitano… La nave
affonderà. Tra meno di due ore il
Titanic si ritroverà sul fondo dell’oceano!
Dobbiamo salire sui ponti, tutti e
subito!
― Merda! ― sibilò
Jake, tra i denti ― Non possiamo! Vedi? Ci sono ufficiali su tutte le
scale,
hanno chiuso le uscite!
― Noi siamo venuti
con l’ascensore! ― disse Edward, indicando il corridoio ―
Jake, avvisa solo chi
devi, ma sbrighiamoci! ― a quelle parole, il suo migliore amico
annuì e si
dileguò in fretta.
Tornò con la sua
ragazza, che si chiamava Angela – soprannominata Nessie –, e con altri loro
amici, tra cui la piccola Bianca e suo
padre.
Non compresi mai
fino in fondo perché vollero bloccare le persone di terza
classe nella loro
zona, ma alla fine poco importava il motivo; importava, invece, che fu
quello
che fecero.
Arrivati agli
ascensori, infatti, li trovammo inagibili. Nessuno sarebbe potuto
risalire da
lì. Eravamo spacciati; tutta la terza classe lo era.
― Cazzo, cazzo,
cazzo! ― urlò Edward, dando calci ai cancelli
dell’ascensore davanti a noi.
― Amico, calmati! ―
disse Jake, cercando di farlo tornare con i piedi per terra.
― Dobbiamo cercare
un’altra uscita. Alla svelta! ― riprese Edward, tornando in
sé.
Passammo una buona
mezzora a correre come forsennati per quei corridoi, ma non vi era
nessuna via
d’uscita. Molte persone, capendo che non sarebbero mai
sopravvissuti, si recarono
nelle loro cabine, chiudendosi dentro. Per morire… in pace.
Notai una madre,
con due figli, che stava raccontando loro una fiaba per farli
addormentare; un
uomo e una donna, abbracciati l’uno all’altra,
stavano dirigendosi sul loro
letto, in attesa della fine. Era uno scempio. Una tragedia. Un disastro
di
dimensioni epiche. Il Titanic
passerà lo
stesso allo storia…, pensai amaramente.
― L’acqua sta
salendo! ― urlò Angela, presa dal panico.
― Maledizione! ―
sibilò Jacob, mentre l’uomo che era con noi
prendeva in braccio sua figlia.
― Dobbiamo crearci
una via d’uscita. ― disse Edward, parlando tranquillamente.
Non capii subito
ciò che intendesse, ma non fu necessario comprendere. Ci
trascinò nuovamente
davanti al primo cancello chiuso che trovò, facendosi largo
tra la gente.
L’ufficiale, per la
centesima volta, ci informò che non appena le persone di
prima e seconda classe
sarebbero state imbarcate sulle scialuppe, anche noi saremmo stati
liberi di
metterci in salvo.
― È ovvio, adesso.
― mormorai, notando gli occhi di Edward puntati su di me ― Non ci sono
abbastanza scialuppe, e loro lo sanno. Siamo bestie sacrificali.
― Apri il cancello.
― disse minaccio, avendo compreso le mie parole ― Apri questo cazzo di
cancello! Maledetto bastardo, apri! ― fu così che
l’intera terza classe si
rivolse all’intero equipaggio.
C’era chi urlava,
chi piangeva, chi imprecava… Tutta quella gente era
terrorizzata, impaurita
fino alle ossa. Come dargli torto? Mi risvegliai dai miei pensieri,
giusto in
tempo per vedere Edward, Jacob e qualcun altro, staccare una panca e
sfondare
il cancello. L’ufficiale, impauritosi da quella presa di
posizione, strillò come
una femminuccia e scappò a gambe levate.
― Andiamo, forza! ―
urlò Jacob, mentre Edward mi aiutò a scavalcare.
L’acqua, almeno in
terza classe, aveva raggiunto quasi il soffitto. Non c’era
più tempo da
perdere, dovevamo abbandonare quella nave.
Raggiungemmo il
ponte dopo una ventina di minuti. Era il caos più totale:
gente che urlava, che
piangeva. I balli avevano lasciato spazio alle urla; la
felicità aveva ceduto
il passo al terrore; il paradiso aveva lasciato il posto
all’inferno.
