Sono ciò che non è stato, non è e mai sarà.
Sono la negazione dell’esistenza.
Sono l’antonomasia di tutti i non.
Non sono, eppure sono, perché dell’essere, come una ricca signora nella sua pelliccia strappata alle ossa di un animale scuoiato, io mi ammanto.
Questa è una pagina senza inizio, gloriosa e autobiografica, scritta dalla Signora più potente e vecchia, più amata e temuta, più ambita, più infamata, più acclamata, più antica; e celebrata. Il mio nome è scritto su tutti i libri, è la parola sospirata da un sopravvissuto e l’ultima straziata di un fidanzamento fallito, il lamento di un nostalgico, l’esultazione al termine di un duro lavoro; pensata, urlata, sussurrata, intesa, io anniento, lavo, origino e concludo.
E incombo su tutto come Destino Ultimo, democraticamente equanime, che voi siate uomini o animali, vivi o inanimati.
Dama anziana e canuta, gaio sorriso nel volto scarno dagli occhi di pietra, padrona discreta dell’essere. Io non rubo e non chiedo, non chiamo né estorco. Il tutto fluisce verso di me, come sotto l’effetto di una dolce ipnosi, e io lo accolgo nel mio abbraccio, inesorabile, materno, assassino.
Sono la più catastrofica e distruttiva calamità naturale alla quale niente può sottrarsi, ineluttabile costante della nascita e dell’inizio.
La Morte è solo uno dei miei aspetti. Sono l’addio di due amanti, i fazzoletti bianchi sventolati al salpare di una nave, il “tornerò” del marito alla vedova, sono tutti i tramonti, sono l’Apocalisse.
Miserevole mendicante, Regina sul suo scranno, padrona di un bordello di ricordi, sposa vecchia e cadente del Tempo. Il passato è il sacro santuario delle vittime che mieto, catacombale esposizione delle salme di ciò che è stato.
E ogni cosa l’attendo al varco, terribile, seducente, squallida; a piedi nudi sulla strada lastricata dell’oblio e la mite pazienza dell’eternità. Pronta a spogliarla della sua esistenza e di quest’ultima goccia d’inchiostro.