― Signor Lightoller!
― sentii la voce di Mr. Hale, così bloccai Edward,
affinché ci direzionassimo
verso quel lato ― Perché le scialuppe vengono a messe in
acqua mezze vuote? ―
chiese furente ― Guardi lì, dannazione! La prima scialuppa
è stata lasciata
andare con solo ventotto persone a bordo! E la seconda? Dodici! Mi ha
capito?
Con sole dodici persone, quando è stata collaudata a Belfast
con il peso di
settanta uomini!
― Beh, noi non
sapevamo se…
― La capienza è di
sessantacinque persone, signor Lightoller! ― urlò il signor
Hale, ancora più
forte di poco prima ― Carichi al massimo queste scialuppe, per
l’amor di Dio!
Rimasi di sasso ad
osservare la reazione dei passeggeri di prima classe. Tendevano a
considerare
la faccenda uno scherzo: se qualcuno aveva il salvagente veniva preso
in giro,
mentre altri esibivano blocchetti di ghiaccio come souvenir.
L'orchestra si
posizionò addirittura nel salone di prima classe e
cominciò a suonare musica
sincopata; si spostò, poi, all'ingresso dello scalone sul
ponte lance. Tutto
avveniva in termini così formali che era difficile rendersi
conto della
situazione. Uomini e donne, in piedi, a gruppetti, conversavano. Era
uno
spettacolo irreale, sembrava un dramma recitato per divertimento. Gli
uomini,
dopo aver fatto accomodare una signora sulla lancia, dicevano "Dopo di
lei!"
e facevano un passo indietro. Molti fumavano, altri passeggiavano.
― Signora Isabella!
― urlò il signor Hale, vedendo me ed Edward lì,
fermi ad osservare quel
disastro ― Cosa ci fa qui? Deve salire sulla scialuppa, presto! Si
ricorda cose
le ho detto sulle scialuppe, non è vero?
― Sì, signor Hale.
― risposi atona, senza alcuna emozione nella voce.
― Figliolo, faccia
qualcosa! ― urlò ad Edward, affinché mi spronasse
a muovere un passo. Non mi
ero resa conto di aver perso di vista Jacob e tutti gli altri della
terza
classe.
― Bella! Il signor
Hale ha ragione. ― disse Edward, scuotendomi per le spalle ― Forza,
andiamo! ―
urlò e mi strascinò all’imbarco
più vicino.
― Avanti! ― urlò il
primo ufficiale Murdoch, facendo salire i passeggeri sulle altre
scialuppe ―
State calmi! Prima le donne i bambini. Ripeto: vengano avanti prima
donne e
bambini! ― urlò, bloccando un uomo che tentò di
salire a bordo ― Ordini del
capitano signore, prima le donne e i bambini. Sulle scialuppe che
rimarranno
salirete anche voi, ma solo più tardi.
― Tocca a te,
Bella. ― sussurrò Edward, dietro di me, spingendomi avanti.
― Io non vado senza
di te. ― affermai decisa, capendo che sarei morta lì, tra il
freddo di quelle
acque scure, piuttosto che salvarmi, vivendo il resto della mia vita
senza di
lui.
― Io prenderò la
prossima, ora vai.
― Edward, non ci
sono scialuppe! ― sibilai, cercando un tono severo ― Preferisco morire,
che
stare lontana da te.
― Tu non morirai. ―
disse, spingendomi avanti ― Qui! C’è una donna qui!
― Prego, venga! ―
disse l’ufficiale Murdoch, spingendomi sulla scialuppa.
― No! Edward, no!
― Bella! ― urlò
qualcuno dalla scialuppa.
Notai Alice,
terrorizzata e spaventata, accanto a Rosalie e a sua madre, Esme. Non
avevo
visto Emmett, però, né Carlisle. Sulla scialuppe,
infatti, c’erano solo donne.
― Ce la farà,
vedrai. ― disse Esme, mentre la scialuppa veniva calata in acqua ― Se
è
destino, ce la farà. ― sussurrò infine.
Mi voltai,
incrociando gli occhi raggianti e sereni di Edward. Lui era felice;
felice per
la mia assicurata salvezza. Ma c’era qualcosa di fortemente
sbagliato in tutto
quello. Perché dovevamo essere soltanto noi i fortunati?
Perché non era
possibile salvare tutti quanti?
Mi guardai intorno,
notando i visi delle donne che condividevano quella salvezza con me.
Erano
tutti rigati dalle lacrime, dalla paura… Erano volti
disperati, arrendevoli.
Nonostante la forza d’animo di Esme, anche lei era a
conoscenza del fatto che –
fato o non fato – non vi era alcuna sicurezza che le avrebbe
ridato suo marito.
Un boato mi fece
alzare gli occhi al cielo. L’oscurità, adesso, era
stata illuminata da razzi
bianchi.
― I razzi sono del
colore sbagliato. ― sussurrò Rosalie, tra le lacrime ― Sono
rossi quelli del
SOS, non bianchi. Jasper… Fratello mio, ti prego non mi
lasciare. ― concluse,
scoppiando in lacrime. In quel momento, tutti mi fu chiaro.
Mi alzai in piedi,
e mi avvicinai al bordo della scialuppa. Ignorai le mani che mi
tenevano giù,
ignorai le grida di rimprovero. Io dovevo tornare su quella nave.
― Bella, che stai
facendo? ― sentii dire da Edward ― No! Bella, per favore, no! ― ma non
lo
ascoltai. Mi lanciai, afferrando la balaustra del ponte.
Fortunatamente,
qualcuno sulla nave, mi afferrò, aiutandomi a tornare a
bordo.
Mi misi a correre
come una disperata, capendo che non era la morta o la vita, quella che
temevo;
la scialuppa di salvataggio non era la mia
salvezza, Edward lo era.
Ripercorsi tutti i
ponti, come una miserabile. Ero una pazza, lo sapevo, ma dovevo trovare
il mio ossigeno,
la mia vita. Arrivata allo scalone di prima classe lo vidi, e mi gettai
tra le
sue grandi e forti braccia.
― Che hai fatto? ―
domandò, con gli occhi pieni di lacrime ― Sei pazza, sei
pazza! Perché lo hai
fatto?
― Tu ti muovi, io
mi muovo, ricordi? ― risposi, scoppiando a piangere ― Ti amo, Edward!
Non
voglio vivere se tu non sei al mio fianco!
― Ti amo anche io,
Bella. ― disse, baciandomi le labbra, il naso, la fronte, le guance, il
mento ―
Ti amo, ti amo, ti amo!
Era passata più di
un’ora dall’impatto con l’iceberg, il
dramma si stava manifestando sotto i
nostri occhi impotenti. Quando Edward notò che non vi erano
più scialuppe,
affermò che avremmo dovuto rimanere sulla nave il
più tempo possibile.
Il ponte di prua si
stava inondando e tutte le scialuppe tranne due si erano già
allontanate. A
bordo rimanevano ancora più di millecinquecento persone.
Alcuni passeggeri
tentarono di assaltare le ultime lance e il quinto ufficiale Lowe si
vide
costretto a sparare alcuni colpi di pistola in aria per allontanare la
folla.
Anche il commissario di bordo sparò due colpi
d’amara da fuoco in aria, mentre
Murdoch sventava i continui assalti. Era il caos. E più il
tempo passava, più
la situazione sarebbe peggiorata.
L’orchestra era
fuori, sul ponte lance, e continuava a suonare imperterrita. Li
invidiai. Avevano
un’aria così calma e rilassata. Solo dopo mi resi
conto che mi sbagliavo. Non
erano affatto rilassati, era rassegnanti.
La poppa era quasi
totalmente sommersa, e la nave si stava sollevando pericolosamente
sulla linea
dell’acqua. Sentii qualcuno urlare, sostenendo di vedere
perfino le eliche.
Erano le due e
dieci di mattina quando la poppa si sollevò al punto di
formare un angolo di trenta
gradi con la superficie del mare, stagliandosi contro il cielo
stellato. La
forza terrificante generata dall'emergere dello scafo
provocò lo schiacciamento
della chiglia e la dilatazione delle sovrastrutture, che portarono lo
scafo
quasi al punto di rottura. La ciminiera di prua si staccò
poco dopo, mentre
l'acqua ruppe i vetri della cupola e inondò lo scalone
riversandosi nella nave.
Successivamente, tutte
le luci della nave si spensero e si udirono rumori cupi di "strappi e
fratture", come se le caldaie e le macchine si fossero staccate dalle
loro
sedi precipitando in avanti. Era un pianto
straziante. Era come se l’intera nave stesse piangendo
la sua morte. La poppa sembrò improvvisamente ruotare e
precipitare in mare, evidente segno che lo scafo si era spezzato in due
tronconi.
― Bella, scavalca!
― urlò Edward, mentre la situazione stava diventando sempre
più drammatica ―
Dammi la mano, coraggio!
― Non ce la faccio.
― sussurrai ― Se mi muovo, cadrò.
― Ti tengo io,
Bella. Fidati di me. ― affermò deciso, ed incrociai i suoi
occhi. Afferrai la
sua mano e mi aiutò a scavalcare il parapetto.
L'acqua penetrò
all'interno della crepa di spezzamento e velocizzò
l'affondamento del troncone
di prua – nonostante non si fosse ancora completamente
staccato dal troncone di
poppa –, consentendo a quest’ultima di rialzarsi
perpendicolarmente; nel
frattempo la prua si staccò e si inabissò,
lasciando galleggiare la poppa per
qualche minuto. Dopodiché finimmo tutti quanti in acqua.
Mentre affogavo,
sentendomi il corpo attraversare da miliardi di lame gelide, notai il
Titanic
inabissarsi sempre di più, e ancora…
Finché sparì completamente nelle
profondità dell’oceano. Millecinquecento
persone finirono in mare, quando il Titanic sparì sotto i
nostri piedi.
Riemersi qualche
istante dopo, forse solo grazie al salvagente che Edward mi aveva
obbligato ad
indossare.
― Edward! ―
chiamai, cercando di sovrastare le urla delle persone che, come me, era
disperse in quelle acque gelide ― Edward?! Edward, Edward? ― continuai
per interi
minuti a chiamarlo, ma del mio amore non c’era alcuna
traccia.
― Bella! ― sentii
urlare, tra la folla.
― Edward!
― Bella, sono
Angela! ― sentii rispondermi, e il mio cuore si frantumò in
mille pezzi ―
Bella, devi nuotare! Vieni con me, c’è Jacob
lì! Vieni. ― disse, trascinandomi
su un pezzo di legno piuttosto grosso.
Quando arrivai,
notai che Jacob aveva tra le braccia la piccola Bianca che piangeva
disperata.
Suo padre era morto… Nessuno me lo aveva detto, ma lo avevo
capito da sola.
― Dov’è Edward? ―
domandò Jacob, battendo i denti per il freddo.
― Non lo so! Era
con me quando la nave è affondata, io non…
― Non è riuscito a
riemergere. ― sussurrò Jake, scoppiando a piangere ― La nave
deve averlo
trascinato giù con sé. ― fu allora che percepii
qualcosa andare definitivamente
in frantumi. Il mio cuore. Restammo tutti in silenzio, ascoltano le
urla delle
persone che, man mano, si spensero nelle gelide acque
dell’Atlantico.
C'erano venti scialuppe nelle vicinanze,
solo una di loro tornò indietro. Una.
Sei persone furono salvate dall'acqua. Una
di queste ero io. Sei su millecinquecento.
In seguito, le settecento persone sulle
scialuppe non poterono far altro che aspettare. Aspettare di morire,
aspettare
di vivere. Aspettare un perdono che non sarebbe mai arrivato.
Erano le otto di
mattina quando
Arrivammo a New
York il 18 Aprile dello stesso anno, svuotati. Spaventati. Infelici.
― Il suo nome. ―
disse qualcuno, accanto a me.
― Cosa?
― Il suo nome,
prego.
― Masen. ― risposi
di slancio ― Isabella Masen.
* * *
Tornata
a New York,
mi resi conto di aver passato tutto il viaggio a pensare al Titanic e,
ovviamente, ad Edward. Non avevo mai parlato di lui con nessuno
– eccezion
fatta per le persone che lo conoscevano. Lui mi aveva
salvata… In tutti i modi
in cui una persona poteva essere salvata. Non possedevo niente di lui,
nemmeno
una foto. Ma non importava più di tanto… Il suo
ricordo sarebbe sempre vissuto
vivido nella mia mente, ma soprattutto nel mio cuore.
― Bella? ― mi
sentii chiamare, e mi direzionai verso quegli occhi scuri.
― Ciao Jacob.
― Com’è andato il
viaggio?
― Piuttosto bene,
grazie. ― risposi, dandogli il mio piccolo bagaglio ― Angela ha
combinato
qualche danno, in pasticceria?
― Ovviamente! ― rispose,
scoppiando a ridere ― Ma ho pensato a tutto io.
― Non è carino
prendere in giro una donna incinta, lo sai? ― lo stuzzicai, salendo in
macchina.
― Beh sì, se l’ho
messa incinta io. ― rispose, scoppiando a ridere ― Comunque
c’è una visita per
te, a casa.
― Chi? ― domandai,
ma non mi rispose.
Almeno una cosa
l’avevo ottenuta: la mia pasticceria a New York.
Non seppi più nulla
della mia famiglia, né di Mike. Lessi sui giornali di quel
periodo che, nel
disastro, morirono sia il capitano Smith – che decise di
affondare con la sua
nave –, che il signor Hale. Non seppi più nulla
nemmeno della famiglia Cullen…
Tuttavia, dovevo aspettarmelo. Loro erano ricchi io, invece, non
più.
― Siamo arrivati,
Bella. ― disse Jake, aprendomi la portiere dell’auto ― Vai,
corri! ― feci
quello che mi aveva detto e, inaspettatamente, trovai nel piccolo
salone
proprio Carlisle.
― Signor Cullen? ―
lo chiamai, incredula ― Cosa ci fa qui? Sono dieci anni che non la
vedo. È
salvo? Ed Emmett?
― Purtroppo sono
sopravvissuto solo io. ― rispose, notando un velo di tristezza nei suoi
occhi ―
E mia moglie, con le mie figlie. ― disse, indicando Esme, Alice
e… Rosalie,
sedute sul modesto divano verde.
― Cosa vi ha
portato nella nostra umile dimora?
― Presumo io. ―
sentii dire ad una voce alle mie spalle.
Era impossibile.
Doveva essere impossibile.
Mi voltai piano,
ritrovandomi due pozze verdi liquide davanti agli occhi. Mi
mancò il fiato,
mentre il cuore cominciò a galopparmi nel petto.
― Edward… ―
sussurrai, avvicinandomi piano ― Ma come… Tu sei…
― È un miracolo,
amore mio. ― disse, stringendomi a sé ― Mi hanno ritrovato
privo di sensi, non
so nemmeno io come sono sopravvissuto. Per anni sono stato in un letto
di
ospedale, devi ringraziare Carlisle che ha pagato tutte le cure.
― Sei vivo. ―
continuai a ripetere, stringendomi spasmodicamente a lui.
― Sì, sono vivo,
amore mio. E ti amo. ― sussurrò, a pochi centimetri dalle
mie labbra ― Ti amo
come allora, forse anche di più. ― e mi baciò.
Il bacio fu
esattamente come lo ricordavo: passionale, dolce, eterno. Avevo milioni
di
domande in testa: perché avesse aspettato dieci anni prima
di tornare da me,
perché nessuno mi venne a dire che era salvo, come avesse
fatto a trovarmi…
― Non capisco. ―
sussurrai, ridendo isterica ― Dove sei stato in tutto questo tempo?
Perché non
mi hai cercata prima? Non…
― Posso spiegarti
io, Isabella. ― si intromise Carlisle, gentilmente. Annuii, senza
staccarmi un
attimo dall’uomo che amavo, che avevo sempre amato ― Ho
trovato Edward solo un
paio d’anni fa, in un ospedale della Nuova Scozia. Non
ricordava nulla… Decisi
di prendermi carico delle sue spese sanitarie, perché Esme
lo riconobbe. A
fatica – molti, addirittura, sostengono tutt’oggi,
per miracolo – recuperò i
suoi ricordi. Ti abbiamo cercata dappertutto, per molto tempo, ma
nessuno
sapeva dove tu fossi finita. Nemmeno tua madre…
― Mia madre? ―
chiesi di getto ― È viva?
― Sì, anche tuo
padre e Mike. ― rispose, e notai i suoi occhi colmi di rabbia.
Evidentemente,
erano riusciti a pagare qualcuno per la loro salvezza. A differenza
loro,
Emmett non era così abbietto.
― Ci avevano detto
che eri morta, Isabella. ― disse Esme ― Che non vi era nessuna Isabella
Marie Dwyer
Swan tra i superstiti di prima classe, né tra quelli di
terza.
― Ho cambiato
cognome. ― sussurrai, voltandomi verso Edward ― Diedi il tuo. Era
l’unica cosa
che mi restava.
― Ti amo. ―
sussurrò, stringendomi a sé ― Abbiamo una vita da
recuperare. Siamo insieme,
adesso. E nessuno potrà più separarci.
― Ti amo anche io.
― risposi, abbracciandolo ancora più forte ― Adesso e per
sempre. ― ed era
vero. Niente ci avrebbe più divisi. Mai più.
La
vita con Edward
fu esattamente come l’avevo sempre immaginata e, forse, anche
meglio di ogni
più pazzesca fantasia. Ero felice, adesso. Possedevo tutto
ciò che avevo sempre
desiderato. Avevo trovato il mio posto nel mondo, trovando
serenità nella
miseria.
Non
dimenticai mai
il Titanic.
Quell’accaduto segnò
molte persone, molte vite… Causò la fine di
un’epoca, il sogno infranto della Belle
époque. L’affondamento del
Titanic, passò allo storia come la tragedia più
grande di tutti i mari.
Molte
cose
cambiarono dopo il 15 Aprile 1912, ma la coscienza collettiva avrebbe
sempre
ricordato quella nave, quella disgrazia, e i suoi
passeggeri… La gente potrebbe
trovarla noiosa, ripetitiva, come frase, ma io avrei sempre continuato
a
pensarla in quel modo: non si può capire il Titanic
vivendolo con razionalità,
lo si può capire solo vivendolo col cuore.
* Le parti in corsivo - eccezion
fatta per i pensieri di Isabella e alcune parole - sono prese da film Titanic, di James Cameron.
In questa piccola storia, non mi sono solo ispirata alla storia d'amore di Jack e Rose - che tra l'altro è stata ispirata a Cameron dal racconto di una storia realmente accaduta, lui ci ha solo messo del suo -, ma soprattutto è stata scritta per riflettere e ricordare le innumerevoli vittime di quella tragedia.
Jasper Hale Jr = Thomas Andrews Jr.: costruttore navale della Harland e Wolff, di Belfast. Fu realmente un passeggero del Titanic e morì nel disastro. Secondo le testimonianze non tentò nemmeno di salvarsi.
Eric Yorkie = Bruce Ismay: imprenditore britannico. Realmente passeggero sulla nave, per il suo viaggio di inaugurazione. Diedi lui il nome "Titanic". Sopravvissuto.
Esme Cullen = ispirata a Margaret "Molly" Brown: fu ribattezzata l'inaffondabile Mollt Brown. Anche lei, realmente esistita sul Titanic, e sopravvissuta alla vicenda.
Edward Smith: il capitano del Titanic. Affondò con la sua nave.
Citati nella storia altri personaggi realmente esistiti, quali: Benjamin Guggenheim, Sir Cosmo Duff-Gordon e sua moglie, la contessa Lady Lucille Duff-Gordon, John Jacob Astor.
Tutti gli altri sono personaggi di proprietà di Stephenie Meyer, che ho utilizzato per un creare un filo conduttore con la storia.
Grazie a tutti per aver letto.
†
15 Aprile 2012
PER NON DIMENTICARE,
MAI.